Nimesulide ancora in vendita. Ecco perché

 

In diversi Paesi i farmaci a base di nimesulide (in Italia il più noto è l’Aulin), sono stati ritirati già da diverso tempo: il loro uso può causare problemi al fegato. In Italia, invece, sono ancora disponibili. Come mai? Secondo l’Agenzia europea del farmaco i benefici sono superiori ai rischi. La nimesulide resta in commercio, ma con condizioni e limitazioni d’uso precise.

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I primi Paesi a ritirare dal mercato i medicinali contenenti nimesulide (per l’Italia il farmaco di marca più noto è l’Aulin, ma sono disponibili anche i generici-equivalenti) erano stati, nel 2002, Spagna e Finlandia, seguite nel 2007 dall’Irlanda. La decisione era stata presa dopo diverse segnalazioni di casi di tossicità al fegato. In altri Paesi, come ad esempio il Regno unito, questi medicinali non sono mai stati commercializzati. Allora come mai in Italia continuano a essere venduti? Ce lo chiedono in molti: in rete circolano diverse informazioni, non sempre vere, al riguardo.

I benefici superano i rischi: la nimesulide resta in commercio

Nel corso di diversi anni, dal 2002 al 2011, l’Agenzia europea del farmaco (Ema), ha più volte avviato una procedura di raccolta e analisi dei dati disponibili sulla nimesulide per decidere se ritirare oppure lasciare in commercio i farmaci nei Paesi europei in cui sono ancora venduti. In seguito ai processi di revisione (l’ultimo voluto dalla Commissione europea nel 2010), l’Agenzia ha concluso che i benefici che i farmaci apportano superano i rischi: la nimesulide perciò resta in commercio, anche se dev’essere considerata un antidolorifico di seconda scelta.

Tempi e modalità d’uso raccomandati

Gli effetti collaterali sul fegato, però, sono stati confermati. Per questo, per ridurre al minimo il rischio nei pazienti, l’Agenzia europea del farmaco raccomanda tempi e modalità precisi per l’assunzione di nimesulide.

  • Non deve essere usata da pazienti con problemi al fegato.
  • È indicata solo per il trattamento del dolore acuto (mentre prima veniva usata anche in casi di dolore cronico) e dei dolori mestruali.
  • Deve essere utilizzata solo per brevi periodi, al massimo 15 giorni.
  • La dose massima giornaliera è di 200 mg (pari a due bustine o due compresse).
Come si acquista in Italia

L’Aifa, Agenzia italiana del farmaco, si è adeguata alla decisione dell’Ema lasciando la nimesulide in commercio. Ma, nel 2007, ha deciso di modificare il regime di fornitura di farmaci a base di nimesulide. Dalla ricetta ripetibile si è passati a alla ricetta non ripetibile: oggi, per ogni nuova confezione acquistata, dev’essere presentata una nuova ricetta, che viene trattenuta dal farmacista all’atto della consegna del farmaco. Questa decisione è stata presa per limitare gli usi inappropriati dei farmaci a base di nimesulide, che nel nostro Paese, soprattutto in passato, sono stati molto frequenti.

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Sanità: Italia tra gli ultimi in Europa per risorse destinate alla protezione sociale dei disabili

Dalla ricerca Fondazione Cesare Serono/Censis, per i servizi il Bel Paese spende ogni anno 438 euro pro-capite, meno della media europea (€531) e del Regno Unito (€754). Il modello rimane assistenzialistico con responsabilità scaricate sulle famiglie

Fonte: Immagine dal web

 

Italia fanalino do coda nel confronto europeosui servizi messi in campo nella gestione e l’assistenza dei bisogni delle persone con disabilità. Con 438 euro pro-capite annui, infatti, l’Italia si colloca molto al di sotto della media dei Paesi dell’Unione europea (531 euro). In Francia si arriva a 547 euro per abitante all’anno, in Germania a 703 euro, nel Regno Unito a 754 euro, e solo la Spagna (395 euro) si colloca più in basso del Bel Paese. I dati arrivano dalla ricerca di Censis e Fondazione Cesare Serono, che dopo aver studiato e approfondito le esigenze assistenziali e i problemi socio-economici dei malati di Parkinson, Down, autismo e sclerosi multipla, in questo quarto appuntamento del progetto ‘Centralità della persona’ si concentrano ora sull’analisi dell’offerta di servizi per cronici e disabili da parte della sanità italiana.

Così, scorrendo le pagine del dossier, si scopre che ancora più grande è la sproporzione tra lemisure erogate sotto forma di benefici cash, ossia di prestazioni economiche, e quelle in natura, ossia sotto forma di beni e servizi. In quest’ultimo caso il valore pro-capite annuo in Italia non raggiunge i 23 euro, cioè meno di un quinto della spesa media europea (125 euro), un importo lontanissimo dai 251 euro della Germania e pari a meno della metà perfino della spesa rilevata in Spagna (55 euro). 

SOSTEGNO ECONOMICO EROGATO DALL’INPS E ASSISTENZA DELEGATA ALLE FAMIGLIE.Secondo gli ultimi dati disponibili, in Italia le misure economiche erogate dall’Inps in favore di persone che hanno una limitata o nessuna capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile, incluse le indennità di accompagnamento, per una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro all’anno. Ma il modello italiano rimane fondamentalmente assistenzialistico e incentrato sulla delega alle famiglie, che ricevono il mandato implicito di provvedere autonomamente ai bisogni delle persone con disabilità, di fatto senza avere l’opportunità di rivolgersi a strutture e servizi che, sulla base di competenze professionali e risorse adeguate, potrebbero garantire non solo livelli di assistenza migliori, ma anche la valorizzazione delle capacità e la promozione dell’autonomia delle persone con disabilità.

IL RITARDO ITALIANO SU INSERIMENTO LAVORATIVO DEI DISABILI. L’Italia è ancora molto indietro sul fronte dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità, come dimostrano i dati sui tassi di occupazione. Le differenti definizioni di disabilità in uso nei diversi Paesi europei rendono difficile il confronto. Ma ad esempio in Francia, dove il 4,6 per cento della popolazione (una quota simile a quella italiana) ha un riconoscimento amministrativo della propria condizione di disabilità, si arriva al 36 per cento di occupati tra i 45-64enni disabili, mentre in Italia il tasso si ferma al 18,4 per cento tra i 15-44enni e al 17 per cento tra i 45-64enni. Anche i dati prodotti dalle ricerche della Fondazione Cesare Serono e del Censis evidenziano le enormi difficoltà che queste persone incontrano, sia a trovare un lavoro una volta completato il percorso formativo (è il caso delle persone con sindrome di Down e degli autistici), sia a mantenere l’impiego a fronte di una malattia cronica che causa una progressiva disabilità (è il caso delle persone con sclerosi multipla). Meno di una persona Down su 3 lavora dopo i 24 anni, e il dato scende al 10 per cento tra gli autistici con più di 20 anni. Meno della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 e i 54 anni è occupata, a fronte del 12,9 per cento di disoccupati e del 23,5 per cento di pensionati.

DISABILI A SCUOLA: SE LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO SONO SCARSE O INADEGUATE.L’inclusione scolastica occupa un posto centrale nel panorama delle politiche di inserimento sociale delle persone con disabilità. In Italia però sono poche le scuole speciali dedicate ad alunni con problematiche sanitarie complesse. Ma la legge obbliga tutte le scuole pubbliche e private ad accettare l’iscrizione degli alunni con disabilità. Se è vero che l’esperienza italiana rappresenta un’eccellenza, le risorse dedicate alle attività di sostegno e di integrazione degli alunni con disabilità nella scuola appaiono spesso inadeguate. Nell’anno scolastico 2010-2011 circa il 10 per cento delle famiglie degli alunni con disabilità ha presentato un ricorso al Tribunale civile o al Tribunale amministrativo regionale per ottenere un aumento delle ore di sostegno.

LA METODOLOGIA DI INDAGINE E I DATI DELLE ASL SUI SERVIZI. Per fornire una mappa dell’offerta sanitaria e socio-sanitaria su cui possono contare i disabili italiani è stata realizzata un’indagine nazionale che ha coinvolto tutte le 147 Asl e che si basa sulle risposte di 35 di esse. Con riferimento ai servizi disponibili per le persone Down, 19 Asl su 24 indicano la presenza di servizi di neuro e psico-motricità dell’età evolutiva e di logopedia, 16 segnalano l’attivazione di progetti di educazione all’autonomia e 17 di altri servizi. Per quel che riguarda i pazienti affetti da disturbi dello spettro autistico, 21 Asl su 24 segnalano l’offerta di servizi di logoterapia e 18 su 24 garantiscono la terapia per la psicomotricità. Per quanto riguarda i servizi per i pazienti affetti da sclerosi multipla, l’offerta delle Asl si concretizza soprattutto in riabilitazione motoria e logopedia, la prima garantita praticamente dalla totalità delle Asl, la seconda dalla metà. Per i pazienti con la malattia di Parkinson, tutte le Asl hanno segnalato di garantire la riabilitazione motoria, la metà quella del linguaggio, un terzo la terapia occupazionale.
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8 ottobre 1954 – I governi di Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Jugoslavia firmano il Memorandum di Londra, Trieste verrà restituita all’Italia il 26 ottobre dello stesso anno

Memorandum di Londra (1954)

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

 

Bandiera del TLT

Stemma

Carta del Territorio Libero di Trieste (1947-1954)

Il Memorandum di Londra fu un protocollo d’intesa sottoscritto il 5 ottobre 1954 fra i Governi d’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia, concernente il Territorio Libero di Trieste nel quale si stabiliva che la Zona A passava all’amministrazione civile italiana (con alcune correzioni territoriali a favore della Jugoslavia nel comune di Muggia) e la Zona B a quella jugoslava; il passaggio dei poteri dall’amministrazione alleata a quella italiana avvenne il 26 ottobre 1954. Nel 1975 un nuovo trattato firmato a Osimo (AN), sanciva la spartizione definitiva dell’ex Territorio libero di Trieste.

Veniva inoltre disposta una piccolissima modifica territoriale a favore della Jugoslavia, di modo che il confine tra la zona A e la zona B si collocasse tra Punta Grossa e Punta Sottile (precedentemente entrambe facevano parte della zona A), così che la zona B venisse ampliata di circa 11,5 km² e 3.000 abitanti; in tal modo, piccoli nuclei abitati che avrebbero dovuto ricadere sotto l’amministrazione italiana (ad es. Crevatini) furono assegnati a quella jugoslava.

Tale modesta – ma all’epoca ritenuta “significativa” – modifica territoriale a favore della Jugoslavia fu adottata dietro numerose pressioni ed insistenze di Tito, le ragioni delle quali non furono mai chiarite.

Il punto centrale del Memorandum era il fatto che costituisse una sistemazione provvisoria, in quanto nello stesso non si parla di sovranità, ma di passaggio di amministrazione; ciò permise al governo italiano di non rinunciare – a quel momento – ad alcun diritto sulle terre istriane della zona B, anche se in realtà pochi si illusero che tali territori potessero essere riannessi alla madrepatria.

 

Le zone

Zona A

All’ Italia

Zona B

Alla Jugoslavia