Un valido aiuto quando le buone intenzioni non bastano Smettere di fumare il Metodo Zuffante

Copia di Smettere_di_fumare_zuffante_testata
Di Luca Delpozzo

Smetto quando voglio. Non è solo il titolo di un film, ma anche quella sorta di autoas­so­lu­zione che ci diamo quando, presa una brutta abi­tu­dine, pen­siamo di essere in grado di gestirla o per­derla senza pro­blemi. Una con­vin­zione che molto spesso, in effetti, si rivela errata.

Tra le tante cat­tive abi­tu­dini prese con leg­ge­rezza sotto il cap­pello dello “smetto quando voglio” c’è sicu­ra­mente il taba­gi­smo. Tanti fuma­tori avreb­bero già voluto smet­tere, ma tra il volere e il fare il passo non è così breve soprat­tutto quando la volontà si scon­tra con la chi­mica del nostro organismo.

Stefano_calogero_zuffanteUn aspetto stu­diato anche dal dot­tor Calo­gero Zuf­fante, a lungo Pri­ma­rio di Ane­ste­sia e Ria­ni­ma­zione all’Ospedale di Clu­sone, che nel 1978 mise a punto il suo metodo per smet­tere di fumare: il Metodo Zuf­fante®. Un metodo che parte da un approc­cio inno­va­tivo: l’utilizzo della refles­so­lo­gia auri­co­lare fina­liz­zata alla pro­du­zione di endor­fine  per com­pen­sare la man­canza di nicotina.

Ini­zial­mente, il dot­tor Zuf­fante svi­luppa il suo metodo tra­mite l’applicazione delle cosid­dette “graf­fette anti­fumo” e lo testa su nume­rosi pazienti presso il primo cen­tro anti­fumo pre­sente in un ospe­dale pub­blico, quello da lui fon­dato, appunto, presso il noso­co­mio di Clu­sone. I suoi studi non si fer­mano nono­stante l’altissima per­cen­tuale di risul­tati posi­tivi; il per­fe­zio­na­mento della meto­dica con­ti­nua sia in ter­mini di moda­lità e per­so­na­liz­za­zione della sti­mo­la­zione che di risul­tati definitivi.

Un pro­getto ambi­zioso che nel corso degli anni ha visto aumen­tare il numero e la varietà dei pro­fes­sio­ni­sti coin­volti; dalla metà degli anni Ottanta, anche il figlio del Dott. Zuf­fante, Ste­fano, natu­ro­pata spe­cia­liz­zato in kine­sio­lo­gia, si aggiunge alla squa­dra, viag­giando con il padre in Ita­lia e all’estero. A oggi, è il solo pro­fes­sio­ni­sta in grado di appli­care, esclu­si­va­mente presso il suo stu­dio a Clu­sone, l’originale Metodo Zuf­fante che, per le sue spe­ci­fi­cità e dif­fi­coltà, neces­sita di un’esecuzione per­so­na­liz­zata e di pre­ci­sione asso­luta.

Il Metodo Zuf­fante si basa sui prin­cipi della refles­so­lo­gia auri­co­lare e sulla capa­cità di sti­mo­lare il sistema ner­voso a pro­durre, in bre­vis­simo tempo, grandi quan­tità di endor­fine, mor­fine endo­gene che donano all’organismo un forte senso di benessere.

La nico­tina assunta da un fuma­tore, infatti, attra­verso gli alveoli pol­mo­nari e i vasi della bocca e della laringe entra nel san­gue e passa poi al cer­vello: qui prende il posto di parte delle endor­fine natu­ral­mente pre­senti, di fatto ridu­cen­done la pro­du­zione e aumen­tando pro­gres­si­va­mente il biso­gno di nico­tina. Que­sta è la causa della dipen­denza dal fumo, e la rela­zione tra ridu­zione di pro­du­zione di endor­fine e biso­gno di nico­tina è tanto più mar­cata quanto più il fuma­tore è accanito.

Pro­prio per que­ste ragioni la sola forza di volontà può non essere suf­fi­ciente per smet­tere defi­ni­ti­va­mente di fumare: il cer­vello del fuma­tore non è infatti in grado di pro­durre fin da subito la quan­tità di endor­fine neces­sa­ria al benes­sere del suo orga­ni­smo, e que­sta carenza pro­voca la cosid­detta crisi di asti­nenza, che si mani­fe­sta non solo con lo smo­dato desi­de­rio di fumare, ma anche con ner­vo­si­smo, ansia, irri­ta­bi­lità e per­sino sin­tomi fisici quali crampi allo sto­maco e gira­menti di testa.

Secondo quanto dimo­strato su migliaia di pazienti pro­ve­nienti da tutta l’Italia e da ogni parte del mondo, il Metodo Zuf­fante pro­duce una sti­mo­la­zione dolce e non inva­siva di un punto par­ti­co­lare dell’orecchio; così facendo per­mette al fuma­tore di opporsi senza dif­fi­coltà alla neces­sità di assu­mere nico­tina. Come? Attra­verso un imme­diato aumento della pro­du­zione di endor­fine e di con­se­guenza, della sen­sa­zione di appa­ga­mento che eli­mina i sin­tomi della crisi di astinenza.

Stefano_Zuffante_smettere_di_fumareLa sti­mo­la­zione effet­tuata da Ste­fano Zuf­fante presso il suo stu­dio di Clu­sone è molto intensa, in grado di garan­tire non sol­tanto ottimi risul­tati imme­diati ma anche un’azione pro­lun­gata. Non solo non è inva­siva, è indo­lore, priva di effetti col­la­te­rali, ma vin­cente sulla lunga distanza: le sta­ti­sti­che perio­di­che effet­tuate su cam­pioni di per­sone anche a distanza di molti anni dall’unica seduta pre­vi­sta, con­ferma una riu­scita tra il 95% e il 96% dei fuma­tori a 40 giorni del trat­ta­mento. La pos­si­bi­lità di rica­duta nel vizio del fumo si atte­sta su una per­cen­tuale bas­sis­sima, oscil­lante tra l’8 e il 9% nei primi 18 mesi dall’unico trat­ta­mento ricevuto.

Smetto (di fumare) quando voglio quindi non solo è pos­si­bile, ma è più sem­plice e rapido di quanto si possa pen­sare e se è con un pic­colo aiuto poco male, in fondo non si è mai detto: smetto “da solo” quando voglio.

Stefano_calogero_zuffante
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Stafano_zuffante_clusone

 

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Se ho già sviluppato un tumore, che senso ha smettere?

 

Anche per chi ha già un tumore, vale la pena smettere di fumare. Diversi studi hanno dimostrato che la rinuncia alla sigaretta migliora l’andamento della malattia: un’analisi condotta da ricercatori dell’Università di Birmingham su altre 10 ricerche e pubblicata sul British Medical Journal dimostra, in particolare, che le persone a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in fase iniziale, possono raddoppiare le loro chance di sopravvivenza smettendo subito di fumare.

Altre ricerche hanno assodato che il fumo può ridurre la risposta alla chemio e alla radioterapia, ostacolare la guarigione delle ferite chirurgiche, aumentare il rischio di infezioni, soprattutto broncopolmonari, che possono essere molto pericolose in un organismo debilitato dalla malattia o in cui le difese immunitarie sono depresse dalle cure.

Infine, continuando a fumare, si alimenta il rischio che, una volta guariti dalla malattia, questa si ripresenti, oppure che si sviluppi un secondo tumore.

Molto ancora però, in questo campo, potrebbe essere fatto per colmare l’attuale lacuna tra linee guida, organizzazione dei servizi che aiutano a smettere di fumare e la pratica clinica quotidiana.

http://www.airc.it

Se ho già sviluppato un tumore, che senso ha smettere?

 

Anche per chi ha già un tumore, vale la pena smettere di fumare. Diversi studi hanno dimostrato che la rinuncia alla sigaretta migliora l’andamento della malattia: un’analisi condotta da ricercatori dell’Università di Birmingham su altre 10 ricerche e pubblicata sul British Medical Journal dimostra, in particolare, che le persone a cui viene diagnosticato un cancro al polmone in fase iniziale, possono raddoppiare le loro chance di sopravvivenza smettendo subito di fumare.

Altre ricerche hanno assodato che il fumo può ridurre la risposta alla chemio e alla radioterapia, ostacolare la guarigione delle ferite chirurgiche, aumentare il rischio di infezioni, soprattutto broncopolmonari, che possono essere molto pericolose in un organismo debilitato dalla malattia o in cui le difese immunitarie sono depresse dalle cure.

Infine, continuando a fumare, si alimenta il rischio che, una volta guariti dalla malattia, questa si ripresenti, oppure che si sviluppi un secondo tumore.

Molto ancora però, in questo campo, potrebbe essere fatto per colmare l’attuale lacuna tra linee guida, organizzazione dei servizi che aiutano a smettere di fumare e la pratica clinica quotidiana.

Come si fa a smettere di fumare?

Come si fa a smettere di fumare?

Non esiste un sistema per smettere che vada bene per tutti, anche perché diverse sono le motivazioni che spingono i fumatori e le modalità dell’abitudine al fumo, così come le caratteristiche psicologiche e fisiche, gli stili di vita e il tipo di attività professionale, e perfino le varianti genetiche da cui può dipendere una maggiore o minore predisposizione alla dipendenza fisica.

La semplice forza di volontà molte volte non basta, neppure con l’aiuto dei tanti libri in commercio. Se si vuole provare da soli, è importante stabilire degli obiettivi precisi, come ad esempio un giorno adatto a spegnere l’ultima sigaretta, nel quale non si prevedano eventi particolarmente stressanti, non si debbano frequentare ambienti che possono indurre in tentazione e nel quale ci si possa dedicare ad altre attività piacevoli che possano distrarre dal desiderio di fumare. Programmare un’attività fisica che sia congeniale, per esempio, aiuta molto.

Se però il fai-da-te fallisce, non bisogna scoraggiarsi. Conviene rivolgersi al proprio medico di famiglia o a uno dei centri antifumo accreditati, dove si utilizzano metodi per smettere di fumare certificati dalla letteratura internazionale, si può trovare un aiuto competente e un supporto utile nei momenti di difficoltà, ricordando che smettere non è facile, mentre facilissimo è ricadere. La maggior parte degli ex fumatori non è riuscita a liberarsi dalla sigaretta se non dopo ripetuti sforzi, e a ogni nuovo tentativo le probabilità di riuscita aumentano.

Non bisogna temere di ricorrere agli aiuti che si possono acquistare in farmacia. Ai sintomi dell’astinenza provocati dalla dipendenza fisica indotta dalla nicotina (agitazione, stanchezza, irritabilità, insonnia o difficoltà di concentrazione) si può rimediare utilizzando i prodotti sostitutivi (cerotti, inalatori o gomme da masticare), che liberano una quantità di sostanza sufficiente a eliminare i disturbi, riducendone gradualmente la necessità.

Sotto controllo del medico questi mezzi possono essere utilizzati anche in gravidanza, perché i loro possibili effetti negativi sono comunque inferiori a quelli del fumo, che oltre alla nicotina contiene molte altre sostanze tossiche per il feto.

Se questi non bastano, ci si può rivolgere al proprio medico che saprà indicare i medicinali più adatti.
In molti casi si è rivelato utile anche il supporto di uno psicologo adeguatamente formato.
Della validità delle sigarette elettroniche come mezzo per abbandonare il fumo, invece, nonostante i proclami della pubblicità, non ci sono ancora prove. Sono però iniziati studi per verificare se anche questi dispositivi possono sostenere la volontà di smettere.

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Quali sono gli effetti del fumo passivo?

È ormai stato ampiamente dimostrato che i danni del fumo si estendono anche a chi, per il fatto di vivere o lavorare insieme a uno o più fumatori, è stato costretto a respirare per anni sia il fumo emesso dal fumatore dopo che lo ha inalato (mainstream smoke), sia quello liberato direttamente dalla combustione della sigaretta (sidestream smoke). Ormai ci sono prove inequivocabili che il fumo passivo è responsabile di almeno una quota dei tumori al polmone nei non fumatori, oltre che di malattie cardiache, asma e altri disturbi meno gravi. È stato infatti calcolato che aver respirato il fumo altrui aumenta di circa il 25 per cento il rischio di tumore al polmone e di malattie al cuore di un non fumatore. Ci sono poi indicazioni, ancora da dimostrare definitivamente, che tale esposizione possa favorire anche lo sviluppo di tumori al seno e un andamento più sfavorevole della malattia.

Uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Lancet, a opera di esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha calcolato che al fumo passivo siano da attribuire complessivamente 600.000 morti l’anno, 165.000 dei quali sono i bambini che vivono in casa con un fumatore.

I danni del fumo passivo sono infatti particolarmente gravi nei più piccoli, il cui organismo è ancora in fase di sviluppo. I neonati esposti al fumo sono più soggetti alla SIDS (sudden infant death syndrome), la cosiddetta “morte in culla” nel primo anno di vita; anche passato questo pericolo, i bambini che vivono con fumatori restano più vulnerabili nei confronti delle infezioni polmonari.

Sulla base di queste prove scientifiche molti Paesi hanno adottato normative severe relative al fumo nei luoghi pubblici e sui posti di lavoro, che in alcuni casi si estendono anche a spazi all’aperto, per esempio i campi gioco dei bambini. Molti obiettano che non ha senso preoccuparsi del fumo passivo, quando viviamo in città tanto inquinate. Ferma restando l’assoluta necessità di intervenire sulla qualità dell’aria, è anche vero che, a parità di esposizione ad altre sostanze, è sempre il fumo a fare la differenza. Numerose ricerche scientifiche pubblicate negli ultimi 20 anni hanno inoltre dimostrato che l’inquinamento indoor, cioè negli ambienti chiusi come case, uffici, bar, è molto più pericoloso di quello all’aperto. Ciò perché si trascorre in genere molto più tempo all’interno che all’aria aperta e perché, date le piccole dimensioni degli spazi chiusi, la presenza di fonti di inquinamento interne, di cui il fumo di sigaretta è la fonte principale, porta le concentrazioni di gas e polveri a livelli molto più alti.

Si parla infine anche di fumo di “terza mano”: è il possibile effetto tossico delle sostanze liberate dalla combustione del tabacco e che possono impregnare con il loro odore gli ambienti, in particolare i tessuti dei capi di abbigliamento o quelli di arredamento, come tende, tappeti, copriletti o poltrone e divani. A tutt’oggi non ci sono prove dell’effetto cancerogeno di queste tossine, altrettanto convincenti di quelle riguardanti il fumo di “seconda mano”, cioè inalato involontariamente da un non fumatore in presenza di chi fuma. Molti ricercatori tuttavia stanno indagando anche in questa direzione.

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Immagini-shock, nemmeno sui pacchetti spaventano i fumatori

Cigarettes-pack

L’astinenza dal fumo inibisce l’attività dell’amigdala, l’area del cervello che controlla la paura. Lo dimostra uno studio tedesco pubblicato dalla rivista Human Brain Mapping, secondo cui per un fumatore è sufficiente stare lontano 12 ore dalle sigarette per perdere il controllo dei centri che servono a percepire la paura.

 

Per questo motivo, spiegano i ricercatori, se l’intento è quello di spingere ad abbandonare il vizio del fumo, servirebbero a poco le immagini di tumori al polmone che Stati Uniti e Comunità Europea vorrebbero porre sui pacchetti di sigarette. “In chi smette di fumare l’attività del centro della paura si riduce così tanto che non è più recettiva a queste foto spaventose”, spiega René Hurlemann dell’Universitätsklinikum di Bonn (Germania), coordinatore della ricerca. Tuttavia, queste immagini potrebbero essere utili per dissuadere i non-fumatori dal cedere al vizio. In chi non fuma, infatti, l’amigdala è normalmente attiva e la paura è pronta a centrare l’obiettivo.

 

Per dimostrarlo i ricercatori hanno eseguito scansioni cerebrali di fumatori abituali, confrontandole con quelle di non-fumatori, mentre osservavano immagini di volti felici, impauriti o con espressione neutrale. Normalmente l’amigdala si attiva alla vista dei volti impauriti, ma se i fumatori erano in astinenza da sigarette da almeno 12 ore il processamento delle emozioni risultava fortemente compromesso.

di Silvia Soligon (05/09/2011)

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