Atto di voce

Di chi muore, non importa a nessuno, chi resta presto dimentica, va avanti e si rifà una vita.
Ci dicono di pensare ai fatti propri, “vivi e lascia vivere”, che nessuno è indispensabile.
Tale è la volgarità del pensiero comune. Questa parte di mondo che chiamano Occidente corre veloce, non si ferma davanti a niente, assimila tutto ciò che incontra e spesso devasta.
La terra, l’acqua, le persone, le relazioni.
Tutto si tinge di squallore e desolazione.
Essere individui, autonomi, l’inganno di sentirsi liberi. Essere soli.
Frantumati e spezzati nell’affanno della vita quotidiana.
Essere soli e, solo, oggetti del potere, del controllo. Numeri senza storia e macchine, pezzi ricambiabili.
Questo, è un modo di pensare e di agire che mi fa ribrezzo.
Vogliono farci credere che sia l’unico modo possibile di abitare in questo mondo, ma non è così.
Tantissimi i segnali che ci dimostrano l’esatto contrario, quotidianamente, nel silenzio.
Un silenzio, troppo spesso, imposto.
Nel silenzio continuano a spegnersi le vite di donne e uomini che hanno respirato per anni, per varie ragioni e per nessun motivo logico, se non quello dell’interesse politico ed economico di altri, quella letale polvere che s’insinua nei corpi e nelle vite, fatalmente: la polvere di amianto.
La forza del movimento che rivendica giustizia per le migliaia di morti non causate da una cieca e innocente ignoranza e fatalità, sta proprio nel sentire l’urgenza di rompere il silenzio e, insieme, portare avanti una lotta e condividere il dolore.
Casale Monferrato è l’emblema della dignitosa azione collettiva e rivendicazione di giustizia contro la multinazionale svizzera dell’amianto, Eternit.
Molte altre città d’Italia e di altre parti del mondo (in alcune delle quali l’amianto continua ad essere estratto e lavorato), guardano al processo di Torino, iniziato il 6 Febbraio 2009 e che si concluderà il 13 Febbraio 2012, con la speranza che il verdetto finale possa favorire dei cambiamenti a livello internazionale.
Che l’istituzione comunale di Casale M. pensi e si accinga a firmare un accordo con chi ha perpetrato una sciagura umana e ambientale ai danni della città di cui dovrebbe essere portavoce, rappresenterebbe un ulteriore e grave atto di violenza.
La possibilità di contrattare non può e non deve essere sempre garantita: non ci si può liberare dalla responsabilità delle scelte fatte e rinegoziare la propria identità pagando 18 milioni di euro.
Se il Comune di Casale M., firmando l’accordo, rinuncerà a comparire nel processo come parte civile lesa e al diritto di intraprendere azioni giudiziarie future contro Stephan Schmidheiny, l’unica, ma grande, consolazione sarebbe quella che, nonostante l’abbandono istituzionale, i cittadini e tutti gli altri soggetti coinvolti in questa drammatica vicenda, non tornerebbero al silenzio e alla solitudine che rende vulnerabili.
Il silenzio per fortuna è rotto e non è più possibile. 
L’istituzione comunale dovrebbe “solo” avere l’intelligenza di capire l’entità dell’errore che commetterebbe e le conseguenze, non solo simboliche, che potrebbero scaturire dalla violazione del patto di rappresentanza con in suoi cittadini.

Agata Mazzeo
Università di Amsterdam – Master in Antropologia Medica
Studiosa di questioni politiche e sociali
legate all’amianto e familiare di una vittima.

http://www.vittimeamianto.it/

“Amianto anche causa di ictus e crisi cardiache”

5 aprile 2012. I risultati delle analisi dei ricercatori dell’Health and Safety Laboratory su 94.403 uomini e 4.509 donne esposti alla fibra-killer e seguiti tra il 1971 e il 2005: il campione esaminato ha manifestato più probabilità di morire per una malattia cardiovascolare rispetto alla popolazione generale

 ROMA – L’amianto è un “veleno” non solo per i polmoni, con i suoi noti rischi di tumore. Chi è a contatto con questo materiale, infatti, corre anche maggiore pericolo di avere una crisi cardiaca o un ictus: possibilità che aumenta con il prolungarsi dell’esposizione. Un problema che riguarda, tra i lavoratori dell’industria, soprattutto le donne per le quali raddoppia la probabilità di ictus e aumenta dell’89% quella di crisi cardiaca, contro percentuali maschili che si attestano, rispettivamente, al 63% e al 39%. A lanciare il nuovo allarme sono i ricercatori britannici del centro “Health and Safety Laboratory (HSL)” che hanno pubblicato uno studio su “Occupational and environmental medicine”.

A oggi sono ben noti gli effetti oncologici della fibra-killer – responsabile principale di mesoteliomi, tumori polmonari, intestinali e di altre sedi – ma poco si sa sugli effetti cardiovascolari legati alla sua natura di “agente infiammatorio”. Da qui la ricerca degli scienziati inglesi. Lo studio si è basato sull’analisi dei dati medici di 94.403 uomini e 4.509 donne, seguiti tra il 1971 e il 2005, che hanno avuto contatto con l’amianto sia nel lavoro di bonifica che nell’industria. Va rilevato che più della metà del campione era composto da fumatori. Nell’arco di tempo esaminato 15.557 persone sono morte, considerando le diverse cause: 1.053 hanno avuto un ictus e 4.185 di infarto. Considerando il tasso di mortalità standard, spiegano gli esperti, i lavoratori esaminati, avevano più probabilità di morire di una malattia cardiovascolare rispetto alla popolazione generale, anche tenendo conto del maggior rischio legato al fumo.


http://comitatodifesasalutessg.jimdo.com/2012/05/08/studio-britannico/

SICUREZZA SUL LAVORO E SANZIONI


RAFFAELE GUARINIELLO A MESTRE:

 

 “LA COLPA DELL’INEFFICIENZA SANZIONATORIA RISPETTO ALLE AZIENDE POCO ATTENTE ALLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO E’ ANCHE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA E DELLA LENTEZZA DELLA MAGISTRATURA CHE PORTA ALLA PRESCRIZIONE DEI REATI”.

 

 QUESTO UNO DEI COMMENTI A MARGINE DEL SEMINARIO ORGANIZZATO A MESTRE DA VEGA FORMAZIONE IN COLLABORAZIONE CON IPSOA, VEGA ENGINEERING E AIESIL DAL TITOLO “GLI OBBLIGHI IN TEMA DI SICUREZZA DEL LAVORO”.

 

 

“Una priorità che viene troppo spesso trascurata all’interno delle aziende. Eppure le norme che disciplinano la sicurezza nei luoghi di lavoro ci sono e sono gli strumenti principali per prevenire gli infortuni e i decessi. Purtroppo poi, accanto all’incoscienza di una parte dell’imprenditoria esiste anche una carenza di rigore dal punto di vista sanzionatorio che invece, se rafforzato, potrebbe aiutare a migliore la cultura della tutela del lavoratore”.

Queste le parole del procuratore Raffaele Guariniello a margine del seminario organizzato recentemente a Mestre da Vega Formazione in collaborazione con Ipsoa, Vega Engineering e Aiesil dal titolo “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro”;questo l’autorevole commento del magistrato che con le sentenze dei processi Eternit e Thyssen Krupp ha ottenuto nel primo caso la condanna dei vertici dell’azienda per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche in riferimento agli oltre 3000 morti provocati dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale.

“In parte – ha proseguito Guariniello – la colpa dell’inefficienza sanzionatoria è degli organi di vigilanza e della lentezza della Magistratura che porta anche alla prescrizione dei reati. La metodologia di indagine, poi, deve essere più penetrante per arrivare a capire se un infortunio sia un fatto episodico o se sia una politica aziendale, una scelta strategica”.

Così il magistrato che più di tutti negli ultimi decenni ha lottato in prima linea per rendere Giustizia alle vittime innocenti del lavoro nel nostro Paese ha descritto a Mestre una delle emergenze più tragiche nel nostro Paese; perché di lavoro si muore quotidianamente .

la formazione in questo senso diventa un passaggio fondamentale per interrompere il tragico bollettino delle morti bianche. “Purché – ha sottolineato Raffaele Guariniello – sia programmata e realizzata con la massima serietà e competenza con strumenti e metodologie per verificare che l’apprendimento sia effettivo”.

Serietà e competenza sui quali punta Vega Engineering da oltre due decenni in prima linea su questo fronte. “Solo negli ultimi anni – spiega l’ingegner Pier Luigi Dalla Pozza direttore di Vega Engineering – sono stati migliaia i lavoratori coinvolti nei nostri programmi di aggiornamento e formazione tra cui dirigenti, Rspp, Aspp, addetti alla sicurezza provenienti da tutta Italia. Il nostro obiettivo è quello di continuare a diffondere la cultura della sicurezza facendoci interpreti e traduttori, anche con l’aiuto di figure autorevoli come quella del dottor Guariniello, di norme e burocrazie talora complesse ma indispensabili per la dignità e per la tutela dei lavoratori”.

Fondamentale poi per Raffaelle Guariniello è che la diffusione di una corretta ed efficiente prevenzione giunge anche dall’analisi dei dati sugli infortuni con particolare riferimento alle indagini condotte dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering.
“Ho letto con interesse i risultati dell’Osservatorio Vega Engineering – ha spiegato il procuratore – perché sono preziosi mezzi di indagine che consentono di porre una lente d’ingrandimento sul problema; perché evidenziano ad esempio in alcune aree del Paese numeri molto bassi di infortuni mortali che lasciano perplessi. Sarebbe interessante capire se questi incidenti davvero non accadano”.

Intervista Dott. Raffaele Guariniello

Intervista Ing. Pier Luigi Dalla Pozza

Contributi video Seminario “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro” – 27/04/2012 Mestre (VE)

Dott.ssa Annamaria Bacchin

 

Ufficio Stampa – Dott.ssa Annamaria Bacchin 
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Amianto e diossina: la mappa in Italia

Le aree da bonificare sono state individuate, ma nella maggior parte dei casi le bonifiche non sono mai iniziate.

 Floriana Rullo– 25 novembre 2011- Un’Italia ammalata a causa delle industrie insalubri e delle discariche abusive. Un Paese avvelenato dall’amianto e dalla diossina. Da Porto Marghera a Gela, da Taranto a Porto Torres, il nostro territorio è stato per decenni intossicato dall’inquinamento industriale tanto che gran parte dei suoli e delle falde d’Italia hanno messo e mettono ancora a rischio la salute di chi ci lavora e ci abita.

Un’eredità che schiaccia ancora una parte non piccola d’Italia e che coinvolge almeno un decimo di tutta la popolazione. A fotografare la situazione dei 44 siti più rischiosi ci ha pensato l’Istituto Superiore di Sanità. Un ambizioso progetto, finanziato dal Ministero, che ritrae la situazione in cui versano i luoghi più inquinati sparsi per tutta la penisola. Posti in cui le condizioni ambientali fanno ammalare e morire più persone del previsto. Luoghi battezzati da varie leggi con la sigla SIN, che sta per “Siti di bonifica di interesse nazionale”. Dove però nella maggior parte dei casi le bonifiche non sono mai iniziate.

I SITI DI BONIFICA- I SIN, da Nord a Sud, in realtà sono 57. Di questi, il pool di epidemiologi ambientali di Sentieri ne ha scelti 44, considerandoli interessanti sotto il profilo sanitario, per i quali sono stati analizzati i dati di mortalità in un arco di tempo che va dal 1995 al 2002. Le aree da bonificare sono caratterizzate dalla presenza di impianti chimici, petrolchimici, raffinerie, industrie siderurgiche, centrali elettriche, miniere e cave di amianto e altri minerali, porti, discariche e inceneritori. Insomma, l’Italia dell’industria pesante e delle pattumiere, dove generazioni di lavoratori hanno prodotto benessere e ricchezza spesso a costo della loro salute.

MORTALITA’ IN ECCESSO- Tumori, malattie del sangue e leucemie. Tremilacinquecento morti in otto anni: ecco a quanto ammontano i decessi per malattie riconducibili alle esposizioni industriali. Se invece si considera il surplus complessivo dei decessi delle 44  aree monitorate si sfiorano per lo stesso periodo le 10 mila persone (su 403mila morti complessivi). Vale a dire che le morti “osservate” sono, in quasi tutte le località, maggiori di quelle “attese”.

C’è insomma un pezzo non piccolo d’Italia, pari a 298 comuni con 5,5 milioni di abitanti (un decimo della popolazione) che sta decisamente peggio degli altri. Non solo perché, abitando in aree industriali o comunque degradate (come il litorale domizio flegreo e l’agro aversano interessato dal fenomeno delle discariche abusive), la popolazione ha in media un reddito e una scolarizzazione più bassa dei loro vicini. Ma anche perché alle diseguaglianze economiche e sociali si aggiunge un ambiente più insalubre, tanto da far aumentare la mortalità, soprattutto nel Sud Italia.

DA CASALE MONFERRATO A GELA – Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera. Ma anche Bagnoli, Padova e TarantoScuole elementari, case e fabbriche. Da nord a sud. L’amianto non fa distinzione. E nemmeno le sue polveri sottili. Quattromila decessi all’anno. Più di 20mila dal 93 a oggiIl caso più palese è rappresentato dalle 416 morti in eccesso per tumore alla pleura nei siti contaminati da amianto, per la presenza di cave di estrazione del minerale o di impianti di lavorazione (Balangero, Casale Monferrato, Broni, i dintorni dello stabilimento Fibronit di Bari, Biancavilla, Massa Carrara, Priolo, Pitelli e alcuni comuni lungo il litorale vesuviano). Drammatica anche la situazione nei pressi delle raffinerie di Porto Torres e Gela, delle acciaierie di Taranto, delle miniere del Sulcis-Iglesiente e della chimica di Porto Marghera, zone in cui è stato rilevato un aumento significativo di mortalità per tumore al polmone e malattie respiratorie non tumorali. O i decessi in più per insufficienza renale e altre malattie del sistema urinario alle emissioni di metalli pesanti, composti alogenati e idrocarburi degli stabilimenti di Piombino, Massa Carrara, Orbetello o la bassa valle del fiume Chienti.

LA STRAGE- Una strage silenziosa  che interessa sia gli operai che chi abita vicino alle fabbriche. “Per quasi tutte le malattie considerate la mortalità ha riguardato sia gli uomini sia le donne e tutte le classi d’età. Tutta la popolazione quindi è stata più o meno interessata dalla contaminazione diffusa” spiega l’autrice di Sentieri Roberta Pirastu, della Sapienza di Roma. “Così a causa delle bonifiche in ritardo la collettività paga con morti e malattie queste situazioni”.

I prossimi passi di Sentieri prevedono l’analisi in queste aree delle malattie e dei ricoveri per vedere se a una aumentata mortalità corrisponde anche – come è prevedibile – una maggior carico di malattie di natura ambientale, e quanto questa situazione perduri ancora oggi”.

http://www.articolotre.com/2011/11/amianto-e-diossina-la-mappa-in-italia/47886

Eternit gli scienziati: “Micidiale e vive a casa degli Italiani”

La sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato a 16 anni di carcere i proprietari dell’Eternit «entrerà nella storia». Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, non ha dubbi. A dare la misura della sua importanza è la strage che si consuma periodicamente in Italia, con 3-4 mila morti l’anno. Tutti uccisi dall’amianto. Tra loro, il 15 per cento non sapeva nemmeno di essere stato esposta a questa polvere assassina. «Ecco perché l’eternit è un problema nazionale», puntualizza il ministro. Operai e cittadini sono esposti A pagare saranno il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga 91 enne Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne. ex proprietari della multinazionale Eternit: sono stati condannati per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle norme anti-infortunio. Secondo i giudici, è stata loro la responsabilità della morte e della malattia di migliaia di persone, fra operai e cittadini esposti alle fibre di amianto, la cui dispersione nell’aria provoca malattie asbesto- correlate, cioè difficoltà respiratorie, cancro ai polmoni (il mesotelioma), alla laringe, alle ovaie, solo per citare le più rilevanti. I due miliardari, in tempi diversi, pur sapendo che la polvere d’amianto era velenosa, hanno tenuto i lavoratori all’oscuro dei pericoli che correvano nelle fabbriche di Ca sale Monferrato (Alessandria). Cavagnolo (Torino), Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia), tutte chiuse a metà degli anni Ottanta. Se i reati contestati per Bagnoli e Rubiera sono però caduti in prescrizione, per quelli di Casale e Cavagnolo sono stati dichiarati colpevoli e obbligati a un maxi risarcimento danni da 100 milioni di euro e destinato a salire. «E un sogno che si avvera, perché i diritti sono realtà», commenta il procuratore Raffaele Guariniello. che ha coordinato l’inchiesta. «Questa sentenza rende giustizia alle famiglie. Ma purtroppo vedremo ancora tanti amici morire e abbiamo ancora tanta rabbia e tanta strada da fare», aggiunge Romana Blasoni, 83 anni, presidente dell’Aneva (l’associazione dei parenti delle vittime) che per l’amianto ha perso il marito, la figlia, la sorella, un nipote e un cugino. La sentenza di Tonno è una “condanna-pilota”. Perché, grazie a questo precedente, si innescheranno battaglie legali contro i morti e i malati d’amianto non solo in Italia, ma pure nel resto d’Europa. L’Italia è sempre in prima linea Anche perché, secondo la rivista scientifica Lancet, nel Vecchio Continente le vittime ogni anno sono circa 90 mila. Un numero, però, destinato a salire vertiginosamente, tan to che potrebbe arrivare a 500 mila nei prossimi trenl’anni. Tralasciando il clamore del processo di Torino, il nostro Paese rimane in prima linea nella lotta all’amianto: dal 1992 la produzione e commercializzazione è vietata per legge. Ma questo materiale, composto da fibre di silicio, per decenni è stato considerato il miracolo dell’industria e della manifattura del ventesimo secolo e quindi è diffuso capillarmente. Un minerale versatile, a basso costo, indistruttibile, isolante, fonoas sorbente, che resiste bene al calore, alla corrosione, al fuoco, all’umidità è stato impiegato, in passato, in mille modi, dall’industria all’edilizia. Era pure nei filtri delle sigarette Dai ferri da stiro ai freni delle auto, dalle caldaie alle vernici, dai pannelli per ricoprire i tetti, ai tubi. Negli anni “50 veniva inserito persino nei filtri delle sigarette. Ma quanto amianto c’è in Italia? E quanto in Europa e nel resto del mondo? Impossibile saperlo. Non c’è infatti una cifra esatta sulla quantità al di qua e al di là delle Alpi. E questa assenza di numeri precisi rende ancor più inquietante la minaccia della fibra killer. Nel Paese,trai40 e i 60 siti dismessi Si stima che solo nel nostro Paese circa 3,7 milioni di tonnellate siano entrate nella composizione di oltre tremila prodotti diffusi nelle case e nei luoghi di lavoro. L’Inail calcola che lungo la Penisola ci siano fra i 40 e i 60 siti dismessi per la produzione di amianto, che ci siano in circolazione circa 10 mila fra carrozze ferroviarie, navi, metropolitane con amianto spruzzato, che ci siano fra i 50 mila e gli 80 mila chilometri di tubature e condotte altamente pericolose. Assobeton (Associazione nazionale industrie manufatti cementizi) indica la presenza di 12 milioni di tonnellate di lastre per coperture in cementoamianto in tutto il Paese, pari a una superfìcie di 1,2 miliardi di metri quadrati distribuiti sia su edifici pubblici (scuole, ospedali, stazioni) che privati. Ma a rendere lo scenario ancor più allarmante sono le difficoltà della bonifica e dello smaltimento: operazioni lunghe, costose e con pochi siti di stoccaggio. Se nel settore privato è praticamente impossibile fare un censimento di questa bomba ecologica, da una ricerca dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr risulta che in Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Piemonte, una mappatura è stata fatta quantomeno per gli edifici pubblici. Non è cosi nelle regioni del Sud: «Abbiamo pochissime informazioni su dove e quanto ce n’è», spiega la ricercatrice Lorenza Fiumi. «La situazione è drammatica ». Un nemico silenzioso, inodore, diffuso, ma soprattutto spietato. L’inalazione delle sue polveri, che il materiale rilascia da sé nell’aria con il tempo e il deterioramento, è dimostrato che siano tossiche e nocive fino a causare la morte, con un insorgenza delle malattie anche nell’arco di 30-40 anni dall’esposizione. Mediamente, secondo i dati fomiti dal Regi stro nazionale dei mesotelioni (Renam), il cancro ai polmoni provocato dall’amianto si manifesta attorno ai 70 anni e la diagnosi è infausta: la sopravvivenza va dai 9 ai 12 mesi. Le vittime sono spesso uomini In due casi su tre le vittime sono uomini. Ogni anno, in Italia, le persone colpite da mesotelioma, questa gravissima forma di tumore ai polmoni, sono in media 1.400. Il responsabile del Renam, il dottor Alessandro Marinacelo, sottolinea però che negli Stati Uniti d’America sono stati eseguiti degli studi clinici che hanno aperto qualche speranza di sopravvivenza. Nei casi di diagnosi precoce, già all’insorgenza dei primi sintomi (tosse, difficoltà respiratorie, dolore al torace), se subito curato, il tasso di mortalità si abbassa.

Un Paese d’amianto: la lunga strada per la rimozione totale


 

VERONICA ULIVIERI 
 

Con la sentenza del processo Eternit, due giorni fa, è stata vinta solo la prima delle battaglie contro l’amianto, ma la guerra è ancora lunga. I giudici del Tribunale di Torino, con un verdetto storico, hanno condannato a16 anni di carcere e 90 milioni di risarcimenti i due ex manager della multinazionale, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, accusati didisastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.

A due decenni dalla legge che, nel nostro Paese, ha vietato l’uso dell’amianto, però, la situazione è ancora allarmante. A partire dai morti per patologie legate all’esposizione a questa polvere, che sono circa 3.000 all’anno. Di questi, 1.400 circa sono casi di mesotelioma, il tumore della pleura direttamente correlato all’inalazione di amianto, a cui si sommano altrettanti tumori al polmone, alla laringe, all’ovaio e decessi per asbestosi. Vittime che, come spiega il ministro della SaluteRenato Balduzzi, non sono venute necessariamente in contatto con l’amianto perché lavoravano in «settori produttivi ben conosciuti, come l’edilizia, la metalmeccanica, la cantieristica navale e ferroviaria. Nel 15% dei casi si parla di “esposizione ignota”». Questo trend drammatico, avverteAlessandro Marinaccio, ricercatore Inail e responsabile del Registro Nazionale dei Mesoteliomi, «si ripeterà ancora per qualche anno, con un picco di vittime fino al 2015, quando la curva epidemiologica comincerà a ridursi».

Ma come essere ottimisti quando nel nostro Paese i metri quadrati ricoperti dal killer bianco sono il doppio della superficie del comune di Roma? Secondo una stima del Cnr, in Italia esistono ancora 2,5 miliardi di metri quadrati di coperture realizzate con materiali contenenti amianto, pari a circa 32 milioni di tonnellate. Tanti i casi aperti, oltre alla Eternit, di cui l’Italia si dovrà occupare: dalla Fibronit a Bari e Broni (Pavia) alla Sacelit in provincia di Messina. Solo a Casale Monferrato ci sono un milione di metri quadrati di amianto sotto forma di coperture di edifici privati. Intorno alla miniera di Balangero (Torino), riposano 45 milioni di metri cubi di pietrisco di scarto contaminato, mentre nello stabilimento barese si contano 90.000 metri cubi di fibra, fino ad arrivare ai 40.000 sacconi contenenti rifiuti d’amianto prodotti fino ad oggi con la bonifica di Bagnoli a Napoli.

I siti di interesse nazionale da bonificare da sostanze inquinanti, amianto compreso, sono in tutto 57. E queste, sottolinea Nicola Pirrone, direttore dell’Istituto sull’Inquinamento Atmosferico, «sono solo le situazioni veramente macroscopiche, a cui si aggiungono numerosissime aree più piccole». Su una ventina di grandi siti il Ministero dell’Ambiente ha concluso la sua parte di attività, ma l’azione non è finita: per legge (decreto 152 del 2006), infatti, la competenza è passata a Province e Arpa. E proprio la frammentazione di competenze è un altro punto critico della questione: «Sarebbe utile un Piano Nazionale, per monitorare le aree in cui viene rimosso l’amianto, e vigilare anche sul suo corretto smaltimento», continua Pirrone.

Un anno e mezzo fa, AzzeroCO2 e Legambiente hanno lanciato la campagna Eternit free, con l’obiettivo di promuovere la sostituzione di tetti in eternit con impianti fotovoltaici. AzzeroCO2 segue aziende, pubbliche amministrazioni e privati in tutto l’iter, dalla valutazione di fattibilità, alla ricerca, dove necessario, dei finanziamenti, fino alla progettazione tecnica dell’impianto fotovoltaico e, da quest’anno, per garantire un prezzo più conveniente, fornirà anche i pannelli solari. I clienti potranno anche beneficiare degli incentivi ad hoc introdotti dallo stato nel 2007 e mantenuti anche nel Quarto Conto Energia, in vigore dal 1° giugno. All’iniziativa hanno aderito ad oggi 740 tra aziende e privati, per un totale di 1,7 milioni di metri quadrati di coperture da bonificare e riqualificare. Progetti in gran parte ancora in fase di valutazione, spesso a causa di tempi burocratici abbastanza lunghi, mentre per 243.413 metri quadrati di capannoni è già stato avviato l’iter autorizzativo.

E se le superfici di eternit sono più o meno sotto gli occhi di tutti, più insidiosa è l’esposizione “nascosta”, causata da fonti insospettabili, come le vecchie assi dei ferri da stiro, i freni delle auto, le tubature e i cassoni dell’acqua nei sottotetti. Tutti oggetti fabbricati prima del 1992 e ancora in uso. A cui se ne aggiungono tantissimi altri fabbricati in Paesi, tra cui la Cina, in cui l’amianto ad oggi non è vietato, e poi importati in Italia.

Sull’amianto, si indaga in diverse altre procure italiane, da Roma ad Avellino, e sono tanti anche i cittadini che continuano a lottare per vedere riconosciuti i propri diritti. Come Virgilio Conti, di Oricola, paesino in provincia de L’Aquila, che da alcuni anni si batte per la bonifica del sito dell’ex fornace Corvaia, chiusa almeno dagli anni Ottanta, ma mai messa in sicurezza. «Le due interrogazioni parlamentari presentate sull’argomento – spiega Conti – non hanno ricevuto risposta, e del processo contro il proprietario dello stabilimento si è persa ogni traccia». L’amianto, a distanza di vent’anni dal suo bando, continua ad essere un tema che scotta, e i cittadini, per usare le parole di Conti, «si ritrovano spesso soli, ad aspettare passivamente, azzardando e ipotecando ogni giorno la propria salute».

FONTE

L’effetto dell’amianto sull’incidenza e la mortalità dei tumori in Italia

L’effetto cancerogeno dell’amianto è noto fin dalla metà degli anni 50 e da decenni l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con sede a Lione, classifica tutte le forme di amianto come cancerogene per la specie umana

L’evidenza di cancerogenicità è maggiormente dimostrata per organi quali il polmone e le sierose (pleura, peritoneo e pericardio, i cui tumori maligni sono definiti mesoteliomi). Un’esposizione prolungata può essere all’origine di tumori delle vie gastrointestinali ed eventualmente della laringe.

L’amianto è l’unico fattore di rischio documentato per i mesoteliomi, a prescindere dalla durata e dalla intensità dell’esposizione.

L’amianto è stato largamente utilizzato a livello industriale: nell’edilizia, nel settore tessile, nei cantieri navali, nell’industria ferroviaria, in quella chimica, nelle raffinerie di petrolio e molte altre aree ancora.

In Italia, l’esposizione all’amianto è causa di morte per tumore maligno della pleura per circa 1.000 persone all’anno. Infatti, dal rapporto ISTISAN “La mortalità per tumore maligno della pleura nei Comuni italiani (1988-1997)”, dell’Istituto Superiore della Sanità, si evince che negli anni presi in considerazione sono stati rilevati 9.094 decessi (5.942 uomini e 3.152 donne) per tumore maligno della pleura.

Complessivamente si può stimare che i casi di cancro dell’apparato respiratorio attribuibili all’amianto attualmente siano non meno di 1.600 l’anno, come riportato dal dott. Renato Talamini, responsabile della Struttura Operativa Semplice di Epidemiologia clinica e valutativa del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano.

Tale direzione è confermata dai rapporti del Registro Nazionale Mesoteliomi, che si sta estendendo a tutte le regioni italiane.
Le stime di mortalità per mesotelioma in Italia mostrano una crescita nei decessi fino a toccare un picco di circa 700 morti negli uomini e 300 nelle donne negli ultimi anni.

L’aumento è stato parallelo – sfasato di alcuni anni – all’andamento del consumo nazionale di amianto, come riportato in uno studio di Marinaccio e collaboratori dell’Istituto Superiore di Prevenzione e Sicurezza sul Lavoro. 

In Italia, come anche negli altri paesi industrializzati, una raccolta dettagliata della storia lavorativa delle persone consente di individuare una esposizione professionale ad amianto di almeno 80% di coloro che si ammalano di mesotelioma.

Tenendo in considerazione che nel 1992 in Italia è stato bandito l’uso dell’amianto, è stato stimato che l’effetto sulla mortalità dell’esposizione pregressa si osserverà fino al 2024, in quanto gli effetti dell’amianto perdurano per decenni dopo la fine dell’esposizione.

Inoltre, sono stati descritti episodi di contaminazione dell’ambiente generale con amianto di origine industriale e episodi di contaminazione dell’ambiente domestico. Tali circostanze possono causare mesoteliomi da amianto in persone che non sono state esposte ad esso in un ambiente lavorativo.

Un esempio, ritornato di estrema attualità, è il caso di Casale Monferrato, in Piemonte, dove fino al 1985 ha operato un’importante stabilimento Eternit per la produzione di cemento amianto: si contano attualmente 5-6 nuovi casi all’anno di mesotelioma attribuibili ad esposizione non lavorativa ad amianto.

Un bel lavoro, tratto da Rassegna Online.it sulla tragedia dell’Eternit e il dramma causato dall’amianto in Casale Monferrato è visibile qui:

fonte

L’INTERVISTA «I casi di mesotelioma aumenteranno per almeno dieci anni. La normalità tra 60 anni»

L’epidemiologo Corrado Magnani espone le stime. Tempi di latenza di vent’anni. L’asbestosi è cronica, non esistono cure

«I casi di mesotelioma collegati all’amianto aumenteranno per almeno 10 anni. Poi, dal 2020 la curva comincerà a stabilizzarsi e successivamente a decrescere. Torneremo ai livelli normali non prima di 50-60 anni», riporta le stime Corrado Magnani, epidemiologo dei tumori presso il centro di prevenzione oncologica piemontese, da 30 anni impegnato in ricerche sugli effetti del minerale che ha minato la serenità degli abitanti di Casale Monferrato. Nonostante la legge che nel ’92 ha vietato l’impiego di amianto come materiale edilizio il pericolo resta, tanto che in un recente documento il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha parlato di un problema nazionale, da affrontare globalmente.

 

Quando si potrà abbassare la guardia?
«Esistono grosse quantità di amianto nei luoghi di lavoro e di vita dunque dobbiamo aspettarci un ulteriore aumento della frequenza di casi. La frequenza normale in una popolazione non esposta è di 1-2 per milione di abitanti, a Casale ne sono stati contati oltre 20 per 100mila a causa dell’Eternit».

Quali tipi di tumore sono collegati all’amianto?
«Il mesotelioma non è l’unica patologia il cui nesso causale con l’amianto è provato. L’origine del 10% dei tumori polmonari è da attribuire all’amianto le cui fibre possono colpire, in misura minore, anche laringe, peritoneo e ovaio. Sono gli organi più esposti alla degenerazione».

Il rischio di sviluppare un tumore è proporzionale al grado di esposizione alla sostanza cancerogena?
«Non c’è un livello di esposizione minimo al di sotto del quale sentirci esenti. Di sicuro l’aumento del rischio è proporzionale alla dose dell’esposizione e questo vale in particolare per il mesotelioma».

Quali sono le modalità di penetrazione dell’amianto nell’organismo umano?
«Le fibre di amianto si introducono nell’organismo con la respirazione, se disperse nella polvere oppure attraverso l’acqua contaminata. Tra le patologie la cui insorgenza è dovuta all’amianto non dimentichiamo l’asbestosi, da asbesto, il nome con cui viene indicato il minerale. E’ una malattia polmonare che, come le altre, non si cura. Ha un andamento cronico ma non esiste una terapia efficace».

Quanto tempo passa tra il momento di esposizione all’amianto e la nascita del tumore?
«I tempi di latenza possono anche essere superiori a 20 anni. Le vittime di oggi sono bambini che allora hanno giocato inconsapevoli su pavimenti contaminati».

Come difendersi?
«Non certo con l’uso di mascherine, non servono a niente. Le fibre attraversano la barriera sottile. Se per disavventura scopriamo di vivere o lavorare in ambienti che potrebbero contenere muri, tetti o tubi con amianto l’unico provvedimento è la rimozione. Bisogna però avvalersi della valutazione di un tecnico. Che proporrà la soluzione sulla base del rischio. Se il pannello incriminato ad esempio è bene incapsulato si potrebbe anche lasciare. Non agire mai autonomamente».

Margherita De Bac

FONTE

Storica sentenza contro l’Eternit: l’amianto però è ovunque

Il 60% delle morti dovute a mesotelioma è causata dall’esposizione ambientale, il 40% da malattia professionale

Paola Tesio- 14 febbraio 2012- Ieri è stata pronunciata una storica sentenza. L’ultima udienza che apre gli occhi al mondo scrivendo pagine di speranza su di un libro di dolore

. Ed apre un capitolo importante, quello della sicurezza sul lavoro, che finalmente non può più essere ignorato. Vengono condannati a sedici anni di carcere i dirigenti dell’azienda Eternit, il novantunenne miliardario svizzero Stephan Schmidheiny ed il sessantacinquenne barone belga Louis de Cartier, per disastro doloso permanente ed omissione dolosa di dispositivi di prevenzione (rispettivamente articoli 434 e 437 del codice penale) .

L’azienda invece è stata condannata al risarcimento 100.000 euro per ogni ente sindacale Cgil, Usr Cisl Piemonte, Usr Cisl Torino, Feneal, Uil Reg, Uil Prov Alessandria, e per l’associazione esposti amianto, 70000 euro per Wwf e Medicina Democratica, quattro milioni per il Comune di Cavagnolo, oltre ad una provvigione all’Inail di 15 milioni di euro. A ciascuno dei parenti delle vittime che si sono costituiti parte civile il risarcimento è di soli 30 mila euro. Al Comune di Casale Monferrato 25milioni mentre 50 milioni a Romana Blasotti Pavesi, presidente dell’associazione famigliari vittime amianto. Nel documento di accusa un lungo elenco di 2.191 morti, 665 malati per patologie causate dall’amianto e 4500 parti civili.

Lacrime di sofferenza e di gioia hanno bagnato i volti dei presenti che hanno assistito al processo. Nelle varie aule, oltre duemila persone, famigliari delle vittime, delegazioni estere provenienti dalla Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Perché in molte nazioni questo mortale materiale è ancora in uso e negli stabilimenti meno avanzati viene addirittura movimentato in maniera rudimentale e senza protezioni di sicurezza.

Questa volta l’Italia, il paese che tutti considerato incapace, ha fatto scuola, anche se è dagli anni Settanta che sono iniziate le prime battaglie sociali per sollevare la questione dei danni alla salute. Emblematiche le dichiarazioni del pubblico Ministero Raffaele Guarinello «È un processo storico. Il più grande nella storia e nel mondo in materia di sicurezza sul lavoro che dimostra che un processo si può fare. Bisogna lavorare per dare giustizia e su questo abbiamo avuto aiuto da quasi tutte le istituzioni» sul ruolo dell’amministrazione comunale ha asserito «il sindaco di Casale è stato bravo a non cedere di fronte all’offerta di Stephan Schmidheiny di 18,3 milioni di euro. Poiché un comune rappresenta la sua comunità e questa era contraria»

. Inoltre per il magistrato «siamo di fronte a una grande ingiustizia internazionale: ci sono paesi in cui se si tocca l’amianto bisogna farlo con lo scafandro altri in cui ancora si tocca con le mani».I due imputati non sono in aula, ma la loro assenza è colmata da una folla che ha atteso fiduciosa il verdetto. Un’altra sentenza, che dopo quella della ThyssenKrupp, dimostra che sui luoghi di lavoro la sicurezza deve essere garantita e le leggerezze da parte dei vertici delle aziende sono inaccettabili. Sono troppe le realtà occupazionali in cui si opera senza il rispetto delle norme e in cui di fatto vengono messe a tacere le infrazioni. Un altro esempio è il recente incidente nucleare a Fukushima.

Risparmiare sulla sicurezza, e non provvedere coscienziosamente ad essa, è un atto delittuoso che mette a repentaglio le vite umane e la salvaguardia dei lavoratori, oltre che a distruggere irrimediabilmente l’ambiente. Si tratta di un errore inaccettabile e si spera che questo processo storico, che vede l’Eternit in primo piano, scriva in modo indelebile la parola Giustizia. Il comune di Casale Monferatto rappresenta il simbolo della lotta all’amianto, già negli anni Settanta e Ottanta ci sono state le prime denunce per i rischi di salute dei lavoratori contro l’Eternit. Oltre 2mila presentate da Cgil, Cisl e Uil e dall’Afea (associazione familiari vittime dell’amianto) alla Procura della Repubblica di Torino. Soltanto nel 2004 prende vita l’inchiesta del sostituto procuratore Raffaele Guariniello a carico dei due vertici, Stephan Schmideiny e Louis de Cartier de Marchienne.

Il 22 luglio 2009 il giudice delle udienze preliminari decide il rinvio a giudizio dei responsabili della multinazionale svizzero-belga. L’udienza di primo grado si è svolta a distanza di anni, il 10 dicembre del 2009. Lo stabilimento incriminato aveva chiuso i battenti nel 1986. Nel 1987 il comune di Casale Monferrato aveva emesso un’ordinanza che vietava l’utilizzo dell’amianto nel territorio, anticipando la legge n. 257 del 1992, con cui viene bandito a livello nazionale. Ma è ormai risaputo che il pericolo amianto è una triste realtà, forse ancora troppo ignorata, visto che non vi sono ancora normative restrittive che impongono lo smaltimento di quello usato ampiamente in varie applicazioni, che costituisce comunque un fattore di rischio.

Non si tratta solo delle ex cave di estrazione presenti in vari siti e non sempre correttamente bonificate o a cielo aperto (ad esempio si potrebbe citare quella di Serpentino a Trana, oppure quella nel comune di Balangero) ma gli usi dell’eternit, applicati soprattutto nell’edilizia sono innumerevoli, dalle coperture di amianto-cemento alle tubature, ai rivestimenti delle canne fumarie al linoleum. Secondo l’Institute Cancer Research di Londra, il problema dell’esposizione all’amianto rischia un incremento di ammalati che sfiorerà le 400.000 vittime. Inoltre la regione Piemonte è fra quelle più a rischio. Le patologie da esposizione all’amianto sono l’ asbestosi , il cancro polmonare, il mesotelioma ed altre neoplasie quali quelle gastro-intestinali e della laringe. Nonostante le Asl indichino come rischioso solo l’amianto friabile, uno studio della Clinica del lavoro di Milano ha dimostrato che anche il solido cemento-amianto non è più considerabile integro già dopo un anno di esposizione alle intemperie. Inoltre è stato dimostrato che soltanto il 40% delle morti dovute a mesotelioma sono causate da malattia professionale, il 60% riguarda infatti la popolazione che non ha mai lavorato a diretto contatto dell’amianto. La presenza di questo materiale è stata massicciamente utilizzata in numerosi ambiti per le sue caratteristiche d’isolamento termico ed elettrico , per la resistenza al fuoco, per le capacità fonoassorbenti, per il basso costo e la facilità di lavorazione. Il cemento amianto è stato sfruttato per le coperture dei tetti, e nelle zone montane diffuso né è stato l’uso nelle canne fumarie. In Val di Susa sono state rilevate tracce del materiale nell’aria, nel terreni coltivati, e la procura di Torino ha aperto un’inchiesta evidenziando un’incidenza 2-3 volte superiore, in proporzione, a quella registrata a Casale Monferrato, sede di uno stabilimento Eternit.

In Val Sangone invece da anni si registra un aumento dei tumori all’intestino (che raggiunge picchi del 73% rispetto alla media piemontese). Sebbene una delle cause maggiori è legata alle scorrette abitudini alimentari non sarebbe da sottovalutare l’ipotesi di un’attinenza fra la presenza di amianto e il cancro al colon. Una probabilità che nel nostro paese non è avvalorata dalla lettera medica in materia, ma che all’estero è invece oggetto di ricerche. Infatti corpi di asbesto sono stati rinvenuti in tumori del colon-retto in soggetti asbestosici in uno studio condotto dal professor Ehrlich nel 1985. Ma già nel 1994 Homa ei suoi colleghi avevano evidenziato che le neoplasie del colon-retto risultavano significativamente aumentate in caso di esposizione a fibre anfiboliche esaminate, cosa che non veniva evidenziata tra gli esposti a crisotilo, indicando un diverso effetto cancerogeno a seconda della tipologia di amianto implicata, del resto già documentato per i tumori respiratori.
L’ingestione di fibre di asbesto è stata di recente correlata al rischio di adenocarcinoma esofageo e di diversi altri tumori intestinali come dimostrano due differenti ricerche dell’equipe di Jansson e Kiaerheim effettuate nel 2005. Altri studi epidemiologici più recenti hanno attribuito l’insorgenza dei tumori del tratto gastro-intestinale in zone in cui l’acqua potabile conteneva tracce di amianto. Senza andare troppo lontano, negli anni 90, in Toscana, sono stati fatte verifiche sull’esistenza della sostanza nelle acque potabili, ed ove riscontrata, nel 79% dei casi è stata attribuita al rilascio da parte delle tubazioni in cemento amianto. In Italia l’asbesto non rientra tra i parametri che inficiano la qualità delle acque destinate al consumo umano, e pertanto eventuali residui non sono considerati pericolosi e questa è una superficiale interpretazione che minimizza un fattore di rischio. Non bisogna dunque sottovalutare le gravi ripercussioni sulla salute umana a causa di questo materiale, e si spera che la sentenza di oggi porti non solo a bandire l’utilizzo dell’amianto nel resto del mondo ma anche ad attuare politiche di bonifica mirate a smaltire l’esistente.

Scriveva Primo Levi nel “Sitema Periodico”«C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo, e poi lo si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo; i tetti erano coperti da uno spesso strato di polverino, che nei giorni di pioggia si imbeveva come una spugna, e ad un tratto franava violentemente a terra».

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Eternit: condanna a 16 anni. Quanto amianto c’è ancora?

È arrivata una storica sentenza di reclusione per i responsabili dell’azienda: sono 2.100 i morti per l’amianto. Ma il problema è tutt’altro che risolto

 

Pericolo amianto

 

 

  • Pericolo amianto

    Pericolo amianto

     

Oggi è una data storica per le vittime dell’Eternit, quel pericolosissimo fibrocemento a base di amianto responsabile di milioni di morti in tutto il mondo. È uscita infatti oggi la sentenza che vede come imputati Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga, 90 anni. L’accusa è di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche. I due, che sono stati alti dirigenti della multinazionale svizzera Eternit, hanno ricevuto una condanna a 16 anni di reclusione. Il processo è durato oltre due anni e si è articolato in 65 udienze. Ai dirigenti vengono contestate le morti di 2.100 persone e le malattie che hanno colpito altre 800 persone nelle zone degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Le parti civili che si sono costituite in giudizi sono oltre seimila.

Ma la lettura della sentenza non mette purtroppo la parola fine all’allarme eternit. Le ragioni sono diverse. Prima fra tutte è che ancora oggi non si riesce a fare una valutazione sul numero delle vittime. L’eternit è stato infatti collegato, oltre che alla malattia polmonare cronica nota come asbestosi, anche all’insorgenza del cancro. Siamo quindi di fronte a malattie che hanno un periodo di incubazione molto lungo, che si aggira intorno ai 30 anni. Per cui la lunga lista delle vittime non si può dire chiusa. Purtroppo molti ancora potrebbero pagare il prezzo di esser entrati a contatto con questo materiale tossico.

La seconda ragione che non permette di archiviare definitivamente il problema eternit è che in Italia c’è ancora l’amianto. Secondo le stime del Cnr e di Ispesl ci sono ancora ben 32 milioni di tonnellate di amianto e un miliardo circa di metri quadri di coperture in eternit sui tetti. La stima sui decessi è allarmante: 4mila persone ogni anno perdono la vita a causa dell’amianto. Secondo lo Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio inquinamento (Sentieri) dell’Istituto superiore di sanità, ci sono almeno una quarantina di luoghi di interesse per una bonifica d’amianto. Secondo il Registro nazionale mesioteliomi i più colpiti sono gli operai che lavorano la fibra, seguiti dai familiari e dagli abitanti delle zone vicine ai grandi centri di pericolo, come Casale Monferrato. L’Agenzia dell’Oms per la ricerca sul cancro (Iarc) classifica l’amianto come sicuramente cancerogeno per l’uomo, capace di provocare tumori della pleura (mesoteliomi), del polmone, della laringe, dell’ovaio.

Il materiale killer si nasconde in tubature, rotaie, rivestimenti di tetti e garage. Le condizioni di questi manufatti sono anche precarie per via del deterioramento causato dal tempo. A questo si deve aggiungere il fatto che il processo di bonifica e smaltimento è tutt’altro che concluso. Per legge infatti lo smantellamento di tetti o altri manufatti che contengono amianto è obbligatoria solo se si trovano in uno stato di degrado tale da poter formare delle particelle che possono essere inalate. Secondo la normativa, il lavoro di bonifica e smaltimento può essere effettuato solo da ditte specializzate che possono contare sull’aiuto di personale qualificato. L’elenco delle ditte autorizzate si può trovare sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare: basta cliccare sull’icona “Codice Rifiuto” e compilare i campi richiesti (regione, provincia, ecc.)

La prima operazione che gli operatori della ditta devono eseguire è l’accertamento della presenza di amianto tramite l’analisi storica del sito e attraverso test di laboratorio su un campione del materiale. Una volta determinata la presenza dell’amianto si procede con l’incapsulamento, un’operazione di bonifica transitoria che prevede il trattamento delle superfici delle lastre esposte agli agenti atmosferici con sostanze sintetiche che impediscono il rilascio di polveri tossiche. Per procedere invece allo smaltimento definitivo, il materiale deve essere confezionato, seguendo una serie di misure di sicurezza eccezionali, e poi trasportato in apposite discariche.

Ma anche quando si riuscirà a eliminare definitivamente la presenza di amianto su tutto il territorio nazionale, rimane il problema dei manufatti a rischio che possono essere importati dall’estero. Nonostante infatti l’Europa abbia bandito l’eternit negli anni ’90, ci sono ancora alcuni paesi dove viene utilizzato, come ad esempio la Russia, il Canada, la Cina, l’India, il Brasile e la Thailandia.

(Credit per la foto: MENAHEM KAHANA/AFP/Getty Images)

 

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