Ilva, ministero dell’ambiente parte civile

Clini: “Il ministero si costituirà parte civile nel processo mirato a individuare responsabilità per l’inquinamento”

Luca Romano

Taranto si registra un aumento della mortalità del 10% nel periodo 2003-2008.

 

Il dato emerge dallo studio “Sentieri” dell’Istituto Superiore di Sanità, che verrà presentato domani dal ministro della Salute Renato Balduzzi.

Il trend conferma le precedenti analisi, relative al periodo 1995-2002, che parlavano di un aumento di mortalità generale e per tumori che oscilla tra il 10 e il 15%, e un aumento del 30% in particolare per il tumore al polmone sia negli uomini sia nelle donne. Un aumento di oltre 50% di decessi permalattie respiratorie acute.

I dati riconoscono un nesso sospetto ma non accertato di causalità con le emissioni degli stabilimenti di Taranto, come quello dell’Ilva. La ricerca fa parte del progetto che ha studiato il profilo di mortalità delle popolazioni residenti nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (circa 60 in Italia) misurando l’impatto sulla salute di quelli contaminati come appunto l’area di Taranto.

Intanto, “il ministero dell’Ambiente si costituirà parte civile nel processo mirato a individuare responsabilità per l’inquinamento di Taranto”. Ad affermarlo è stato il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini su twitter. 

E sul caso Ilva, i custodi giudiziari degli impianti dell’Ilva sequestrati hanno notificato all’azienda una direttiva con la quale ordinano di rifare completamente sei batterie delle cokerie degli altiforni, spegnere 6 torri e 2 altoforni, fermare l’acciaieria 1, adeguare l’acciaieria 2, e il rifacimento del reparto “Gestione materiali ferrosi”.

AMBIENTE E SALUTE Veleni e tumori, libro bianco di Giordano e Tarro

Dossier choc dell’istituto Pascale: a Napoli s’ammala di cancro il 47 per cento in più della popolazione rispetto al resto d’Italia. Un dato è impressionante ma non nuovo. Gli studiosi Antonio Giordano e Giulio Tarro lanciano l’allarme da anni. Denunce cadute nel vuoto.
Oggi, i loro studi, le indagini scientifiche, la raccolta di decine di pareri qualificati, diventano un libro bianco dal titolo “Campania, terra di veleni” che il Denaro pubblica in esclusiva.
Il testo è già disponibile in versione e-book e prenotabile in versione cartacea. Tutte le informazioni sono su denaro.it
“Avevo solo 15 anni – avverte Giordano – quando nel 1977 mio padre Giovan Giacomo, professore, primario anatomo patologo dell’Istituto per lo Studio e la Cura dei Tumori Pascale, pubblicava un libro bianco dal titolo: ‘Salute e ambiente in Campania’, edito dal Centro Studi di Politica Economica e Sociale Nuovo Mezzogiorno, nel quale denunciava la presenza di aree ad alto rischio tumori nella città di Napoli. Precorrendo i tempi, mio padre, coordinando un’equipe di studiosi napoletani, tracciava una mappa della nocività nella provincia di Napoli, evidenziando come la popolazione napoletana corresse maggiori rischi di ammalarsi nelle zone più industrializzate della città partenopea”.
Dopo 35 anni, Antonio Giordano, figlio dell’illustre anatomo patologo Giovan Giacomo, da ordinario di Anatomia & Istologia Patologica presso l’università di Siena e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia (Usa) insieme a Giulio Tarro, virologo e primario emerito dell’Azienda ospedaliera Cotugno di Napoli, chairman della commissione sulle Biotecnologie della Virosfera, Wabt – Unesco a Parigi, è autore di questo nuovo libro bianco che affronta le tematiche legate alla salute in Campania. Un libro che accende i riflettori anche sulle indagini epidemiologiche disponibili che mostrano quanto il territorio campano sia stato danneggiato dal dramma, di nuovo attuale, dei rifiuti. In vent’anni la morte per tumori in Italia e’ diminuita tra il 12 e il 15 per cento grazie alla prevenzione e miglioramento dlee cure. Per gli uomini la diminuzione è da 350 a 300 casi per 100 mila abitanti, per le donne da 220 a 200 casi per 100 abitanti. Nella zona rossa tra Napoli e Caserta è tutto in controtendenza: 400 casi per gli uomini e oltre 200 per le donne per ogni 100.000 abitanti.
Un’incidenza nettamente superiore anche alle altre province campane dove i tassi sono stabili e inferiori al dato nazionale. In totale 25 Comuni, circa 700 mila abitanti nella provincia di Napoli e 300 mila nel Casertano, in una zona fortemente degradata dal punto di vista ambientale.

 

Il dossier del Pascale

Settanta chilometri di terre, tra Napoli e Caserta, che fin dai dagli antichi romani producevano ogni genere di delizia. Oggi, invece, le statistiche sulle morti per cancro dell’Istituto contro la lotta ai tumori Pascale di Napoli raccontano tutta un’altra storia. La storia di un territorio che, spiegano gli esperti, nel giro di vent’anni, dal 1988 al 2008, probabilmente ha fatto impennare i decessi in 25 Comuni di quelle zone anche del 20 per cento, del 30 per cento e anche dell’80 per cento. Quella che gli esperti considerano la zona rossa si estende al Vesuviano a ridosso del Sarno al Casertano a ridosso del Volturno. La comunità scientifica non si sbilancia. Secondo le ipotesi del responsabile epidemiologia del Pascale, Maurizio Montella, che ha condotto lo studio elaborando dati Istat, una spiegazione potrebbe essere l’inquinamento prolungato delle matrici ambientali. “’Questa ipotesi spiegherebbe anche gli altri 4 Comuni fuori dalla zona rossa, a ridosso di Sarno e Volturno, i più inquinati d’Europa”. Ecco i dati Il linfoma non-Hodgkin è aumentato per gli uomini del 44% nella provincia di Napoli e del 58% nella provincia di Caserta, nelle donne del 79% nella provincia di Napoli e oltre il 100% in quella di Caserta. Per il mieloma gli aumenti vanno dal 40% a oltre il 100%. ”Sono tumori rari – spiega Montella -, sono quelli che vengono monitorati quando ci sono problemi con le centrali nucleari’”. Aumentano anche le morti per tumori al colon retto (+30%), dei dotti biliari (+50%), del pancreas (70%), del polmone (+30%), nonché dello stomaco (in Italia la media è -50%, tra Napoli e Caserta gli aumenti sono tra il 3% e il 10%), dei tessuti molli e della mammella. Leggera diminuzione per i tumori alla laringe e all’utero. ‘Il veicolo potrebbe essere l’acqua, non tanto quella potabile, ma quella dei fiumi e quella usata per le irrigazioni. Un inquinamento non massivo, ma prolungato e cronico, lento nel tempo.

http://denaro.it

DANNI PROVOCATI DALL’AMIANTO: AGISCI SUBITO CON IL CODACONS Se sei rimasto vittima sul posto di lavoro o per esposizione ambientale a polveri di amianto malattie asbesto correlate, puoi agire con il CODACONS per il risarcimento del danno!

 



Vittima dell'amianto? Ottieni risarcimento del danno con il Codacons

Ogni anno migliaia di persone si scoprono affette da gravi patologie derivanti dall’esposizione a fibre di amianto: questo minerale è infatti responsabile di patologie gravi ed irreversibili, tra le quali anche una gravissima forma di cancro, denominata “Mesotelioma.

Molte persone gravemente ammalate non sanno che, con molta probabilità, la loro patologia deriva da lavori svolti – anche decine di anni fa – in posti di lavoro, quali cantieri, officine, fabbriche che producevano amianto o lavoravano manufatti che lo contenevano o semplicemente in fabbriche dove l’amianto era presente nei macchinari o sulle coperture. 

Nel 1992 con la legge n. 257 l’Italia ha messo al bando tutti i prodotti contenenti amianto, vietando l’estrazione, l’importazione, la commercializzazione e la produzione di amianto e di prodotti contenenti tale minerale.

Ma questo pericoloso minerale aveva già minato la salute di migliaia di lavoratori che, come nel caso del mesotelioma, sviluppano la malattia asbesto correlata solo dopo 30 o 40 anni dal contatto.

Nonostante la legge, poi, non tutti i luoghi di lavoro che contenevano o lavoravano o semplicemente smaltivano l’amianto sono stati bonificati, cosicchè decine di persone si sono rivolte al Codacons avendo sviluppato patologie asbesto correlate solo perché abitavano in quartieri dove pericolose fabbriche sono state bonificate solo dopo più di quindici anni o, purtroppo, non lo sono state affatto.

Molti non sanno che quando un familiare si scopre affetto da tali gravi malattie anche i parenti che con essi vivono o che semplicemente li assistono sviluppano un autonomo diritto al risarcimento di quel danno che la giurisprudenza definisce come “danno parentale”. 
Se rientri tra i soggetti che si sono ammalati a causa dell’amianto o che hanno perso un familiare per tale ragione contatta il Codacons e fatti assistere nella causa di risarcimento del danno. 

Avv.Carlo Rienzi, presidente CodaconsPER OTTENERE UNA CONSULENZA GRATUITA scarica il modulo qui sotto:


compilalo ed invialo insieme a:

  • Copia della carta di identità e del codice fiscale e recapiti telefonici ed e mail per essere contattati
  • Cronistoria dell’accaduto
  • Documentazione sanitaria comprovante la patologia contratta (mesotelioma-asbestosi-broncopatie cronico ostruttive- carcinoma asbesto correlato- etc…)
  • Informazioni in tuo possesso sulla società presso la quale si è svolta l’attività lavorativa e sua attuale sede

a: 

CODACONS
Azione AMIANTO
Viale delle Milizie, 9
00195 Roma 

N.B – La mancanza di un qualunque documento non pregiudica l’azione. Invia comunque la busta con tutti i documenti in tuo possesso. 

La tua documentazione verra’ valutata gratuitamente da un team di professionisti che ti contatteranno direttamente per illustrarti la strategia migliore per richiedere il risarcimento dei danni subiti. 

L’invio della suddetta documentazione non costituisce conferimento di mandato giudiziario, ma e’ richiesta esclusivamente al fine del suddetto esame gratuito della propria situazione.

Se dopo questa consulenza vorrai essere assistito legalmente potrai farlo alle condizioni che ti saranno illustrate.

http://www.codacons.it/articoli/danni_provocati_dallamianto_agisci_subito_con_il_codacons_228513.html

Il tempo è galantuomo, disse l’amianto all’uranio

Era da un po che non scrivevo di agricoltura; curioso per uno che ha imparato prima a tirar su una pianta che a usare una bicicletta. In questi giorni mi è capitato di discutere con alcuni sostenitori delle colture geneticamente modificate, gli ogm. Questo è un tema spinoso, pieno di risvolti imprevedibili. Dunque i mitici ogm: chi sono costoro? Secondo l’enciclopedia sarebbero organismi in cui parte del genoma sia stato modificato tramite le tecniche dell’ingegneria genetica; intendendo l’inserimento o la rimozione di geni dal DNA oggetto dell’esperimento. C’è dentro di tutto, dal pesce fluorescente al batterio che produce l’insulina. Cose futili e cose utili, insomma. Esistono anche leggende metropolitane simpaticissime, come quella che riguarda i “pomodori antigelo”; che si suppone siano resistenti al freddo grazie ai geni di un pesce che vive in acque fredde. Non è mai accaduto,come spiegato qui; tentarono invero di realizzarli, ma non funzionò. E non fu quindi altro che un esperimento fallito. Anche la “fragola con la lisca” condivide sorte simile: è un ogm che non è mai esistito in commercio; eppure è divenuta un’icona.

Ma in agricoltura cosa si usa effettivamente? Quali sono le cultivar ogm reali che hanno avuto successo? Per farsi una idea c’è uno stringato elenco sempre in enciclopedia, che almeno ne indica le tipologie. Si tratterebbe di alcune decine di varietà, come ricordatoanche qui, per gran parte cereali e leguminose. A dominare la scena sono mais, colza, soia, cotone e riso. Cosa fanno queste piante di differente dalle altre? Nell’elenco della wiki sono indicate alcune capacità di resistere a malattie fungine e virosi; ma se guardate bene, metà delle caselle riporta il carattere di “resistenza a erbicida”. E’ questa la caratteristica davvero importante che accomuna le granaglie ingegnerizzate più diffuse.

Come mai si parla tanto di piante resistenti alla siccità, alle malattie o magari capaci di vivere in ambienti poveri di nutrienti e poi, all’atto pratico, le varietà che possiamo acquistare oggi sono essenzialmente resistenti a prodotti chimici usati per eliminare piante infestanti? Beh, una ragione esiste ed è di ordine pratico: una azienda che sviluppa una varietà di pianta – ogm o meno – commerciabile deve recuperare i costi di ricerca. I poveretti che abitano nazioni povere, prive di suoli fertili e d’acqua, non hanno ovviamente il becco di un quattrino in tasca. Inevitabilmente le aziende del comparto sementi dovranno quindi rivolgere le proprie attenzioni agli agricoltori di paesi più ricchi, capaci di spendere qualche soldo in più. Oltre a questa ovvietà, dovremmo ricordare che gli erbicidi prima o poi divengono accessibili a chiunque: i brevetti scadono. Il caso più famoso e chiacchierato è quello del glifosato, il cui brevetto scadeva, se non ricordo male, nel 2000 / 2001. La Monsanto, non potendo più ottenere introiti adeguati in assenza dell’esclusiva garantita dal brevetto, risolse il problema dedicandosi alla creazione di piante coltivabili resistenti all’erbicida. Ed ecco superato il problema: era quindi possibile applicare un nuovo brevetto ai semi delle piante ogm con questa particolare resistenza, e recuperarne una attività economicamente vantaggiosa. Rendendo tra l’altro più efficaci ed economici i trattamenti, dato che l’applicazione dell’erbicida a coltura già avviata riesce a distruggere le infestanti in maniera più incisiva, almeno in confronto al diserbo presemina praticato in precedenza.

Ma quale può essere il problema con questi organismi – e relate tecniche colturali? Fondamentalmente più o meno la stessa tipologia di problemi che incontriamo con la chimica tradizionalmente intesa, e con l’agricoltura in senso lato. Ogni qual volta creiamo o modifichiamo una sostanza o un organismo, per poi immetterli nell’ambiente e nelle catene alimentari, dobbiamo verificare quali siano i possibili effetti negativi sull’ambiente stesso, sull’agricoltura e sugli esseri umani. E qui entra in gioco un fattore che è tanto determinante quanto allegramente ignorato in molte analisi di rischio: il fattore tempo.

I rischi connessi ad un nuovo intervento, infatti, non sono tutti uguali. Nel caso di una sostanza chimica di solito il primo problema che incontriamo è la sua eventuale tossicità acuta: se mi bevo tanto metanolo, rischio di perdere la vista e di morire. Questi effetti non sono difficili da osservare, dato che li vediamo arrivare in maniera velocissima. E ovviamente tutti conosciamo questo problema: non è difficile stabilire un legame deterministico tra l’avvelenamento da metanolo ed i danni subiti. Ci può riuscire chiunque.

Esiste però anche un modo differente di manifestarsi per i rischi sanitari ed ambientali connessi alle sostanze chimiche: il danno cumulato o differito nel tempo. Se passi le tue giornate in un ambiente che ti espone, che so, a vapori di mercurio di certo non muori. Vivrai a lungo. Solo che dopo un po di tempo – parecchi anni – cominci ad accusare dei problemi gravi: diventi matto, come il Cappellaio di Carroll; o ti ammali gravemente, come tanti minatori sudamericani che usavano il mercurio per estrarre oro con la tecnica dell’amalgama. Vedere le simpatiche opzioni disponibili. Attenzione però: questi danni sono sì gravi, ma non correlabili ad una esposizione circoscritta; e richiedono molto tempo – a volte due o tre decenni – per manifestarsi pienamente. Eppure alla fine presentano il conto, e salato.

In questa maniera possiamo ben capire come fanno gli esseri umani a commettere errori di valutazione così marchiani: vivono il rischio chimico / biologico / nucleare come se il problema fosse esclusivamente confinato agli effetti acuti dello stesso. E sovente ignorano gli effetti delle esposizioni prolungate e relative patologie croniche. In questo modo riescono a sviluppare continuamente nuove applicazioni, più o meno interessanti, che si rivelano estremamente dannose per la salute e l’ambiente dopo alcuni decenni: decenni, non anni. Nessuna meraviglia in ciò: i danni cronici e differiti nel tempo richiedono per definizione tempi estesi per manifestarsi.

Quali sono le tempistiche di questi eventi? Può valere la pena di osservare qualche esempio. Il primo e più banale che mi viene in mente è l’impiego di radionuclidi e radioattività. Le indagini sul tema divengono sistematiche negli ultimissimi anni dell’800, grazie a personaggi come Becquerel e Curie. Per trovare applicazioni pratiche dobbiamo però giungere agli anni della Seconda Guerra, con la realizzazione di reattori nucleari destinati alla produzione di plutonio; e ovviamente le famose bombe lanciate sul Giappone. Negli anni ’50 inizia a diffondersi la disciplina della medicina nucleare, che a livello di idea andava sviluppandosi da molti anni. L’espansione definitiva dell’impiego di sostanze radioattive si avrà a partire dal periodo 1954 – 1956, con la nascita dei moderni reattori nucleari di potenza. Negli anni seguenti, un crescendo travolgente di applicazioni ed impianti.

Il cambiamento di prospettiva nel campo dell’impiego di radioattività è iniziato in maniera graduale; già durante gli anni ’70 ci si cominciava a porre seriamente la questione delle implicazioni sanitarie. In verità più sotto l’effetto psicologico della minaccia delle armi contenute negli arsenali. La svolta arriverà con il celebrato incidente di Chernobyl, nel 1986. I recenti eventi occorsi nell’impianto giapponese di Fukushima Dai-ichi hanno solo ribadito la dimensione del problema. In pratica, sono occorsi almeno 30 – 35 anni dal momento in cui le applicazioni tecniche sono divenute importanti per veder mettere in discussione la bontà delle scelte fatte. E la discussione è ancora in corso, in mezzo ad un mare di polemiche; ad almeno sessant’anni di distanza. Il fatto che, ad esempio, Ucraina e Bielorussia spendano per le conseguenze dell’incidente qualcosa come un 5 – 7 % del bilancio pubblico dice parecchio; e giustifica le liti attorno alla conta delle vittime. Sono trascorsi decenni ed i malati sono tanti; anche a causa delle emissioni diffuse, che avvengono dappertutto, lontano dai riflettori. Eppure ancora nessuno pare voler affrontare la questione.

Altra storia: l’amianto. Era una fibra naturale, ottenuta da rocce basiche alterate; è stata una risorsa abbondante anche in Italia. La sua tossicità, intesa come capacità di causare malattie croniche e tumori, era nota già all’inizio del XX secolo. Bisogna però ricordare che l’impiego dell’amianto come isolante leggero si era sviluppato prepotentemente in Inghilterra per tutto l’800. Se prendiamo il caso particolare del cemento – amianto, chiamato anche eternit, possiamo considerare che l’avventura industriale abbia avuto inizio nei primi anni del ’900; curiosamente all’epoca la pericolosità del minerale era già nota. La diffusione di questi manufatti in fibrocemento diviene massiva negli anni ’30, e prosegue nel dopoguerra. La produzione terminerà solo nei primi anni ’90. La tempistica che ha permesso di passare dall’euforia iniziale al riconoscimento della pericolosità del materiale è variabile; a luoghi l’amianto è ancor oggi tranquillamente utilizzato. Per il caso inglese della fibra isolante c’è voluto un secolo o poco meno; nel caso dell’eternit nostrano sono bastati 60 – 70 anni per una messa al bando.

Nella pratica, che si parli di uranio o di asbesto, il riconoscimento della pericolosità di queste applicazioni industriali ha richiesto tempi molto lunghi. Nel caso dell’amianto incluso nel fibrocemento abbiamo già risultati conclusivi: da applicazione pionieristica a rifiuto letale da rimuovere in una settantina di anni. Nel caso dell’energia elettronucleare il cammino non è concluso, dato che ancora non abbiamo tra le mani il problema dello smantellamento degli impianti in essere. E sono passati 60 anni. Pare di scorgere alcune similitudini in queste vicende: l’euforia iniziale per le nuove applicazioni tecniche prosegue indisturbata per decenni, con successi del tutto evidenti a proprio favore. Nel frattempo gli eventuali danni alla salute ed all’ambiente cominciano a prepararsi, ma con lentezza; basti pensare al fatto che l’amianto attende anche trent’anni per uccidere le proprie vittime. Questo significa che una nuova applicazione tecnica può svilupparsi indisturbata per decenni, anche se avrà ricadute distruttive sulla salute e sull’ambiente; è una questione di tempistica.

E così, a partire dal 1996 abbiamo cominciato a commerciare organismi ogm, li abbiamo diffusi su milioni di ettari di terreno. Nel 2010 quasi 160 mln di ha, che sarebbe poi più di cinque volte la superficie totale dell’Italia. Ed abbiamo reso assolutamente comuni pratiche di allegro impiego di erbicidi a pieno campo, intendendoli come sostituto di ogni altro intervento di contenimento delle malerbe. Oggigiorno queste colture sono diffuse ed importanti, in specie nelle Americhe. Sta andando tutto bene? Beh, non proprio. Nel caso del glifosato la resistenza è ormai diffusa, le erbacce si stanno evolvendo: vedere qui, oppure qui; per una analisi italiana c’è questo. Interessante anche questo articolo, su Nature; che segnala che “….Sagers and her team found two varieties of transgenic canola in the wild — one modified to be resistant to Monsanto’s Roundup herbicide (glyphosate), and one resistant to Bayer Crop Science’s Liberty herbicide (gluphosinate). They also found some plants that were resistant to both herbicides, showing that the different GM plants had bred to produce a plant with a new trait that did not exist anywhere else…”. Le piante ingegnerizzate scappano dalla gabbia, si riproducono, si incrociano, si diffondono, divengono a loro volta infestanti. No, non lo dicono i talebani di Greenpeace: lo dicono tecnici qualificati. Quando la vicenda delle resistenze giunge sulle pagine del WSJ, allora è seria. Le strategie proposte per ora sono intuibili: passare ad altre sostanze, peraltro già note e probabilmente passibili di veder nascere velocemente infestanti resistenti; oppure rivedere il modo di coltivare in varia maniera. O ancora usare mix ed alternanze di sostanze.

C’è un’altra faccenda sul tavolo, che è l’impiego degli erbicidi a man bassa in se stessi, al di là del binomio con gli ogm. Ci sono già in circolazione studi che analizzano i residui degli stessi nelle acque e nella pioggia, tipo questo. O anche questo rapporto dell’USGS. Ovviamente esiste pure il problemi dei residui nel cibo: la presenza di queste sostanze decade esponenzialmente, ma logicamente non si azzera. Tutte queste faccende potrebbero acquisire rilevanza man mano che si diffondono fenomeni di resistenza agli erbicidi: diventa forte la tentazione di aumentare le dosi.

Ora a qualcuno verrà da dire che i problemi che stanno emergendo ci costringeranno a cambiare strada in maniera drastica; qualcun altro dirà invece che possiamo risolvere ogni inconveniente con nuove piante e nuove sostanze chimiche. E poi, invariabilmente, si continueranno ad accendere dispute attorno alla pericolosità reale o presunta di un organismo o di una molecola. Quello che manca, e che mancherà a lungo in molte discussioni, è la percezione dell’importanza dell’orizzonte temporale. Le nostre pregresse avventure con contaminazioni estensive hanno dimostrato che i danni dovuti a malattie croniche e degenerative si mostrano dopo 20 o 30 anni; e che i problemi correlati divengono gravi e diffusi con ulteriore ritardo. Stessa logica per i danni al suolo ed agli ecosistemi: per manifestarsi richiedono tempi lunghi.

L’avventura delle sementi biotech è iniziata l’altro ieri, e non è poi così importante sapere che alcune di esse sono in difficoltà dopo appena un decennio di impiego realmente estensivo. Quel che conta davvero è che non è ancora passato tempo a sufficienza per poter cominciare a ragionare sugli effetti cronici dell’immissione nell’ambiente di nuove piante e sostanze in quantità così massicce. Gli effetti di lungo termine su suoli, rese agricole e salute ancora non possiamo misurarli, non c’è modo di farlo; non sono effetti acuti, ma semmai cronici. Ed è cosa ben diversa. Possiamo comunque attendere, che so, un paio di decenni: il tempo è galantuomo, e riuscirà come sempre a chiarirci le idee.

fonte

MARCO MARCHESE Perché parlo sempre di amianto ed è necessario parlarne?

Nel mio ultimo intervento al comitato nazionale di Radicali italiani che si è tenuto a Roma, i primi giorni di Luglio, ho spiegato perché parlo sempre di amianto e ho cercato di capire se il mio interesse per quest’argomento sia rimasto equilibrato oppure se è sconfinato nel patologico; per capirci senza tanti giri di parole: se l’interesse si è trasformato in una fissazione.

Intanto sul fronte giudiziario si registra che il 4 luglio scorso, a Torino, dove si sta celebrando il processo all’Eternit, in realtà a giudizio vi sono due personaggi ritenuti i proprietari di quest’azienda fallita negli anni ottanta, è terminata la requisitoria della pubblica accusa. I pubblici ministeri, guidati dal dottor Guariniello, hanno avanzato al Tribunale la richiesta di infliggere vent’anni di carcere e una serie di pene accessorie agli imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero e a Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, barone belga. I reati contestati sono gravissimi: disastro con l’aggravante del dolo e qualora questa tesi giungesse a sentenza definitiva descriverebbe la tragedia dell’amianto, in Italia, costata la vita a migliaia di lavoratori, così come alle tantissime altre persone che non hanno mai avuto a che fare direttamente con questo pericoloso minerale, come uno dei fatti più gravi della storia recente. La gravità è dovuta all’intenzionalità della condotta dei manager Eternit, che secondo la ricostruzione dell’accusa erano ben consapevoli della nocività dell’amianto da molto tempo. E per mero profitto, in un primo momento, non hanno tutelato i lavoratori, le loro famiglie, così come la popolazione residente nei pressi degli stabilimenti presenti in varie parti d’Italia, contemporaneamente hanno commercializzato una notevolissima quantità di prodotti nocivi e pericolosi conoscendo e nascondendo questo fondamentale elemento e dopo il fallimento dell’azienda si sono adoperati per nascondere, dissimulare, minimizzare e sfuggire alle proprie responsabilità. Il processo all’Eternit italiana è quasi alle battute finali, già dall’11 luglio la parola passerà alle numerosissime parti civili per terminare con le posizioni della difesa; è facile sperare in una sentenza entro l’autunno e “Radio Radicale”, meritoriamente, sta mettendo a disposizione di tutti, nell’archivio online, le udienze di questo processo man mano che si celebrano.

Se il mio ragionamento arriverà alla conclusione che l’interesse manifesto sul grave problema dell’inquinamento da amianto non è una fissazione personale, ma, semplicemente un equilibrato interesse mosso da legittime preoccupazioni, tornerà utile scriverne approfonditamente anche sulla vicenda giudiziaria appena riassunta. Sarà fatto, assumendomene l’impegno fin d’ora.

All’inizio mi ha attratto il dato che l’amianto in Italia è causa di circa 3.000 decessi l’anno, un numero rilevante e che ancora per i prossimi anni non accennerà a diminuire. La fonte è il Re.Na.M. Registro Nazionale Mesoteliomi. Poi la rivista scientifica “The Lancet” ha diffuso il dato che a causa dell’amianto perdono la vita 90.000 persone l’anno nel mondo e che per la sola Europa si attende un consuntivo di decessi asbesto-correlate, nel periodo 2000/2030, pari alla sconvolgente cifra di 500.000! Mezzo milione di vite umane.
Personalmente penso che questi dati, seppur grezzi, siano sufficienti per indurre l’attenzione a trasformarsi in approfondimento e così è stato; poi le sfaccettature di quest’argomento sono molteplici e potrebbero riempire facilmente le pagine di un libro, così com’è stato fatto già tante volte e testi scientifici, piuttosto che il racconto di vicende umane e giudiziarie, comincia a rappresentare uno spazio non trascurabile sullo scaffale di una libreria. Il Re.Na.M. fornisce un altro dato degno di nota ed è quello che circa il 20% dei decessi per malattie asbesto-correlate hanno un’origine ignota. Parliamo di circa 600 decessi l’anno nella sola Italia e mentre per la maggior parte dei casi si giunge a comprendere e certificare l’origine dell’esposizione che ha portato alla malattia per questi, non è così. A titolo esemplificativo l’esposizione alle fibre d’amianto può essere di origine professionale, indiretta, ambientale, ecc.; ma vi è anche una nutrita casistica di esposizioni fra le quali alcune inattese, quasi sorprendenti. Come il caso dell’orafo deceduto per mesotelioma pleurico dalla cui ricostruzione delle abitudini di vita e comportamenti professionali è emersa che l’esposizione è stata originata dalla tavoletta in cemento-amianto sulla quale lavorava per riparare o creare i gioielli con una fiamma originata da un cannello a gas nel quale soffiava. L’esposizione in questo caso si ebbe a causa delle sollecitazioni subite dalla tavoletta in cemento-amianto dagli attrezzi di lavoro, la scelta di questo materiale era dovuta all’ottimo piano d’appoggio: resistente agli urti e al calore; però con l’uso degli attrezzi il rilascio di fibre d’amianto, respirate, ha dato poi origine alla malattia mortale.

Torno sui casi di origine ignota: il compito del Re.Na.M. è di analizzare i casi di malattie originate dall’esposizione all’amianto, riconoscerle e censirle secondo un preciso protocollo che stabilisca a vari gradi di certezza che quel determinato decesso è accaduto a causa dell’amianto. La successiva osservazione dal punto di vista epidemiologico, medico e comportamentale ci fa comprendere meglio quali sono le fonti d’inquinamento d’amianto, quali comportamenti tenere alla presenza di questo minerale rispetto ai suoi innumerevoli usi (sono stati censiti oltre 3.000 impieghi diversi) che se n’è fatto per quasi un secolo. Come scrivevo prima, il 20% dei casi è di origine ignota poiché non si è riuscita a stabilire la fonte dell’esposizione e questo numero sta crescendo fra la popolazione e riguarda chiaramente persone che non hanno mai avuto a che fare direttamente con l’amianto per ragioni professionali o per altri motivi noti, quindi il dato preoccupa ancora di più poiché vi sono esposizioni all’amianto che non si riconoscono facilmente e quanto questo peserà in futuro sul numero dei decessi è una valutazione difficile da stabilire.

E’ bene chiarire a questo punto cos’è una fibra d’amianto e se questa può essere facilmente individuata: una fibra d’amianto è qualcosa che può essere respirato senza che ci si possa accorgere poiché ha delle dimensioni talmente piccole che queste possono raggiungere le parti più profonde del polmone. Per comprendere bene di cosa stiamo parlando prendiamo ad esempio lo spazio di un centimetro lineare, un solo centimetro all’interno del quale idealmente possono trovare spazio, allineate uno accanto all’altro: 200 capelli, oppure 1.200 fibre di nylon, o 335.000 fibre d’amianto (trecetotrentacinquemila). Stiamo parlando, quindi, di fibre che non è possibile scorgere a occhio nudo e non esiste un attrezzo di uso comune capace di individuarle e catturarle con sistematicità. Il problema delle fibre d’amianto è che queste una volta disperse nell’aria aumentano il fondo d’inquinamento e accrescono la probabilità che qualcuno li respiri, generando, quindi, un’esposizione che è pericolosa anche a basse, bassissime dosi, così come evidenzia il Registro Nazionale mesoteliomi. Se l’esposizione, pur a bassissime dosi, è protratta nel tempo, fa aumentare enormemente la probabilità di sviluppare uno dei tumori legati all’asbesto e se l’esposizione all’amianto è associata al fumo di sigarette, il rischio aumenta esponenzialmente. L’esercizio del fumo inibisce fortemente la capacità naturale dell’organismo di difendersi dalle fibre e quindi dalla cancerogenicità che esse provocano restando nell’organismo e dopo periodi di latenza lunghissimi, (si stanno osservando casi di sviluppo della malattia a oltre cinquanta anni dalla prima esposizione). L’Organizzazione Mondiale della Sanità, suggerisce in tema d’inquinamento da fibre d’amianto che una soglia “Accettabile” -attenzione: accettabile non significa priva di rischi, ma più cinicamente che è possibile accettare il rischio che ogni tanto qualcuno muoia per esposizione all’amianto- debba limitarsi a una fibra per litro d’aria negli ambienti di vita quotidiana.

Per capire se la preoccupazione rivolta al problema dell’inquinamento dovuto all’amianto sia fondata o no, ci si deve affidare nuovamente ai dati del Re.Na.M. che a maggio 2010 ha pubblicato il suo 3° rapporto, anticipato un mese prima dalla pubblicazione di uno studio condotto da Legambiente. In Italia il problema legato alla diffusione di prodotti che contengono amianto riguarda per la maggior parte il settore del cemento-amianto o fibro-cemento. Parliamo di una quantità valutata in trentadue milioni di tonnellate di prodotti quali lastre e tegole che ricoprono i tetti di fabbricati industriali, edifici pubblici e privati, tubature in amianto-cemento per usi svariati, canne fumarie, comignoli e cassoni per la raccolta dell’acqua. Poi ci sono ambienti esposti all’amianto dove questo materiale impastato a leganti diversi è stato utilizzato a spruzzo sulle pareti dei fabbricati come isolante o fonoassorbente. Nel Comune di Casale Monferrato che ha ospitato uno degli stabilimenti italiani dell’Eternit, come nei Comuni limitrofi, si è fatto un uso massiccio del così detto “Polverino” che era uno scarto della lavorazione dello stabilimento. Ceduto ai privati, è stato utilizzato come isolante nei sottotetti e come materiale di riempimento in edilizia; i pezzi difettosi prodotti nello stabilimento sono stati usati diffusamente in questa zona, tanto che ancora oggi, a distanza di venticinque anni dalla chiusura dell’azienda, ogni mese sono denunciate decine di ritrovamenti con richiesta di bonifica presso le autorità locali. Lo scarico ricco di amianto da parte dell’Eternit nel fiume Po’ ha addirittura generato una spiaggia di questo materiale (12.000 metri cubi), il cui intervento di bonifica non poteva permettere lo spostamento di questa quantità di materiale, con tutti i rischi connessi alla dispersione delle polveri ricche di fibre d’amianto, e che è consistito nel confinamento delle sabbie contaminate attraverso un articolato intervento di tombamento.
Delle sole lastre di eternit sul territorio nazionale si stima ve ne siano 2,5 miliardi di metri quadri, ancora sui tetti e per capire bene questo dato è utile osservare che se potessimo raccogliere tutte le lastre in cemento-amianto e potessimo sistemarle una accanto all’altra, andremmo a ricoprire un’estensione territoriale quadrata di cinquanta chilometri per cinquanta chilometri di lato. Legambiente denuncia, inoltre, il grave ritardo nei piani di smaltimento e bonifica da parte delle Regioni e se l’amianto è stato completamente bandito nell’uso, nell’estrazione, nella lavorazione e nella commercializzazione dall’Italia nel 1992, con la legge numero 257, una regione come la Calabria vara una norma per lo smaltimento dell’amianto con diciotto anni di ritardo. Senza mettere a disposizione nessuna somma per le bonifiche, anzi, limitandosi ad approntare e finanziare una fase, che stimiamo lunga, di studio, prima di giungere all’operatività dei censimenti dei prodotti contenenti amianto sul territorio e le loro rispettive bonifiche; quel piano sullo smaltimento, insomma, che già in ritardo lo sarà ancora di più perché la norma si limita a stabilire solo chi se ne deve occupare per pensarlo. Figuriamoci metterlo in pratica!

A questo punto il quadro descritto è sconfortante, ma pur nella gravità sarebbe davvero errato lanciare allarmismi poiché questi sono sempre negativi; non moriremo tutti a causa dell’amianto, piuttosto vi è da prendere atto che la diffusione sul territorio nazionale di prodotti che lo contengono e nello specifico il cemento-amianto, fatte le dovute eccezioni per alcune regioni o località virtuose, è grave. Oltre a Legambiente anche il Re.Na.M. nel suo 3° rapporto denuncia il ritardo nelle bonifiche stimando che al ritmo attuale l’ultima lastra di Eternit dal territorio italiano sarebbe bonificata fra 150 anni. Questo ritardo è un problema perché il cemento-amianto non bonificato non ha tutto questo tempo prima di sbriciolarsi completamente e diventare polvere, rilasciando tutto il suo carico di fibre d’amianto che non farebbe altro che aumentare il fondo naturale e far scattare una sorta di roulette russa attraverso la quale qua e là, ogni tanto qualcuno si ammala a causa dell’esposizione a questo minerale e ci rimette la vita. Una volta che il fondo naturale è inquinato, non sarà più possibile filtrare le fibre d’amianto aero disperse e questo rischia di rimanere una fonte permanente d’inquinamento diffusa, salvo che non si consideri, per azzerare i rischi, la possibilità di respirare permanentemente attraverso un filtro idoneo, (ipotesi fantasiosa).

Mentre in Italia e in Europa l’amianto è bandito, nel resto del mondo le cose stanno diversamente e quindi si apprende che in Canada è ancora estratto ed esportato, così come in Brasile, dove è usato come in Italia fino al 1992; la stessa situazione si registra in Russia, India e Cina. Che cos’altro può essere aggiunto a questo dato che si commenta da sé?

Le malattie direttamente collegate all’amianto sono il mesotelioma pleurico e peritoneale, il carcinoma polmonare e in misura ridotta il tumore della tunica vaginale del testicolo e altre forme tumorali della gola. Tutte malattie terribili e dall’alto tasso di mortalità, la cui diagnosi avviene generalmente quando la malattia è già in una fase avanzata. La problematicità dell’esposizione alle fibre d’amianto riguarda anche l’informazione, scarsa e spesso incompleta. A volte la generalizzazione e lo scarso approfondimento inducono a credere che i prodotti in cemento amianto in buono stato di conservazione non siano pericolosi. Purtroppo non è così, poiché per quanto sia vero che se la matrice cementizia in buono stato di un prodotto in cemento amianto abbia un rilascio modesto di fibre, che in ogni caso c’è anche solo per effetto del dilavamento causato dalla pioggia e dagli agenti atmosferici -a tal riguardo, è utile consultare i quaderni di prevenzione sull’amianto redatti dall’A.S.L. di Catanzaro- il rischio consiste nell’effetto di degrado esercitato dal trascorrere del tempo. Poi anche dalle eventuali sollecitazioni manuali o meccaniche alle quali alla fine saranno inevitabilmente esposti questi manufatti. Pensiamo ad esempio a un ambiente domestico con amianto floccato spruzzato sulle pareti come isolante e messo solo in sicurezza attraverso un intervento di confinamento (l’amianto è sigillato da un pannello di cartongesso, per esempio). Adesso supponiamo di voler appendere un quadro e quindi buchiamo questa superficie con la punta di un trapano, questo genererà una quantità modesta di polvere ma ricchissima di fibre d’amianto che in un ambiente domestico, quindi tendenzialmente chiuso, ristagnerà per lungo tempo generando un’esposizione pericolosa e protratta nel tempo. Questa esposizione, pur modesta, se reiterata e associata ad altre esposizioni casuali, o abbinata al fumo di sigarette, possono diventare veramente pericolose e indurre, dopo un lunghissimo periodo di latenza, l’insorgere della malattia. E’ dimostrato da diversi studi il fattore dose – risposta sull’insorgere delle malattie legate all’amianto e smentiti gli studi che in un certo periodo dicevano che anche una sola fibra d’amianto può causare il tumore. Il tempo della latenza prima dell’insorgere della malattia e l’insorgere stessa della malattia sono legati alla dose di esposizione dove, chiaramente, più è alta e protratta nel tempo, minore sarà il tempo di latenza e più alta la probabilità di sviluppare il tumore; pur essendo rimarcato in questi studi che trovano ampie citazioni e commenti nel 3° rapporto sull’amianto pubblicato dal Re.Na.M., il concetto che dosi basse, anche bassissime e protratte nel tempo, pur allungando di molto il tempo di latenza, sono egualmente pericolose, al punto che nel rapporto si trova scritto chiaramente che non esiste una soglia sotto la quale è possibile affermare che l’amianto sia innocuo.

La latenza è uno dei problemi circa la percezione dei pericoli causati dall’esposizione alle fibre d’amianto. Supponiamo di trovarci in un gruppo di persone con la consapevolezza che nella provetta stretta fra le mani vi sia un gas nervino, alla minaccia di rompere la provetta tutti cercherebbero di fuggire inorriditi dal rischio di perdere la vita immediatamente. Se fra le mani avessi dell’amianto tutti, o quasi, magari con un po’ di diffidenza, non fuggirebbero inorriditi, al contrario si avvicinerebbero per osservare questo materiale da vicino, possibilmente toccarlo. Una questione di percezione che se da un lato è comprensibile perché se un agente ti uccide fra trenta, quarant’anni e anche oltre, la questione non è apparentemente così grave, dall’altra in questo problema della percezione del pericolo in questa materia gioca un ruolo molto importante l’informazione, che allo stato è frammentaria, non sistematica, di poca qualità complessiva e scarsamente divulgata.

E’ necessario, adesso, che giunga allo scopo che mi ero prefisso all’inizio di questo mio intervento e cioè capire se questo mio parlare continuamente di amianto sia una fissazione oppure no. Le informazioni che ho descritto, le tante altre che ho omesso per non appesantire ulteriormente questo lungo intervento, raffrontate a delle semplici osservazioni che mi riguardano direttamente nella vita di tutti i giorni, mi hanno portato a determinare che non si tratta di fissazione. Proseguiamo con ordine:

Da ragazzi, con mio fratello, ci siamo divertiti a distruggere le canne fumarie in Eternit dopo la ristrutturazione di una parte della nostra abitazione.

Presso la mia abitazione era presente un cassone in cemento amianto per la raccolta dell’acqua; smaltito da una ditta autorizzata a questo tipo di lavoro.

Presso casa dei miei genitori e presso casa di mia nonna vi erano presenti altri tre cassoni in cemento amianto per la raccolta delle acque; anch’essi smaltiti.

Presso casa dei miei genitori la tettoia della porcilaia, in disuso, ha la copertura in lastre di cemento amianto e a fianco vi era il capanno degli attrezzi del vicino con lo stesso tipo di copertura in pessimo stato di conservazione (smaltito).

Vicino casa della nonna un cassone in cemento amianto era stato utilizzato come pozzetto di derivazione per l’irrigazione del giardino e l’altro vicino ha la tettoria della stalla in cemento amianto, nonché alcune lastre erano state abbandonate nella sua proprietà.

La casa del vicino dove abito ha il tetto in cemento amianto che si sta degradando velocemente (circa 200 metri quadri); situato proprio sotto le finestre del mio appartamento.

Il centro storico del Comune in cui vivo, visto dall’alto, fa registrare un numero molto consistente di tetti in eternit e in alcuni fabbricati sono presenti le canne fumarie in cemento amianto e i tubi per la raccolta delle acque meteoriche dello stesso materiale.

A circa dieci chilometri dal posto in cui vivo, sull’autostrada A3 Salerno Reggio Calabria, hanno dovuto interrompere i lavori di ammodernamento poiché il traforo di una galleria non è più possibile farla da quando è emerso che in quella zona vi è una notevole presenza di tremolite (un tipo di amianto).

Il monte più alto della zona in cui vivo è ricco di giacimenti delle c.d. pietre verdi, fonte di tremolite, che è un tipo di amianto.

Poco tempo fa è stato bonificato il tetto in cemento amianto in pessimo stato di conservazione (3.000 metri quadri) del fabbricato accanto agli uffici che frequento per lavoro.

Nel cantiere vicino il fabbricato in cui vivo, sono in ristrutturazione dei bungalow e recentemente è stata fatta una fornitura di sabbia che di solito è di colore grigio o marrone, questa volta invece, reca un colore con un’insolita sfumatura verde; il sospetto che vi sia la presenza di tremolite è stato suffragato da un’analisi chimica da parte di un laboratorio al quale ho portato dei campioni e sono in attesa da parte di un altro laboratorio di un’analisi quantitativa che a detta del primo laboratorio appare notevole.

Il cementificio a qualche chilometro dal posto in cui vivo ha un’ingente quantità della sabbia verde sopradescritta che vende regolarmente e quindi la tremolite finisce nelle case della gente attraverso la sabbia che è utilizzata in edilizia per qualsiasi tipo di fabbricato. La tremolite facilmente viene a trovarsi negli intonaci interni ed esterni delle case, nei piazzali e in tutte quelle applicazioni dove questa sabbia è impiegata.

Conclusione: non conduco una vita particolarmente diversa da tante altre persone e frequento luoghi che frequentano in molti. Abito in posti dove abitano tante altre persone, quindi tutte queste occasioni di esposizione alle fibre d’amianto sono circostanze che sono vissute consapevolmente, ma soprattutto inconsapevolmente da molte altre persone e mentre io posso in qualche modo difendermi attraverso elementi di conoscenza (che però hanno l’inconveniente della preoccupazione per se stessi e per gli altri), molti questi elementi di conoscenza non li hanno. Non hanno, quindi, neanche la possibilità di difendersi da esposizioni occasionali o prolungate nel tempo, all’amianto, che possono portare a gravissime conseguenze per la salute. Il problema consiste che ci sono ampie fette di territori italiani in cui la presenza dell’amianto è più marcata rispetto alle altre ed io vivo in una di queste; il raffronto l’ho potuto fare osservando attentamente molti luoghi in Calabria e fuori regione nel tempo che trascorro in giro per l’Italia per lavoro. La mia non è una fissazione, né sfortuna, ma semplicemente una legittima preoccupazione che deriva da un approfondimento, che mi sono dovuto offrire da solo poiché qui in Calabria, come nella maggior parte dei luoghi italiani dove sono più marcate le presenze di prodotti contenenti amianto o circostanze attraverso le quali l’esposizione può essere più frequente, l’informazione è quasi nulla.

Un ultimo paragrafo, ma è evidente che un argomento complesso come questo non poteva essere snocciolato integralmente in questo scritto, è doveroso dedicarlo a tutti coloro smaltiscono abusivamente prodotti che contengono amianto abbandonandolo dove capita: il punto non sta nell’illegalità, nel rispetto delle regole, nelle multe e in taluni casi nel carcere e nei procedimenti penali; è anche questo, ma l’importanza di evitare nel modo più assoluto lo smaltimento fai da te e illegale di questi prodotti sta nella pericolosità per la salute di chi lo fa e per quella di chi s’imbatte nelle discariche abusive.

Come giusto che sia un ragionamento che descrive soltanto il problema, è sterile se non è portatore di una proposta, per quanto inadeguata possa essere. Nelle righe di questo intervento ne sono contenute più di una e queste vanno dalla necessità di maggiore informazione e formazione sui rischi dell’esposizione all’amianto, come riconoscerlo e come comportarsi quando si è individuato, per esempio; poi è necessario accelerare sulle bonifiche e sullo smaltimento dei prodotti contenenti amianto e attivare le norme dove sono ferme, crearle dove ancora mancano. Non ho affrontato per niente una parte importate del problema che è quello del riconoscimento e dei risarcimenti ai lavoratori esposti e agli esposti per altre ragioni, argomento che in Italia è critico e che registra enormi ingiustizie. Sarà oggetto di successivi approfondimenti.

http://notizie.radicali.it/articolo/2011-07-11/editoriale/perch-parlo-sempre-di-amianto-ed-necessario-parlarne

Spiagge italiane, un mare di mozziconi

12mln e 440mila cicche gettate in spiaggia dai fumatori italiani. Questione di maleducazione e di inquinamento, che rimarrà nell’ambiente fino a 5 anni

 

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Guarda quante cose si possono riciclare!

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gogreenAnche i mozziconi fregano l’ambiente

Di chi è la responsabilità? Solo nostra!

Spiagge affollate, canicola di luglio, ghiacciolo rinfrescante, bagno e una bella sigaretta. Questo l’usuale tran-tran dei bagnanti che si riversano inspiaggia in cerca di refrigerio. 
E quelle sigarette che fine fanno? A meno che non si sia in una spiaggia privata, munita diposacenere, spesso i mozziconi si trasformano in un tappeto di cenere all’aria aperta.

E fosse solo cenere! Il vero problema è che – consapevoli o no – i 13 milioni di fumatori italiani, non spargono solo quella nell’ambiente, ma lasciano in spiaggia un bel mix di sostanzeinquinanti
Nei 3 cm di un mozzicone, infatti, ci sono contenuti: nicotina, classificata come veleno, per una quantità pari a 4,5 milligrammi; polonio 210, sostanza radioattiva altamente cancerogena; e poibenzeneacetonetolueneformaldeide, tutti elementi non certo salubri per la salute. E si potrebbe continuare ancora parlando dell’ammoniaca, dell’acido cianidrico e dell’acetato di cellulosa.

Ma la maleducazione italiana sembra non finire qui. Le coste italiane, infatti, sono ogni anno invase da 45 tonnellate di rifiuti. In testa, ovviamente, le sigarette (27% del totale) e poi, a seguire, cotton fioccannuccestecchi di gelatobuste ebottiglie di plastica.

È tempo di pensare a cosa si getta per terra. E poi a casa propria non si buttano le cicche sul pavimento, perché all’esterno dovrebbe essere diverso?

IL TUMORE ALLA LARINGE

&


L’incidenza del carcinoma laringeo è relativamente bassa ed è più frequente nell’uomo. L’individuo che è ammalato di tumore alla laringe deve essere sottoposto ad un intervento di laringectomia totale. Ciò determina l’asportazione dell’organo della voce,
LE CAUSE
  • Il fumo.
  • L’alcool.
  • I fattori ambientali.
  • Predisposizione ereditaria.
  • Pregresse infezioni da herpes simplex
Il sintomo più frequente che caratterizza il tumore della laringe che coinvolge le corde vocali è la disfonia (voce rauca). All’inizio tale disturbo è saltuario ma tende a farsi più frequente fino a trasformarsi in una vera e propria afonia (mancanza completa della voce). Quando non sono colpite le corde vocali si ha disfagia (difficoltà nella deglutizione). Più il tumore è esteso più la deglutizione difficoltosa e si può inoltre avvertire l’irradiarsi del dolore all’orecchio. Il primo sintomo, talvolta, è costituito dall’aumento di volume di uno o più linfonodi situati nella parte superiore del collo.
ESAMI DA FARE
  • Esame obiettivo
  • Laringoscopia indiretta
  • Laringoscopia con fibre ottiche
  • Laringoscopia in sospensione
INTERVENTO CHIRURGICO
    1. Laringectomia parziale nel quale si mantengono le funzioni fisiologiche quali la respirazione, fonazione e deglutizione
    2. Laringectomia totale è effettuata in tutti i casi in cui il tumore è esteso e non permette un intervento conservativo. Consiste nell’asportazione completa della laringe con svuotamento mono o bi-latero cervicale. Il paziente, dopo quest’intervento, dovrà respirare dallo stoma.
    3. Laringectomia ricostruttiva consiste nel conservare la continuità delle vie aeree evitando il tracheostoma permanente, quindi, il paziente dopo un opportuno periodo di riabilitazione potrà riacquistare una voce accettabile.
ALIMENTAZIONE
Per quanto riguarda l’alimentazione bisogna sempre ricordarsi di mangiare con calma, ricordarsi di fare i bocconi piccoli e di masticare i cibi a lungo. Inoltre, bisognerà adottare delle piccole precauzioni come evitare cibi troppo caldi i troppo freddi e anche quelli molto piccanti.
PROTEZIONE DELLO STOMA
A seguito di un intervento di laringectomia alcune funzioni della persona sono alterate. Infatti, poiché l’aria inspirata non è più filtrata dal naso e quindi umidificata, l’inconveniente in cui si può incorrere è la secchezza della mucosa e la formazione di croste. Per questo la cura e la protezione dello stoma è di grande importanza per il paziente laringectomizzato.
Per raggiungere questo obiettivo sono stati realizzati alcuni ausilii:
  1. Per il lavaggio e la pulizia dello stoma: eseguire con un flaconcino spray riempito di soluzione fisiologica.
  2. Filtro di protezione: questo filtro di protezione, costituito da schiuma poliuretanica viene posto davanti allo stoma.
  3. Protezione dello stoma: questo bavaglino viene utilizzato per coprire lo stoma su cui è stato posizionato il filtro.
  4. Il davantino: è sempre in cotone e si indossa in caso di camicia con il collo aperto, sopra il bavaglino ed al filtro.
LA GESTIONE DELLA CANNULA
La cannula deve sempre essere pulita e sterilizzata mediante bollitura.
Le cannule tracheali sono composte da una parte esterna, da una controcannula interna e da un mandrino che viene impiegato per introdurre la cannula nel tracheostoma.
Pulire la controcannula è importantissimo poiché libera la cannula dalle secrezioni senza doverla rimuovere ogni volta. Bisogna stare attenti alle gocce di acqua all’interno delle cannule poiché se entrassero in trachea potrebbero provocare violenti accessi di tosse.
La cannula è bene pulirla una o due volte al giorno.
MATERIALE PER L’INSERIMENTO DELLA CANNULA:
1. rettangolo spugnoso
2. fettuccia
3. olio gomenolato al 3%
4. pomata
IGIENE
Il tracheoma, anche durante il momento di igiene, deve essere sempre mantenuto protetto e lo si può fare attraverso alcuni accorgimenti:
  1. E’ possibile fare la doccia utilizzando di preferenza quella con lo spruzzino staccabile
  2. E’ possibile fare il bagno ma senza immergersi fino al tracheostoma ed evitando l’acqua troppo calda.
  3. Evitare di spruzzare profumi davanti al tracheoma
  4. Quando ci si rade, evitare la penetrazione dei peli nel tracheostoma
  5. Quando ci si lava i capelli tenere la testa abbassata in avanti o all’indietro.
  6. Lavarsi i denti frequentamente.
PER QUANTO RIGUARDA L’AMBIENTE
  1. Evitare gli ambienti fumosi, polverosi
  2. Evitare l’esposizione a correnti d’aria o con temperature elevate
  3. Prendere il sole rimanendo sotto l’ombrellone o indossando un cappello a falde molto larghe, evitando di stare in spiaggia quando il vento solleva la sabbia.
LA COMUNICAZIONE
Nel primo periodo è bene che il paziente laringecstomizzato per comunicare utilizzi una lavagnetta su cui scrivere. L’errore più grande che non deve fare è quello di bisbigliare. Trascorso questo periodo esistono scuole apposite di rieducazione alla parola imparano a parlare con voce esofagea
GLI ESERCIZI
  1. Fare impacchi caldi al collo
  2. lt;li style=”text-align: justify;”>Massaggiare la zona del collo-spalle del collo-torace
  3. Palpare leggermente la zona del collo fino provocare colpi di tosse per eliminare eventuali depositi di catarro formatasi durante la notte
  4. Ruotare lentamente la testa verso destra e verso sinistra
  5. Effettuare movimenti rotatori con la lingua intorno ai denti
  6. Spingere la punta della lingua quanto più indietro possibile
LE ALTERNATIVE A RIPRISTINARE LA VOCE SONO:
  1. Protesi tracheo esofagea
  2. Laringofono o elettrolaringe
  3. Amplificatore con allarme è indispensabile per richiedere attenzione in situazioni critiche
LA PSICOLOGIA
In tutta la fase riabilitativa della persona laringectomizzata è bene che i familiari gli diano conforto poiché è di grande importanza e può aiutare moltissimo soprattutto per il reinserimento sociale.
La famiglia dovrebbe riuscire a comprendere i sentimenti del congiunto e stabilire un vero rapporto d’alleanza e complicità ascoltandolo.
Importante è costruire un rapporto di supporto e di fermezza.
CONSIGLI PER I FAMILIARI
1. Comprensione
2. Non eccedere
3. Non avere una considerazione eroica
4. Per superare problemi di depressione e sofferenza far notare le piccole cose della vita quotidiana evitando grandi temi