Tiroide, attenzione allo iodio e allo stress da rientro

Stress nelle donneCon l’estate che volge al termine, attenzione ai segnali di disturbi tiroidei. Lo stress da rientro infatti può provocare, soprattutto nelle donne, un’accentuazione di questo disturbo. I segni sono pelle lucida, nervosismo, variazioni del peso corporeo. Sono tutti segnali che fanno da spia ai problemi alla tiroide.

Lo ha detto il prof. Adriano Redler, preside della Facoltà di Medicina e Odontoiatria e direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato di Chirurgia Generale “R. Paolucci” del Policlinico Umberto I di Roma, nell’ambito del programma di prevenzione ”Pass rosa”.

Solo nell’ultimo anno, ha detto Redler, ”abbiamo visitato oltre 1200 donne, scoprendo che l’80% di loro soffre di disturbi della tiroide: non vere e proprie patologie di distiroidismo, ma disomogeneità del parenchima tiroideo. L’80% del totale significa 3 donne su 4 in età fertile, un numero elevatissimo su un campione preso a caso di lavoratrici tra i 25 e 50 anni, chiamate ad eseguire questo screening”.

E la vacanza può giocare un ruolo nei disturbi alla tiroide. Una vacanza ‘sbagliata’ infatti per il paziente ipertiroideo, può causare disturbi, ad esempio con l’assunzione di troppo iodio che moltiplica l’attività di questa ghiandola.

“Il paziente ipertiroideo, quindi, andando al mare e respirando iodio – sottolinea Redler – getta benzina sul fuoco. Questo provoca eccitazione, porta a soffrire di più il caldo, a sviluppare un senso di allerta continuo di panico e angoscia, e il cuore batte più forte. Questo genere di paziente, dunque, è meglio che per le ferie si rechi in collina o in montagna, dove domina il verde, colore più tranquillo e rilassante dell’azzurro del mare e del cielo”.

L’ipotiroideo, al contrario, secondo Redler deve andare al mare, svolgere attività sportiva moderata. Deve prendere il sole, consumare cibi ricchi di iodio, appunto la ‘benzina’ per far produrre l’ormone tiroideo, che si assume anche consumando più pesce. Sarebbe anche meglio limitare il consumo di carboidrati come pasta, pizza e pane, e bere tanta acqua naturale.

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Nodo alla gola Fastidio e senso di blocco alla gola possono essere sintomi di diversi disturbi. Vediamo meglio di cosa si tratta.

La disfagia è il termine medico con cui si indica la difficoltà ad inghiottire cibo o acqua. Se questo fastidio da occasionale diviene frequente o costante, può essere di tipo psicosomatico o dipendere da problemi a carico di altri organi. Le situazioni più comuni in cui si verifica quello che comunemente è chiamato nodo alla gola sono lo stress, il reflusso esofageo e il gozzo.

La deglutizione
La deglutizione, che permette di ingoiare cibi, liquidi e saliva, è una delle funzioni che il nostro corpo compie più spesso; in un giorno avviene dalle 500 alle 1.200 volte. La frequenza dipende dall’età della persona e dalle azioni che si compiono. Nell’adulto solitamente avviene 1 volta al minuto se si è svegli mentre se si dorme ogni 5 minuti; nel bambino invece è di cinque volte al minuto da sveglio e di tre nelle ore di riposo.
Nodo alla gola
Colpa dello stress
La sensazione di avere un nodo alla gola può comparire anche in assenza di problemi fisici: stress, ansia e depressione possono essere la causa del “bolo” isterico, che crea un impedimento al transito non solo del cibo, ma anche della saliva. È una sensazione psicosomatica, ovvero un disturbo dovuto al trasferimento dei propri timori e delle proprie insicurezze sul corpo, che si manifestano con sintomi del tutto simili a malattie che però non sono presenti. In questo caso è necessario ridurre al massimo le fonti di stress che causano l’ansia. Oltre poi ai farmaci ansiolitici e antidepressivi (sempre e solo sotto controllo medico!), può essere di aiuto la psicoterapia.

Il reflusso
Se il cardias, cioè la valvola che mette in comunicazione l’esofago con lo stomaco, non funziona bene, il cibo tende a risalire e a ritornare verso la bocca. Si verifica così il reflusso esofageo, un disturbo caratterizzato dalla risalita degli acidi presenti nello stomaco verso l’esofago. Nei casi meno gravi è sufficiente non sdraiarsi subito dopo aver finito di mangiare e assumere dei farmaci che aiutano a svuotare lo stomaco più velocemente. Nei casi più gravi, invece, bisogna correggere il difetto del cardias con un intervento chirurgico.

Nodo alla golaIl gozzo
Il gozzo è causato da un aumento delle dimensioni della tiroide e può comprimere l’esofago, ostacolando il passaggio dei cibi. Di solito viene curato con i farmaci antitiroidei che riducono l’eccessiva produzione di ormoni della tiroide, con lo iodio radioattivo o con un’asportazione chirurgica.

Come individuare il problema
Se la difficoltà a deglutire è passeggera non vale la pena preoccuparsi, mentre se il disturbo perdura per settimane è meglio fare dei controlli medici. Quelli più importanti sono i seguenti:

  • Per valutare le condizioni dell’esofago è utile una radiografia con contrasto; la persona deve ingerire del bario, una sostanza che rende più visibili gli organi interni.
  • Se questo esame non evidenzia nulla può essere utile ricorrere alla gastroscopia che può rivelare problemi all’esofago o un’ernia iatale.
  • Infine esclusi i disturbi all’esofago si possono indagare gli altri organi coinvolti nella deglutizione con la fibrolaringoscopia che consente di ispezionare le parti interne della cavità di naso, bocca e laringe.
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Contro lo stress serve una pausa ogni 62 giorni

Due esettimane al mare in estate non bastano per rinvigorirci dallo stress del lavoro. Almeno non più.

Gli orari prolungati di lavoro e un carico pesante richiedono sei pause all’anno. Lo ha rilevato la ricerca britannica ‘Post Office Travel Insurance’ riportata dal quotidiano britannico Daily Mail.

Per rimanere freschi e concentrati abbiamo bisogno di fare un break almeno ogni 62 giorni. Coloro che invece aspettano più di due mesi hanno molte più probabilità di diventare ansiosiaggressivi e malati. I ricercatori hanno rilevato che un quarto dei lavoratori interpellati si sente sotto pressione tanto che si sente disperato. Il rimedio è più facile a dirsi che a farsi.

Solo una persona su 5 degli intervistati può fare una pausa ogni due mesi. Il 44 per cento invece aspetta una vacanza per sei mesi o più. Tuttavia la maggior parte dei soggetti interpellati comincia a sentirsi meglio appena si riesce ad allontanare dallo stress: oltre la metà ha ammesso di sentirsi ‘perfettamente riposato’ dopo appena uno o due giorni in cui ci si è lasciati andare.

Per gli uomini poi lasciarsi tutto alle spalle è decisamente più semplice che per le donne che impiegano più tempo per rilassarsi una volta che vanno in vacanza.

I licenziamenti che ci sono stati in tutto il paese (Gran Bretagna) – ha detto Cary Cooper, psicologa della Lancaster University – hanno portato a una diminuizione nel numero di lavoratori, ma non del carico di lavoro. Di conseguenza, il personale che rimane lavora più duro e più a lungo“.

I lavoratori – ha continuato Cooper – dovrebbero in realtà fare una pausa ogni due mesi altrimenti si esauriscono, il che è un male per loro e per il datore di lavoro“.

Non solo: il troppo lavoro ‘stressa’ il sistema immunitario, rendendo più probabile il rischio di sviluppare un raffreddore o prendere l’influenza. “Dal punto di vista del datore di lavoro– ha detto Cooper – un dipendente che non è stato in vacanza diventerà meno produttivo e più incline ad errori“.

http://news.paginemediche.it/it/230/ultime-notizie/psicologia/detail_155854_contro-lo-stress-serve-una-pausa-ogni-62-giorni.aspx?c1=80

La serie tv preferita si conclude? È un dramma

Un’angoscia simile a quella di cui si soffre quando finisce un rapporto d’amore, anche se meno intensa. Ci si sente smarriti e, allo stesso tempo, un po’ depressi. E’ questo l’effetto che sortisce, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Mass Communication and Society da un gruppo di studiosi dell’Ohio State University guidati da Emily-Moyer Gusi, la serie tv preferita che arriva a conclusione. E le repliche, quando mandate in onda, non bastano a lenire il disagio che si prova: sono solo copie.

Dexter, CSI, Justified, Grey’s Anatomy, Friends: quale sia il tipo di telefilm che si preferisce guardare non incide sul dolore che si prova quando ce se ne separa, spiega Moyer-Gusi. A fare la differenza è piuttosto il motivo per il quale lo si segue: da questo dipende il livello di stress percepito quando non lo si trova più sullo schermo televisivo.

 

Lo studio statunitense ha esaminato come gli spettatori – tutti universitari – hanno reagito davanti alla fine del proprio programma preferito. Ai partecipanti è stato anche chiesto quanto spesso guardavano la televisione e i motivi che li spingevano a farlo, e quanto fosse importante per loro. Dai risultati è emerso che i ragazzi che affermavano di sentirsi in “forte relazione” con i personaggi erano coloro che si sentivano più a disagio quando i telefilm interrompevano le programmazioni: “’Ci sono alcuni aspetti dei rapporti con i personaggi televisivi che possono essere paragonati ai rapporti reali – spiega la studiosa – ma l’intensità è, in genere, ridotta”. Alcuni affermano di “percepire un disagio reale”, simile a quello che si prova quando finisce un rapporto d’amore o d’amicizia, anche se l’intensità dell’angoscia che si prova, spiega la ricercatrice, “non è paragonabile a quella che si prova nella realtà”.

 

Lo shock dell’“abbandono”, però, rimane, e in molti accusano il colpo. Conclusa la serie tv, come si impiega il tempo che prima si trascorreva davanti allo schermo? Quasi la metà dei partecipanti allo studio – il 40% – ha sostituito la visualizzazione della serie tv con altre attività multimediali, come l’utilizzo di internet, mentre il 18% ha dichiarato di trascorrere più tempo con amici e familiari.