Cannabis, il consumo prolungato espone al rischio di patologie fisiche e psichiatriche

Cannabis, il consumo prolungato espone al rischio di patologie fisiche e psichiatriche

Sfogliando a caso i risultati di numerosi test condotti in ambito medico sugli effetti della cannabis dopo aver digitato la chiave di ricerca prescelta su Google, si ha per un attimo la sensazione di assistere ad uno scherzo e per giunta molto poco divertente: gli esiti che si ricavano in materia sono talmente disparati e contrastanti da spingere il lettore medio a dubitare della validità delle fonti citate o quantomeno della metà di esse, in base ai gusti e alle inclinazioni personali.

Giusto per mettere un po’ di ordine nel marasma medico che anima l’opinione comune, il dottor Wayne Hall, facente capo all’Università australiana del Queensland, si è preso la briga di tirare fuori dal metaforico cassetto gli esiti relativi ad oltre vent’anni di sperimentazione medica sulla cannabis e di riesaminare tutta la letteratura presente sull’argomento, giungendo alla conclusione che la cannabis è ben lungi dall’essere quell’innocua ed amichevole sostanza dipinta da buona parte dell’universo mediatico.

Secondo quanto emerge dalle ricerche esaminate dal dottor Hall, un consumo continuativo di cannabis potrebbe indurre la comparsa della schizofrenia e di numerose altre patologie di tipo psichiatrico (come la sindrome depressiva), andando a fare affiorare una tendenza già presente in forma latente nel soggetto.

La cannabis non è cioè la causa scatenate delle malattie a carico dell’apparato neurologico, ma un agente in grado di amplificarle e di condurle ad una forma conclamata presso i soggetti predisposti (soprattutto nel caso degli adolescenti), mentre, anche in assenza di pregresse patologie latenti, la sostanza si rivela comunque in grado di produrre deficit cognitivo e difficoltà di apprendimento.

Anche il fattore legato alla dipendenza risulta, a detta dello studio australiano, ampiamente sottovalutato: unindividuo su dieci che fa uso continuativo di cannabis rischia infatti di cadere vittima di un’autentica sindrome da dipendenza e la percentuale è destinata a salire nel caso dei minorenni, le cui probabilità di incorrere in diverse manifestazioni psico-fisiche legate all’astinenza risultano quasi raddoppiate (circa un ragazzino su sei).

Da non trascurare, infine, i danni provocati dal fumo di hashish e marijuana sull’apparato respiratorio: benché non vi sia un’esplicita correlazione tra cannabis ed insorgenza di forme tumorali a carico di polmoni, trachea e laringe (difficile distinguere le responsabilità del tabacco in merito), appare assodato che il consumo delle cosiddette droghe leggere conduca allo sviluppo di bronchite cronica e peggiori sensibilmente lo stato di salute delle vie aeree, prvocando danni irreversibili.

Sfatato, invece, l’assunto che riteneva possibile la morte a causa di un’overdose della sostanza; i decessiaccertati a seguito di consumo di cannabis sono quasi interamente connessi con le difficoltà di guidare veicoli e di utilizzare macchinari dovute agli effetti della droga sul cervello e non ad un arresto cardiaco causato da un’eccessiva assunzione della sostanza.

Lo studio compiuto da Wayne Hall e pubblicato su Addiction pare quindi porre fine alla divergenza di opinioni in ambito medico su quali siano i danni prodotti dalla cannabis e quali invece i benefici, sempre ammesso che ulteriori indagini non giungano tempestivamente a smentire le tesi di Hall: del resto, la ricerca medica si è cimentata così a lungo con gli effetti della cannabis da diventare vagamente schizofrenica in materia.

fonte

Quale browsers usare

http://mondopc.netai.net//web/browsers.php

Un browser è un programma per navigare in internet, “sfogliando” le “pagine” del web, scritte in html, in genere spostandosi da una pagina all’altra mediante dei links.

perché non Internet Explorer

Chi usa Windows e non ha molta familiarità con l’informatica, di sicuro usa Internet Explorer. Se volesse però usare in modo intelligente il computer, dovrebbe tener conto che tale abitudine non è conveniente, se non altro per i seguenti motivi:

IE non è sicuro: gli hackers lo prendono regolarmente di mira, sfruttandone sempre nuove falle nella sicurezza;
non è funzionale: non ha tantissime utilità, che invece hanno altri browsers (di cui tra breve parleremo), come la possibilità di abilitare/disbilitare con un clic del mouse le immagini, o i javascript, o i suoni nelle pagine, o di passare da un foglio di stile a un altro, per rendere più leggibile la pagina (ad esempio aumentando o diminuendo la dimensione dei caratteri);
è legato inestricabilmente al sistema operativo, per cui non è affatto agevole aggiornarlo o sostituirlo
quali browsers

Fino alla versione 7 avevamo detto che Opera era il miglior browser. In effetti Opera chiede pochissimo e dà moltissimo. Per qualche tempo meglio di Opera sono state le ultime novità di casa Gecko: Mozilla, K-Meleon, Galeon, ma soprattutto FireFox): si tratta di diversi browsers, aventi, diciamo così, una diversa carrozzeria, ma lo stesso motore, Gecko appunto.

la “famiglia” Gecko

Ora però la versione 9 di Opera rimette in gara a pieno titolo tale browser. Così che non è più tanto facile dire quale sia il migliore tra Opera e Firefox…

Gecko è un buon motore, veloce, affidabile, fedele agli standard w3c quasi quanto Opera. Finche su tale buon motore veniva applicata una carrozzeria pesante, , come era quella di Netscape, veniva fuori un browser che chiedeva comunque troppo in termini di risorse di sistema e spazio su HD. Ma ora si possono usare versioni più leggere del medesimo motore:

la suite Mozilla, consigliabile agli utenti più esperti ed esigenti;
K-Meleon, più leggero, più veloce, ma meno accessoriato, utile soprattutto per i webmaster che vogliono testare pagine html;
Firefox, che, se viene potenziato dalle estensioni e dai temi, rivela per alcuni aspetti una superiorità anche su Opera.
Questi browsers basati Gecko hanno il pregio di essere Open Source, dunque perfettemante puliti.

Bisogna dire che il più completo dei browsers Gecko è ancora Mozilla, che tuttavia, per molti utenti può risultare troppo pesante. Firefox, allora, è la scelta più adatta a una utenza che abbia PC sufficientemente potenti.

In effetti su macchine non potentissime Firefox risulta troppo esigente in risorse, e rallenta anche di molto il funzionamento del PC; K-Meleon invece risulta veloce a caricarsi quasi quanto Opera, che resta peraltro il più veloce a caricarsi (anche se nelle navigazione il discorso cambia).

Opera 9, il riscatto

È un browser prodotto da una software house norvegese, non è perciò un prodotto Open Source, e in passato era AdWare, cioè con una componente commerciale; oggi tuttavia è totalmente Freeware, e rivela una cura del dettaglio davvero impressionante e un livello di personalizzabilità che non ha nulla da invidiare ai più puri prodotti Open Source.

Dopo un momento di crisi con la versione 8, con la versione 9 Opera segna un notevole passo avanti rispetto alla 8. La gestione di SVG ad esempio si rivela efficace e finalmente flessibile, senza i bugs che avevano funestato la ver.8.

Inoltre mentre Firefox continua ad avere tempi di caricamento piuttosto lunghi, Opera si apre in modo istantaneo.

Ancora: apprezzabile è l’inclusione di BitTorrent nell’architettura di Opera, utile per trovare, per esempio, audio e video.

Gecko o Opera?

È una scelta difficile: il pregio maggiore di Opera è la sua leggerezza e velocità, almeno nel caricarsi. Il pregio maggiore di FireFox è la integrabilità con le estensioni, che gli permettono di andare ben oltre Opera, così come la maggiore affidabilità nella codifica dei caratteri, rispetto a Opera.

Personalmente consiglio di tenere entrambi a portata di mano, anche se io preferisco usare, oggi come oggi, Opera, appunto per la sua velocità.
sia Firefox (FF) sia Opera
navigano velocemente sul web (molto più di IE);
sono flessibili e personalizzabili, FF grazie alle estensioni e ai temi, Opera grazie a interventi testuali sui files di configurazione (non immediatamente comprensibili ai neofiti);
possono con un clic del mouse didattivare/riattivare le immagini (FF grazie a una estensione);
possono bloccare i pop-up;
possono bloccare anche i banner in-line;
possono disattivare/riattivare i javascript
quanto a sicurezza, sono immensamente più sicuri di IE;
quanto a interfaccia grafica possono disporre (nativamente Opera, mediante estensioni FF) di una sidebar, con funzioni di segnalibri, cronologia, links, info, downloads, ecc.)

solo Opera
È più veloce a caricarsi, sia sotto Windows sia sotto Linux.
Dispone di moltissime funzionalità in modo nativo, senza richiedere estensioni, la cui aggiunta può implicare qualche difficoltà per i non esperti.
solo Firefox
Supporta un numero molto grande di estensioni: ad esempio con una piccolissima estensione supporta lo standard CSS3 multicolonna.
codifica in modo corretto i caratteri UNICODE, mentre Opera ha qualche problema.
un modo meno pachidermico di usare IE …

Se proprio siete affezionati a IE, potete provare delle alternative che usano Ie come motore, ma vi aggiungono nuove potenzialità. Non si tratta di una vera alternativa, ma di un modo alternativo di usare IE, grazie a una diversa, e più snella interfaccia. Si tratta di browsers che usa IE come motore, cercando però di limitarne al minimo i difetti, e di avvicinarsi il più possibile a Opera: come Opera permette di bloccare tutte le finestrelle pop-up, di disabilitare le immagini (con un solo click, ma con due, inoltre non avendo la possibilità di visualizzare le sole immagini già in memoria cache), di aprire tutte le finestre in un’unica finestra contenitrice. Sicuramente se ne guadagna in velocità e minori fastidi: resta però il problema della sicurezza (rispetto a virus e simili) che non fa un passo avanti rispetto a IE, visto che in realtà non di un altro browser si tratta, ma di una diversa interfaccia del medesimo.

Uno di questi browsers è Crazy Browser. Un altro è MyIE.

 

 

 

PRESSING SU GOOGLE: PAGHI LE TASSE IN ITALIA – CINQUECENTO MILIONI DI PUBBLICITÀ, ZERO IMPOSTE.

Filippo Santelli per “la Repubblica

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La Francia ha dato un ultimatum: due mesi per cambiare regime, o potrebbe arrivare una supertassa. Il Parlamento inglese ha chiesto di vedere i conti. E ora, ad indagare sulle (poche) tasse pagate da Google, inizia anche l’Italia. Perché sul giro d’affari nel nostro Paese, più di 500 milioni di euro di pubblicità venduta, il motore di ricerca non avrebbe versato al fisco neppure un euro: né Ires, né Irap, né Iva. «Alcune imprese si sottraggono al pagamento delle imposte in misura adeguata alla loro capacità contributiva», ha denunciato la scorsa settimana la Guardia di finanza. E ieri, in commissione Finanze alla Camera, la segnalazione è stata rilanciata dal deputato Pd Stefano Graziano. Per chiedere al ministro Grilli se il governo intenda adottare contromisure.

google datacenter techGOOGLE DATACENTER TECH

Vale per Google e i suoi servizi pubblicitari. Ma anche per altri big dell’economia digitale, come Facebook, Apple e Amazon.
Che in rete non conoscono confini fisici, ma si muovono con agilità anche tra quelli fiscali. «Utilizzano tecniche collaudate », spiega Carlo Garbino, professore di Diritto tributario alla Bocconi. «Stabiliscono la propria sede in Paesi con regimi vantaggiosi, come l’Irlanda. O caricano costi aggiuntivi in quelli dove le tasse sono più alte ».

google datacenterGOOGLE DATACENTER

Tutto legale, come ribadisce un portavoce di Google, sottolineando il «sostanziale contributo dell’azienda all’economia europea». Ma forse non equo in un periodo di economie generalizzate. «Chi raccoglie entrate in un Paese, lì deve pagare le tasse, è una questione di giustizia sociale », spiega Graziano. In Italia Google ha da poco aperto una sede, a Milano, ma dedicata solo a marketing e assistenza.

google data center greenGOOGLE DATA CENTER GREEN

Le pubblicità sono invece fatturate a Dublino, dove l’aliquota sulle imprese è al 12,5%. E grazie a una triangolazione con Amsterdam e le Bermuda, battezzata “sandwich olandese”, nel 2011 ha pagato 8 milioni di tasse su 12,5 miliardi di ricavi.
Ora la palla passa al governo che potrebbe ispirarsi alla norma «anti-Ryanair».

Ridefinendo il concetto di «base aerea», il decreto sviluppo in discussione al Senato impone alla compagnia di versare ai dipendenti italiani pieni contributi, anziché quelli, inferiori, previsti dalle norme irlandesi. Nel caso di Google però si tratta di tasse sugli introiti: la legge europea garantisce alle aziende la libertà di scegliere in quale dei 27 Stati membri stabilire la propria sede fiscale. «Per questo l’ideale è una soluzione comunitaria», conclude Graziano.

GOOGLE DATA CENTERGOOGLE DATA CENTER

La scorsa settimana Francois Hollande ha incontrato a Parigi il numero uno di Google Eric Schmidt, per mediare sulla querelle che oppone la società agli editori francesi. La loro richiesta è che il motore di ricerca condivida una percentuale dei ricavi che ottiene indicizzando i loro contenuti. In Inghilterra una commissione parlamentare ha indagato sulle poche tasse pagate da Google, Amazon e Starbucks. E a Bruxelles la Commissione starebbe valutando come correggere alcuni paradossi del fisco europeo.


2- «LA MIA FRANCIA SFIDA GOOGLE E AMAZON» – AURÉLIE FILIPPETTI: SENZA UN ACCORDO CON GLI EDITORI, OBBLIGHEREMO I SITI A PAGARE
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera

SEDE GOOGLESEDE GOOGLE

Signora Filippetti, suo nonno Tommaso lasciò l’Italia tra le due guerre mondiali per lavorare nelle miniere del Lussemburgo e poi della Lorena, lei torna a Gualdo Tadino da ministra della Cultura della Repubblica francese. È orgogliosa del salto sociale? 
«È una soddisfazione doppia, sia per le mie origini sociali sia perché vengo dall’immigrazione. Mio nonno era un minatore italiano ed è morto nei campi di concentramento perché era entrato nella Resistenza ai nazisti, si è battuto per la libertà in Europa. A Gualdo Tadino riceverò una medaglia in suo onore. E il fatto stesso che io sia riuscita a diventare ministro lo sento come un riconoscimento per lui».

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Incontriamo la ministra Aurélie Filippetti, 39 anni, tra gli stucchi del suo ufficio in rue de Valois, alla vigilia della sua visita in Italia.

Lei è la prova che l’ascensore sociale in Francia funziona ancora? 
«Anche qui ci lamentiamo molto della società bloccata, ma la scuola repubblicana ha grandi meriti. È per questo che Hollande e il governo di cui faccio parte hanno deciso di rilanciarla con 60 mila assunzioni in cinque anni. Solo la scuola pubblica può permettere l’integrazione e dare speranza a tutti».

dublinoDUBLINO

I tagli hanno colpito anche il suo ministero. La politica culturale è un lusso in tempi di crisi economica?
«Al contrario, penso che se c’è una risorsa preziosa in Europa è la cultura e sarebbe una follia non cercare di svilupparla e sostenerla».

Anche per questo ha intrapreso la battaglia con Google? 
«Non è un conflitto, però se gli editori francesi, italiani e tedeschi non troveranno un accordo con Google entro la fine dell’anno, a gennaio la Francia varerà la legge per obbligare la società di Mountain View a remunerare i giornali dei quali elenca i contenuti. Vogliamo ribadire un principio: chi fa profitti distribuendo i contenuti deve contribuire a finanziarne la creazione. Vale per le reti tv, gli operatori telefonici, i provider Internet, i siti, le piattaforme digitali».

I FONDATORI DI GOOGLE SERGEI BRIN E LARRY PAGEI FONDATORI DI GOOGLE SERGEI BRIN E LARRY PAGE

Il modello è quello del cinema? 
«In Francia i film da decenni sono finanziati dal Cosip (Conto di sostegno all’industria dei programmi audiovisivi) che ridistribuisce parte degli incassi dei film di maggiore successo e anche i soldi messi a disposizione dagli operatori che poi diffondono i film, per esempio le tv».

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In Italia, quando si parla di sovvenzioni di Stato al cinema e alla cultura in generale, vengono in mente sprechi e film che poi nessuno va a vedere. 
«Ma noi non finanziamo film di nicchia senza mercato. Il cinema francese è fatto di pellicole d’autore, molti film di budget medio (sui 3 o 4 milioni di euro) ma anche film di cassetta come Asterix o successi mondiali come The Artist o Intouchables . E sono questi ultimi a sostenere gli altri. I Paesi che hanno fatto la scelta dell’austerità nella cultura, per esempio la Spagna, si trovano oggi in una pessima situazione. All’ultimo Festival di Cannes invece i cineasti di tutto il mondo in competizione erano quasi sempre co-finanziati dalla Francia, siamo lo Stato al mondo con il maggior numero di co-produzioni: oggi siamo a quota 52 Paesi. E la gente non è mai andata tanto al cinema, a vedere ogni tipo di opera: dai kolossal americani ai nostri film».

Eric Schmidt di GoogleERIC SCHMIDT DI GOOGLE

È la riedizione dell’eccezione culturale francese, della politica di intervento dello Stato nella cultura promossa da André Malraux in poi? 
«L’eccezione culturale è ancora di attualità e sono convinta che lo Stato debba intervenire per sostenere la creazione. Non è vero che i prodotti culturali sono prodotti come gli altri. Le leggi del mercato hanno difficoltà a funzionare in generale, come si vede, figurarsi nella cultura. Non è una questione morale, semplicemente a mio avviso solo così il sistema può funzionare, anche dal punto di vista economico».

LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARILOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARI

Ma il vostro modello è esportabile? O semplicemente i francesi amano di più il cinema, leggono più libri e frequentano di più i musei? 
«Non penso affatto che i francesi siano diversi dagli altri. È una politica volontaristica che fa sì che non ci sia città francese senza un cinema, che le piccole librerie resistano e siano il polmone di ogni quartiere, che migliaia di persone vadano alle mostre, come quella di Edward Hopper in questi giorni al Grand Palais».

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Quando ci sono le file alle mostre da noi c’è sempre qualcuno che storce la bocca perché sarebbero fenomeni di massa o turismo, non cultura. 
«I grandi numeri non sono tutto, d’accordo, ma è una lamentela che non capisco. Bisogna aiutare le persone che ne hanno voglia ad avvicinarsi all’arte. Per questo ho incoraggiato i musei a usare le nuove tecnologie per spiegare le opere, per accompagnare il visitatore che vuole saperne di più».

Aurelie-FilippettiAURELIE-FILIPPETTI

Lei parla di librerie di quartiere, in Italia quasi del tutto scomparse da tempo. In Francia librai ed editori anche grandi, come Gallimard, parlano di Amazon come del nemico. È d’accordo? 
«Sono molto preoccupata per come Amazon si comporta in Europa. Ha un peso tale che rischia di trovarsi ben presto in posizione ultradominante. Sono andata a parlarne alla Commissione di Bruxelles, ma trovo il loro atteggiamento deludente».

Aurelie Filippetti ministro della Cultura francese affronta con uno spacco le scale dellEliseo Reuters resizeAURELIE FILIPPETTI MINISTRO DELLA CULTURA FRANCESE AFFRONTA CON UNO SPACCO LE SCALE DELLELISEO REUTERS RESIZE

Che cosa rimprovera alla Commissione europea? 
«Ha una visione un po’ troppo unilaterale della libera concorrenza. La Commissione preferisce fare le pulci agli editori che si organizzano per sopravvivere alla minaccia di Amazon, e non si allarma invece per il fatto che un colosso basato in Lussemburgo fa vendita a distanza con strategie fiscali inaccettabili e facendo dumping sulle spese di distribuzione. Amazon può permettersi di vendere a basso prezzo per mettere fuori mercato i suoi concorrenti, ma naturalmente rialzerà i prezzi appena avrà conquistato il monopolio o quasi. Di questo dovrebbero preoccuparsi a Bruxelles. La Francia vigilerà affinché Amazon pratichi una concorrenza leale».

AURELIE FILIPPETTIAURELIE FILIPPETTI

La Francia è stata all’avanguardia nella lotta contro lo scaricamento illegale di musica, film e poi libri, con la legge Hadopi voluta dalla presidenza Sarkozy. Lei prende le distanze da Hadopi. Come mai? 
«È un approccio diverso, io vorrei sviluppare l’offerta legale. Se uno vuole scaricare un film non troppo recente, magari degli anni Cinquanta, nelle piattaforme legali non lo trova, mentre illegalmente sì. Non considero i consumatori come dei teppisti che vogliono rapinare gli artisti, ma persone che hanno voglia di ascoltare, vedere, leggere. Credo che la colpa sia anche dell’industria, che è in ritardo. Bisogna offrire un catalogo ampio e a prezzi ragionevoli. Qualcosa si sta muovendo, soprattutto per la musica».

Allude ai siti di streaming Deezer e Spotify? 
«Sì, anche se la parte versata agli artisti è ancora troppo bassa. Bisogna riconsiderare la percentuale versata agli autori, e lo stesso vale anche per il libro digitale, che in genere affianca quello di carta e ha costi di produzione molto inferiori».

FRANCOIS HOLLANDEFRANCOIS HOLLANDE

Lei, ministra Filippetti, che cosa legge? 
«Tra gli italiani Erri De Luca e Niccolò Ammaniti, tra i francesi Jean Echenoz e Jérôme Ferrari che ha appena vinto un Goncourt molto meritato».

In «Gli ultimi giorni della classe operaia» ha raccontato la storia della sua famiglia, in «Un homme dans la poche» una storia d’amore. Tornerà a scrivere?
«Non finché sono ministra».

 

 

 

Lunedì, se il vostro Pc è infetto non potrà collegarsi a Internet

 

Pc con Windows, ma anche Mac, tablet, smartphone. Se il vostro computer è stato colpito potrete avere una brutta sorpresa: il web non esisterà più. Anche per colpa dell’Fbi. Ecco come verificare se siete stati contagiatidal nostro corrispondente ANGELO AQUARO

 

NEW YORK – L’Apocalisse non può più attendere. A partire dalle prime luci di lunedì, centinaia di migliaia di computer di tutto il mondo sono a rischio infezione. Addio Internet: chiunque cercherà di avventurarsi sui siti più famosi di tutto il mondo, da Facebook ad Apple, passando per gli indirizzi perfino dell’Fbi, sarà sbattuto fuori dal world wide web. Www non più: fuori. E la cosa incredibile è che a sbatterci fuori sarà proprio l’Fbi: e per giunta per conto del tribunale di New York.

Sembra la trama di un cyberthriller e invece è realtà. E stavolta neppure la sempre più grande tribù dei Macdotati potrà ritenersi al sicuro. I computer Apple, si sa, sono molto meno esposti dei cugini rivali che girano su Windows agli attacchi dei pirati. E invece stavolta il virus è pronto colpire non solo i pc Windows e i computer della Mela ma perfino gli iPad, gli iPhone e itablet di tutti i tipi. 

La ragione è semplice: il malware ha già preso possesso dei computer infettati e scatterà appena i pc o i tablet tenteranno di collegarsi al web, agendo sull’indirizzo Dns, quello cioè che ci consente di indirizzarci per le autostrade del web. 

Ma come si è arrivati fin qui? E perché dagli Usa all’Europa nessuno può dormire tranquillo? Il Lunedì Nero dei computer arriva da lontano. È il novembre scorso quando l’Fbi annuncia di aver sgominato una pericolossima centrale di hacker che opera dalla Russia agli Stati Uniti, passando per l’Europa. I banditi sono riusciti a impossessassarsi di oltre quattro milioni di computer in tutto il mondo, mettendo su un’associazione criminale da 14 milioni di dollari. 

Non si tratta però di un ‘semplice’ virus che si attacca ai nostri pc trasformandoli in tanti bot, strumenti di una botnet, quella rete appunto di computer infettati che viene orchestrata dai delinquenti web per dirottarli su siti particolari o succhiare informazioni (e denaro). In questo caso il malware viene chiamato DnsChanger perché cambia appunto l’indirizzo Dns: in pratica il computer colpito naviga su un Internet parallelo disegnato dagli hacker in cui i siti non sono quello che appaiono. Cerchi un prodotto Apple? Vieni rimandato su un sito pirata. Vuoi scaricare un film da Netflix? Idem.

Quando scatta l’operazione antihacker l’Fbi è costretta così a ‘ricostruire’ il mondo Internet dei computer infetti mettendo in piedi una serie di server alternativi che impediscono ai pc colpiti di navigare sul web pirata. Naturalmente si tratta di una misura temporanea: decisa appunto dal tribunale di New York perché da qui parte l’operazione anti-pirateria. La misura temporanea finisce però proprio questo lunedì: 9 luglio. Da questo momento in poi, insomma, i nostri computer non saranno più protetti: ma visto che i siti pirata sono già stati bloccati, la conseguenza sarà il blocco totale di Internet. Non riusciremo più a collegarci. Black Out. Buio completo. Che fare? 

Negli Stati Uniti le grandi compagnie come At&T hanno già preannunciato di aver predisposto server di emergenza per ridirigere il traffico dei computer colpiti. E da Facebook a Google si è pure scatenata una campagna di sensibilizzazione. Basta un semplice test su un sito predisposto per l’occasione,www.dcwg.org 1 (la cui pagina italiana è curata da Telecom ed è raggiungibile a quest’indirizzo 2), per scoprire se il pc o il Mac è infetto o meno. Se il sito si illumina di verde vuol dire che il computer è pulito. Altrimenti…

Per la verità gli esperti giurano che in rete sono disponibili una serie di tool e software che permettono di ripulire il computer infetto. Ma nessuno sa ancora calcolare con esattezza quanti pc potranno essere colpiti dal blackout. Una stima della rivista specializzata PcWorld parla di 275mila computer ancora infetti in tutto il mondo. Solo 45mila sarebbero quelli a rischio negli Usa. Il che per noi è naturalmente una brutta notizia: perché molto più pericolosa sarebbe quindi la situazione dall’Asia all’Europa. Certo, insistono gli esperti, poche centinaia di migliaia di computer sono nulla rispetto ai milioni colpiti da Zeus, SpyEye e gli altri virus in giro per il mondo. E certo: saranno anche nulla. Ma sai che sorpresa se lunedì accendi il computer e scopri che l’Apocalisse si è scatenata proprio sulla tua nullità?