Perché fumare è così terribilmente attraente

BENESSERE
02/01/2014 – LE STRATEGIE DELLA NICOTINA PER MIETERE LE SUE VITTIME
Perché fumare è così terribilmente attraente
Gli scienziati offrono la risposta al perché si diviene facilmente dipendenti dal vizio del fumo e in particolare dalla nicotina, la quale ha un modo tutto suo per promuovere se stessa

La nicotina sfrutta un particolare meccanismo per creare nell’organismo la dipendenza da essa, per cui risulta difficile per i fumatori smettere. Foto: ©photoxpress.com/Boris Djuranovic

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Diventare dipendenti dal vizio del fumo è più facile di quanto non si creda. Non serve infatti dire “una sigaretta e basta” perché ne basta già una per mettere in moto il meccanismo sfruttato dalla nicotina al fine di piegare al proprio volere il nostro corpo (e di conseguenza la nostra mente).

A scoprire qual è il meccanismo che sfrutta la nicotina nel creare dipendenza sono stati i ricercatori del California Institute of Technology di Pasadena, che hanno pubblicato i risultati del loro studio sul The Journal of General Physiology.
Lo studio, condotto su modello animale per simulare gli effetti nel corpo umano, si è avvalso di topi che esprimono l’integrin alpha6 marcata per mezzo di una proteina fluorescente in modo da poter dimostrare che l’esposizione alla nicotina a un livello comparabile a quello di fumatori umani interviene sulla regolazione dei recettori nAChR s in determinate aree del cervello.

Secondo quanto già noto al Center for Disease Control and Prevention (CDC), la nicotina attiva in modo piuttosto drammatico questi recettori nAChR e, a differenza della maggior parte delle altre sostanze da abuso, agisce come una sorta di “guida farmacologica” per stabilizzare l’assemblaggio dei suoi recettori all’interno del reticolo endoplasmatico (ER) e aumentare la loro presenza sulla superficie cellulare (o Up-regulation).

La cosiddetta Up-regulation (ossia un aumento indotto dell’attività dei recettori) sull’nAChR svolge un ruolo importante nella dipendenza da nicotina ed, eventualmente, in una ridotta sensibilità dei fumatori alla malattia di Parkinson. I ricercatori hanno anche accertato che i recettori contenenti una subunità alpha6 (alpha6 – nAChR) sono abbondanti in diverse e specifiche regioni del cervello.
Ecco dunque come la nicotina, agendo in maniera piuttosto subdola riesce a modificare le risposte organiche nel cervello in modo da renderci incapaci di stare senza la sua “tossica” compagnia.

Il cibo spazzatura crea una dipendenza simile a quella da nicotina e droga e invecchia il cervello

IL CIBO SPAZZATURA CREA UNA DIPENDENZA SIMILE A QUELLA DA NICOTINA E DROGA E INVECCHIA IL CERVELLO


HAMBURGER PATATINE FRITTE MERENDINE DOLCI
Ossia il cibo-spazzatura, crea una dipendenza simile a quella da nicotina e droga.È quanto ha scoperto un’équipe di ricercatori Usa che ha rivelato su ‘Nature Neuroscience’ i meccanismi che danno vita al vincolo e a vere e proprie crisi di astinenza quando si cerca di smettere di mangiare i piatti più saporiti ma meno salutari.Gli autori della ricerca, Paul Johnson e Paul Kenny, dell’Istituto Scripps a Jupiter in Florida, lo hanno dimostrato trasformando ratti di laboratorio in consumatori compulsivi di cibi-spazzatura. Hanno osservato così che, come nella dipendenza da fumo e droga, anche in quella dal cibo-spazzatura si indebolisce l’attivazione dei circuiti cerebrali della ricompensa, che in condizioni normali scattano immediatamente quando si vive un’esperienza piacevole.

 


HANNO DATO ALLE CAVIE BACON SALSICCE DOLCI E CIOCCOLATO
Gli animali hanno così gradito il nuovo cibo che sono rapidamente ingrassati. In poco tempo è precipitata la loro sensibilità alla ricompensa, proprio come avviene in chi è dipendente da droghe. I ricercatori hanno anche appurato che nei ratti come nell’uomo, la dipendenza impedisce di interrompere l’assunzione di una sostanza anche quando è chiaro che questa è pericolosa per la salute.Hanno così associato il consumo dei cibi ipercalorici alla comparsa di un segnale luminoso e a un dolore ad una zampa: non appena si accendeva la luce i ratti normali rinunciavano volentieri allo stuzzichino pur di non provare dolore, mentre i ratti obesi e dipendenti continuavano a mangiare.
Fonte: salute.agi.it

UNK FOOD : IL CIBO SPAZZATURA INVECCHIA IL CERVELLO !!

CHE IL CIBO SPAZZATURA FACCIA MALE E’ UNA COSA ORMAI ASSODATA

Ma i ricercatori dell’Oregon Health & Science University di Portland (Usa) hanno anche scoperto che assumendo grassi trans (ovvero i grassi nocivi di cui sono pieni i cibi spazzatura) il nostro cervello tende ad invecchiare molto prima.I grassi trans sono grassi idrogenati a livello industriale durante il processo di raffinazione e che hanno un particolare catena molecolare, sono presenti perlopiù nei cibi preconfezionati, in quelli prodotti dai fast food, nelle fritture e nei piatti pronti: tutti questi cibi se mangiati in eccesso possono danneggiare gravemente il nostro cervello favorendo malattie degenerative come l’Alzheimer.

I RICERCATORI HANNO DIMOSTRATO QUESTA TESI

Osservando e studiando le diete 104 ottantenni scoprendo che quelli che avevano assunto nella dieta più grassi trans erano risultati meno “elastici” intellettualmente nei test cognitivi e nella risonanza magnetica il loro cervello risultava più piccolo. Il cibo spazzatura quindi invecchia prima il cervello, lo rende meno “forte” e favorisce la degenerazione dei neuroni e soprattutto la perdita di memoria. Lo studio, pubblicato sulla rivista specialistica Neurology, ha rilevato che per contrastare ciò è fondamentale una dieta sana, costituita da acidi grassi Omega 3, quelli “buoni”, dal pesce, più vitamine antiossidanti, C ed E da frutta e verdura, più vitamina D, ancora una volta dal pesce. Difatti è risultato che un alto contenuto di Omega 3 e vitamine, migliora nel 37% dei casi la grandezza del cervello e nel 17% migliora la memoria.Gene Bowman, autore dello studio ha dichiarato: «Questi risultati devono essere confermati ma ovviamente è molto eccitante pensare che le persone potrebbero fermare il restringimento del loro cervello e tenerlo vivo, regolando la dieta».

 

 

Fonte : 2duerighe.com – tratto da ilfattaccio.org

 

Tratto da Eco(R)esistenza FB 

In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

 

Nell’ultimo secolo la ricerca scientifica ha contribuito a dimostrare e a descrivere l’entità e le modalità dei danni provocati dal fumo a tutto l’organismo, principalmente in relazione allo sviluppo del cancro. Ciò ha spinto il pubblico ad acquisire maggiore consapevolezza e i governi a prendere atto dell’impatto sociale del problema, spingendoli a provvedimenti restrittivi di vario tipo, dall’aumento delle tasse sulle sigarette, alla proibizione del fumo nei locali pubblici e nei posti di lavoro.

Aver provato che la nicotina produce una dipendenza fisica ha poi aiutato a mettere a punto prodotti a rilascio graduale della sostanza e a definire programmi di intervento psicologico.

Le nuove tecniche che permettono di esaminare l’attività del cervello in relazione a diversi stimoli stanno contribuendo al progresso delle ricerche in vista di nuovi approcci che diano un valido supporto a coloro che decidano dismettere di fumare. Secondo un rapporto del National Institute on Drug Abuse statunitense, gli studi sui gemelli mostrano che il rischio di diventare dipendenti dalla nicotina deriva dal 40 al 70 per cento dalle caratteristiche dei propri geni. Per questo molti ricercatori oggi hanno indirizzato in questo senso la loro ricerca. Per esempio, uno studio italiano, sostenuto da AIRC e condotto all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, ha recentemente individuato la variante di un gene che favorisce lo sviluppo di questa dipendenza. Riuscire a bloccarla potrebbe aiutare chi ne è portatore a smettere in maniera più mirata.

Altri studi dello stesso tipo, per esempio relativi ai diversi meccanismi d’azione dei farmaci, potranno forse trovare l’approccio personalizzato migliore perché ciascun fumatore riesca a smettere più facilmente.

Intanto molti gruppi di ricerca sono impegnati sul fronte della prevenzione secondaria, a definire gli strumenti di diagnosi più adatti (siano esse apparecchiature per immagini come la TC spirale o nuovi esami del sangue o analisi delle sostanze contenute nel fiato) per individuare precocemente i tumori indotti dal fumo, principalmente quelli al polmone, al fine di curarli meglio.

La ricerca contro i danni del fumo comunque è e resta interdisciplinare: gli sforzi degli epidemiologi, dei medici, dei farmacologi e dei biologi molecolari è sostenuta anche dagli psicologi, dagli studiosi di neuroscienze e perfino dai pedagogisti, dai sociologi e dagli esperti di comunicazione, tutti uniti per cercare il modo migliore per impedire che i giovani si avvicinino al fumo e per far sì che i fumatori smettano.

http://www.airc.it/

In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

 

In che modo la ricerca scientifica contribuisce alla lotta contro il fumo?

Nell’ultimo secolo la ricerca scientifica ha contribuito a dimostrare e a descrivere l’entità e le modalità dei danni provocati dal fumo a tutto l’organismo, principalmente in relazione allo sviluppo del cancro. Ciò ha spinto il pubblico ad acquisire maggiore consapevolezza e i governi a prendere atto dell’impatto sociale del problema, spingendoli a provvedimenti restrittivi di vario tipo, dall’aumento delle tasse sulle sigarette, alla proibizione del fumo nei locali pubblici e nei posti di lavoro.

 

Aver provato che la nicotina produce una dipendenza fisica ha poi aiutato a mettere a punto prodotti a rilascio graduale della sostanza e a definire programmi di intervento psicologico.

 

Le nuove tecniche che permettono di esaminare l’attività del cervello in relazione a diversi stimoli stanno contribuendo al progresso delle ricerche in vista di nuovi approcci che diano un valido supporto a coloro che decidano dismettere di fumare. Secondo un rapporto del National Institute on Drug Abuse statunitense, gli studi sui gemelli mostrano che il rischio di diventare dipendenti dalla nicotina deriva dal 40 al 70 per cento dalle caratteristiche dei propri geni. Per questo molti ricercatori oggi hanno indirizzato in questo senso la loro ricerca. Per esempio, uno studio italiano, sostenuto da AIRC e condotto all’Istituto nazionale dei Tumori di Milano, ha recentemente individuato la variante di un gene che favorisce lo sviluppo di questa dipendenza. Riuscire a bloccarla potrebbe aiutare chi ne è portatore a smettere in maniera più mirata.

 

Altri studi dello stesso tipo, per esempio relativi ai diversi meccanismi d’azione dei farmaci, potranno forse trovare l’approccio personalizzato migliore perché ciascun fumatore riesca a smettere più facilmente.

 

Intanto molti gruppi di ricerca sono impegnati sul fronte della prevenzione secondaria, a definire gli strumenti di diagnosi più adatti (siano esse apparecchiature per immagini come la TC spirale o nuovi esami del sangue o analisi delle sostanze contenute nel fiato) per individuare precocemente i tumori indotti dal fumo, principalmente quelli al polmone, al fine di curarli meglio.

 

La ricerca contro i danni del fumo comunque è e resta interdisciplinare: gli sforzi degli epidemiologi, dei medici, dei farmacologi e dei biologi molecolari è sostenuta anche dagli psicologi, dagli studiosi di neuroscienze e perfino dai pedagogisti, dai sociologi e dagli esperti di comunicazione, tutti uniti per cercare il modo migliore per impedire che i giovani si avvicinino al fumo e per far sì che i fumatori smettano.

 

http://www.airc.it/prevenzione-tumore/fumo/tabagismo-smettere-fumare/

Che cosa si inala con il fumo di sigaretta? In che modo le sostanze contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo dei tumori?

 

Ogni volta che si accende una sigaretta si introducono oltre 4.000 sostanze chimiche, almeno un’ottantina delle quali, secondo l’International Agency for Research into Cancer, sono anche cancerogene. Con ogni boccata si inala:

  1. monossido di carbonio, lo stesso gas responsabile degli avvelenamenti da gas di scarico delle auto e delle stufe, che riduce l’afflusso di sangue ai tessuti;
  2. nicotina, responsabile degli effetti sul cervello del fumo e quindi anche della dipendenza fisica;
  3. catrame, che contiene molte sostanze cancerogene come benzopirene e altri idrocarburi aromatici;
  4. acetone, come quello usato per togliere lo smalto dalle unghie;
  5. ammoniaca;
  6. arsenico;
  7. formaldeide;
  8. acido cianidrico;
  9. nitrosamine;
  10. sostanze radioattive e molte altre.

Si ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene, l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo è meno potente di altre sostanze, ma è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in grandi quantità; l’arsenico è particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo; il benzene è responsabile di una quota significativa (dal 10 al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione tossica.

Tra le sostanze radioattive è di particolare rilievo il polonio 210: una recente analisi del contenuto di polonio radioattivo in sigarette di diverse marche diffuse in Italia ha dimostrato che in un anno, in media, chi fuma circa un pacchetto al giorno corre lo stesso rischio biologico che se si sottoponesse a 25 radiografie del torace. Depositandosi nei polmoni, infatti, questa sostanza li espone ad altissime dosi di radiazioni ad alta energia che possono indurre mutazioni potenzialmente cancerogene nel DNA.

Come le radiazioni, anche molte sostanze chimiche contenute nel catrame di sigaretta danneggiano il DNA delle cellule, provocando mutazioni che possono spingere la cellula verso una crescita incontrollata. Il benzopirene, uno degli idrocarburi policiclici aromatici più studiati, tende per esempio a mettere fuori uso il gene che codifica per la proteina p53, uno dei meccanismi fondamentali per proteggere l’organismo dal cancro.

La miscela delle varie sostanze inalate con il fumo di sigaretta potenzia gli effetti negativi sull’organismo, rispetto a quelli che avrebbe ciascuna molecola presa singolarmente.. Un esempio di questo effetto sinergico si ha, per esempio, con il cromo che, agendo come una colla, fa aderire più saldamente gli idrocarburi al DNA, favorendo le mutazioni che questi possono provocare. Altri esempi sono l’arsenico e il nichel, che interferiscono con i normali meccanismi di riparazione del DNA, deputati a correggere gli errori a mano a mano che si verificano. In questo modo le interazioni fra le diverse sostanze amplificano i danni provocati sul materiale genetico.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo possono infine favorire lo sviluppo dei tumori in maniera indiretta: ostacolando i meccanismi di rimozione di altre tossine, per esempio distruggendo le ciglia delle cellule che rivestono le vie respiratorie, come fanno ammoniaca e acido cianidrico; o bloccando gli enzimi che le trasformano in sostanze meno pericolose, come fa il cadmio.

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Sigaretta elettronica “dannosa per i polmoni”. Lo studio Una ricerca dell’Università di Atene solleva molti dubbi sulla efficacia della sigaretta elettronica

Sigaretta elettronica sì o no? Vera alternativa alle bionde o minaccia per la salute? Secondo i dati raccolti da una ricerca dell’Università di Atene lasigaretta elettronica sarebbe addirittura dannosa per i polmoni. Questa ricerca presentata al recente Congresso della European Respiratory Society dice senza mezzi termini che anche la e-cig può danneggiare bronchi e polmoni come le tradizionali sigarette di tabacco. Infatti la sigaretta elettronica è come un “aerosol di nicotina”: in pratica, con questo dispositivo la nicotina è diffusa attraverso vapore, piuttosto che fumo. Non c’è combustione come avviene nelle normali ‘bionde’, ma la nicotina contenuta in questo piccolo apparecchio è pur sempre un derivato del tabacco. 

La ricerca dell’universita’ di Atene ha voluto affrontare la questione degli effetti a breve termine delle ‘e-cig’, su persone diverse: ha coinvolto 8 individui che non avevano mai fumato e 24 tabagisti, di cui 11 con funzione polmonare normale e 13 con Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) o asma. Ogni volontario ha utilizzato una sigaretta elettronica per 10 minuti. I ricercatori greci hanno poi misurato l’aumento della resistenza delle vie aeree (broncocostrizione) mediante una serie di test, compreso quello spirometrico.

I risultati hanno mostrato che, nei soggetti sani, c’è stato un aumento statisticamente significativo della resistenza delle vie aeree in media del 182-206%, che perdura per 10 minuti. Nei fumatori con spirometria normale, l’aumento è risultato in media pari a +176-220%. Nei pazienti con Bpco e asma, l’uso di una e-cig sembra invece non avere un effetto immediato. La comunità medica è quindi più divisa che mai sull’efficacia delle sigarette elttroniche come strumento per combattere la dipendenza dal fumo.

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Cioccolato: passione e dipendenza Pur di mangiarlo si supera il dolore

Che il cioccolato dia dipendenza, al pari della nicotina, è da tempo scientificamente provato. Ma secondo uno studio italiano, condotto sui topi dall’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, il cioccolato può diventare una tale passione e dipendenza da vincere anche il dolore, pur di addentarlo
Il cioccolato può diventare una tale passione e dipendenza da vincere anche il dolore, pur di addentarlo: lo dimostra uno studio italiano secondo cui, quindi, le dipendenze e i disturbi alimentari, come le tossicodipendenze, possono essere così forti da superare anche stimoli fastidiosi e dolorosi pur di soddisfare il proprio desiderio da cibo proibito. 

Lo studio è stato condotto presso l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma e diretto da Rossella Ventura, dell’Università dell’Aquila. Al cioccolato sono state attribuite una serie di doti così salutari quasi da far dimenticare quanto questo cibo sia insidioso per la silhouette. Nel corso degli ultimi anni, infatti, è stato un susseguirsi di studi che lo elogiavano per i suoi effetti benefici per il sistema cardiocircolatorio e in generale per gli effetti positivi indotti dal suo alto contenuto in antiossidanti, soprattutto se parliamo del fondente. Di recente poi si è anche scoperto che il cioccolato è un antidolorifico, infatti i topolini non avvertono stimoli dolorosi (calore prodotto sul pavimento della gabbiette e quindi sotto le loro zampine) mentre mangiano la cioccolata.

Adesso lo studio italiano dice ancora un’altra cosa: i ricercatori hanno dimostrato infatti che topolini cioccolato-dipendenti vincono il dolore prodotto da piccoli shock elettrici pur di arrivare a mangiare il cioccolato posto nella stanzetta “elettrizzata”. «Abbiamo prima indotto i topolini a sviluppare una compulsione per il cioccolato – ha spiegato Ventura all’Ansa – sottoponendoli a forte restrizione calorica (dieta stretta) per un certo periodo». 

Poi i ricercatori hanno osservato il comportamento di questi topi cioccolato-dipendenti nei confronti di uno stimolo fastidioso, una lieve corrente elettrica indotta nella gabbietta contenente il cioccolato. I cioccolatomani hanno superato senza esitazione il fastidio pur di arrivare al cioccolato. Invece i topolini non dipendenti non hanno affrontato la corrente e hanno rinunciato al cioccolato piuttosto che scottarsi. 

Infine gli esperti hanno anche visto che fermando nella corteccia prefrontale mediale il neurotrasmettitore noradrenalina i topolini cioccolato-dipendenti perdono interesse per il cioccolato e non sono più disposti ad affrontare lo shock elettrico pur di mangiarlo. La scoperta, ha concluso la Ventura, indica in prospettiva la possibilità che modulando la noradrenalina si possa contribuire al controllo dei disturbi alimentari.

Fonte: Ansa

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