Tumore laringe faringe Cos’è

 

La laringe è un organo dell’apparato respiratorio lungo circa 12 centimetri, collegato verso l’alto con l’orofaringe, lateralmente con l’ipofaringe ed in basso con la trachea. Ha una struttura cartilaginea ed è rivestita al suo interno da una mucosa. La parte superiore della laringe è chiusa dall’epiglottide, una piccola cartilagine che durante la deglutizione si piega all’indietro formando una specie di scivolo che protegge le vie aeree impedendo al cibo di finire nella trachea. La laringe ospita le corde vocali, organo fondamentale della fonazione.
Essa è quindi una valvola situata tra le vie aeree e digestive; quando è aperta consente la respirazione, quando è chiusa la fonazione e la deglutizione.
tumori della laringe originano, nella maggior parte dei casi, dalla mucosa (epitelio) che riveste l’interno del canale: il più comune è il carcinoma a cellule squamose.

La faringe è un canale cilindrico lungo circa 15 centimetri, posto tra la cavità nasale e l’esofago; esso fa parte delle cosiddette ‘vie aereo digestive superiori’ perché da un lato consente la progressione del bolo alimentare dalla bocca verso l’esofago tramite il meccanismo della deglutizione, dall’altro il passaggio verso la trachea e i polmoni dell’aria opportunamente filtrata, umidificata e scaldata.
La faringe può essere interessata da tumori maligni in ciascuna delle sue tre porzioni: il nasofaringe (o rinofaringe), l’orofaringe e l’ipofaringe (dove si separano la via alimentare e quella respiratoria). Quelli della nasofaringe o rinofaringe sono carcinomi indifferenziati frequentemente associati al virus EBV (Epstein-Barr virus), mentre nelle altre regioni prevale il carcinoma a cellule squamose

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La sigaretta brucia anche l’intestino

Che fumare fa male, ormai lo sanno tutti. Ma mentre di solito si pensa che aumenti il rischio di un tumore del polmone, o tutt’al più di un infarto, pochi sanno che le sostanze cancerogene contenute nelle esalazioni del tabacco, attraverso il circolo sanguigno, possono raggiungere anche organi molto lontani dalle vie aeree. Il colon, per esempio, è uno di questi. Per l’International Agency for Research on Cancer ci sono ormai prove sufficienti per affermarlo.

Introduzione

SigarettaFino a poco tempo fa era solo un sospetto. Ora a sbilanciarsi è l’International Agency for Research on Cancer, che ha cambiato la sua posizione ufficiale sullegame tra fumo e cancro al colon: mentre le prove a sostegno di questa tesi prima erano considerate “limitate”, oggi si possono ritenere “sufficienti”.

Negli anni passati era già stato lanciato l’allarme, dopo che tra i fumatori era stato osservato un numero di tumori dell’ultimo tratto dell’intestino maggiore rispetto a quello riscontrato in chi non fumava. Ma le modalità con cui erano condotti questi studi non permettevano di formulare un giudizio risolutivo, perché c’erano molti altri fattori a confondere le acque: chi fuma di più può essere meno attento a un’alimentazione sana e ricca di frutta e verdura oppure può fare meno attività fisica o ancora, statisticamente, eccede più spesso con l’alcol, solo per fare degli esempi.

Tre epidemiologi dell’American Cancer Society hanno quindi deciso di fare chiarezza, seguendo per 13 anni più di 184.000 persone che inizialmente non avevano alcun segno della malattia, con uno studio pubblicato sul numero di dicembre 2009 di Cancer Epidemiology Biomarkers& Prevention, tutto dedicato ai danni del tabacco. Nell’indagine, Michael J. Thun e i suoi collaboratori hanno tenuto conto non solo del fatto che i partecipanti fossero o no fumatori, ma anche di come e quanto mangiavano, di cosa e quanto bevevano, se si sottoponevano ai controlli periodici e di altri possibili fattori di rischio, 13 in tutto, aggiornandoli periodicamente.

Alla fine dell’osservazione è risultato evidente che, anche tenendo conto di tutte le variabili, chi fumava aveva una probabilità maggiore del 27 per cento di sviluppare un tumore del colon rispetto a chi non aveva mai preso questa abitudine; tra chi era riuscito a smettere, il rischio scendeva un po’, ma restava del 23 per cento superiore a quello dei non fumatori. A fare la differenza è il tempo: più a lungo l’organismo è stato esposto alle sostanze nocive e maggiore è il rischio (38 per cento in più il massimo, per chi fuma da almeno 50 anni).

Vale comunque sempre la pena di smettere, e di farlo il prima possibile: il rischio infatti scende progressivamente quanto più tempo passa dall’ultima sigaretta e quanto più si è giovani al momento in cui si prende la saggia decisione di spegnerla. Se lo si fa prima dei 40 anni, ogni pericolo per il colon sembra svanire. Se ci si riesce più tardi, secondo i calcoli dei ricercatori statunitensi, bisogna aspettare una trentina di anni per vedere tornare le proprie probabilità di tumore dell’intestino al livello di chi non ha mai fumato.

Diffusione in Italia per uomini e donne

donnaIn Italia nel 2009 fumavano 17 donne su 100

 

uomoIn Italia nel 2009 fumavano 29,5 uomini su 100

 

Domande e risposte

Le risposte alle domande più frequenti su fumo e tumore del colon.

Esiste un tumore per il quale non è dimostrato un legame con il fumo di sigaretta?

È vero che il fumo è la maggiore causa di morte in tutto il mondo?

La celiachia può essere provocata o favorita dal fumo?

È possibile ridurre il rischio di ammalarsi di tumore del colon?

Non dimenticare: indicazioni utili

In inglese si chiamano take-home messages. Noi diciamo: da non dimenticare!

  1. Il fumo non provoca solo il cancro del polmone, ma una lunga serie di malattie, tumorali e non. Ora anche il tumore del colon si è aggiunto alla lista.
  2. Ci sono infinite buone ragioni per non fumare. Se avete altri fattori di rischio per il tumore del colon, ricordate che la sigaretta li può rinforzare.
  3. Il tumore del colon si previene soprattutto a tavola: non fate mai mancare la frutta e la verdura.
  4. Dopo i 50 anni sottoponetevi ai controlli periodici che possono fare la differenza, individuando precocemente polipi che si possono asportare in ambulatorio prima che si trasformino in una malattia grave.
  5. http://www.airc.it/prevenzione-tumore/fumo/tumore-colon/#p1

Se ho già sviluppato un tumore, che senso ha smettere?

 

Anche per chi ha già un tumore, vale la pena smettere di fumare. Diversi studi hanno dimostrato che la rinuncia alla sigaretta migliora l’andamento della malattia: un’analisi condotta da ricercatori dell’Università di Birmingham su altre 10 ricerche e pubblicata sul British Medical Journal dimostra, in particolare, che le persone a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in fase iniziale, possono raddoppiare le loro chance di sopravvivenza smettendo subito di fumare.

Altre ricerche hanno assodato che il fumo può ridurre la risposta alla chemio e alla radioterapia, ostacolare la guarigione delle ferite chirurgiche, aumentare il rischio di infezioni, soprattutto broncopolmonari, che possono essere molto pericolose in un organismo debilitato dalla malattia o in cui le difese immunitarie sono depresse dalle cure.

Infine, continuando a fumare, si alimenta il rischio che, una volta guariti dalla malattia, questa si ripresenti, oppure che si sviluppi un secondo tumore.

Molto ancora però, in questo campo, potrebbe essere fatto per colmare l’attuale lacuna tra linee guida, organizzazione dei servizi che aiutano a smettere di fumare e la pratica clinica quotidiana.

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In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

 

In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

Nell’ultimo secolo la ricerca scientifica ha contribuito a dimostrare e a descrivere l’entità e le modalità dei danni provocati dal fumo a tutto l’organismo, principalmente in relazione allo sviluppo del cancro. Ciò ha spinto il pubblico ad acquisire maggiore consapevolezza e i governi a prendere atto dell’impatto sociale del problema, spingendoli a provvedimenti restrittivi di vario tipo, dall’aumento delle tasse sulle sigarette, alla proibizione del fumo nei locali pubblici e nei posti di lavoro.

 

Aver provato che la nicotina produce una dipendenza fisica ha poi aiutato a mettere a punto prodotti a rilascio graduale della sostanza e a definire programmi di intervento psicologico.

 

Le nuove tecniche che permettono di esaminare l’attività del cervello in relazione a diversi stimoli stanno contribuendo al progresso delle ricerche in vista di nuovi approcci che diano un valido supporto a coloro che decidano dismettere di fumare. Secondo un rapporto del National Institute on Drug Abuse statunitense, gli studi sui gemelli mostrano che il rischio di diventare dipendenti dalla nicotina deriva dal 40 al 70 per cento dalle caratteristiche dei propri geni. Per questo molti ricercatori oggi hanno indirizzato in questo senso la loro ricerca. Per esempio, uno studio italiano, sostenuto da AIRC e condotto all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, ha recentemente individuato la variante di un gene che favorisce lo sviluppo di questa dipendenza. Riuscire a bloccarla potrebbe aiutare chi ne è portatore a smettere in maniera più mirata.

 

Altri studi dello stesso tipo, per esempio relativi ai diversi meccanismi d’azione dei farmaci, potranno forse trovare l’approccio personalizzato migliore perché ciascun fumatore riesca a smettere più facilmente.

 

Intanto molti gruppi di ricerca sono impegnati sul fronte della prevenzione secondaria, a definire gli strumenti di diagnosi più adatti (siano esse apparecchiature per immagini come la TC spirale o nuovi esami del sangue o analisi delle sostanze contenute nel fiato) per individuare precocemente i tumori indotti dal fumo, principalmente quelli al polmone, al fine di curarli meglio.

 

La ricerca contro i danni del fumo comunque è e resta interdisciplinare: gli sforzi degli epidemiologi, dei medici, dei farmacologi e dei biologi molecolari è sostenuta anche dagli psicologi, dagli studiosi di neuroscienze e perfino dai pedagogisti, dai sociologi e dagli esperti di comunicazione, tutti uniti per cercare il modo migliore per impedire che i giovani si avvicinino al fumo e per far sì che i fumatori smettano.

 

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Come si fa a smettere di fumare?

Come si fa a smettere di fumare?

Non esiste un sistema per smettere che vada bene per tutti, anche perché diverse sono le motivazioni che spingono i fumatori e le modalità dell’abitudine al fumo, così come le caratteristiche psicologiche e fisiche, gli stili di vita e il tipo di attività professionale, e perfino le varianti genetiche da cui può dipendere una maggiore o minore predisposizione alla dipendenza fisica.

La semplice forza di volontà molte volte non basta, neppure con l’aiuto dei tanti libri in commercio. Se si vuole provare da soli, è importante stabilire degli obiettivi precisi, come ad esempio un giorno adatto a spegnere l’ultima sigaretta, nel quale non si prevedano eventi particolarmente stressanti, non si debbano frequentare ambienti che possono indurre in tentazione e nel quale ci si possa dedicare ad altre attività piacevoli che possano distrarre dal desiderio di fumare. Programmare un’attività fisica che sia congeniale, per esempio, aiuta molto.

Se però il fai-da-te fallisce, non bisogna scoraggiarsi. Conviene rivolgersi al proprio medico di famiglia o a uno dei centri antifumo accreditati, dove si utilizzano metodi per smettere di fumare certificati dalla letteratura internazionale, si può trovare un aiuto competente e un supporto utile nei momenti di difficoltà, ricordando che smettere non è facile, mentre facilissimo è ricadere. La maggior parte degli ex fumatori non è riuscita a liberarsi dalla sigaretta se non dopo ripetuti sforzi, e a ogni nuovo tentativo le probabilità di riuscita aumentano.

Non bisogna temere di ricorrere agli aiuti che si possono acquistare in farmacia. Ai sintomi dell’astinenza provocati dalla dipendenza fisica indotta dalla nicotina (agitazione, stanchezza, irritabilità, insonnia o difficoltà di concentrazione) si può rimediare utilizzando i prodotti sostitutivi (cerotti, inalatori o gomme da masticare), che liberano una quantità di sostanza sufficiente a eliminare i disturbi, riducendone gradualmente la necessità.

Sotto controllo del medico questi mezzi possono essere utilizzati anche in gravidanza, perché i loro possibili effetti negativi sono comunque inferiori a quelli del fumo, che oltre alla nicotina contiene molte altre sostanze tossiche per il feto.

Se questi non bastano, ci si può rivolgere al proprio medico che saprà indicare i medicinali più adatti.
In molti casi si è rivelato utile anche il supporto di uno psicologo adeguatamente formato.
Della validità delle sigarette elettroniche come mezzo per abbandonare il fumo, invece, nonostante i proclami della pubblicità, non ci sono ancora prove. Sono però iniziati studi per verificare se anche questi dispositivi possono sostenere la volontà di smettere.

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Quali sono gli effetti del fumo passivo?

È ormai stato ampiamente dimostrato che i danni del fumo si estendono anche a chi, per il fatto di vivere o lavorare insieme a uno o più fumatori, è stato costretto a respirare per anni sia il fumo emesso dal fumatore dopo che lo ha inalato (mainstream smoke), sia quello liberato direttamente dalla combustione della sigaretta (sidestream smoke). Ormai ci sono prove inequivocabili che il fumo passivo è responsabile di almeno una quota dei tumori al polmone nei non fumatori, oltre che di malattie cardiache, asma e altri disturbi meno gravi. È stato infatti calcolato che aver respirato il fumo altrui aumenta di circa il 25 per cento il rischio di tumore al polmone e di malattie al cuore di un non fumatore. Ci sono poi indicazioni, ancora da dimostrare definitivamente, che tale esposizione possa favorire anche lo sviluppo di tumori al seno e un andamento più sfavorevole della malattia.

Uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Lancet, a opera di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha calcolato che al fumo passivo siano da attribuire complessivamente 600.000 morti l’anno, 165.000 dei quali sono i bambini che vivono in casa con un fumatore.

I danni del fumo passivo sono infatti particolarmente gravi nei più piccoli, il cui organismo è ancora in fase di sviluppo. I neonati esposti al fumo sono più soggetti alla SIDS (sudden infant death syndrome), la cosiddetta “morte in culla” nel primo anno di vita; anche passato questo pericolo, i bambini che vivono con fumatori restano più vulnerabili nei confronti delle infezioni polmonari.

Sulla base di queste prove scientifiche molti Paesi hanno adottato normative severe relative al fumo nei luoghi pubblici e sui posti di lavoro, che in alcuni casi si estendono anche a spazi all’aperto, per esempio i campi gioco dei bambini. Molti obiettano che non ha senso preoccuparsi del fumo passivo, quando viviamo in città tanto inquinate. Ferma restando l’assoluta necessità di intervenire sulla qualità dell’aria, è anche vero che, a parità di esposizione ad altre sostanze, è sempre il fumo a fare la differenza. Numerose ricerche scientifiche pubblicate negli ultimi 20 anni hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento indoor, cioè negli ambienti chiusi come case, uffici, bar, è molto più pericoloso di quello all’aperto. Ciò perché si trascorre in genere molto più tempo all’interno che all’aria aperta e perché, date le piccole dimensioni degli spazi chiusi, la presenza di fonti di inquinamento interne, di cui il fumo di sigaretta è la fonte principale, porta le concentrazioni di gas e polveri a livelli molto più alti.

Si parla infine anche di fumo di “terza mano”: è il possibile effetto tossico delle sostanze liberate dalla combustione del tabacco e che possono impregnare con il loro odore gli ambienti, in particolare i tessuti dei capi di abbigliamento o quelli di arredamento, come tende, tappeti, copriletti o poltrone e divani. A tutt’oggi non ci sono prove dell’effetto cancerogeno di queste tossine, altrettanto convincenti di quelle riguardanti il fumo di “seconda mano”, cioè inalato involontariamente da un non fumatore in presenza di chi fuma. Molti ricercatori tuttavia stanno indagando anche in questa direzione.

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Che cosa si inala con il fumo di sigaretta? In che modo le sostanze contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo dei tumori?

 

Ogni volta che si accende una sigaretta si introducono oltre 4.000 sostanze chimiche, almeno un’ottantina delle quali, secondo l’International Agency for Research into Cancer, sono anche cancerogene. Con ogni boccata si inala:

  1. monossido di carbonio, lo stesso gas responsabile degli avvelenamenti da gas di scarico delle auto e delle stufe, che riduce l’afflusso di sangue ai tessuti;
  2. nicotina, responsabile degli effetti sul cervello del fumo e quindi anche della dipendenza fisica;
  3. catrame, che contiene molte sostanze cancerogene come benzopirene e altri idrocarburi aromatici;
  4. acetone, come quello usato per togliere lo smalto dalle unghie;
  5. ammoniaca;
  6. arsenico;
  7. formaldeide;
  8. acido cianidrico;
  9. nitrosamine;
  10. sostanze radioattive e molte altre.

Si ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene, l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo è meno potente di altre sostanze, ma è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in grandi quantità; l’arsenico è particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo; il benzene è responsabile di una quota significativa (dal 10 al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione tossica.

Tra le sostanze radioattive è di particolare rilievo il polonio 210: una recente analisi del contenuto di polonio radioattivo in sigarette di diverse marche diffuse in Italia ha dimostrato che in un anno, in media, chi fuma circa un pacchetto al giorno corre lo stesso rischio biologico che se si sottoponesse a 25 radiografie del torace. Depositandosi nei polmoni, infatti, questa sostanza li espone ad altissime dosi di radiazioni ad alta energia che possono indurre mutazioni potenzialmente cancerogene nel DNA.

Come le radiazioni, anche molte sostanze chimiche contenute nel catrame di sigaretta danneggiano il DNA delle cellule, provocando mutazioni che possono spingere la cellula verso una crescita incontrollata. Il benzopirene, uno degli idrocarburi policiclici aromatici più studiati, tende per esempio a mettere fuori uso il gene che codifica per la proteina p53, uno dei meccanismi fondamentali per proteggere l’organismo dal cancro.

La miscela delle varie sostanze inalate con il fumo di sigaretta potenzia gli effetti negativi sull’organismo, rispetto a quelli che avrebbe ciascuna molecola presa singolarmente.. Un esempio di questo effetto sinergico si ha, per esempio, con il cromo che, agendo come una colla, fa aderire più saldamente gli idrocarburi al DNA, favorendo le mutazioni che questi possono provocare. Altri esempi sono l’arsenico e il nichel, che interferiscono con i normali meccanismi di riparazione del DNA, deputati a correggere gli errori a mano a mano che si verificano. In questo modo le interazioni fra le diverse sostanze amplificano i danni provocati sul materiale genetico.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo possono infine favorire lo sviluppo dei tumori in maniera indiretta: ostacolando i meccanismi di rimozione di altre tossine, per esempio distruggendo le ciglia delle cellule che rivestono le vie respiratorie, come fanno ammoniaca e acido cianidrico; o bloccando gli enzimi che le trasformano in sostanze meno pericolose, come fa il cadmio.

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