Il giro dell’oca del debito pubblico


Debito Pubblico Gioco dell'Oca

 di Giovanni Zibordi

 I cosiddetti “Mercati”, la nuova divinità iraconda e punitiva alla quale i governi si inchinano, sacrificando democrazie e popoli, hanno i loro simbolismi magici. Per esempio lo spread, che sorge inquietante sui cieli dei media come il pipistrello di Gotham City. E come ogni divinità che si rispetti, essi non amano la trasparenza né ammettono di venire studiati da altri che non siano i loro invasati sacerdoti. Tuttavia, basta andare oltre alle verità rivelate sulle sacre scritture contabili, oltre all’omelia quotidiana dei partiti a caccia di voti, spingendosi al di là della propaganda, per svelare la natura umana, troppo umana di una liturgia che poco ha di sacro e molto di profano.

 
 Gli strali dei mercati, ad esempio, si sono recentemente attenuati grazie al riacquisto da parte del governo greco, con i soldi del finanziamento UE da 10 miliardi, di suoi propri bonds, drenati dalle banche greche. Le banche greche, a loro volta, sono state obbligate a venderli, contro la loro stessa volontà, anche se quotando intorno ai 25 centesimi avranno a loro volta una perdita di 4 miliardi di euro che le costringerà presto a chiedere un nuovo salvataggio UE, in una spirale di assurdità senza fine. Ma il governo greco, viceversa, riaqcquistando i propri bond avrà un guadagno secco di 75 centesimi l’uno, perchè evidentemente li terrà fino alla loro scadenza naturale, quando cioè torneranno al loro valore nominale 100 (e visto che li terrà senza venderli, non scenderanno di prezzo). 

 Ricapitoliamo perché potreste pensare di non avere capito bene. Atene, per finanziare il suo deficit, vende inizialmente 10 miliardi di bonds, i quali principalmente vengono comprati da banche francesi e tedesche, che poi nel 2011 decidono di liberarsene. Come fare? Interviene la UE che spinge le banche greche ad acquistarli (allo stesso identico modo in cui le banche spagnole o italiane si sono riempite di titoli di stato del loro Paese). E oggi il Governo greco ricompra i suoi stessi titoli di stato, che aveva precedentemente venduto per finanziarsi. E con che soldi, dunque? Con quelli accreditati dalla UE e dalla BCE. Fantastico! Un giro dell’oca nel quale si ritorna sempre al punto di partenza (per chi pensa che esageri ho parafrasato qui la sintesi che ne fa il financial times.

  Esisterebbe un termine tecnico per questo genere di operazioni che, nel gergo psichiatrico, ricadono sotto il cappello della “demenza”. La famosa demenza mercantile. In realtà non si tratta di vera e propria follia, perchè la ragione di tutti questi giri è confondere l’opinione pubblica con complicati passaggi contabiliin modo che non capisca da dove provengono, dove sono finiti e chi ce li ha messi, questi miliardi che vanno avanti e indietro dai debiti pubblici. 

  A voler essere pignoli, oltre a questi 10 miliardi di cui sopra, il governo greco sta ricomprando altri 20 miliardi e rotti, che sono nelle mani di alcuni hedge funds. Tuttavia, in questo caso li pagherà molto di più: sui 35 centesimi l’uno, facendo guadagnare ai loro attuali detentori qualche miliardo, visto che i bonds erano stati astutamente acquistati a inizio 2012, dopo la ristrutturazione del debito greco, alla media di circa 15 centesimi l’uno..

 Tirate le somme, alla fine la UE avrà finanziato il governo greco per circa 30 miliardi, con i quali questi ricompra i suoi stessi titoli, in modo che il debito pubblico greco sembri minore per la stessa somma. Una magia, un complicato schema di simbolismi divinatori, esattamente pari a quelli che i sacerdoti Maya utilizzavano per placare l’ira degli dei (e mantenere la popolazione sottomessa). In questo caso,viene usata una “moneta magica”, creata dal nulla e che nel nulla sparisce, in maniera incomprensibile ai più. 

  Questo schema, caratteristico degli ultimi tempi, si è visto nei rapporti tra Grecia, UE e BCE, così come nella logica sottostante ai vari fondi salva-stati, e non è sostanzialmente diverso da quello in atto in America, in Giappone e in Inghilterra e anche, in parte, nei vari programmi di Draghi. Di seguito una sintesi a fumetti che spiega come funziona il meccanismo in Inghilterra, dove in ossequio alla semplicità della mentalità inglese, il giro dell’oca sul tabellone è molto meno contorto.
  
  – sequenza 1;  – sequenza 2;  – sequenza 3;

byoblu.com

PRESSING SU GOOGLE: PAGHI LE TASSE IN ITALIA – CINQUECENTO MILIONI DI PUBBLICITÀ, ZERO IMPOSTE.

Filippo Santelli per “la Repubblica

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La Francia ha dato un ultimatum: due mesi per cambiare regime, o potrebbe arrivare una supertassa. Il Parlamento inglese ha chiesto di vedere i conti. E ora, ad indagare sulle (poche) tasse pagate da Google, inizia anche l’Italia. Perché sul giro d’affari nel nostro Paese, più di 500 milioni di euro di pubblicità venduta, il motore di ricerca non avrebbe versato al fisco neppure un euro: né Ires, né Irap, né Iva. «Alcune imprese si sottraggono al pagamento delle imposte in misura adeguata alla loro capacità contributiva», ha denunciato la scorsa settimana la Guardia di finanza. E ieri, in commissione Finanze alla Camera, la segnalazione è stata rilanciata dal deputato Pd Stefano Graziano. Per chiedere al ministro Grilli se il governo intenda adottare contromisure.

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Vale per Google e i suoi servizi pubblicitari. Ma anche per altri big dell’economia digitale, come Facebook, Apple e Amazon.
Che in rete non conoscono confini fisici, ma si muovono con agilità anche tra quelli fiscali. «Utilizzano tecniche collaudate », spiega Carlo Garbino, professore di Diritto tributario alla Bocconi. «Stabiliscono la propria sede in Paesi con regimi vantaggiosi, come l’Irlanda. O caricano costi aggiuntivi in quelli dove le tasse sono più alte ».

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Tutto legale, come ribadisce un portavoce di Google, sottolineando il «sostanziale contributo dell’azienda all’economia europea». Ma forse non equo in un periodo di economie generalizzate. «Chi raccoglie entrate in un Paese, lì deve pagare le tasse, è una questione di giustizia sociale », spiega Graziano. In Italia Google ha da poco aperto una sede, a Milano, ma dedicata solo a marketing e assistenza.

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Le pubblicità sono invece fatturate a Dublino, dove l’aliquota sulle imprese è al 12,5%. E grazie a una triangolazione con Amsterdam e le Bermuda, battezzata “sandwich olandese”, nel 2011 ha pagato 8 milioni di tasse su 12,5 miliardi di ricavi.
Ora la palla passa al governo che potrebbe ispirarsi alla norma «anti-Ryanair».

Ridefinendo il concetto di «base aerea», il decreto sviluppo in discussione al Senato impone alla compagnia di versare ai dipendenti italiani pieni contributi, anziché quelli, inferiori, previsti dalle norme irlandesi. Nel caso di Google però si tratta di tasse sugli introiti: la legge europea garantisce alle aziende la libertà di scegliere in quale dei 27 Stati membri stabilire la propria sede fiscale. «Per questo l’ideale è una soluzione comunitaria», conclude Graziano.

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La scorsa settimana Francois Hollande ha incontrato a Parigi il numero uno di Google Eric Schmidt, per mediare sulla querelle che oppone la società agli editori francesi. La loro richiesta è che il motore di ricerca condivida una percentuale dei ricavi che ottiene indicizzando i loro contenuti. In Inghilterra una commissione parlamentare ha indagato sulle poche tasse pagate da Google, Amazon e Starbucks. E a Bruxelles la Commissione starebbe valutando come correggere alcuni paradossi del fisco europeo.


2- «LA MIA FRANCIA SFIDA GOOGLE E AMAZON» – AURÉLIE FILIPPETTI: SENZA UN ACCORDO CON GLI EDITORI, OBBLIGHEREMO I SITI A PAGARE
Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera

SEDE GOOGLESEDE GOOGLE

Signora Filippetti, suo nonno Tommaso lasciò l’Italia tra le due guerre mondiali per lavorare nelle miniere del Lussemburgo e poi della Lorena, lei torna a Gualdo Tadino da ministra della Cultura della Repubblica francese. È orgogliosa del salto sociale? 
«È una soddisfazione doppia, sia per le mie origini sociali sia perché vengo dall’immigrazione. Mio nonno era un minatore italiano ed è morto nei campi di concentramento perché era entrato nella Resistenza ai nazisti, si è battuto per la libertà in Europa. A Gualdo Tadino riceverò una medaglia in suo onore. E il fatto stesso che io sia riuscita a diventare ministro lo sento come un riconoscimento per lui».

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Incontriamo la ministra Aurélie Filippetti, 39 anni, tra gli stucchi del suo ufficio in rue de Valois, alla vigilia della sua visita in Italia.

Lei è la prova che l’ascensore sociale in Francia funziona ancora? 
«Anche qui ci lamentiamo molto della società bloccata, ma la scuola repubblicana ha grandi meriti. È per questo che Hollande e il governo di cui faccio parte hanno deciso di rilanciarla con 60 mila assunzioni in cinque anni. Solo la scuola pubblica può permettere l’integrazione e dare speranza a tutti».

dublinoDUBLINO

I tagli hanno colpito anche il suo ministero. La politica culturale è un lusso in tempi di crisi economica?
«Al contrario, penso che se c’è una risorsa preziosa in Europa è la cultura e sarebbe una follia non cercare di svilupparla e sostenerla».

Anche per questo ha intrapreso la battaglia con Google? 
«Non è un conflitto, però se gli editori francesi, italiani e tedeschi non troveranno un accordo con Google entro la fine dell’anno, a gennaio la Francia varerà la legge per obbligare la società di Mountain View a remunerare i giornali dei quali elenca i contenuti. Vogliamo ribadire un principio: chi fa profitti distribuendo i contenuti deve contribuire a finanziarne la creazione. Vale per le reti tv, gli operatori telefonici, i provider Internet, i siti, le piattaforme digitali».

I FONDATORI DI GOOGLE SERGEI BRIN E LARRY PAGEI FONDATORI DI GOOGLE SERGEI BRIN E LARRY PAGE

Il modello è quello del cinema? 
«In Francia i film da decenni sono finanziati dal Cosip (Conto di sostegno all’industria dei programmi audiovisivi) che ridistribuisce parte degli incassi dei film di maggiore successo e anche i soldi messi a disposizione dagli operatori che poi diffondono i film, per esempio le tv».

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In Italia, quando si parla di sovvenzioni di Stato al cinema e alla cultura in generale, vengono in mente sprechi e film che poi nessuno va a vedere. 
«Ma noi non finanziamo film di nicchia senza mercato. Il cinema francese è fatto di pellicole d’autore, molti film di budget medio (sui 3 o 4 milioni di euro) ma anche film di cassetta come Asterix o successi mondiali come The Artist o Intouchables . E sono questi ultimi a sostenere gli altri. I Paesi che hanno fatto la scelta dell’austerità nella cultura, per esempio la Spagna, si trovano oggi in una pessima situazione. All’ultimo Festival di Cannes invece i cineasti di tutto il mondo in competizione erano quasi sempre co-finanziati dalla Francia, siamo lo Stato al mondo con il maggior numero di co-produzioni: oggi siamo a quota 52 Paesi. E la gente non è mai andata tanto al cinema, a vedere ogni tipo di opera: dai kolossal americani ai nostri film».

Eric Schmidt di GoogleERIC SCHMIDT DI GOOGLE

È la riedizione dell’eccezione culturale francese, della politica di intervento dello Stato nella cultura promossa da André Malraux in poi? 
«L’eccezione culturale è ancora di attualità e sono convinta che lo Stato debba intervenire per sostenere la creazione. Non è vero che i prodotti culturali sono prodotti come gli altri. Le leggi del mercato hanno difficoltà a funzionare in generale, come si vede, figurarsi nella cultura. Non è una questione morale, semplicemente a mio avviso solo così il sistema può funzionare, anche dal punto di vista economico».

LOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARILOGO FACEBOOK IN MEZZO AI DOLLARI

Ma il vostro modello è esportabile? O semplicemente i francesi amano di più il cinema, leggono più libri e frequentano di più i musei? 
«Non penso affatto che i francesi siano diversi dagli altri. È una politica volontaristica che fa sì che non ci sia città francese senza un cinema, che le piccole librerie resistano e siano il polmone di ogni quartiere, che migliaia di persone vadano alle mostre, come quella di Edward Hopper in questi giorni al Grand Palais».

amazon logoAMAZON LOGO

Quando ci sono le file alle mostre da noi c’è sempre qualcuno che storce la bocca perché sarebbero fenomeni di massa o turismo, non cultura. 
«I grandi numeri non sono tutto, d’accordo, ma è una lamentela che non capisco. Bisogna aiutare le persone che ne hanno voglia ad avvicinarsi all’arte. Per questo ho incoraggiato i musei a usare le nuove tecnologie per spiegare le opere, per accompagnare il visitatore che vuole saperne di più».

Aurelie-FilippettiAURELIE-FILIPPETTI

Lei parla di librerie di quartiere, in Italia quasi del tutto scomparse da tempo. In Francia librai ed editori anche grandi, come Gallimard, parlano di Amazon come del nemico. È d’accordo? 
«Sono molto preoccupata per come Amazon si comporta in Europa. Ha un peso tale che rischia di trovarsi ben presto in posizione ultradominante. Sono andata a parlarne alla Commissione di Bruxelles, ma trovo il loro atteggiamento deludente».

Aurelie Filippetti ministro della Cultura francese affronta con uno spacco le scale dellEliseo Reuters resizeAURELIE FILIPPETTI MINISTRO DELLA CULTURA FRANCESE AFFRONTA CON UNO SPACCO LE SCALE DELLELISEO REUTERS RESIZE

Che cosa rimprovera alla Commissione europea? 
«Ha una visione un po’ troppo unilaterale della libera concorrenza. La Commissione preferisce fare le pulci agli editori che si organizzano per sopravvivere alla minaccia di Amazon, e non si allarma invece per il fatto che un colosso basato in Lussemburgo fa vendita a distanza con strategie fiscali inaccettabili e facendo dumping sulle spese di distribuzione. Amazon può permettersi di vendere a basso prezzo per mettere fuori mercato i suoi concorrenti, ma naturalmente rialzerà i prezzi appena avrà conquistato il monopolio o quasi. Di questo dovrebbero preoccuparsi a Bruxelles. La Francia vigilerà affinché Amazon pratichi una concorrenza leale».

AURELIE FILIPPETTIAURELIE FILIPPETTI

La Francia è stata all’avanguardia nella lotta contro lo scaricamento illegale di musica, film e poi libri, con la legge Hadopi voluta dalla presidenza Sarkozy. Lei prende le distanze da Hadopi. Come mai? 
«È un approccio diverso, io vorrei sviluppare l’offerta legale. Se uno vuole scaricare un film non troppo recente, magari degli anni Cinquanta, nelle piattaforme legali non lo trova, mentre illegalmente sì. Non considero i consumatori come dei teppisti che vogliono rapinare gli artisti, ma persone che hanno voglia di ascoltare, vedere, leggere. Credo che la colpa sia anche dell’industria, che è in ritardo. Bisogna offrire un catalogo ampio e a prezzi ragionevoli. Qualcosa si sta muovendo, soprattutto per la musica».

Allude ai siti di streaming Deezer e Spotify? 
«Sì, anche se la parte versata agli artisti è ancora troppo bassa. Bisogna riconsiderare la percentuale versata agli autori, e lo stesso vale anche per il libro digitale, che in genere affianca quello di carta e ha costi di produzione molto inferiori».

FRANCOIS HOLLANDEFRANCOIS HOLLANDE

Lei, ministra Filippetti, che cosa legge? 
«Tra gli italiani Erri De Luca e Niccolò Ammaniti, tra i francesi Jean Echenoz e Jérôme Ferrari che ha appena vinto un Goncourt molto meritato».

In «Gli ultimi giorni della classe operaia» ha raccontato la storia della sua famiglia, in «Un homme dans la poche» una storia d’amore. Tornerà a scrivere?
«Non finché sono ministra».

 

 

 

Sesto/ L’anziano disabile abita nel palazzo, ma alcuni condomini vorrebbero togliere il servoscala che usa e convocano un’assemblea

Quando vai a trovare il tuo anziano padre, trovi la convocazione di una riunione condominiale e leggi che tra i punti di discussione all’ordine del giorno c’è la “rimozione  del servoscala”, proprio quello che tuo padre usa, essendo disabile al 100% a causa della dialisi, capisci che c’è qualcosa che non va. Nella nostra società o molto più vicino, a Sesto San Giovanni.

Un nostro lettore ci segnala, infatti, che alcuni condomini di un palazzo di via Cavour sarebbero molto preoccupati per l’estetica dello stabile, che certamente il servoscala non aiuta a migliorare, forse ignorando il fatto che è utilizzato. E sembra anche che questa idea sia importante tanto da discuterne nella riunione condominiale convocata per stasera, 23 novembre, alle ore 20.30.

Abbiamo provato a chiedere spiegazioni all’amministratore del condominio, l’architetto Salvatore Bomparola, per sapere almeno in che direzione è orientata l’assemblea, ma egli ha gentilmente declinato la domanda perché non in possesso di capacità «preveggenti».

Bisogna, quindi, solo aspettare stasera per sapere chi, tra il “bello” e l’utile, ne uscirà vincitore. Siamo convinti che il buon senso dovrebbe prevalere. Nella nostra società e soprattutto a Sesto San Giovanni, dove la parola solidarietà dovrebbe avere ancora un qualche significato. In caso contrario, ne daremo notizia.

Sara D’Alberto

corrieresesto.wordpress.com

CAPITAN FINDUS, L’ATTORE ITALIANO VIVE IN MISERIA

Era il Capitan Findus italiano. Oggi vive in miseria. Povere e solo

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Con lui, in un piccolo monolocale in condizioni precarie a Milano, in zona Corvetto, vive con il suo unico amico e compagno, il pastore tedesco Com. Ha un pacemaker e si deve muovere con le stampelle, la sua vita è davvero difficile. I tempi del famoso spot, datato 1978, del mondo dello spettacolo e degli amici attori famosi sembra lontano anni luce. 

“Oggi sono solo, vivo con la pensione e con i fondi per l’invalidità, se non ci fosse il mio cane a tenermi compagnia sarei già morto” dice al Giorno.it vicino a un veliero in miniatura che gli ricorda la sua passione per il mare e la sua vita ormai lontana. Capitan Findus, alias Giovanni Cattaneo, postura imponente, barba bianca e ancora il berretto da lupo di mare è in causa da 11 anni per riavere i soldi persi in una truffa: “Sono stato raggirato da alcuni presunti imprenditori cinesi, mi avevano coinvolto nell’apertura di un ristorante. Alla fine ci ho rimesso la casa. Non sono ossessionato dai soldi, ma voglio ciò che mi spetta solo per mettere a posto la casa e vivere il resto della mia vita con dignità”. 

Giovanni Cattaneo è stato l’attore italiano del personaggio dello spot, mentre quello più celebre a livello mondiale è stato l’attore inglese John Hewer morto a 84 anni. 

cadoinpiedi.it

Lascia l’auto comunale nel parcheggio per disabili: multato un funzionario

Cologno, sanzione decurtata dallo stipendio

  

 

Il dipendente ha tardato a saldare e perciò si è visto sottrarre dal salario la somma dovuta
di Chiara Giaquinta
di Chiara Giaquinta
Cologno Monzese, 20 novembre 2012 — La legge è uguale per tutti. Anche per i dipendenti comunali, i primi a dover dare il buon esempio, che, se sbagliano, devono pagare come tutti gli altri cittadini. Accade così che un’auto di proprietà del Comune parcheggiata su un posto disabili si ritrovi sul parabrezza una multa firmata dai vigili dello stesso Comune.Succede a Cologno Monzese, dove la polizia locale ha l’ordine di non chiudere un occhio, mai.
Anche davanti a una macchina bianca con la scritta in bella vista Comune di Cologno Monzese. L’ultimo caso è dello scorso luglio, quando un dipendente mentre era in servizio e alla guida di una delle macchine di proprietà del Comune, forse non trovando parcheggio altrove e pensando che fosse «immune» perché alla guida di una macchina comunale, ha pensato di lasciare l’auto in un posto riservato ai disabili. Un fatto che non è passato inosservato all’occhio attento dei ghisa in pattuglia, che prontamente l’hanno multata.
La notifica è arrivata al palazzo comunale, negli uffici che hanno in dotazione l’auto in questione. E che hanno verificato chi fosse alla guida del veicolo in quel giorno e quell’ora. Forse sperando in uno «sconto», il dipendente in questione ha però tardato a pagare. E così nei giorni scorsi la giunta ha preso la sua decisione: decurtare dallo stipendio del lavoratore poco disciplinato alla guida, la somma dovuta (circa 80 euro, con tanto di mora).
«Il codice della strada è uguale per tutti, nessuno escluso – spiega il comandante della polizia locale Silvano Moioli –. Casi come questo non accadono spesso ma è giusto che la legge sia applicata senza sconti».

Per Elsa Fornero i giovani sono “choosy”. Ma la figlia ha ben due posti fissi. Come mai? E’ stata raccomandata? Non è monotono il posto fisso?

Per Elsa Fornero i giovani sono “choosy”. Ma la figlia ha ben due posti fissi. Come mai? E’ stata raccomandata? Non è monotono il posto fisso?

Per Elsa Fornero i giovani sono “choosy”. Ma la figlia ha ben due posti fissi. Come mai? E’ stata raccomandata? Non è monotono il posto fisso?

Dopo l’uscita di Elsa Fornero secondo la quale i giovani italiani sono troppo schizzinosi e si dovrebbero accontentare del lavoro che trovano sul web si è scatenata una vera rivolta nei suoi confronti e non sono mancate battute ironiche nei confronti del ministro. In particolare in molti si sono occupati della carriera professionale di Maria Deaglio, figlia della Fornero, che all’età di 37 anni è titolare di due posti fissi: uno come professore associato di Genetica medica alla facoltà di Medicina dell’Università di Torino (dove insegnano sia il padre che la madre) e l’altro come responsabile della ricerca alla Hugef, una fondazione che si occupa di genetica, genomica e proteomica umana. 

 

La figlia della Fornero non è schizzinosa? Per lei il posto fisso non è monotono come sostenuto dal governo Monti? E’ raccomandata?

http://genio.virgilio.it/


NOC, la balena che imita la voce dell’uomo

 

Le balene imitano la voce dell’uomo. O almeno è quanto accade ai poveri esemplari costretti a vivere in cattività. A scoprirlo sono stati i ricercatori californiani della National Marine Mammal Foundation. I biologi marini avevano percepito spesso un chiacchericciosospetto, attribuendolo alle persone che transitavano e parlavano vicino alle vasche delle balene e dei delfini ma non erano mai riuscite a “cogliere” i visitatori sul fatto né a capire cosa stessero dicendo.

Un giorno, però, un subacqueo che si era calato nella vasca è uscito all’improssivo interrompendo la sua immersione e ha chiesto ai colleghi, piuttosto seccato, perché gli avessero intimato di tornare su. I colleghi sono rimasti allibiti: non avevano mai ordinato una cosa del genere né proferito parola.

Indagando più a fondo, i biologi hanno scoperto che quei suoni, estremamente simili alla voce umana, provenivano da un giovane esemplare di balena beluga (la balena bianca) di nome NOC. Dopo aver registrato i suoni provenienti dalla vasca, i ricercatori hanno scoperto che la balena aveva cambiato le modalità con cui emetteva i versi per conferire alla sua voce un suono più simile a quello dei suoi custodi. Nonostante i meccanismi vocali delle balene siano molto diversi dai nostri, e provengano dal tratto nasale, piuttosto che dalla laringe, NOC è riuscita a sviluppare un tono straordinariamente simile. Per farlo ha abbassato la sua voce di diverse ottave per avvicinarla al campo umano.

balena beluga bianca noc parlante

Secondo i ricercatori lo ha fatto chiaramente di proposito per cercare di comunicare con loro. Chi può dirlo: magari voleva chiedergli come mai si trovava rinchiusa lì invece che in mare aperto! Ad ogni modo se la balena ha iniziato a balbettare con voce simile a quella umana molto probabilmente è proprio a causa della vita in cattività. Secondo Patrick Miller, docente di biologia alla St Andrews University, i giovani esemplari che vivono a stretto contatto con gli umani, proprio come fanno i neonati, tendono ad imitare i suoni per comunicare con chi li circonda e ci riescono meglio degli esemplari adulti perché a quell’età i meccanismi implicati nella produzione dei suoni sono più flessibili.

In passato erano stati riportati casi aneddotici di balene capaci di imitare la voce degli esseri umani, ma lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology è il primo ad aver registrato ed analizzato i suoni. NOC ha cominciato a parlare nel 1980, dopo aver trascorso sette anni a stretto contatto con i ricercatori presso la struttura. Dopo quattro anni ha iniziato a diventare meno loquace, per poi tacere del tutto una volta raggiunta l’età adulta. NOC è morta in cattività cinque anni fa.

http://www.ecoblog.it/post/36947/noc-la-balena-che-imita-la-voce-delluomo