Il tempo è galantuomo, disse l’amianto all’uranio

Era da un po che non scrivevo di agricoltura; curioso per uno che ha imparato prima a tirar su una pianta che a usare una bicicletta. In questi giorni mi è capitato di discutere con alcuni sostenitori delle colture geneticamente modificate, gli ogm. Questo è un tema spinoso, pieno di risvolti imprevedibili. Dunque i mitici ogm: chi sono costoro? Secondo l’enciclopedia sarebbero organismi in cui parte del genoma sia stato modificato tramite le tecniche dell’ingegneria genetica; intendendo l’inserimento o la rimozione di geni dal DNA oggetto dell’esperimento. C’è dentro di tutto, dal pesce fluorescente al batterio che produce l’insulina. Cose futili e cose utili, insomma. Esistono anche leggende metropolitane simpaticissime, come quella che riguarda i “pomodori antigelo”; che si suppone siano resistenti al freddo grazie ai geni di un pesce che vive in acque fredde. Non è mai accaduto,come spiegato qui; tentarono invero di realizzarli, ma non funzionò. E non fu quindi altro che un esperimento fallito. Anche la “fragola con la lisca” condivide sorte simile: è un ogm che non è mai esistito in commercio; eppure è divenuta un’icona.

Ma in agricoltura cosa si usa effettivamente? Quali sono le cultivar ogm reali che hanno avuto successo? Per farsi una idea c’è uno stringato elenco sempre in enciclopedia, che almeno ne indica le tipologie. Si tratterebbe di alcune decine di varietà, come ricordatoanche qui, per gran parte cereali e leguminose. A dominare la scena sono mais, colza, soia, cotone e riso. Cosa fanno queste piante di differente dalle altre? Nell’elenco della wiki sono indicate alcune capacità di resistere a malattie fungine e virosi; ma se guardate bene, metà delle caselle riporta il carattere di “resistenza a erbicida”. E’ questa la caratteristica davvero importante che accomuna le granaglie ingegnerizzate più diffuse.

Come mai si parla tanto di piante resistenti alla siccità, alle malattie o magari capaci di vivere in ambienti poveri di nutrienti e poi, all’atto pratico, le varietà che possiamo acquistare oggi sono essenzialmente resistenti a prodotti chimici usati per eliminare piante infestanti? Beh, una ragione esiste ed è di ordine pratico: una azienda che sviluppa una varietà di pianta – ogm o meno – commerciabile deve recuperare i costi di ricerca. I poveretti che abitano nazioni povere, prive di suoli fertili e d’acqua, non hanno ovviamente il becco di un quattrino in tasca. Inevitabilmente le aziende del comparto sementi dovranno quindi rivolgere le proprie attenzioni agli agricoltori di paesi più ricchi, capaci di spendere qualche soldo in più. Oltre a questa ovvietà, dovremmo ricordare che gli erbicidi prima o poi divengono accessibili a chiunque: i brevetti scadono. Il caso più famoso e chiacchierato è quello del glifosato, il cui brevetto scadeva, se non ricordo male, nel 2000 / 2001. La Monsanto, non potendo più ottenere introiti adeguati in assenza dell’esclusiva garantita dal brevetto, risolse il problema dedicandosi alla creazione di piante coltivabili resistenti all’erbicida. Ed ecco superato il problema: era quindi possibile applicare un nuovo brevetto ai semi delle piante ogm con questa particolare resistenza, e recuperarne una attività economicamente vantaggiosa. Rendendo tra l’altro più efficaci ed economici i trattamenti, dato che l’applicazione dell’erbicida a coltura già avviata riesce a distruggere le infestanti in maniera più incisiva, almeno in confronto al diserbo presemina praticato in precedenza.

Ma quale può essere il problema con questi organismi – e relate tecniche colturali? Fondamentalmente più o meno la stessa tipologia di problemi che incontriamo con la chimica tradizionalmente intesa, e con l’agricoltura in senso lato. Ogni qual volta creiamo o modifichiamo una sostanza o un organismo, per poi immetterli nell’ambiente e nelle catene alimentari, dobbiamo verificare quali siano i possibili effetti negativi sull’ambiente stesso, sull’agricoltura e sugli esseri umani. E qui entra in gioco un fattore che è tanto determinante quanto allegramente ignorato in molte analisi di rischio: il fattore tempo.

I rischi connessi ad un nuovo intervento, infatti, non sono tutti uguali. Nel caso di una sostanza chimica di solito il primo problema che incontriamo è la sua eventuale tossicità acuta: se mi bevo tanto metanolo, rischio di perdere la vista e di morire. Questi effetti non sono difficili da osservare, dato che li vediamo arrivare in maniera velocissima. E ovviamente tutti conosciamo questo problema: non è difficile stabilire un legame deterministico tra l’avvelenamento da metanolo ed i danni subiti. Ci può riuscire chiunque.

Esiste però anche un modo differente di manifestarsi per i rischi sanitari ed ambientali connessi alle sostanze chimiche: il danno cumulato o differito nel tempo. Se passi le tue giornate in un ambiente che ti espone, che so, a vapori di mercurio di certo non muori. Vivrai a lungo. Solo che dopo un po di tempo – parecchi anni – cominci ad accusare dei problemi gravi: diventi matto, come il Cappellaio di Carroll; o ti ammali gravemente, come tanti minatori sudamericani che usavano il mercurio per estrarre oro con la tecnica dell’amalgama. Vedere le simpatiche opzioni disponibili. Attenzione però: questi danni sono sì gravi, ma non correlabili ad una esposizione circoscritta; e richiedono molto tempo – a volte due o tre decenni – per manifestarsi pienamente. Eppure alla fine presentano il conto, e salato.

In questa maniera possiamo ben capire come fanno gli esseri umani a commettere errori di valutazione così marchiani: vivono il rischio chimico / biologico / nucleare come se il problema fosse esclusivamente confinato agli effetti acuti dello stesso. E sovente ignorano gli effetti delle esposizioni prolungate e relative patologie croniche. In questo modo riescono a sviluppare continuamente nuove applicazioni, più o meno interessanti, che si rivelano estremamente dannose per la salute e l’ambiente dopo alcuni decenni: decenni, non anni. Nessuna meraviglia in ciò: i danni cronici e differiti nel tempo richiedono per definizione tempi estesi per manifestarsi.

Quali sono le tempistiche di questi eventi? Può valere la pena di osservare qualche esempio. Il primo e più banale che mi viene in mente è l’impiego di radionuclidi e radioattività. Le indagini sul tema divengono sistematiche negli ultimissimi anni dell’800, grazie a personaggi come Becquerel e Curie. Per trovare applicazioni pratiche dobbiamo però giungere agli anni della Seconda Guerra, con la realizzazione di reattori nucleari destinati alla produzione di plutonio; e ovviamente le famose bombe lanciate sul Giappone. Negli anni ’50 inizia a diffondersi la disciplina della medicina nucleare, che a livello di idea andava sviluppandosi da molti anni. L’espansione definitiva dell’impiego di sostanze radioattive si avrà a partire dal periodo 1954 – 1956, con la nascita dei moderni reattori nucleari di potenza. Negli anni seguenti, un crescendo travolgente di applicazioni ed impianti.

Il cambiamento di prospettiva nel campo dell’impiego di radioattività è iniziato in maniera graduale; già durante gli anni ’70 ci si cominciava a porre seriamente la questione delle implicazioni sanitarie. In verità più sotto l’effetto psicologico della minaccia delle armi contenute negli arsenali. La svolta arriverà con il celebrato incidente di Chernobyl, nel 1986. I recenti eventi occorsi nell’impianto giapponese di Fukushima Dai-ichi hanno solo ribadito la dimensione del problema. In pratica, sono occorsi almeno 30 – 35 anni dal momento in cui le applicazioni tecniche sono divenute importanti per veder mettere in discussione la bontà delle scelte fatte. E la discussione è ancora in corso, in mezzo ad un mare di polemiche; ad almeno sessant’anni di distanza. Il fatto che, ad esempio, Ucraina e Bielorussia spendano per le conseguenze dell’incidente qualcosa come un 5 – 7 % del bilancio pubblico dice parecchio; e giustifica le liti attorno alla conta delle vittime. Sono trascorsi decenni ed i malati sono tanti; anche a causa delle emissioni diffuse, che avvengono dappertutto, lontano dai riflettori. Eppure ancora nessuno pare voler affrontare la questione.

Altra storia: l’amianto. Era una fibra naturale, ottenuta da rocce basiche alterate; è stata una risorsa abbondante anche in Italia. La sua tossicità, intesa come capacità di causare malattie croniche e tumori, era nota già all’inizio del XX secolo. Bisogna però ricordare che l’impiego dell’amianto come isolante leggero si era sviluppato prepotentemente in Inghilterra per tutto l’800. Se prendiamo il caso particolare del cemento – amianto, chiamato anche eternit, possiamo considerare che l’avventura industriale abbia avuto inizio nei primi anni del ’900; curiosamente all’epoca la pericolosità del minerale era già nota. La diffusione di questi manufatti in fibrocemento diviene massiva negli anni ’30, e prosegue nel dopoguerra. La produzione terminerà solo nei primi anni ’90. La tempistica che ha permesso di passare dall’euforia iniziale al riconoscimento della pericolosità del materiale è variabile; a luoghi l’amianto è ancor oggi tranquillamente utilizzato. Per il caso inglese della fibra isolante c’è voluto un secolo o poco meno; nel caso dell’eternit nostrano sono bastati 60 – 70 anni per una messa al bando.

Nella pratica, che si parli di uranio o di asbesto, il riconoscimento della pericolosità di queste applicazioni industriali ha richiesto tempi molto lunghi. Nel caso dell’amianto incluso nel fibrocemento abbiamo già risultati conclusivi: da applicazione pionieristica a rifiuto letale da rimuovere in una settantina di anni. Nel caso dell’energia elettronucleare il cammino non è concluso, dato che ancora non abbiamo tra le mani il problema dello smantellamento degli impianti in essere. E sono passati 60 anni. Pare di scorgere alcune similitudini in queste vicende: l’euforia iniziale per le nuove applicazioni tecniche prosegue indisturbata per decenni, con successi del tutto evidenti a proprio favore. Nel frattempo gli eventuali danni alla salute ed all’ambiente cominciano a prepararsi, ma con lentezza; basti pensare al fatto che l’amianto attende anche trent’anni per uccidere le proprie vittime. Questo significa che una nuova applicazione tecnica può svilupparsi indisturbata per decenni, anche se avrà ricadute distruttive sulla salute e sull’ambiente; è una questione di tempistica.

E così, a partire dal 1996 abbiamo cominciato a commerciare organismi ogm, li abbiamo diffusi su milioni di ettari di terreno. Nel 2010 quasi 160 mln di ha, che sarebbe poi più di cinque volte la superficie totale dell’Italia. Ed abbiamo reso assolutamente comuni pratiche di allegro impiego di erbicidi a pieno campo, intendendoli come sostituto di ogni altro intervento di contenimento delle malerbe. Oggigiorno queste colture sono diffuse ed importanti, in specie nelle Americhe. Sta andando tutto bene? Beh, non proprio. Nel caso del glifosato la resistenza è ormai diffusa, le erbacce si stanno evolvendo: vedere qui, oppure qui; per una analisi italiana c’è questo. Interessante anche questo articolo, su Nature; che segnala che “….Sagers and her team found two varieties of transgenic canola in the wild — one modified to be resistant to Monsanto’s Roundup herbicide (glyphosate), and one resistant to Bayer Crop Science’s Liberty herbicide (gluphosinate). They also found some plants that were resistant to both herbicides, showing that the different GM plants had bred to produce a plant with a new trait that did not exist anywhere else…”. Le piante ingegnerizzate scappano dalla gabbia, si riproducono, si incrociano, si diffondono, divengono a loro volta infestanti. No, non lo dicono i talebani di Greenpeace: lo dicono tecnici qualificati. Quando la vicenda delle resistenze giunge sulle pagine del WSJ, allora è seria. Le strategie proposte per ora sono intuibili: passare ad altre sostanze, peraltro già note e probabilmente passibili di veder nascere velocemente infestanti resistenti; oppure rivedere il modo di coltivare in varia maniera. O ancora usare mix ed alternanze di sostanze.

C’è un’altra faccenda sul tavolo, che è l’impiego degli erbicidi a man bassa in se stessi, al di là del binomio con gli ogm. Ci sono già in circolazione studi che analizzano i residui degli stessi nelle acque e nella pioggia, tipo questo. O anche questo rapporto dell’USGS. Ovviamente esiste pure il problemi dei residui nel cibo: la presenza di queste sostanze decade esponenzialmente, ma logicamente non si azzera. Tutte queste faccende potrebbero acquisire rilevanza man mano che si diffondono fenomeni di resistenza agli erbicidi: diventa forte la tentazione di aumentare le dosi.

Ora a qualcuno verrà da dire che i problemi che stanno emergendo ci costringeranno a cambiare strada in maniera drastica; qualcun altro dirà invece che possiamo risolvere ogni inconveniente con nuove piante e nuove sostanze chimiche. E poi, invariabilmente, si continueranno ad accendere dispute attorno alla pericolosità reale o presunta di un organismo o di una molecola. Quello che manca, e che mancherà a lungo in molte discussioni, è la percezione dell’importanza dell’orizzonte temporale. Le nostre pregresse avventure con contaminazioni estensive hanno dimostrato che i danni dovuti a malattie croniche e degenerative si mostrano dopo 20 o 30 anni; e che i problemi correlati divengono gravi e diffusi con ulteriore ritardo. Stessa logica per i danni al suolo ed agli ecosistemi: per manifestarsi richiedono tempi lunghi.

L’avventura delle sementi biotech è iniziata l’altro ieri, e non è poi così importante sapere che alcune di esse sono in difficoltà dopo appena un decennio di impiego realmente estensivo. Quel che conta davvero è che non è ancora passato tempo a sufficienza per poter cominciare a ragionare sugli effetti cronici dell’immissione nell’ambiente di nuove piante e sostanze in quantità così massicce. Gli effetti di lungo termine su suoli, rese agricole e salute ancora non possiamo misurarli, non c’è modo di farlo; non sono effetti acuti, ma semmai cronici. Ed è cosa ben diversa. Possiamo comunque attendere, che so, un paio di decenni: il tempo è galantuomo, e riuscirà come sempre a chiarirci le idee.

fonte

La Nuclear Safety Commission ha cancellato i dati sulla contaminazione dei bambini Scandalo in Giappone a 5 mesi dallo tsunami: nascosti i dati delle radiazioni per 3 mesi

http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=11842

 

 

Quello che doveva essere il Japan’s nuclear watchdog, il cane da guardia del nucleare giapponese, è stato accusato oggi di aver cancellato dal suo sito i dati sui risultati delle visite di controllo della tiroide ai bambini nella prefettura di Fukushima.

La Nuclear Safety Commission  aveva caricato i risultati dei test effettuati dal governo a marzo. Più di 1000 bambini sotto i 15 anni sono stati controllati per vedere se le sostanze radioattive si stanno accumulando nelle loro tiroide. I risultati, incluse le informazioni che dimostravano che un bambino di 4 anni di Iwaki era stato esposto a 35 millisievert di radiazioni, un livello che non è considerato una minaccia per la salute, sono stati eliminati della Nuclear Safety Commission all’inizio di agosto, ufficialmente perché ci sarebbe la possibilità che i singoli bambini possano essere identificati, in quanto le informazioni sono dettagliate: in alcuni casi, come per il bambino di 4 anni, c’era anche l’indirizzo.

La cancellazione dei dati però sta insospettendo molti, visto che nessun altro dato simile per la salute dei bambini è disponibile. Come dice al network radiotelevisivo Nhk Hirotada Hirose, della Tokyo Woman’s Christian University, «i bambini hanno maggiori rischi di sviluppare il cancro alla tiroide. Alla commissione non può sfuggire che la  rimozione dei dati potrebbe provocare una reazione negativa riguardo all’esposizione dei bambini. La mossa va contro alla necessità di fornire informazioni accurate all’opinione pubblica». E la cosa è ancora più preoccupante per l’ennesimo scandalo che sta emergendo in queste ore sui dati dell’incidente e del fallout radioattivo di Fikushima Daiichi.

Bellona, la nota Ong scientifico/ambientalista norvegese-russa accusa il governo giapponese di aver «nascosto informazioni e negato i fatti del disastro nucleare di Fukushima Daiichi nucleare, incluso l’aver ignorato le previsioni dal sistema di previsione delle radiazioni del loro stesso Paese, al fine di limitare le costose e distruttive evacuazioni e per evitare la discussione pubblica sul settore nucleare politicamente potente». L’accusa di Bellona si fonda sulle rivelazioni dall’Associated Press confermate da una fonte dell’ex-governo giapponese a Bellona, ​​così come da un rapporto del New York Times.

Nils Bohmer, un fisico nucleare Bellona, aveva già detto più volte che il Giappone stava nascondendo informazioni sui pericoli delle radiazioni e ora è convinto che «politici potenti hanno costretto il Giappone a creare un clima della bocca chiusa, di deferenza acritica al nucleare. Questo è un altro esempio del caos della comunità nucleare giapponese, compresi industria e governo. Tutto questo dimostra la necessità urgente di cambiamenti drastici nell’industria nucleare giapponese, se l’energia nucleare deve avere un futuro in tutto il Giappone».

All’opinione pubblica sarebbero state tenute molte informazioni che cominciano a trapelare solo negli ultimi tre giorni. Secondo i rapporti quando è iniziato l’incidente nucleare di Fukushimas Daiichi i tecnici nucleari sapevano benissimo che la scuola elementare di Karino sarebbe stata colpita dal fallout radioattivo ma, invece di sgombrarla, è stata trasformata in un rifugio per gli sfollati del terremoto/tsunami. Rapporti su questa clamorosa sottovalutazione stati inviati alle agenzie di sicurezza nucleare del Giappone, ma il flusso dei dati si è fermato lì. 

Il primo ministro Naoto Kan e altri funzionari e amministratori locali coinvolti nelle aree di evacuazione dichiarando non ha mai visto i rapporti. Così migliaia di persone sono rimaste per giorni in aree che erano state identificate alto rischio. Al culmine della crisi nucleare la scuola di Karino, nella città di Naime, ospitava 400 persone, nessuno è mai stato avvisato del rischio che correvano. Il sindaco di Namie, Hidenori Arakawa, ha detto all’Ap che ha capito solo 24 ore dopo, guardando la televisione, che gli sfollati erano in pericolo per le radiazioni e di aver mandato dei bus per spostarli in un’altra zona, che poi si è rivelata ugualmente contaminata dal fallout radioattivo.

I documenti e le testimonianze ottenuti da Ap, New York Times e Bellona dimostrano una completa impreparazione dei parlamentari giapponesi, una paralisi nella catena delle comunicazioni tra le istituzioni e anche una pessima conoscenza di base del sistema di previsione delle radiazioni.

«Non è chiaro quante persone potrebbe essere state esposte alle radiazioni rimanendo in zone lungo il percorso della nube radioattiva – dice Bellona – figuriamoci se si sa se qualcuno possa  soffrire di problemi di salute per l’esposizione. Potrebbe essere difficile provare una connessione: i  funzionari della sanità dicono di non avere intenzione di dare priorità ai test sulle radiazioni per di coloro che erano a scuola».

Seiki Soramoto, un deputato ed ex ingegnere nucleare al quale il Kan si era rivolto per un consiglio durante la crisi, ha accusato il governo di aver nascosto i dati ricevuti dal computer radiation forecasting system, noto come “System for Prediction of Environmental Emergency Dose Information” o Speedi. «Alla fine, era stato l’ufficio del primo ministro a nascondere i dati di Speedi, perché non avevano le conoscenze per sapere quale era il significato dei dati, e quindi non sapevano cosa dire all’opinione pubblica, hanno pensato solo alla propria sicurezza e hanno deciso che era più facile semplicemente annunciarlo».

In un’intervista al New York Times, Goshi Hosono, il ministro responsabile della crisi nucleare, ha respinto le accuse sulla mancata pubblicazione dei dati di Speedi  e ha detto che saranno resi noti presto, aggiungendo una spiegazione preoccupante: «Non sono stati resi noti perché erano incompleti e inesatti e ci sono stati presentati la prima volta solo il 23 marzo», cioè 12 giorni dopo le esplosioni di idrogeno a Fukushima Daiichi. «Poi li abbiamo resi pubblici» dice Hosono, che cerca di smarcarsi da questo pasticcio: anche se è stato uno dei più stretti consiglieri del premier durante la crisi, prima di essere nominato ministro al disastro nucleare, spiega che «per quanto riguarda prima di allora, io stesso non sono sicuro. Nei giorni prima, che erano una questione di vita o di morte per il Giappone come una nazione, non stavo prendendo parte a quello che stava accadendo con Speedi».

Ma non c’è solo speedialtri dati sono e “pezzi” di informazioni sono stati nascosti all’opinione pubblica: la fusione del combustibile nucleare in tre reattori di Fukushima era nota ma è stata negata per mesi, e ammesso solo ai primi di giugno, ma ora si scopre che del tellurio 132, che gli esperti definiscono la prova dei reactor meltdowns, era stato trovato un giorno dopo lo tsunami.

Le rivelazioni dei dati, o meglio le confessioni, avvengono tra fine maggio e inizio giugno, quando in Giappone ci sono gli ispettori dell’International atomic energy agency (Iaea), il governo e la Tepco a quel punto non potevano più tenere del tutto nascosta la portata del disastro nucleare.

Ma qualcuno si era accorto di qualcosa: il 4 luglio l’Atomic Energy Society of Japan, un gruppo di studiosi e dirigenti del settore nucleare, aveva dichiarato: «È estremamente deplorevole che questo tipo di informazioni importanti non sia stato rilasciato pubblicamente fino a tre mesi dopo il fatto». Bohmer è d’accordo: «Il rifiuto di fornire informazioni potrebbe mettere le persone a rischio di esposizione alle radiazioni, e potrebbe portare a conseguenze negative sulla salute».

 

Annozero: Celentano contro il nucleare, negazionismo di Chernobyl?

Annozero, scontri sui danni del nucleare: ricco parterre di ospiti qualificati a disquisire circa uno degli argomenti più sentiti in Italia alla vigilia del Referendum: il nucleare. Son presenti in studio Daniela Santanchè del Popolo della Libertà, Ignazio Marino del Partito Democratico, Chicco Testa del Forum Nucleare, il professor Franco Battaglia (Università di Modena e Reggio), il direttore esecutivo di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio. Inoltre, in collegamento, c’è anche Adriano Celentano.

E’ proprio lo showman a scagliarsi duramente contro l’eventuale ritorno al nucleare. Celentano non le manda a dire: “Noi dobbiamo votare non solo per salvare il nostro territorio ma anche per salvare i francesi che sono una fornace ardente che potrebbe scoppiare da un momento all’altro, dobbiamo votare per salvare l’Europa tutta“. Ed ancora: “Una scintilla buona che dia l’esempio ai popoli imbecilli che hanno scelto il nucleare, noi non lo possiamo controllare, ci vogliono 25mila anni per spegnere Chernobyl lo stesso sarà per Fukushima, che altro vi serve per convincervi?” Su posizioni molto simili Ignazio Marino: “Incoraggiamo gli italiani al voto, ascoltiamo le opinioni di scienziati ed opinion leader, anche il Pdl incoraggi la gente ad andare alle urne“.
Il dibattito verte sulla scelta che i cittadini sono chiamati a fare tra poco più di una settimana, ma anche sul comportamento del governo che ha cercato di far saltare il referendum, per ammissione dello stesso premier Berlusconi. La Santanchè prova a distogliere l’attenzione dalle responsabilità dell’esecutivo: “Il Pdl lascia al cittadino la libertà di scegliere se andare a votare o meno, avete anche Celentano che è un ottimo sponsor per incentivare al voto”. Nonostante tutto, questa posizione appare più come un disperato tentativo di riavvicinarsi all’elettorato dopo la sonora sconfitta delle amministrative, che una reale volontà di dare davvero la parola al cittadino.

La puntata scorre tra interventi pro e contro il nucleare, con i primi che mettono in evidenza le tragedie umane della gente di Chernobyl e  gli altri che si focalizzano sulla necessità di avere una fonte energetica che renda il Paese indipendente e permetta di eliminare i costi di acquisto dagli stranieri. In tutto questo non è facile comprendere appieno la situazione. Appare difficile capire quanto realmente il nucleare sia fondamentale per l’Italia e in che misura le energie rinnovabili siano incapaci farsi carico di una significativa quota parte del fabbisogno energetico nazionale. Senza trascurare la questione della pericolosità del carbone per la salute umana che, però, non viene sviluppata in modo chiaro e completo.

Lasciano interdetti le posizioni di Franco Battaglia, Chicco Testa e di un giovane del Pdl intervistato da Giulia Innocenzi. Il primo, sostenitore del nucleare, afferma che si potrebbe oggi tornare a vivere a Chernobyl senza alcun problema, in contrasto con la stragrande maggioranza della letteratura scientifica; ribatte Ignazio Marino che lo sprona a divulgare in sedi opportune, come le riviste Science o Nature, le sue posizioni per verificare l’avvaloramento di tale tesi da parte del mondo scientifico. Chicco Testa ricorda che dei 4mila bambini di Chernobyl con tumore alla tiroide ne sono morti solo 15. Di nuovo Ignazio Marino interviene sottolineando quanto il cancro, che si muoia o meno, sia qualcosa di terribile e che il conto matematico di Testa non ha ragion d’essere.

Infine il giovane el Pdl ricorda che la tragedia del Vajont è legata ad una centrale idroelettrica al fine di dimostrare come non esista un modo di produrre energia davvero sicuro; per quanto il Vajont sia stato qualcosa di terribile non è paragonabile a Chernobyl: l’acqua ed il fango hanno distrutto vite ma non hanno modificato i geni delle popolazioni della zona e delle generazioni future.

Valeria Panzeri

http://www.newnotizie.it/2011/06/03/annozero-celentano-contro-il-nucleare-negazionismo-di-chernobyl/

 

I BAMBINI DI FUKUSHIMA

La notizia non ha nulla di nuovo. Nonostante la comunicazione della Tepco, perché già il 25/26 marzo le notizie sul fatto che ci fosse una fusione almeno parziale nei reattori 1, 2, 3 non solo nell’1, erano emerse con certezza. Tutti e 3 i reattori erano stati abbondantemente innaffiati con acqua di mare già alla fine di marzo, e l’acqua di mare come tutti sappiamo danneggia notevolmente le strutture. Ma quel procedimento urgente ci fa capire che era legato a un inizio di fusione. La Tepco sostiene che la situazione sia abbastanza sottocontrollo. Rimane il dato però che loro stessi già a marzo dissero che le acque degli oceani, dell’Oceano Pacifico nella zona delle centrali, presentava un aumento significativo di radionuclidi. Quindi che ci siano stati degli sversamenti lo ammettono dal 30 marzo. I livelli di radioattività dell’acqua nella zona erano saliti da 1200 a 3000 a 4000 volte sia per lo iodio che per il cesio e per di più proprio qualche giorno fa ho visto il grafico: è vero che è calata la quantità, la densità di questiradioisotopi nelle acque. Però c’è ancora parecchio cesio, che è forse il problema maggiore in questi casi, perché si concentra molto nei muscoli, quindi nelle catene alimentari. Dura molto più a lungo, perché dura decenni, quindi chiaramente bisognerà capire nei prossimi mesi. 

In Giappone hanno innalzato i limiti di radiazioni ai quali può essere esposto un bambino. C’è chi sostiene cheun bambino ogni 200 si ammalerà di cancro. Ma in casi di radiazioni c’è più rischio per un adulto o per un bimbo?

Questa è una bella domanda, ma è anche complessa. Il problema vero è questo: il modello di esposizione e di valutazione dei rischi è un modello antico, di 50 anni fa. Si continua a valutare la pericolosità della situazione sulla base di un modello prima di tutto disegnato dai fisici e non dai biologi e tanto meno dai medici, che tiene conto della cosiddetta dose totale assorbita e che valuta, ma in maniera assolutamente teorica, a tavolino i rischi come legati direttamente, in modo proporzionale alla dose totale. Questo non ha niente a che vedere con quello che realmente succede. La pericolosità di queste situazioni, soprattutto quando si verificano incidenti, non è legato alla quantità massima di radiazioni emesse immediatamente, che colpisce tutto sommato una parte limitata di popolazione direttamente esposta. Il pericolo è legato alle piccole quantità quotidiane che vengono assorbite da milioni di persone. Per di più, questo tipo di assunzione per via alimentare significa un assorbimento per via interna. Le cellule vengono esposte per anni o decenni a piccole quantità quotidiane di radioisotopi e quindi di radioattività. Nei bambini soprattutto, ma in generale nei soggetti in via di sviluppo, quindi dove gli organi e i tessuti si stanno formando, la tossicità è ancora maggiore. Il fatto che aumentino queste soglie arbitrariamente, proprio per permettere che la situazione non venga paralizzata, è un espediente purtroppo non del tutto inusuale perché perfino in Italia ultimamente con il benzopirene, pensando a situazioni come Taranto, hanno fatto la stessa cosa. Poi c’è stata una levata di scudi, però di fatto anche qui si fanno queste cose. Con l’atrazina è successa la stessa cosa. Quando vedono che una sostanza tossica diventa diffusa, anziché dire la riduciamo, tendono a fare questa follia di alzare i livelli di soglia. Perfino con le centraline nelle nostre città lo fanno, anziché dire: l’Europa chiede una diminuzione progressiva del particolato fine e soprattutto dell’ultrafine che neanche viene preso in considerazione, le cosiddette autorità locali fanno il contrario, tendono a elevare le soglie per lasciare tutto com’è. Ma questo sostanzialmente per una questione di incoscienza e di inconsapevolezza: sono convinti che tutto sommato i danni non sono così gravi. Sui bambini e ancora di più sull’embrione e sul feto queste piccole quantità quotidiane, interferiscono sulla programmazione addirittura dei tessuti. Gli studi che hanno dimostrato l’aumento delle leucemie attorno alle centrali. Ma non è importante l’esposizione diretta dei bambini a dosi massive come si continua a pensare e come continuano le istituzioni a rassicurare dicendo: “beh l’esposizione a dosi piccolissime… “. Le dosi piccolissime quotidiane, soprattutto per via interna, sono proprio quelle più pericolose. 

Alcuni oceanografi hanno stabilito che anche l’Atlantico è stato contaminato. Dunque lo sarà anche il Mediterraneo?

Che venga addirittura inquinato l’intero Oceano Pacifico e quindi l’Atlantico e il Mediterraneo, attualmente a me sembra un allarme un po’ eccessivo. Però tutto dipende da quanto dura l’emissione e la diffusione e quindi le capacità di diluizione da parte degli oceani. Sarà da vedere, speriamo di avere la possibilità di ragionare su dati attendibili, perché come dicevamo già le altre volte, è un po’ paradossale, ma noi dobbiamo ragionare sui dati che vengono dati dalla Tepco che sono inevitabilmente riduttivi. C’è un silenzio stampa abbastanza assordante

Abbiamo dati certi circa l’impatto di Chernobyl sui tumori in Europa?

Rivedendo tutti gli studi epidemiologici a partire da Hiroshima e poi soprattutto proprio su Chernobyl, la quantità di patologie che realmente è stata prodotta direttamente dall’esposizione, quindi sulle popolazioni che vivevano in Ucraina, in Bielorussia e nei paesi limitrofi e soprattutto via, via che la nube è stata studiata più a fondo per quanto riguarda gli effetti e la deposizione in particolare del cesio nelle catene alimentari, è stato verificato che c’è un aumento abbastanza marcato delle leucemie infantili in proporzione diretta. Lì dove è stato trovato un livello alto di cesio, in proporzione sono aumentate le leucemie infantili. Chernobyl è stata un ingrediente fondamentale nell’aumento dei tumori infantili che abbiamo in Italia. Abbiamo addirittura un incremento nel primo anno del 3% dei tumori infantili che in 15/20 anni significa un aumento veramente significativo. 
In più c’è per esempio il problema della tiroide. Anche dopo Chernobyl abbiamo cercato di avere i dati sicuri sulle emissioni e sulla diffusione dello iodio 131. Non abbiamo potuto fare nulla, perché i dati si sono saputi dopo anni. I dati ufficiali non arrivavano, erano state fatte delle verifiche in Italia. Che ci fosse un aumento di iodio 131 si sapeva, ma se si fosse potuto sapere in tempo e in maniera continua, avremmo potuto per esempio dare iodio preventivo ai nostri pazienti e secondo me si sarebbero ridotti i danni, invece c’è stato un aumento veramente notevole di patologie tiroidee in tutta Europa e nelle zone più vicine all’incidente. C’è stato un aumento veramente notevole, centinaia di volte, del calcinoma tiroideo infantile che è un tumore raro che colpisce la tiroide perché proprio lo iodio 131 si fissa sulla ghiandola e praticamente produce una proliferazione cellulare neoplastica. Questi sono dati assolutamente sicuri.

http://www.cadoinpiedi.it/2011/05/24/i_bambini_di_fukushima.html

Nucleare e salute, nessun rischio per l’Italia

mappa zone colpite dalla tsunami

Nessun pericolo per l’Italia dagli incidenti alle centrali nucleari giapponesi. Gli unici rischi teorici potrebbero venire dai prodotti alimentari importati dal Giappone: per questo il Ministero ha disposto l’aumento dei controlli su questi prodotti (soprattutto pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde) confezionati dopo l’11 marzo, data del terremoto. Leggi l’approfondimento.

Per i cittadini italiani o stranieri provenienti dal Giappone dopo l’evento dell’11 marzo ecco l’elenco dei centri di riferimento, individuati dalle Regioni, in grado di effettuare controlli e prestare assistenza, ove necessario.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità mette in guardia le persone preoccupate per l’incidente alla centrale nucleare in Giappone contro la auto-medicazione con compresse di ioduro di potassio o con prodotti contenenti iodio.
Questo avviso fa seguito alle segnalazioni di persone che usano queste sostanze o le compresse in risposta al rilascio di radiazioni dagli impianti nucleari in Giappone. Lo ioduro di potassio deve essere preso soltanto in presenza di una precisa raccomandazione di sanità pubblica in tal senso.
La distribuzione e somministrazione di ioduro di potassio è una delle misure prese in considerazione dal Piano Nazionale per la risposta alle emergenze nucleari (DPCM 19 marzo 2010).
Si sottolinea che in Italia non c’è alcuna necessità di raccomandare l’assunzione di ioduro di potassio.

Leggi le domande e risposte più frequenti.

Vedi anche:

http://www.salute.gov.it

Radiazioni nucleari, una catastrofe per gli esseri umani

Sono devastanti gli effetti sulla salute che provocano le radiazioni nucleari, dai tumori alle ischemie per finire con le modificazioni genetiche

teschio nucleare
CHIEDI ALL’ESPERTO

Enrico PadianiL’ ECO DOTTORE

Enrico Pandiani

DISINFORMAZIONE

giappone 2Emergenza nucleare: dubbi sulle informazioni rilasciate dal Governo

Cosa è accaduto alle centrali e perché l’allarme non rientra: una panoramica sul Giappone e su quello che poteva essere fatto, trasparenza in primis.

IL COMMENTO

giappone nuclearePolitica energetica italiana: l’ora della decisione

Di fronte al disastro nipponico non possiamo evitare di riflettere sulla posizione energetica italiana: ecco il commento di Diego Masi.

PREVEDERE

110048269 japanTerremoto giapponese, nessuno lo aveva previsto

Nucleare a parte, la prevenzione contiene i danni della tragedia, comunque incalcolabili. Sintomatico e allarmante che nessuno strumento predittivo abbia funzionato.

Le nuove esplosioni nella centrale di Fukushima.

È già successo nel 1979 a Three Mile Island(Usa) e nel 1986 a Chernobyl (Ucraina). Questi sono solo gli incidenti atomici più noti, che sono rimasti scolpiti nella memoria delle persone. Ma se si vuole avere un’idea più precisa di questi avvenimenti, della loro gravità e della loro dislocazione sul pianeta, The Guardian ha elaborato un’esaustiva mappa in cui tutti gli incidenti, dal 1952 a oggi, sono stati catalogati e classificati.

Così si scopre che dagli anni ’50 a oggi sono 33 gli incidenti atomici che sono avvenuti e di questi ben nove sono stati registrati negli ultimi dieci anni.

Errori umani, carenza di manutenzione e condizioni naturali esterne sono i fattori che provocano queste catastrofi, lasciando con le persone con il fiato sospeso in attesa di sapere quali saranno le conseguenze.

Radiazioni
Le rilevazione della radioattività si misura inmillivert. Secondo quanto riportato da la Repubblica, le quantità di radiazioni per ogni singola ora riscontrate a Fukushima sabato pomeriggio sono state di 1.015 mSv. Per capire il peso di questo numero, si pensi che 1 mSv è l’esposizione massima tollerata dal corpo umano nell’arco di un intero anno (100 mSv per cinque anni) e che 10 mSv è la dose assorbita durante una Tac total body.

Il punto chiave delle radiazioni è il loro tempo di decadimento, ossia in quanto tempo gli isotopirilasciati diminuiscono la loro energia e diventano più stabili. Il momento esatto in cui un atomo instabile decadrà in uno più stabile è impredicibile. Tuttavia, ce ne sono alcuni più potenti nel momento dell’esplosione, ma meno durevoli nel tempo e viceversa.

Isotopi dispersi
È stato accertato che tra gli elementi fuoriusciti dalla centrale ci siano lo iodio 131 e il cesio 137(tristemente noto per gli effetti provocati proprio a Chernobyl). Il grande problema di questi isotopi è che si disperdono nell’aria, ma successivamente si depositano sul terreno, contaminando l’acqua e ilsuolo, con conseguenze che fanno perdurare l’allarme radioattivo anche per lunghi periodi e che riguardano da vicino materiali e cibi coltivati nelle zone colpite.

Sintomi
Gli effetti sulla salute sono devastanti e durano anche per molto tempo. Si comincia con nauseacontinua, caduta dei capelli e peli, perdita di sangue dalla bocca e dal naso ed emorragie sotto pelle. Sono questi i primi campanelli d’allarme che segnalano il fatto di essere stati contaminati.

E, purtroppo, a nulla servono mascherine e tute protettive: le radiazioni passano e attaccano il corpo e il problema è che non si possono eliminare i loro effetti, ma si possono solo arginare i sintomi.

Conseguenze
«Una volta che si è esposti alle radiazioni, la prima cosa che succede è la distruzione dei legami fra molecole. Le radiazioni danneggiano le cellule e si formano i radicali liberi. Questi ultimi aumentano l’incidenza di uno sviluppo tumorale, limitando al contempo la possibilità di reazione del corpo, poiché ne inibiscono le difese» dice il dottor Enrico Pandiani.

La prima ad essere attaccata è la tiroide. «La terapia d’urto in questo caso – aggiunge Pandiani – è l’assunzione di potassio di iodio», che attualmente viene distribuito ai giapponesi, ma «il problema è che questa sostanza presenta pesanti controindicazioni se presa in dosi massicce. Proprio per questo si sta dibattendo sulla sua reale efficacia».

In un secondo momento, vengono attaccati i reni. «Le radiazioni distruggono il funzionamento di filtraggio renale, adibito all’eliminazione delle tossine, scompensando tutto il sistema di liquidi all’interno del corpo» continua il dottore.

Le radiazioni hanno effetti su tutte le parti del corpo: dagli organi al sistema nervoso, ecc. Ma gli effetti peggiori riguardano le modificazioni genetiche. In pratica, una volta colpito dalle sostanze radioattive, il fisico si ionizza e il DNA e l’RNA si trasformano. Questo porta a due effetti principali: il primo è l’aumento dell’incidenza tumorale; il secondo, riguarda aspetti riproduttivi e comprende sterilità e la maggior probabilità di procreare esseri umani malformati o, comunque, con problemi congeniti.

In Europa
Secondo la dichiarazione di Vincenzo Ferrara, climatologo dell’Enea, rilasciata a la Repubblica: «È altamente improbabile che le radiazioni dal Giappone possano arrivare fino a noi. […] Piccole nubi come quelle che si stanno verificando in Giappone […] si diluiscono a causa di venti e turbolenze. Emissioni più consistenti, però, con un rilascio in quota possono arrivare a coprire qualche centinaio di chilometri, ma per arrivare a una diffusione come quella di Chernobyl ci vuole una emissione di grande quantità e prolungata nel tempo, spinta ad alta quota da un’esplosione e, soprattutto, aiutata da condizioni meteo di venti favorevoli con assenza di pioggia e turbolnze limitate […] Ma anche se si ripetessero quelle condizioni, la maggior parte della nube o delle nubi giapponesi finirebbero per esaurirsi sull’oceano prima di arrivare sul continente americano».

Nonostante questo, in Italia è scattato l’allarme del Dipartimento Nucleare dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che con una mail ha allertato tutte le Arpa italiane: «In relazione all’evento sismico in Giappone e alle apprensioni che destano le recenti notizie sulla situazione delle centrali nucleari, si richiede un incremento di misure di particolato atmosferico. Inoltre, di inserire immediatamente dopo ogni misura i relativi risultati nella banca dati».

L’ultimo elemento di riflessione è il fatto che se anche la nube tossica non colpirà il nostro paese direttamente, ciò che sta succedendo in Giappone non potrà non avere ricadute anche su di noi. Con gli effetti della globalizzazione, il facile movimento di merci e persone nel mondo, ciò che succede a milioni di chilometri di distanza, in realtà, è più vicino di quanto non si possa pensare.

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Alice Dutto

 

Allarme nucleare in Giappone: “Partita la fusione nel reattore”


Allarme nucleare in Giappone: "Partita la fusione nel reattore"

Due esplosioni causate da fughe di idrogeno si sono verificate oggi nella centrale nucleare di Fukushima, nel nord del Giappone, danneggiata dal potente terremoto che venerdì scorso ha messo in ginocchio il Paese. L’agenzia Kyodo riferisce che le persone rimaste ferite sono 11 precisando che si tratta di operai dell’impianto e di soldati della Forza di autodifesa, l’esercito giapponese. Un diependente, invece, è rimasto contaminato. Le autorità avevano affermato che le possibilità di una grossa fuga di gas radioattivo dalla centrale erano “molto basse”. Intorno alle 12.20, però, la tv ha detto che le barre di combustibile sarebbero non più coperte dal liquido di raffreddamento e quindi sarebbero totalmente esposte. A quanto pare, si sarebbe esaurito liquido di raffreddamento, e non si esclude un processo di fusione del nocciolo con rischio di fughe radioattive. Processo di fusione che, stanto a quanto riferito da un’agenzia nipponica poco prima delle 14, sarebbe incominciato.

Intanto, una scossa di assestamento più forte delle altre, del 6.2, con epicentro a un centinaio di chilometri da Tokyo, ha scosso di nuovo la capitale. Un nuovo allarme tsunami nel nordest è poi fortunatamente rientrato . 

In mattinata la popolazione è sprofondata di nuovo nell’incubo per l’ annuncio di un nuovo allarme per l’ imminente arrivo di un secondo tsunami, con onde altre tre metri, sulla costa nordorientale dell’ isola, dove oggi i soccorritori hanno trovato circa 2000 cadaveri. Il bilancio ufficiale della polizia parla di 1700 morti e di altrettanti dispersi. L’ allarme tsunami è rientrato quando l’ Agenzia meteorologica giapponese ha affermato che non era stato rilevato alcun terremoto sottomarino.

Il razionamento dell’ energia nella regione di Kento, che comprende Tokyo, è stato rinviato a causa di un consumo di energia più basso del previsto. Gran parte dei cittadini sembrano essersi recati al lavoro e le strade hanno il loro aspetto normale se si escludono molti negozi chiusi e insoliti vuoti sugli scaffali dei supermercati.
Il livello dell’ acqua nel rettore n.2 della centrale nucleare giapponese di Fukushima sta scendendo e le barre di uranio che contiene potrebbero presto essere scoperte. Lo ha affermato oggi in una conferenza stampa il portavoce del governo di Tokyo, Yukio Edano. Il portavoce ha aggiunto che i tecnici dell’ impianto sono pronti a iniettare acqua marina nel sistema di raffreddamento del reattore.

L’Aiea, l’agenzia dell’Onu per l’energia nucleare, ha fatto sapere di essere stata informata dalle autorità giapponesi che la gabbia di contenimento del reattore n.3 nella centrale di Fukushima non è stato danneggiato nell’ultima esplosione. Lo riferisce la Bbc sul suo sito.

Il bilancio delle vittime continua a crescere: nella sola prefettura di Miyagi se ne stimano più di 10 mila. Appello del premier Kan: ‘Mai cosi’ dura dalla seconda guerra mondiale, non “non ci sarà un’altra Chernobyl”. E l’impatto del sisma sull’economia giapponese sarà “considerevole”. Lo ha detto il portavoce del governo. 

“E’ il momento più difficile dalla fine della Seconda guerra mondiale: chiedo a tutti la massima unità”. E’ l’appello lanciato dal premier giapponese Naoto Kan, parlando alla Nazione. “Non ci sarà un’altra Chernobyl”, ha affermato Kan. “Le radiazioni sono state rilasciate in aria, ma non ci sono rilevazioni che ci dicano che ciò sia avvenuto in grande misura”, ha detto Kan, in relazione ai gravi problemi della centrale di Fukushima 1, citato dall’agenzia Jiji. “Questa è una situazione fondamentalmente diversa dall’ incidente di Cernobyl (1986, ndr). Stiamo lavorando per evitare i danni causati dalla diffusione delle radizioni”.

a magnitudo del terremoto che ha colpito il Giappone è stata rivista a 9 contro la precedente stima di 8.8 (era di 8,9 secondo l’Usgs). Lo ha reso noto ieri l’Agenzia meteorologica giapponese (Jma), aggiungendo che si tratta di un sisma tra i piu’ potenti mai registrati.


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