Sigarette elettroniche, ancora vittime in Usa

Sigarette elettroniche, ancora vittime in Usa: sotto accusa i liquidi. Pacifici (Iss): ‘E-cig da considerare al pari di quelle tradizionali’

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Finora negli Stati Uniti sono stati cinque i decessi legati all’utilizzo, mentre sono saliti a 450 i casi di malattia polmonare riscontrati. Il direttore del Centro nazionale dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità: “Non esistono studi in merito. Per questo dobbiamo avere un atteggiamento di massima prudenza”

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Usa, via libera all’alcool in polvere ma scoppia la polemica

Via libera alla vendita del Palcohol. Preoccupazione per i minorenni che potrebbero consumarlo come bibita, ma anche di sniffarlo

 – Sab, 14/03/2015 – 15:38

Alcool in polvere da mescolare alle bevande per ottenere un drink in pochi secondi: è la novità che ha ottenuto l’approvazione da parte dell’autorità regolatoria federale americana.

Il prodotto, denominato Palcohol (ossia “powdered alcohol”, alcol in polvere), aveva ricevuto il semaforo verde dall’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau, ma poi l’ufficio aveva fatto marcia indietro, spiegando che c’erano stati dei problemi con le etichette.

Problemi che sono stati ora risolti, come riportano i media d’Oltreoceano, e dunque quattro varietà di Palcohol (Cosmopolitan, Margarita, vodka e rum, e a breve anche limone) sono state regolarmente autorizzate. È facoltà dei singoli stati, comunque, regolare o vietare la vendita di alcol in polvere all’interno dei loro confini.

E così hanno già fatto diversi stati, preoccupati per il possibile abuso da parte dei minorenni, che potrebbero trovare il modo non solo di consumarlo come bibita, ma anche di sniffarlo: il peso leggero di una bustina di Palcohol renderebbe facile nasconderlo alle autorità. In particolare hanno proibito il Palcohol Louisiana, South Carolina, Vermont, Alaska e proposte simili sono in discussione in Michigan, Minnesota, New Jersey, New York e Ohio. La compagnia che lo produce punta comunque a mettere in commercio il nuovo prodotto entro l’estate.

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Il video choc: Basta fumare

L’agenzia governativa degli Usa ha fatto andare in scena vari vecchi fumatori,tra i quali Terrie, che aveva cominciato a fumare all’età di 13 anni. La donna spiega in un video brutale come si prepara la matina prima di uscire: si mette la dentiera, la parrucca e la sua laringe elettronica, che le permette di esprimersi. Poi si lega un foulard intorno al collo per nascondere il buco nella sua trachea. La campagna è costata in totale 54 milioni di dollari, come ha precisato il Centro di controllo e prevenzione delle malattie. L’istituto stima che saranno soldi ben investiti anche perché secondo i primi rilevamenti circa 100 mila persone hanno smesso di fumare e circa un milione e mezzo hanno tentato di smettere. Tre volte in più dell’obiettivo iniziale.

VIDEO

Cancro: ebbene sì, in Usa si studia il bicarbonato

Maurizio Blondet – tratto dal sito Effedieffe – http://www.effedieffe.com/

Anzitutto la notizia, segnalata da un lettore: 
«Il National Institute of Healt ha asssegnato un finanziamento di 2 milioni di dollari al dottor Mark Pagel, del Cancer Center dell’Università dell’Arizona, per affinare la sua ricerca sull’uso del bicarbonato di sodio nella terapia del cancro al seno».
Presto «comincerà una sperimentazione clinica sugli effetti del bicarbonato contro il cancro sugli esseri umani. (…) Precedenti ricerche sui ratti hanno dimostrato che il bicarbonato per via orale aumenta il pH tumorale (ossia diminuisce l’acidità) e riduce le metastasi del cancro al seno e alla prostata».

Così, a quanto pare, avrebbe ragione l’oncologo italiano Tullio Simoncini, che è stato radiato dall’Ordine dei medici perchè pretende di trattare il cancro inondando la zona di bicarbonato al 5%.

La notizia americana vendica anche il dottor Stefano Fais, gastroenterologo, che da anni cerca di promuovere il trattamento del cancro con somministrazione di «inibitori della pompa protonica» (nome sofisticato per i comuni farmaci antiacidi, che sono somministrati per l’ulcera). Il dottor Fais è sicuro che tali anti-acidi (lui usa il lansoprazolo) possono addirittura bloccare i tumori che sono diventati resistenti alla chemioterapia; ma non riesce a trovare cliniche disposte ad avviare una sperimentazione clinica su pazienti volontari; e ciò nonostante il dottor Fais non sia affatto un medico «selvaggio», bensì un direttore dell’ufficialissimo Istituto Superiore di Sanità, e più precisamente direttore del Dipartimento dei farmaci tumorali nel suddetto Istituto. Dunque uno che, quando parla, dovrebbe essere ascoltato: invece il dottor Fais s’è spesso lamentato anche sui media di «non riuscire a trovare un ospedale disposto a provare a trattare i cancerosi coi soli antiacidi», ottenendo al massimo che vengano usati insieme alla chemioterapia; anche se adesso sembra che qualcosa stia cambiando in meglio (QeA With Dr Stefano Fais – PPI and Cancer).

Tutti e tre i medici, l’americano Pagel e i due italiani, seguono lo stesso razionale, del resto ben noto a tutti gli oncologi: il tumore prospera in ambiente acido ed anzi lo genera attorno a sé, con ciò favorendo le metastasi; le cellule normali infatti muoiono in quell’alto livello di acidità in cui il cancro cresce. Dunque aumentare l’alcalinità dei circostanti tessuti, con il bicarbonato o gli anti-acidi, contrasta il proliferare delle cellule tumorali e pare che le obblighi ad auto-eliminarsi (apoptosi).

Anche le diete anti-cancro oggi raccomandate – abolizione della carne rossa, dei formaggi fermentati e riduzione delle proteine animali in genere, rinuncia agli zuccheri e carboidrati raffinati, e invece grandi quantità di verdura come cavoli e broccoli – sono diete alcalinizzanti. Il sangue umano, se sano, è lievemente alcalino (pH 7,4), e più è reso «acido» da diete carnee, meno bene ossigena le cellule; il mare è alcalino decisamente (pH 8,1), le acque minerali curative ancora di più (fra 9 e 11).

Dell’efficacia della terapia Simoncini posso testimoniare: un mio conoscente americano con cancro al fegato e pancreas quarto stadio, viene a Roma tutto giallo per ittero – la massa tumorale schiaccia il dotto biliare e lo occlude, sicchè la bile circola nel sangue – e con il prurito insopportabile collegato all’itterizia. Simoncini gli fa praticare una piccola apertura chirurgica sul ventre, e attraverso questa lo stesso paziente si inietta, più volte al giorno, siringoni di acqua e bicarbonato al 5%. Ebbene: in pochi giorni l’ittero scompare e sparisce il prurito, segno inequivocabile che la masssa tumorale s’è ridotta. Purtroppo il paziente è morto qualche settimana dopo a causa di una setticemia, perchè il sistema immunitario di un canceroso è ovviamente indebolito – altrimenti non si sarebbe sviluppato il tumore.

S’intende, quella di Simoncini non è la cura del cancro; esso può tornare. Ma è certo che ha migliorato la qualità della vita, e so di pazienti che sono invece completamente guariti – probabilmente perchè il sistema immunitario, che sorveglia ed elimina le cellule anomale che il nostro organismo produce nella mitosi fin dal loro apparire, aveva superato lo squilibrio, ed era tornato alla sua attiva funzione di «sorveglianza».
Il punto è che nemmeno la chemioterapia è la «cura» del cancro, e pretende di ottenere una riduzione del volume o rallentamento della proliferazione, ciò che a quanto pare Simoncini (e il dottor Fais) ottengono con l’alcalinizzazione dei tessuti, e senza effetti collaterali.

Resta da spiegare questo fatto: come mai in USA, un medico che studia la terapia col bicarbonato riceve un finanziamento pubblico di 2 milioni di dollari, in Italia, viene processato per truffa e omicidio colposo, radiato dall’albo dei medici e disonorato, come si faceva una volta (ora non più) per i medici che procuravano aborti?
In Italia, ai medici ospedalieri è vietato consigliare trattamenti alternativi alla chemioterapia ufficiale per contratto (vien loro fatta firmare una apposita clausola) e sotto pena di licenziamento. Per stroncare la terapia Di Bella, la ministra della Sanità di allora, Rosy Bindi, fece cancellare dal prontuario nazionale i farmaci che Di Bella usava, onde non poterono nemmeno essere prescritti (persino l’innocua melatonina, oggi in vendita nei supermercati, i pazienti dovevano farsela mandare dalla Svizzera). Da ultimo il caro dottor Paolo Rossaro di Padova, che cura con l’acido ascorbico in vena ad alte dosi (un protocollo adottato dalla clinica universitaria del Kansas), è stato sospeso e condannato a pagare 500 mila euro per danni ai parenti di un paziente morto dopo, o nonostante, il trattamento.

Un giorno ci si dovrà spiegare come mai l’oncologia ufficiale, che inietta ai pazienti sostanze che «mettono l’inferno nel corpo dei malati» (com’ebbe a dire il professor Vittorio Staudacher, membro del Comitato Etico dell’Istituto Nazionale dei Tumori), è riuscita a creare in Italia un simile clima di chiusura verso ricerche promettenti, e di persecuzione di chi le sperimenta.
Naturalmente è difficile chiamare in causa per questa situazione Umberto Veronesi, di professione miliardario, e della sua sinistra egemonia nella cancerologia italiana; probabilmente bisogna chiamare in causa i vasti interessi delle multinazionali farmaceutiche, che da queste «cure» ricavano miliardi (ogni malato di cancro costa al servizio sanitario, con gli attuali protocolli chemioterapici, 60-80 mila euro l’anno), di cui Veronesi e la sua covata di oncologi è solo l’espressione.

Non si dimentichi che la conferma che il bicarbonato riduce il volume dei tumori molto meglio che le chemioterapie citotossiche, segnerebbe la fine ingloriosa di schiere di cattedratici universitari, di folle di primarii pagatissimi, e di linee di ricerca fallimentari: tutta gente che diverrebbe inutile. È logico che difendano le loro posizioni, anche a prezzo della vita dei malati.
E tuttavia, come si constata, in USA è ancora possibile sperimentare trattamenti alternativi, senza finire in galera; solo in Italia esistono argomenti-tabù fino al punto che forze di potere, dalla magistratura ai politici ad «oncologi» miliardari, reagiscono a chi prova ad infrangerli distruggendo la persona, professionalmente e umanamente, gli tappa la bocca, li condanna per omicidio (ma quanti ne ha uccisi la chemio? Quanti ne ha uccisi Veronesi? Non si calcola mai).

Alla fine, quella che poteva essere una gloria italiana, e passare alla storia come «protocollo Simoncini» o «protocollo Fais», si chiamerà invece «Protocollo Pagel». Ma anche questo è un evento ricorrente, nella storia italiana.

www.disinformazione.it

COMMERCIO DI ORGANI: COINVOLTI USA FRANCIA TURCHIA, TESTIMONIANZA REALE

I cittadini di USA, Francia e Turchia insieme ai terroristi d’opposizione sono coinvolti nel contrabbando di organi umani dalla Siria, comunica il canale TV libanese Al-Mayadin .
Fonti turche che hanno familiarità con il movimento dei medici americani e francesi hanno fatto sapere che vi è una rete per il traffico di organi umani di diversi paesi comprende oltre alla Turchia funzionari francesi e degli Stati Uniti, dove i membri di questa rete praticavano uccisioni sistematiche di siriani che vivono nei campi di profughi sul territorio turco.
Barakat Fares scrittore e analista politico turco ha sottolineato in un suo discorso “che il commercio di organi non è una novità in Turchia, e che da anni esiste una rete sionista attiva nel campo del commercio di organi, in particolare i reni e il fegati.”

Fares ha rivelato che “la crisi e la guerra in Siria ha intensificata l’attività di queste reti sul confine turco-siriano, che ora operano più liberamente di quanto non fosse in passato, e ci sono dei siriani che lavorano dall’interno della Siria insieme a medici di diverse nazionalità attraverso dei ospedali mobili con la scusa di soccorre i feriti.”
Secondo i testimoni, la vastità di questo “business” ha nel nord della Siria, dove le operazioni si eseguono non solo sui cadaveri, ma anche sui corpi dei feriti. Gli organi estratti poi vengono portati in Turchia.
Precedentemente è stato comunicato che i terroristi che uccidono i civili in Siria, ricevono grandi somme in cambio di qualsiasi cadavere o ferito che riescono a trasportare dal Paese in modo illegale.

Usa, si è ammalato per colpa dei popcorn «Va risarcito con 7 milioni di dollari»

di Angela Geraci

Dopo una lunga battaglia legale arriva la sentenza: Wayne Watson ha diritto al maxi risarcimento. Ha contratto la bronchiolite obliterante a causa del mais per microonde

Wayne Watson oggi ha 59 anni e ha vinto una grande battaglia. Quella contro l’azienda che produce i popcorn per microonde che lui ha mangiato per anni, inconsapevole del fatto che lentamente si stesse avvelenando. Con la stessa guerra legale ha trascinato in tribunale anche la catena di negozi da cui comprava il mais, la Kroger. Mercoledì, quando in Italia era notte fonda, i giudici di un tribunale federale del Colorado gli hanno dato ragione: la ditta e il rivenditore devono risarcire Wayne con 7,2 milioni di dollari (circa 5,5 milioni di euro). Entrambi sono colpevoli di non aver informato correttamente i consumatori dei rischi che correvano mangiando quei popcorn da mettere nei microonde. Wayne adesso soffre di bronchiolite obliterante, una malattia cronica e irreversibile che rende difficile la respirazione. È stata causata da un ingrediente contenuto in quel mais scoppiato che ha consumato a lungo: il diacetile.



IL PROFUMO DEL BURRO – A Watson la malattia è stata diagnosticata nel 2007 al Denver’s National Jewish Health, un centro specializzato nelle malattie respiratorie. Da anni, ogni giorno, l’uomo inalava il profumo di burro artificiale dei suoi amati popcorn. Il diacetile, infatti, è un ingrediente naturale che serve proprio a dare il sapore e il profumo del burro ai chicchi di mais da mettere in forno. A capire il collegamento tra la malattia e i popcorn è stata la dottoressa Cecile Rose: a lungo consulente per l’industria degli aromi naturali, aveva riscontrato la bronchiolite obliterante nei lavoratori esposti alla stessa sostanza. Non a caso la patologia è conosciuta anche come «malattia dei lavoratori del popcorn» e colpisce molti operai degli stabilimenti alimentari, che passano ore a contatto con additivi e sostanze chimiche.

RICORSI ANNUNCIATI – I giudici – dopo 24 ore in camera di consiglio e nove giorni di processo – hanno stabilito che a pagare l’80% del risarcimento sia l’azienda produttrice; il restante 20% è invece a carico della catena di negozi che vendeva il prodotto. Tutte e due le società hanno immediatamente fatto sapere che faranno ricorso contro la decisione della Corte. Ma il verdetto sul caso di Wayne è un passo importante che potrebbe sbloccare altre cause simili ancora pendenti in Iowa e nello stato di New York.



fonte: http://www.corriere.it/salute/12_settembre_20/risarcimento_popcorn_255c5780-02d9-11e2-a615-3f0c0f40ef8a.shtml

Usa, gli vendono gratta e vinci sbagliato: vince un milione di dollari

Braintree (Massachusetts, Usa), 17 ago. (LaPresse/AP) – Quando un commesso gli ha dato un gratta e vinci diverso da quello richiesto, Richard Brown di Taunton, nello Stato americano del Massachusetts, non si è lamentato e ha deciso di accettarlo. La scelta si è rivelata molto azzeccata, visto che l’uomo ha vinto un milione di dollari. Brown voleva comprare un biglietto ‘Blue ice 7s’, ma il commesso era distratto e gli ha invece dato un gratta e vinci ‘Sizzlin 7s’. Il fortunato vincitore ha raccontato che userà parte della somma per un nuovo tetto della sua casa e per un viaggio a San Francisco. Quando si dice: un errore da un milione di dollari.

Lunedì, se il vostro Pc è infetto non potrà collegarsi a Internet

 

Pc con Windows, ma anche Mac, tablet, smartphone. Se il vostro computer è stato colpito potrete avere una brutta sorpresa: il web non esisterà più. Anche per colpa dell’Fbi. Ecco come verificare se siete stati contagiatidal nostro corrispondente ANGELO AQUARO

 

NEW YORK – L’Apocalisse non può più attendere. A partire dalle prime luci di lunedì, centinaia di migliaia di computer di tutto il mondo sono a rischio infezione. Addio Internet: chiunque cercherà di avventurarsi sui siti più famosi di tutto il mondo, da Facebook ad Apple, passando per gli indirizzi perfino dell’Fbi, sarà sbattuto fuori dal world wide web. Www non più: fuori. E la cosa incredibile è che a sbatterci fuori sarà proprio l’Fbi: e per giunta per conto del tribunale di New York.

Sembra la trama di un cyberthriller e invece è realtà. E stavolta neppure la sempre più grande tribù dei Macdotati potrà ritenersi al sicuro. I computer Apple, si sa, sono molto meno esposti dei cugini rivali che girano su Windows agli attacchi dei pirati. E invece stavolta il virus è pronto colpire non solo i pc Windows e i computer della Mela ma perfino gli iPad, gli iPhone e itablet di tutti i tipi. 

La ragione è semplice: il malware ha già preso possesso dei computer infettati e scatterà appena i pc o i tablet tenteranno di collegarsi al web, agendo sull’indirizzo Dns, quello cioè che ci consente di indirizzarci per le autostrade del web. 

Ma come si è arrivati fin qui? E perché dagli Usa all’Europa nessuno può dormire tranquillo? Il Lunedì Nero dei computer arriva da lontano. È il novembre scorso quando l’Fbi annuncia di aver sgominato una pericolossima centrale di hacker che opera dalla Russia agli Stati Uniti, passando per l’Europa. I banditi sono riusciti a impossessassarsi di oltre quattro milioni di computer in tutto il mondo, mettendo su un’associazione criminale da 14 milioni di dollari. 

Non si tratta però di un ‘semplice’ virus che si attacca ai nostri pc trasformandoli in tanti bot, strumenti di una botnet, quella rete appunto di computer infettati che viene orchestrata dai delinquenti web per dirottarli su siti particolari o succhiare informazioni (e denaro). In questo caso il malware viene chiamato DnsChanger perché cambia appunto l’indirizzo Dns: in pratica il computer colpito naviga su un Internet parallelo disegnato dagli hacker in cui i siti non sono quello che appaiono. Cerchi un prodotto Apple? Vieni rimandato su un sito pirata. Vuoi scaricare un film da Netflix? Idem.

Quando scatta l’operazione antihacker l’Fbi è costretta così a ‘ricostruire’ il mondo Internet dei computer infetti mettendo in piedi una serie di server alternativi che impediscono ai pc colpiti di navigare sul web pirata. Naturalmente si tratta di una misura temporanea: decisa appunto dal tribunale di New York perché da qui parte l’operazione anti-pirateria. La misura temporanea finisce però proprio questo lunedì: 9 luglio. Da questo momento in poi, insomma, i nostri computer non saranno più protetti: ma visto che i siti pirata sono già stati bloccati, la conseguenza sarà il blocco totale di Internet. Non riusciremo più a collegarci. Black Out. Buio completo. Che fare? 

Negli Stati Uniti le grandi compagnie come At&T hanno già preannunciato di aver predisposto server di emergenza per ridirigere il traffico dei computer colpiti. E da Facebook a Google si è pure scatenata una campagna di sensibilizzazione. Basta un semplice test su un sito predisposto per l’occasione,www.dcwg.org 1 (la cui pagina italiana è curata da Telecom ed è raggiungibile a quest’indirizzo 2), per scoprire se il pc o il Mac è infetto o meno. Se il sito si illumina di verde vuol dire che il computer è pulito. Altrimenti…

Per la verità gli esperti giurano che in rete sono disponibili una serie di tool e software che permettono di ripulire il computer infetto. Ma nessuno sa ancora calcolare con esattezza quanti pc potranno essere colpiti dal blackout. Una stima della rivista specializzata PcWorld parla di 275mila computer ancora infetti in tutto il mondo. Solo 45mila sarebbero quelli a rischio negli Usa. Il che per noi è naturalmente una brutta notizia: perché molto più pericolosa sarebbe quindi la situazione dall’Asia all’Europa. Certo, insistono gli esperti, poche centinaia di migliaia di computer sono nulla rispetto ai milioni colpiti da Zeus, SpyEye e gli altri virus in giro per il mondo. E certo: saranno anche nulla. Ma sai che sorpresa se lunedì accendi il computer e scopri che l’Apocalisse si è scatenata proprio sulla tua nullità?