Scoperta la proteina che porta al cancro

Scoperta la proteina che porta al cancro
Milano – I ricercatori dell’Università Statale di Milano in collaborazione con i colleghi di Harvard hanno scoperto una proteina che facilita la trasformazione delle cellule in tumori. 
Sarebbe la proteina NF-Y, che regola l’utilizzo del Dna all’interno delle cellule, a portare il cancro nell’organismo. 
Lo scopo degli esperti è quello di isolare la proteina in questione per frenare il processo di sviluppo del tumore, per arrivare a una nuova strategia di cura della malattia.

Bere alcol è dannoso anche se con moderazione

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L’abuso di alcol è sicuramente un attentato alla nostra salute, si diceva però che un bicchiere di vino al giorno facesse bene alla salute cardiovascolare. Ma un nuovo studio direbbe l’esatto contrario: bere alcol è dannoso anche se con moderazione, sarebbe dannoso per il cervello adulto poichè ne intacca la plasticità strutturale.

A dirlo è un nuovo studio della ‘Rutgers University’, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica ‘Neuroscience’. Il danno cerebrale consiste nella riduzione del 40 per cento della produzione di cellule nelle persone che durante la settimana bevono poco, per poi eccedere nei fine settimana. Abitudine che dilaga fra i giovani che iniziano a bere molto presto.

La scoperta allarmante porta la firma di Tracey J. Shors, professoressa di neuroscienze comportamentali e sistemi presso la Rutgers University e la dottoressa Megan Anderson, che hanno collaborato a loro volta con Miriam Nokia della University of Jyvaskyla in Finlandia.

La spiegazione arriva dalla dottoressa Megan Anderson che commenta come bere alcol è dannoso anche se con moderazione smentendo dunque che un bicchiere di vino al giorno faccia bene:

Anche bere con moderazione può trasformarsi in binge drinking [bere compulsivo] senza che la persona se ne accorga. A breve termine potrebbero esserci danni motori o funzionali impercettibili, ma a lungo termine questo tipo di comportamento potrebbe avere effetti molto negativi su apprendimento e memoria.

Negli Stati Uniti ed in altri paesi, il limite consentito dalla legge quanto a uso di alcol è dello 0,08 per cento. Partendo da questo, gli scienziati hanno condotto dei test su modello animale. La dose è stata adattatta a quella del consumo umano, vale a dire 3-4 bevande per le donne e 5 per gli uomini.

I risultati degli esperimenti hanno evidenziato la riduzione del 40 per cento delle cellule nervose prodotte nell’ippocampo, dove nascono i nuovi neuroni nel cervelllo che consentono, in modi diversi, le funzioni di apprendimento:

Se questa area del cervello è colpita ogni giorno per molti mesi e anni, alla fine si potrebbe non essere in più grado di ottenere nuove abilità o imparare qualcosa di nuovo nella vostra vita. E’ qualcosa di cui si potrebbe anche non essere a conoscenza che si sta verificando.

Naturalmente, ogni persona è un mondo sè, se per qualcuno un bicchiere di una qualsiasi bevanda alcolica potrebbe essere eccessivo, per altri berne almeno tre è come fare un passeggiata di salute. Resta evidente il fatto che la moderazione è fondamentale per la nostra salute e, sapendo che bere alcol è dannoso anche se con moderazione, sarebbe opportuno pensare di accantonare l’idea delle grandi bevute con gli amici nei fine settimana solo per ‘sballarsi’, non ne vale davvero la pena.

Photo credit: Mark Birkle su Flickr

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Ricerca dopo ricerca si comicia a capire come mai, pur individuando le cellule cancerose ed attaccandole, non riusciamo a sconfiggere il tumore

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«Nemici esterni e “traditori” interni si insinuano tra le nostre cellule. Un fuoco continuo senza tregua ci colpisce e noi di rimando ci difendiamo con i linfociti. Non ci accorgiamo quasi di queste battaglie silenziose, che ci salvano la vita. Non sempre però possiamo fidarci dei nostri difensori professionali, talvolta qualcosa accade a livello del nostro sistema immune a scombinare le carte e gli agenti di difesa “passano al nemico”. 

L’immunologia è la scienza che studia la capacità del nostro organismo di far fronte agli invasori da dentro e da fuori: patogeni e cellule cancerose. Dopo molte illusioni, alternanza di successi e fallimenti, l’immunologia torna alla frontiera della battaglia contro il cancro, alla luce delle novità scientifiche. Alberto Mantovani, Francesco Marincola e colleghi rilanciano in questi giorni su Lancet, rivista medica internazionale tra le più note, l’immunologia come arma vincente, nel contesto del microambiente del tumore. 

I “battaglioni” specializzati L’evoluzione d ha dotato di un sistema immune, poiché siamo costantemente esposti ad un enorme numero di organismi patogeni che tentano di utilizzare i nostri corpi per potersi propagare a nostro danno. Talvolta delle alterazioni possono insorgere nelle nostre stesse cellule, determinando una crescita rapi da, aggressiva ed incontrollata, quale il cancro. Come può il nostro corpo re spingere e controllare questi eventi preservando la nostra salute? Risulta innanzitutto necessario che le cellule che ci difendono, i globuli bianchi, sappiano riconoscere chi è il nemico ed ucciderlo, senza attaccare le cellule sane del nostro corpo. Infatti, quando il patogeno si trova all’interno delle nostre cellule (come nel caso delle infezioni virali) il globulo bianco non può “vederlo” direttamente e deve poter discriminare quali siano le cellule infette da eliminare da quelle sa ne che stanno loro accanto.

Il sistema immune è il nucleo di difesa della nostra salute ed ha a disposizione diversi tipi di eserciti, spedalizzati a seconda dell’attacco subito. Alcuni globuli bianchi costituiscono la prima linea di difesa (granulociti, principalmente neutrofili e macrofagi). A questo scopo sono già armati e pronti a combattere, ma sono capaci di riconoscere solo alcuni “nemici” esterni alle cellule, come ad esempio i batteri, e con poca specificità. Di conseguenza l’eradicazione di infezioni gravi richiede dei veri esperti, i linfociti, capaci di riconoscere in modo specifico gli “antigeni”, cioè molecole diverse da quelle del nostro organismo e presenti negli agenti patogeni. I linfociti sono distinti in tré grandi categorie, linfociti T, B e Natural Killer (o NK) che esplicano funzioni differenti, rese possibili da un diverso corredo di molecole presenti sulla loro superficie. 

I linfociti T sono “soldati” spedalizzati nell’individuare i minimi indizi dimostranti la presenza di patogeni: ogni mi lite viene selezionato nel nostro organismo per riconoscere con estrema efficacia un singolo segnale d’infezione (ad esempio una proteina virale espressa dalla cellula inietta) e a non attaccare le cellule sane. Di conseguenza, i linfociti T non vengono attivati in toto, la mobilitazione interesserà soltanto i quelli adatti allo scopo. In questo modo il nostro organismo può reagire in modo specifico contro il singolo patogeno. I linfociti T riescono a riconoscere un antigene solo se esso viene frammentato all’interno della cellula e i suoi frammenti sono presentati sulla superficie di una cellula legato alle proteine del Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), e non nella sua forma solubile. Ogni linfocita T possiede un sistema recettoriale, chiamato appunto “T cell receptor” (TCR), che è differente in ciascun linfocita, tramite il quale viene riconosciuto il frammento di antigene assodato alle proteine dell’MHC. Esistono delle cellule che sono in grado di “in formare” i linfociti di un’infezione. Si chiamano “antigen-presenting-cell” (APC) perché sono in grado di stimola re il recettore delle cellule T, “presentandogli” l’antigene frammentato, associato alle loro molecole MHC. In realtà il sistema è molto complesso in quanto esistono varie popolazioni di linfociti T. I linfociti T citotossiche (CTL) riconoscono e uccidono qualsiasi tipo di cellula del nostro organismo che presenti sulla sua superficie frammenti di molecole estranee. 

I linfociti T “helper” (Th) si attivano soprattutto in risposta alle APC, che catturano antigeni nel l’ambiente circostante e li presentano. Le molecole MHC di classe I sono specializzate nel presentare l’antigene alle cellule T citotossiche, quelle di classe II presentano alle cellule Thelper. In risposta al riconoscimento antigenico i linfociti Th producono fattori solubili, chiamati interleuchine, che stimolano altre classi di linfociti T. I linfociti T helper sono a loro volta classificati in Thi e Th2. I linfociti Thi stimolano meccanismi di difesa cellulare mediati dai macrofagi e dai linfociti T citotossici, mentre i Th2 inducono la produzione di particolari anticorpi. 

Le plasmacellule I linfociti B riconoscono l’antigene in forma solubile. Quando il nostro organismo è attaccato da virus e batteri, i linfociti B capaci di riconoscerli si moltiplicano, entrano in contatto fisico con i linfociti Th che li attivano e si trasformano in plasmacellule. Le plasmacellule producono anticorpi che si legano in maniera specifica agli antigeni del patogeno stesso. Alcuni anticorpi possono neutralizzare direttamente gli agenti patogeni, bloccando i recettori che permettono l’infezione. Altri anticorpi possono in durre l’uccisione di agenti patogeni tra mite l’attivazione del sistema del Complemento che provvede alla distruzione per lisi del patogeno, o possono indurre la sua cattura da parte dei macrofagi o dei granulociti, che lo “divorano”. 

Esistono tuttavia situazioni in cui cellule pur infettate da virus o modificate per l’effetto di una trasformazione neoplastica, non espongono in maniera adeguata frammenti antigenici e molecole MHC capaci di stimolare il riconosci mento da parte dei linfociti T. In questi casi saremmo in balia del patogeno con conseguenze letali. 

I killer Nel nostro organismo è stata quindi selezionata un’altra popolazione di linfociti detti NK, cioè “naturai killer” che ha l’inconsueta capacità di riconoscere cellule non esprimenti le proprie proteine MHC di superficie (self). Di conseguenza le NK individuano cellule “nude”, prive di molecole MHC, in cui il self, il concetto di sé, è venuto a mancare. I meccanismi che mediano l’azione NK rappresentano un esempio affascinante ed elegante di come il self control sia alla base di una difesa veramente efficace. Le NK risultano utili anche quando i nemici di vengono troppo numerosi ed eterogenei per poter essere riconosciuti singolarmente, in questi casi è più facile individuare i propri alleati ed attaccare i restanti, nel caso concreto salvando chi esprime il giusto “self ed eliminando tutte le altre cellule. Costantemente in perlustrazione nel nostro corpo, le NK, “perquisiscono” tutte le cellule cui passano vicino, verificando che esprima no il giusto “documento di riconosci mento” l’MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) indipendente mente dal peptide presentato. Non stanno cercando cellule infette, ma cellule non identificabili. 

I vari tipi di MHC sono legati da specifici recettori delle NK detti KIR (recettori inibitori delle killer) che operano la verifica dei “documenti”. In pratica, se è presente l’MHC, la cellula NK da l’ok e passa oltre, in caso contrario scatena un attacco immediato, letale per qualsiasi cellula senza passa porto. Oltre al sistema di “disattivazione” ne esiste uno di stimolazione. Ovvero si trovano sulle NK altri recettori che possono promuovere segnali atti a sti molarle a “premere il grilletto”. Alcuni di questi (tra cui NKp46, NKp}o e NKP40) definiti come recettori di cito tossicità naturale Nrc, sono stati scoper ti dall’equipe di Lorenzo Moretta (Gasli licaziom ni, Genova). 

Le NK, che sono pronte ad agire subi to, mentre i linfociti necessitano un tempo di “apprendimento” rappresentano una linea di difesa precoce ed estremamente efficiente. Le cellule NK, opportunamente coltivate e sensibilizzate, possono essere impiegate nel trat tamento di alcune leucemie, e recente mente, secondo Cristina Bottino (Gaslini), anche per il medulloblastoma. In conclusione, il nostro sistema immune ha evoluto (e sta ancora evolvendo) strategie difensive sempre più sofisticate: i compiti sono stati suddivisi tra i diversi comparti di globuli bianchi, disponendo ora della fanteria, degli strateghi, delle armi intelligenti… e degli immancabili eroi in prima linea, le cellule NK, i James Bond con licenza di uccidere!

http://www.medicina33.com

Il carcinoma della testa e del collo può essere curato?

Come diversi altri tumori maligni, alcuni carcinomi della testa e del collo possono essere curati se individuati allo stadio iniziale e se tutte le cellule tumorali possono essere asportate con intervento chirurgico (solitamente abbinato ad un altro trattamento, quale la radioterapia che consente di distruggere tutte le restanti cellule tumorali).

In alcuni pazienti, il carcinoma della testa e del collo è recidivo (ritorna). Questo può accadere perché non tutte le cellule tumorali originarie sono state asportate o distrutte oppure perché si sviluppa un secondo carcinoma. Il periodo tra la cura del primo carcinoma e la recidiva, o lo sviluppo di un secondo carcinoma, è estremamente variabile, ma può arrivare fino a diversi anni.