Sicurezza alimentare: è italiano il cibo meno contaminato del mondo

I prodotti alimentari italiani sono quelli che presentano meno residui chimici se comparati con quelli di Ue e dei paesi extracomunitari. I dati vengono da un’elaborazione di Coldiretti su analisi condotto dall’Efsa.

alimenti italiani

Tortellini, lasagne, torte e polpette. Dopo tutti gliscandali che hanno coinvolto il settore alimentare, c’è bisogno di un po’ di fiducia.

Secondo un’elaborazione Coldiretti sulle analisi condotte dall’Efsa, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, l’Italia è il primo paese inEuropa nel mondo con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite (0,3%). Un numero cinque volte inferiore alla media europea che si attesta all’1,5% di prodotti fuori norma e addirittura 26 volte più basso rispetto a quelli extracomunitari (7,9% di irregolarità).

L’analisi è stata condotta su oltre 77mila campioni di 582 alimenti differenti. I risultati sono stati pubblicati nel Rapporto annuale sui residui di pesticidi negli alimenti.

Nel documento della Coldiretti si evidenzia che un prodotto su due che circola nel Vecchio Continente è completamente privo di “tracce” di residui chimici da fitofarmaci mentre il 98,4% dei campioni esaminati presenta residui entro i limiti, con la percentuale che sale addirittura al 99,7% nel caso dell’Italia che conquista il primato e scende al 92,1% per la media dei Paesi extracomunitari.

«Se si vanno ad analizzare i singoli paesi il dato peggiore – precisa Coldiretti – viene fatto segnare dai cavoli cinesi che in più di quattro casi su cinque (83%) sono risultati con valori oltre i limiti ammessi, ma lo stesso discorso vale anche per i broccoli (irregolare il 77% dei casi) e i pomodori (47% dei casi) provenienti dal paese asiatico. Risultano poco salubri anche l’uva (65% di superamento dei limiti) e il pepe (42%) indiani, i piselli sloveni, l’aglio argentino, le patate brasiliane».

 

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LA LISTA 

tortelliniScandali alimentari: SlowFood stila la lista dei ristoranti sicuri

Per reagire contro gli scandali alimentari che stanno colpendo i prodotti “made in Italy”, Slow Food presenta una lista di ristoranti italiani che offrono menù trasparenti e gustosi.

Il tempo è galantuomo, disse l’amianto all’uranio

Era da un po che non scrivevo di agricoltura; curioso per uno che ha imparato prima a tirar su una pianta che a usare una bicicletta. In questi giorni mi è capitato di discutere con alcuni sostenitori delle colture geneticamente modificate, gli ogm. Questo è un tema spinoso, pieno di risvolti imprevedibili. Dunque i mitici ogm: chi sono costoro? Secondo l’enciclopedia sarebbero organismi in cui parte del genoma sia stato modificato tramite le tecniche dell’ingegneria genetica; intendendo l’inserimento o la rimozione di geni dal DNA oggetto dell’esperimento. C’è dentro di tutto, dal pesce fluorescente al batterio che produce l’insulina. Cose futili e cose utili, insomma. Esistono anche leggende metropolitane simpaticissime, come quella che riguarda i “pomodori antigelo”; che si suppone siano resistenti al freddo grazie ai geni di un pesce che vive in acque fredde. Non è mai accaduto,come spiegato qui; tentarono invero di realizzarli, ma non funzionò. E non fu quindi altro che un esperimento fallito. Anche la “fragola con la lisca” condivide sorte simile: è un ogm che non è mai esistito in commercio; eppure è divenuta un’icona.

Ma in agricoltura cosa si usa effettivamente? Quali sono le cultivar ogm reali che hanno avuto successo? Per farsi una idea c’è uno stringato elenco sempre in enciclopedia, che almeno ne indica le tipologie. Si tratterebbe di alcune decine di varietà, come ricordatoanche qui, per gran parte cereali e leguminose. A dominare la scena sono mais, colza, soia, cotone e riso. Cosa fanno queste piante di differente dalle altre? Nell’elenco della wiki sono indicate alcune capacità di resistere a malattie fungine e virosi; ma se guardate bene, metà delle caselle riporta il carattere di “resistenza a erbicida”. E’ questa la caratteristica davvero importante che accomuna le granaglie ingegnerizzate più diffuse.

Come mai si parla tanto di piante resistenti alla siccità, alle malattie o magari capaci di vivere in ambienti poveri di nutrienti e poi, all’atto pratico, le varietà che possiamo acquistare oggi sono essenzialmente resistenti a prodotti chimici usati per eliminare piante infestanti? Beh, una ragione esiste ed è di ordine pratico: una azienda che sviluppa una varietà di pianta – ogm o meno – commerciabile deve recuperare i costi di ricerca. I poveretti che abitano nazioni povere, prive di suoli fertili e d’acqua, non hanno ovviamente il becco di un quattrino in tasca. Inevitabilmente le aziende del comparto sementi dovranno quindi rivolgere le proprie attenzioni agli agricoltori di paesi più ricchi, capaci di spendere qualche soldo in più. Oltre a questa ovvietà, dovremmo ricordare che gli erbicidi prima o poi divengono accessibili a chiunque: i brevetti scadono. Il caso più famoso e chiacchierato è quello del glifosato, il cui brevetto scadeva, se non ricordo male, nel 2000 / 2001. La Monsanto, non potendo più ottenere introiti adeguati in assenza dell’esclusiva garantita dal brevetto, risolse il problema dedicandosi alla creazione di piante coltivabili resistenti all’erbicida. Ed ecco superato il problema: era quindi possibile applicare un nuovo brevetto ai semi delle piante ogm con questa particolare resistenza, e recuperarne una attività economicamente vantaggiosa. Rendendo tra l’altro più efficaci ed economici i trattamenti, dato che l’applicazione dell’erbicida a coltura già avviata riesce a distruggere le infestanti in maniera più incisiva, almeno in confronto al diserbo presemina praticato in precedenza.

Ma quale può essere il problema con questi organismi – e relate tecniche colturali? Fondamentalmente più o meno la stessa tipologia di problemi che incontriamo con la chimica tradizionalmente intesa, e con l’agricoltura in senso lato. Ogni qual volta creiamo o modifichiamo una sostanza o un organismo, per poi immetterli nell’ambiente e nelle catene alimentari, dobbiamo verificare quali siano i possibili effetti negativi sull’ambiente stesso, sull’agricoltura e sugli esseri umani. E qui entra in gioco un fattore che è tanto determinante quanto allegramente ignorato in molte analisi di rischio: il fattore tempo.

I rischi connessi ad un nuovo intervento, infatti, non sono tutti uguali. Nel caso di una sostanza chimica di solito il primo problema che incontriamo è la sua eventuale tossicità acuta: se mi bevo tanto metanolo, rischio di perdere la vista e di morire. Questi effetti non sono difficili da osservare, dato che li vediamo arrivare in maniera velocissima. E ovviamente tutti conosciamo questo problema: non è difficile stabilire un legame deterministico tra l’avvelenamento da metanolo ed i danni subiti. Ci può riuscire chiunque.

Esiste però anche un modo differente di manifestarsi per i rischi sanitari ed ambientali connessi alle sostanze chimiche: il danno cumulato o differito nel tempo. Se passi le tue giornate in un ambiente che ti espone, che so, a vapori di mercurio di certo non muori. Vivrai a lungo. Solo che dopo un po di tempo – parecchi anni – cominci ad accusare dei problemi gravi: diventi matto, come il Cappellaio di Carroll; o ti ammali gravemente, come tanti minatori sudamericani che usavano il mercurio per estrarre oro con la tecnica dell’amalgama. Vedere le simpatiche opzioni disponibili. Attenzione però: questi danni sono sì gravi, ma non correlabili ad una esposizione circoscritta; e richiedono molto tempo – a volte due o tre decenni – per manifestarsi pienamente. Eppure alla fine presentano il conto, e salato.

In questa maniera possiamo ben capire come fanno gli esseri umani a commettere errori di valutazione così marchiani: vivono il rischio chimico / biologico / nucleare come se il problema fosse esclusivamente confinato agli effetti acuti dello stesso. E sovente ignorano gli effetti delle esposizioni prolungate e relative patologie croniche. In questo modo riescono a sviluppare continuamente nuove applicazioni, più o meno interessanti, che si rivelano estremamente dannose per la salute e l’ambiente dopo alcuni decenni: decenni, non anni. Nessuna meraviglia in ciò: i danni cronici e differiti nel tempo richiedono per definizione tempi estesi per manifestarsi.

Quali sono le tempistiche di questi eventi? Può valere la pena di osservare qualche esempio. Il primo e più banale che mi viene in mente è l’impiego di radionuclidi e radioattività. Le indagini sul tema divengono sistematiche negli ultimissimi anni dell’800, grazie a personaggi come Becquerel e Curie. Per trovare applicazioni pratiche dobbiamo però giungere agli anni della Seconda Guerra, con la realizzazione di reattori nucleari destinati alla produzione di plutonio; e ovviamente le famose bombe lanciate sul Giappone. Negli anni ’50 inizia a diffondersi la disciplina della medicina nucleare, che a livello di idea andava sviluppandosi da molti anni. L’espansione definitiva dell’impiego di sostanze radioattive si avrà a partire dal periodo 1954 – 1956, con la nascita dei moderni reattori nucleari di potenza. Negli anni seguenti, un crescendo travolgente di applicazioni ed impianti.

Il cambiamento di prospettiva nel campo dell’impiego di radioattività è iniziato in maniera graduale; già durante gli anni ’70 ci si cominciava a porre seriamente la questione delle implicazioni sanitarie. In verità più sotto l’effetto psicologico della minaccia delle armi contenute negli arsenali. La svolta arriverà con il celebrato incidente di Chernobyl, nel 1986. I recenti eventi occorsi nell’impianto giapponese di Fukushima Dai-ichi hanno solo ribadito la dimensione del problema. In pratica, sono occorsi almeno 30 – 35 anni dal momento in cui le applicazioni tecniche sono divenute importanti per veder mettere in discussione la bontà delle scelte fatte. E la discussione è ancora in corso, in mezzo ad un mare di polemiche; ad almeno sessant’anni di distanza. Il fatto che, ad esempio, Ucraina e Bielorussia spendano per le conseguenze dell’incidente qualcosa come un 5 – 7 % del bilancio pubblico dice parecchio; e giustifica le liti attorno alla conta delle vittime. Sono trascorsi decenni ed i malati sono tanti; anche a causa delle emissioni diffuse, che avvengono dappertutto, lontano dai riflettori. Eppure ancora nessuno pare voler affrontare la questione.

Altra storia: l’amianto. Era una fibra naturale, ottenuta da rocce basiche alterate; è stata una risorsa abbondante anche in Italia. La sua tossicità, intesa come capacità di causare malattie croniche e tumori, era nota già all’inizio del XX secolo. Bisogna però ricordare che l’impiego dell’amianto come isolante leggero si era sviluppato prepotentemente in Inghilterra per tutto l’800. Se prendiamo il caso particolare del cemento – amianto, chiamato anche eternit, possiamo considerare che l’avventura industriale abbia avuto inizio nei primi anni del ’900; curiosamente all’epoca la pericolosità del minerale era già nota. La diffusione di questi manufatti in fibrocemento diviene massiva negli anni ’30, e prosegue nel dopoguerra. La produzione terminerà solo nei primi anni ’90. La tempistica che ha permesso di passare dall’euforia iniziale al riconoscimento della pericolosità del materiale è variabile; a luoghi l’amianto è ancor oggi tranquillamente utilizzato. Per il caso inglese della fibra isolante c’è voluto un secolo o poco meno; nel caso dell’eternit nostrano sono bastati 60 – 70 anni per una messa al bando.

Nella pratica, che si parli di uranio o di asbesto, il riconoscimento della pericolosità di queste applicazioni industriali ha richiesto tempi molto lunghi. Nel caso dell’amianto incluso nel fibrocemento abbiamo già risultati conclusivi: da applicazione pionieristica a rifiuto letale da rimuovere in una settantina di anni. Nel caso dell’energia elettronucleare il cammino non è concluso, dato che ancora non abbiamo tra le mani il problema dello smantellamento degli impianti in essere. E sono passati 60 anni. Pare di scorgere alcune similitudini in queste vicende: l’euforia iniziale per le nuove applicazioni tecniche prosegue indisturbata per decenni, con successi del tutto evidenti a proprio favore. Nel frattempo gli eventuali danni alla salute ed all’ambiente cominciano a prepararsi, ma con lentezza; basti pensare al fatto che l’amianto attende anche trent’anni per uccidere le proprie vittime. Questo significa che una nuova applicazione tecnica può svilupparsi indisturbata per decenni, anche se avrà ricadute distruttive sulla salute e sull’ambiente; è una questione di tempistica.

E così, a partire dal 1996 abbiamo cominciato a commerciare organismi ogm, li abbiamo diffusi su milioni di ettari di terreno. Nel 2010 quasi 160 mln di ha, che sarebbe poi più di cinque volte la superficie totale dell’Italia. Ed abbiamo reso assolutamente comuni pratiche di allegro impiego di erbicidi a pieno campo, intendendoli come sostituto di ogni altro intervento di contenimento delle malerbe. Oggigiorno queste colture sono diffuse ed importanti, in specie nelle Americhe. Sta andando tutto bene? Beh, non proprio. Nel caso del glifosato la resistenza è ormai diffusa, le erbacce si stanno evolvendo: vedere qui, oppure qui; per una analisi italiana c’è questo. Interessante anche questo articolo, su Nature; che segnala che “….Sagers and her team found two varieties of transgenic canola in the wild — one modified to be resistant to Monsanto’s Roundup herbicide (glyphosate), and one resistant to Bayer Crop Science’s Liberty herbicide (gluphosinate). They also found some plants that were resistant to both herbicides, showing that the different GM plants had bred to produce a plant with a new trait that did not exist anywhere else…”. Le piante ingegnerizzate scappano dalla gabbia, si riproducono, si incrociano, si diffondono, divengono a loro volta infestanti. No, non lo dicono i talebani di Greenpeace: lo dicono tecnici qualificati. Quando la vicenda delle resistenze giunge sulle pagine del WSJ, allora è seria. Le strategie proposte per ora sono intuibili: passare ad altre sostanze, peraltro già note e probabilmente passibili di veder nascere velocemente infestanti resistenti; oppure rivedere il modo di coltivare in varia maniera. O ancora usare mix ed alternanze di sostanze.

C’è un’altra faccenda sul tavolo, che è l’impiego degli erbicidi a man bassa in se stessi, al di là del binomio con gli ogm. Ci sono già in circolazione studi che analizzano i residui degli stessi nelle acque e nella pioggia, tipo questo. O anche questo rapporto dell’USGS. Ovviamente esiste pure il problemi dei residui nel cibo: la presenza di queste sostanze decade esponenzialmente, ma logicamente non si azzera. Tutte queste faccende potrebbero acquisire rilevanza man mano che si diffondono fenomeni di resistenza agli erbicidi: diventa forte la tentazione di aumentare le dosi.

Ora a qualcuno verrà da dire che i problemi che stanno emergendo ci costringeranno a cambiare strada in maniera drastica; qualcun altro dirà invece che possiamo risolvere ogni inconveniente con nuove piante e nuove sostanze chimiche. E poi, invariabilmente, si continueranno ad accendere dispute attorno alla pericolosità reale o presunta di un organismo o di una molecola. Quello che manca, e che mancherà a lungo in molte discussioni, è la percezione dell’importanza dell’orizzonte temporale. Le nostre pregresse avventure con contaminazioni estensive hanno dimostrato che i danni dovuti a malattie croniche e degenerative si mostrano dopo 20 o 30 anni; e che i problemi correlati divengono gravi e diffusi con ulteriore ritardo. Stessa logica per i danni al suolo ed agli ecosistemi: per manifestarsi richiedono tempi lunghi.

L’avventura delle sementi biotech è iniziata l’altro ieri, e non è poi così importante sapere che alcune di esse sono in difficoltà dopo appena un decennio di impiego realmente estensivo. Quel che conta davvero è che non è ancora passato tempo a sufficienza per poter cominciare a ragionare sugli effetti cronici dell’immissione nell’ambiente di nuove piante e sostanze in quantità così massicce. Gli effetti di lungo termine su suoli, rese agricole e salute ancora non possiamo misurarli, non c’è modo di farlo; non sono effetti acuti, ma semmai cronici. Ed è cosa ben diversa. Possiamo comunque attendere, che so, un paio di decenni: il tempo è galantuomo, e riuscirà come sempre a chiarirci le idee.

fonte

Problemi nutrizionali in Otorinolaringoiatria

Elaborato da IP Mauro NOVACCHI Unita’ Operativa di Otorinolaringoiatria – ASS 2 ‘Isontina’ – Monfalcone

ESPERIENZE DI NUTRIZIONE ENTERALE ARTIFICIALE

Il problema nutrizionale e metabolico nei pazienti sottoposti ad interventi sia sul collo (laringectomie totali, laringectomie parziali, laringectomie ricostruttive, ecc.) che del cavo orale, è molto delicato e importante in quanto influenza i tempi e le qualità del recupero post operatorio.
Vi sono ancora altre condizioni particolari che si verificano specie in pazienti affetti da neoplasie non operabili in cui sia il tipo di paziente che la necessità di un trattamento prolungato creano particolari difficoltà nella impostazione di una corretta alimentazione.

Il programma nutrizionale del soggetto che deve essere sottoposto ad intervento chirurgico importante prevede un approccio complesso, poiché nella maggioranza dei casi ci troviamo a fronteggiare una ipo e/o una malnutrizione. L’esame generale inclusi i dati antropometrici, il controllo di alcuni valori ematici significativi e una accurata anamnesi, con particolare riferimento alle abitudini alimentari e voluttuarie del paziente ed all’esistenza di affezioni metaboliche, endocrine, gastroenteriche e renali, permettono di ottenere un indice nutrizionale in modo da poter impostare, se necessaria, una dieta ipercalorica; questo sia per aumentare le difese dell’organismo che per limitare i problemi di stress derivanti dall’intervento.

Nei pazienti trattati chirurgicamente, l’alimentazione inizia nella prima giornata postoperatoria con preparati scelti tra quelli che meglio si adattano alle loro condizioni generali, fornendo comunque un surplus calorico che in molti casi raggiunge il 60% del fabbisogno basale.

L’estrema cura usata nella somministrazione con particolare riguardo alla velocità, sterilità delle manovre e corretta manutenzione del sondino naso-gastrico, hanno permesso di portare alla quasi totale assenza di problemi gastroenterici (vomito, diarrea, tensione addominale) dovute all’inquinamento dei prodotti alimentari.
Il dato più importante e che comunque maggiormente ci interessa, riguarda la limitazione, entro valori più che accettabili, della perdita di peso postoperatoria equivalente a circa il 4-5% del peso corporeo, valori che sono in linea con quelli generalmente proposti dalla letteratura.

Il nostro impegno in campo nutrizionale non si limita al trattare solo questa tipologia di pazienti, infatti con la consulenza essenziale del dietista, siamo in grado di confezionare diete speciali con l’impiego, ove richiesto, di integratori sia calorici che proteici a persone affette da altre patologie del cavo oro-faringeo (es. traumi facciali, stomatiti, ascessi peritonsillari, ecc.); sempre con questi prodotti possiamo garantire, salvo particolari controindicazioni, l’alimentazione nella stessa giornata dell’intervento a tonsillectomizzati, operati ai seni paranasali, ecc., limitando più in generale ai soli casi di necessità il digiuno prolungato.

MATERIALI E MISCELE NUTRIZIONALI

La realizzazione della nutrizione enterale prevede l’impiego di materiali specifici che comprendono:

SONDE NUTRIZIONALI

Questo tipo di materiale può essere considerato ideale quando permette un trattamento nutrizionale con il massimo comfort del paziente senza effetti collaterali e quando può rimanere in sede anche per lungo tempo.

La sonda ideale dovrebbe essere:

biologicamente inerte: non provocare cessione di agenti tossici

resistere all’azione dei succhi gastroenterici

idrorepellente: la miscela nutritiva non deve aderire alle pareti interne

resistere alla trazione longitudinale ed alla pressione endoluminale

morbida e flessibile

di piccole dimensioni

con un rapporto esterno/interno il più elevato possibile

Nel corso degli ultimi anni i progressi tecnologici, hanno permesso di ottenere materiali con caratteristiche molto vicine a quelle richieste per realizzare una sonda ideale. Sono stati abbandonati i materiali quali la gomma e polivinilclorulo (PVC) responsabili di numerose complicanze legate al loro contatto con l’apparato digerente. Attualmente i materiali più comuni sono silicone e poliuretano, ognuno dei quali con peculiarità proprie, che permettono la realizzazione di sonde che hanno all’incirca la stessa efficacia clinica.

Queste ultime vengono realizzate con caratteristiche diverse fra loro, in funzione della via d’accesso (nasogastrica, nasodigiunale, faringostomica, gastrostomica, digiunostomica) al tratto gastroenterico:

dimensioni: espresse in FRENCH (1 French = 0,33 mm)

radiopacità, lunghezza, fori d’uscita

tipo di collegamento con il resto del sistema infusionale (luer-lock o universale)

tacche di riferimento per la lunghezza

presenza di un peso alla punta

presenza di un lubrificante già incorporato

Ai nostri pazienti vengono posizionali, in linea di massima, sondini in poliuretano e più raramente sondini in silicone.

CONTENITORI E DEFLUSSORI

La somministrazione delle miscele nutrizionali può avvenire:

tramite siringhe: in pochi minuti può essere somministrato un “bolo” di 200-400 ml di miscela nutrizionale. La somministrazione viene ripetuta ad intervalli di 4-6 ore durante la giornata. Anche se apparentemente questa tecnica si avvicina ai ritmi fisiologici della normale alimentazione, non è sicura da rischio di effetti collaterali (tensione addominale, nausea, diarrea), specie se la somministrazione avviene nelle anse digiunali. Inoltre, causa il maggior numero di manipolazioni necessarie, aumenta il rischio di contaminazione batterica.

direttamente dai contenitori di miscela (flaconi di vetro o barattoli) con l’utilizzazione di deflussori ad essi adattabili. La disponibilità di questo sistema ha il vantaggio di evitare i costi aggiuntivi legati all’impiego della sacca nutrizionale. D’altro canto il volume di miscela in ogni contenitore originale è di per se insufficiente a soddisfare tutte le richieste nutrizionali e pertanto questo sistema di somministrazione richiede più sostituzioni nell’arco della giornata e quindi più lavoro e controllo. Inoltre le ripetute manipolazioni sulla linea infusionale possono aumentare l’incidenza di contaminazione microbica.

con l’uso di “sacche nutrizionali” che permettono di ridurre al minimo il numero di manipolazioni lungo la linea infusionale. Le sacche devono essere di materiale che non determini la cessione di agenti tossici (es. EVA) e devono essere realizzate con criteri che rendano il loro riempimento il più semplice e sicuro possibile.
Le capacità di collabire delle pareti delle sacche, man mano che la miscela scende, impedisce il contatto continuo con l’aria (come si ha invece con i contenitori di vetro) creando un sistema chiuso e garantendo quindi una minore incidenza di contaminazioni microbiche.

E’ importante a questo punto sottolineare come qualsiasi manipolazione della linea infusionale e le procedure di riempimento delle sacche debbano essere eseguite, se non in tecnica asettica come per la parenterale, certamente dopo idoneo addestramento e con tecniche che prevedano la più rigorosa pulizia delle zone di lavoro e dell’operatore.

POMPE INFUSIONALI O NUTRIPOMPE

Lo scopo di una nutripompa è quello di garantire la costanza del flusso della miscela durante il periodo di infusione.
In questo modo vengono evitati quegli inconvenienti legati alla somministrazione per gravità, quali:

per eccessiva velocità: distensione addominale, crampi, diarrea, nausea
per rallentata velocità: ridotta introduzione di nutrienti, rischio di ostruzione della sonda.

L’uso di nutripompe riduce i tempi di assistenza, migliora il comfort del paziente e l’efficacia terapeutica.

Le pompe hanno di solito alcune caratteristiche fondamentali:

alimentazione in rete e a batterie ricaricabili
leggerezza, trasportabilità, silenziosità
sistemi di allarme
appositi set infusionali collegabili o già collegati ai contenitori delle miscele nutrizionali
semplicità d’uso

PULIZIA E MANUTENZIONE DELLE POMPE ENTERALI

Le pompe per la nutrizione enterale di cui disponiamo in reparto sono del tipo Flexiflo II della ditta Abbot, questo tipo di pompe da quanto abbiamo avuto modo di constatare necessita di poca manutenzione.
Il sistema resiste alla fuoriuscita di liquido dalla linea, anche se per un buon funzionamento è consigliabile controllare giornalmente la pompa e rimuovere eventuali perdite di soluzione, sicuri che una adeguata pulizia assicurerà il costante e corretto funzionamento

Per il lavaggio si può utilizzare dell’acqua tiepida saponata; la parte superiore della pompa può essere staccata ed immersa in acqua (supporto del flexitainer), la parte inferiore non può essere immersa e pertanto va lavata con una spugnetta. Controllare con attenzione l’area di inserzione della capsula volumetrica e, se necessario, rimuovere le tracce di soluzione con uno spazzolino.

MISCELE NUTRIZIONALI
La loro scelta appropriata permette di soddisfare i fabbisogni qualitativi e quantitativi dei singoli pazienti.
Possiamo distinguere:

Diete naturali artigianali.

Preparati con alimenti naturali trasformati in forma liquida o semiliquida.Accanto al vantaggio di essere “naturali e poco costose”, annoverano numerosi inconvenienti:

scarsa omogeneità e fluidità, che obbligano all’impiego di sonde nutritive di ampio calibro

osmolarità spesso elevata

composizione bromatologica non precisabile, spesso incompleta come vitamine, oligoelementi, minerali

maggior rischio di contaminazione durante la preparazione

presenza di grosse quantità di aria.

Queste diete richiedono l’integrità di tutti i processi digestive e di assorbimento ed il loro uso è consigliabile solo in situazioni organizzative peculiari che permettano il loro controllo bromatologico e batteriologico.

Diete naturali “Industriali”.

Esistono diete a base di alimenti naturali, ma a preparazione industriale (es. NUTRODRIP) ottenute mediante processi di omogeneizzazione controllati. Vengono in questo modo superati la maggior parte dei problemi delle diete naturali artigianali, perché queste diete:

Possono essere somministrate con sondini di piccolo calibro

sono isoosmolari

Hanno una composizione nota ed equilibrata

Sono in confezioni sterili e pronte per l’uso

Sono praticamente prive di lattosio, a basso contenuto di sodio e di colesterolo

Contengono fibre indigeribili

Diete chimicamente definite.

polimeriche: contengono proteine intere come fonte azotata (albume d’uovo o proteine del latte), maltodestrine e oli vegetali e trigliceridi a media catena (MCT) come fonte energetica. Sono prodotti in forma liquida pronti all’uso, sterili e, più raramente, in polvere (da ricostruire). I nutrienti presenti sono in rapporti equilibrati e noti, inoltre necessitano di solo una parte dei processi digestivi. Queste diete sono quindi indicate per tutti i pazienti con funzionalità gastroenterica integra o parzialmente compromessa. La maggior parte di queste diete ha una densità calorica di 1 cal/ml alcune, pur mantenendo le stesse caratteristiche, sono formulate per fornire 1,5 Cal/ml.

Monomeriche o elementari/semielementari: costituite da nutrienti allo stato semplice, in pratica pronti per l’assorbimento, essenzialmente per quanto riguarda la fonte azotata. Possono essere presente aminoacidi liberi (monomeriche o elementari) per il cui assorbimento non è richiesta l’idrilisis enzimatica o miscele di aminoacidi e peptidi a piccola catena (semielementari), la cui presenza ha il vantaggio di ridurre l’elevata osmolarità delle monomeriche e di non impegnare comunque l’apparato digerente.
Queste diete hanno indicazioni in casi molto selezionati di pazienti con gravi deficit digestivi. La componente energetica è la stessa delle diete polimeriche.

Diete modulari o integratori dietetici: nonostante la grande varietà di diete enterali disponibili, in alcuni pazienti può esserci la necessità di variare l’apporto di uno o più nutrienti rispetto alla formulazione abituale o, in caso di nutrizione per os, rispetto all’alimentazione naturale residua.

Per questi pazienti sono disponibili prodotti dietetici contenenti nutrienti singoli o comunque in proporzioni non equilibrate.
Essi possono essere somministrati separatamente, ad integrazione di una normale alimentazione comunque insufficiente a coprire tutte le necessità. Oppure direttamente miscelati nella sacca nutrizionale in caso di NE.
Ovviamente la quantità e la qualità di una dieta modulare o di un integratore deve essere stabilita per singolo paziente.

POSIZIONAMENTO DEL SONDINO NASO GASTRICO

La procedura di posizionamento del sondino è una manovra relativamente semplice, la semplicità è comunque legata al tipo di materiale utilizzato e dal grado di cooperazione del paziente.
Se il paziente è cosciente risulta fondamentale cercare di tranquillizzarlo e guadagnarsi la sua collaborazione spiegando la procedura di posizionamento e le azioni che gli verranno richieste per rendere più agevole e rapida l’operazione.

Per il posizionamento dei sondini si procede nel seguente modo:

Il paziente viene posto in posizione seduta (90°) o semiseduta (30°), la posizione su un fianco è la meno indicata.

Esaminare le fosse nasali per verificare l’esistenza di ostruzioni meccaniche; far inspirare il paziente con il naso e chiudendo alternativamente una narice, scegliere per l’introduzione quella più ampia.

Determinare la porzione del sondino da inserire (1 tacca=50 cm)

Lubrificare il sondino (i sondini da noi utilizzati non abbisognano di essere lubrificati, basta bagnare con acqua la porzione di sondino che verrà introdotta)

Introdurre delicatamente la punta del sondino nelle narice prescelta facendola scivolare sul pavimento della fossa nasale. Dopo l’introduzione di 7-10 cm l’estremo viene a trovarsi in rinofaringe, a questo punto ruotare il sondino di 180° e chiedere al paziente di iniziare a sorseggiare acqua e deglutire.

Continuare a far scorrere il sondino fino alla lunghezza calcolata senza cercare di forzare l’inserimento qualora si incontrasse resistenza, ritirare il sondino e ritentare delicatamente il passaggio. Un accidentale posizionamento in trachea normalmente induce tosse o soffocamento. Se il sondino si trova in laringe, il paziente sarà impossibilitato a parlare per cui sarà opportuno accordarsi in anticipo su un segnale con le mani che indichi, qualora si presenti senso di disagio o difficoltà respiratoria, di fermare l’operazione.
N.B. quando si usano sondini molto sottili tali sintomi possono non essere immediatamente osservabili.

Con il sondino posizionato per tutta la lunghezza desiderata, bisogna verificare il corretto posizionamento nel seguente modo:

aspirare il contenuto gastrico con una siringa e verificare la natura osservandone le caratteristiche (conferma del pH acido con cartina al tornasole)
con un siringone da 60 cc iniettare attraverso la sonda 20-25 cc di aria, auscultando contemporaneamente con un fonendoscopio sul quadrante addominale superiore sinistro; l’entrata dell’aria nello stoma produce un tipico brontolio;
con sondino radiopaco come quelli da noi utilizzati, in caso di dubbio sul posizionamento si può ricorrere al controllo radiografico.

Il sondino deve essere fissato al viso del paziente con cerotto possibilmente anallergico assicurandosi di non determinare pressioni o distorsioni delle narici. Nel nostro reparto il sondino viene fissato al naso. Il cerotto deve essere sostituito ogni qualvolta si allenti, è comunque buona regola cercare di far ruotare il punto di applicazione per prevenire irritazioni della pelle.

Dopo aver terminato la procedura di posizionamento, il paziente deve essere tenuto in osservazione per eventuali difficoltà respiratorie o dolori addominali per almeno 30-60 min. prima di iniziare l’alimentazione.

Il sondino deve essere lavato con acqua (25-100 ml) al termine di ogni somministrazione in caso di nutrizione intermittente (bolo), oppure ogni 3-6 ore in caso di nutrizione continua. Questa manovra permette di prevenire l’intasamento e di fornire supplementi di acqua. Durante le pause dell’alimentazione chiudere il connettore per evitare l’inquinamento del sondino e l’inversione di flusso dei succhi gastrici.

Prima delle somministrazioni dei nutrienti controllare il corretto posizionamento della sonda.

SONDA NASO GASTRICA: complicanze meccaniche.

COMPLICANZE: Riniti-faringiti erosione mucosa esofagea
POSSIBILI CAUSE: Uso di sonde di grosso calibro in materiale non biocompatibile
ACCORGIMENTI PREVENTIVI E TERAPEUTICI: Sonde di piccolo calibro in poliuretano, Sylastic e C-flex

COMPLICANZE: Ostruzione della sonda
POSSIBILI CAUSE: Miscela nutritiva densa poco omogenea, farmaci somministrati ACCORGIMENTI PREVENTIVI E TERAPEUTICI: attraverso la sonda Accurata preparazione della miscela nutritiva, frequenti lavaggi con acqua uso di pompa peristaltica

COMPLICANZE: Reflusso gastro-esofageo, aspirazione tracheo-bonchiale
POSSIBILI CAUSE: Deficit di svuotamento, infusione troppo rapida posizione del ACCORGIMENTI PREVENTIVI E TERAPEUTICI: paziente Posizionamento del paziente seduto o semiseduto; somministrazione oltre al piloro

COMPLICANZE: Dislocazione della sonda
POSSIBILI CAUSE: Vomito, tosse
ACCORGIMENTI PREVENTIVI E TERAPEUTICI: Accurato fissaggio della sonda al naso, riposizionamento della sonda, controllo radiografico

PROTOCOLLO PER L’ALIMENTAZIONE ENTERALE POST OPERATORIA

Prima di aprire o travasare i prodotti, lavarsi accuratamente le mani, è opportuno l’uso dei guanti monouso e copricapi in maniera di ridurre il rischio di contaminazione

Preparare la dieta in ambiente isolato dal reparto di degenza e refrigerarla sino al momento dell’uso

I prodotti possono essere diluiti con acqua a meno che non siano previsti prodotti sterili

se si usano bottiglie da 300 ml: infilarla nel supporto, togliere il tappo e sostituirlo con il set di somministrazione;
se si usa una sacca di 1000 ml: aprire le bottiglie o le lattine (dopo averle sciacquate con acqua ed asciugate) e versare il contenuto nel contenitore, richiudere il contenitore con l’apposito tappo o connettervi l’apposito set di somministrazione; contrassegnare i prodotti aperti con data e ora di apertura, coprirli e conservarli in frigorifero per non più di 24 ore; attaccare alle sacche un’etichetta autoadesiva con il nome del paziente, il tipo, la quantità e velocità della dieta prescritta.
N.B. i prodotti diluiti con acqua non sono sterili e devono essere utilizzati entro breve tempo.

L’aggiunta alla dieta di altri elementi specie se in polvere, deve essere fatta subito prima dell’uso

Prima di ogni somministrazione controllare il posizionamento del sondino

Controllare il volume dei residui gastrici, se superiori ai 150 ml indagare sulle cause del ritardato svuotamento gastrico ed eventualmente variare lo schema di somministrazione

Durante l’alimentazione e per almeno 30’ dopo il termine del pasto il paziente deve stare in posizione seduta o semiseduta (30°)

L’alimentazione va iniziata nelle prime giornate lentamente; evitare di aumentare contemporaneamente flusso e concentrazione della miscela e qualora si presentino segni di intolleranza quali diarrea, nausea e glicosuria ritornare a concentrazioni e flussi precedentemente tollerati

Al termine della somministrazione della dieta eseguire la pulizia della sonda con 25-10 ml di acqua

Sostituire ogni 24 ore il contenitore ed il set di somministrazione

Non aggiungere altri elementi a quello già presente nel sistema di alimentazione

Ridurre al minimo le aperture del sistema in corsia

Annotare la durata del pasto, la quantità di miscela somministrata, il volume di supplementi d’acqua ed ogni reazione del paziente

Prendere tutte le misure necessarie a prevenire l’inalazione degli alimenti

Rilevare i parametri di valutazione della risposta del paziente alla N.E.T.

peso corporeo (prima dell’inizio del trattamento e quindi ogni giorno sino al suo termine

aspetto della pelle, degli occhi, della lingua e mucose (giornalmente)

controllo elettroliti serici ed ematocrito (giornalmente per i primi quattro giorni dopo l’intervallo e quindi a giorni alterni)

controllo reticolociti, sideremia e TIBC in prima giornata e successivamente ogni sette giorni

controllo elettroforesi in decima giornata

urine (giornalmente per i primi quattro giorni dopo l’intervallo e successivamente a giorni alterni)

risposta gastro intestinale (in caso di stitichezza dovuta a deficit d’azione del torchio addominale, somministrare blandi lassativi come il levulosio, in caso di insuccesso, previa prescrizione medica, clistere evacuativo max 1000 cc.)

BIBLIOGRAFIA

G. Negri, P. Zannini “Le vie di somministrazione enterale”
2° Corso Nazionale “Il nursing in ORL” , Bologna
G. Perfumo, M. Toscano, S. Righi “L’alimentazione nel decorso post operatorio”
M. Piemonte – XIII Convegno Nazionale “La riabilitazione dopo grande chirurgia del collo”
IP-AFD Giorgio Cantarut, IP Mauro Novacchi “Aggiornamento in ORL” Atti ASS 2 Isontina