SICUREZZA SUL LAVORO E SANZIONI


RAFFAELE GUARINIELLO A MESTRE:

 

 “LA COLPA DELL’INEFFICIENZA SANZIONATORIA RISPETTO ALLE AZIENDE POCO ATTENTE ALLA SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO E’ ANCHE DEGLI ORGANI DI VIGILANZA E DELLA LENTEZZA DELLA MAGISTRATURA CHE PORTA ALLA PRESCRIZIONE DEI REATI”.

 

 QUESTO UNO DEI COMMENTI A MARGINE DEL SEMINARIO ORGANIZZATO A MESTRE DA VEGA FORMAZIONE IN COLLABORAZIONE CON IPSOA, VEGA ENGINEERING E AIESIL DAL TITOLO “GLI OBBLIGHI IN TEMA DI SICUREZZA DEL LAVORO”.

 

 

“Una priorità che viene troppo spesso trascurata all’interno delle aziende. Eppure le norme che disciplinano la sicurezza nei luoghi di lavoro ci sono e sono gli strumenti principali per prevenire gli infortuni e i decessi. Purtroppo poi, accanto all’incoscienza di una parte dell’imprenditoria esiste anche una carenza di rigore dal punto di vista sanzionatorio che invece, se rafforzato, potrebbe aiutare a migliore la cultura della tutela del lavoratore”.

Queste le parole del procuratore Raffaele Guariniello a margine del seminario organizzato recentemente a Mestre da Vega Formazione in collaborazione con Ipsoa, Vega Engineering e Aiesil dal titolo “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro”;questo l’autorevole commento del magistrato che con le sentenze dei processi Eternit e Thyssen Krupp ha ottenuto nel primo caso la condanna dei vertici dell’azienda per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle cautele antinfortunistiche in riferimento agli oltre 3000 morti provocati dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale dall’amianto; nel secondo una condanna per omicidio volontario del vertice della multinazionale.

“In parte – ha proseguito Guariniello – la colpa dell’inefficienza sanzionatoria è degli organi di vigilanza e della lentezza della Magistratura che porta anche alla prescrizione dei reati. La metodologia di indagine, poi, deve essere più penetrante per arrivare a capire se un infortunio sia un fatto episodico o se sia una politica aziendale, una scelta strategica”.

Così il magistrato che più di tutti negli ultimi decenni ha lottato in prima linea per rendere Giustizia alle vittime innocenti del lavoro nel nostro Paese ha descritto a Mestre una delle emergenze più tragiche nel nostro Paese; perché di lavoro si muore quotidianamente .

la formazione in questo senso diventa un passaggio fondamentale per interrompere il tragico bollettino delle morti bianche. “Purché – ha sottolineato Raffaele Guariniello – sia programmata e realizzata con la massima serietà e competenza con strumenti e metodologie per verificare che l’apprendimento sia effettivo”.

Serietà e competenza sui quali punta Vega Engineering da oltre due decenni in prima linea su questo fronte. “Solo negli ultimi anni – spiega l’ingegner Pier Luigi Dalla Pozza direttore di Vega Engineering – sono stati migliaia i lavoratori coinvolti nei nostri programmi di aggiornamento e formazione tra cui dirigenti, Rspp, Aspp, addetti alla sicurezza provenienti da tutta Italia. Il nostro obiettivo è quello di continuare a diffondere la cultura della sicurezza facendoci interpreti e traduttori, anche con l’aiuto di figure autorevoli come quella del dottor Guariniello, di norme e burocrazie talora complesse ma indispensabili per la dignità e per la tutela dei lavoratori”.

Fondamentale poi per Raffaelle Guariniello è che la diffusione di una corretta ed efficiente prevenzione giunge anche dall’analisi dei dati sugli infortuni con particolare riferimento alle indagini condotte dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro di Vega Engineering.
“Ho letto con interesse i risultati dell’Osservatorio Vega Engineering – ha spiegato il procuratore – perché sono preziosi mezzi di indagine che consentono di porre una lente d’ingrandimento sul problema; perché evidenziano ad esempio in alcune aree del Paese numeri molto bassi di infortuni mortali che lasciano perplessi. Sarebbe interessante capire se questi incidenti davvero non accadano”.

Intervista Dott. Raffaele Guariniello

Intervista Ing. Pier Luigi Dalla Pozza

Contributi video Seminario “Gli obblighi in tema di sicurezza del lavoro” – 27/04/2012 Mestre (VE)

Dott.ssa Annamaria Bacchin

 

Ufficio Stampa – Dott.ssa Annamaria Bacchin 
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fonte

28 Aprile giornata mondiale contro l’amianto



Riportiamo il comunicato stampa del Comitato e l’art. del quotidiano IL GIORNO. Anche la RAI sul TG Regionale ha trasmesso un servizio.
 
28 aprile giornata mondiale contro l’amianto
Centinaia di lavoratori e familiari delle vittime dell’amianto hanno sfilato oggi pomeriggio in corteo a Sesto San Giovanni, in ricordo delle vittime, per affermare che la salute e la vita umana non sono in vendita e non hanno prezzo.
Il lungo corteo si è mosso dal Centro di Iniziativa Proletaria, sede del Comitato.
In testa lo striscione d’apertura del corteo con la parola d’ordine “In ricordo di tutti i lavoratori uccisi in nome del profitto”, dietro i famigliari delle vittime e gli operai delle ex fabbriche di Sesto per anni esposti all’amianto alla Breda, alla Falck, alla Magneti, all’Ansaldo, alla Pirelli, insieme a molti cittadini, al Comitato delle vittime della Tricom Galvanica di Bassano del Grappa e Tezze sul Brenta, dove sono morti decine di operai, i lavoratori della AIEA e gli operai sopravvissuti al rogo dell’Eureco di Paderno Dugnano. Dopo aver percorso le vie cittadine, il corteo si è fermato davanti alla lapide di via Carducci, dove il presidente del Comitato Michele Michelino ha fatto una breve commemorazione ricordando i tanti compagni di lotta scomparsi a causa dell’amianto e della logica del profitto, chiedendo -per i datori di lavoro e i dirigenti assassini che hanno anteposto il loro guadagno alla salute dei lavoratori e dei cittadini – condanne e sanzioni esemplari, che servano da monito a chi non rispetta le norme di sicurezza, perché sulla salute e la vita non si tratta.




E’ stato ricordato che dal 1992 con la legge 257 è stato vietata l’estrazione, importazione, l’esportazione, la produzione e la commercializzazione dell’amianto ma, paradossalmente, non il divieto di utilizzo dell’amianto.
Da questo deriva il permanere di 32 milioni di tonnellate di materiali contenenti amianto nei luoghi di lavoro e di vita, nel territorio del nostro paese.
E’ necessario che lavoratori e cittadini, insieme, lottino e scendano in piazza per chiedere e imporre le bonifiche. Le imprese che si sono arricchite con l’amianto producendo morti e contaminazione del territorio non possono cavarsela comprandosi l’impunità e le parti civili nei processi in cui vengono chiamati in causa.
I responsabili di tanti lutti e della contaminazione del territorio – che continua a far ammalare e morire vittime innocenti e spesso inconsapevoli di essere stati esposti all’asbesto a livello professionale, familiare (le mogli morte per aver lavato le tute) e ambientale – devono contribuire finanziariamente sia a risarcire la vittime che alla bonifica del territorio. La difesa della salute e la giustizia per i lavoratori e i cittadini morti e malati è un problema di civiltà che ci riguarda tutti.
 
Al corteo erano presenti l’attore Moni Ovadia, Ettore Zilli ex deportato a Dachau, il Prof Giancarlo Ugazio. Al termine del corteo si è svolta un’assemblea aperta dove i rappresentanti delle varie associazioni hanno preso la parola. Sono intervenuti anche Antonio Pizzinato e l’attore Renato Sarti, direttore del Teatro della Cooperativa di Niguarda.
 
28 aprile 2012
 

Amianto e diossina: la mappa in Italia

Le aree da bonificare sono state individuate, ma nella maggior parte dei casi le bonifiche non sono mai iniziate.

 Floriana Rullo– 25 novembre 2011- Un’Italia ammalata a causa delle industrie insalubri e delle discariche abusive. Un Paese avvelenato dall’amianto e dalla diossina. Da Porto Marghera a Gela, da Taranto a Porto Torres, il nostro territorio è stato per decenni intossicato dall’inquinamento industriale tanto che gran parte dei suoli e delle falde d’Italia hanno messo e mettono ancora a rischio la salute di chi ci lavora e ci abita.

Un’eredità che schiaccia ancora una parte non piccola d’Italia e che coinvolge almeno un decimo di tutta la popolazione. A fotografare la situazione dei 44 siti più rischiosi ci ha pensato l’Istituto Superiore di Sanità. Un ambizioso progetto, finanziato dal Ministero, che ritrae la situazione in cui versano i luoghi più inquinati sparsi per tutta la penisola. Posti in cui le condizioni ambientali fanno ammalare e morire più persone del previsto. Luoghi battezzati da varie leggi con la sigla SIN, che sta per “Siti di bonifica di interesse nazionale”. Dove però nella maggior parte dei casi le bonifiche non sono mai iniziate.

I SITI DI BONIFICA- I SIN, da Nord a Sud, in realtà sono 57. Di questi, il pool di epidemiologi ambientali di Sentieri ne ha scelti 44, considerandoli interessanti sotto il profilo sanitario, per i quali sono stati analizzati i dati di mortalità in un arco di tempo che va dal 1995 al 2002. Le aree da bonificare sono caratterizzate dalla presenza di impianti chimici, petrolchimici, raffinerie, industrie siderurgiche, centrali elettriche, miniere e cave di amianto e altri minerali, porti, discariche e inceneritori. Insomma, l’Italia dell’industria pesante e delle pattumiere, dove generazioni di lavoratori hanno prodotto benessere e ricchezza spesso a costo della loro salute.

MORTALITA’ IN ECCESSO- Tumori, malattie del sangue e leucemie. Tremilacinquecento morti in otto anni: ecco a quanto ammontano i decessi per malattie riconducibili alle esposizioni industriali. Se invece si considera il surplus complessivo dei decessi delle 44  aree monitorate si sfiorano per lo stesso periodo le 10 mila persone (su 403mila morti complessivi). Vale a dire che le morti “osservate” sono, in quasi tutte le località, maggiori di quelle “attese”.

C’è insomma un pezzo non piccolo d’Italia, pari a 298 comuni con 5,5 milioni di abitanti (un decimo della popolazione) che sta decisamente peggio degli altri. Non solo perché, abitando in aree industriali o comunque degradate (come il litorale domizio flegreo e l’agro aversano interessato dal fenomeno delle discariche abusive), la popolazione ha in media un reddito e una scolarizzazione più bassa dei loro vicini. Ma anche perché alle diseguaglianze economiche e sociali si aggiunge un ambiente più insalubre, tanto da far aumentare la mortalità, soprattutto nel Sud Italia.

DA CASALE MONFERRATO A GELA – Casale Monferrato, Cavagnolo, Rubiera. Ma anche Bagnoli, Padova e TarantoScuole elementari, case e fabbriche. Da nord a sud. L’amianto non fa distinzione. E nemmeno le sue polveri sottili. Quattromila decessi all’anno. Più di 20mila dal 93 a oggiIl caso più palese è rappresentato dalle 416 morti in eccesso per tumore alla pleura nei siti contaminati da amianto, per la presenza di cave di estrazione del minerale o di impianti di lavorazione (Balangero, Casale Monferrato, Broni, i dintorni dello stabilimento Fibronit di Bari, Biancavilla, Massa Carrara, Priolo, Pitelli e alcuni comuni lungo il litorale vesuviano). Drammatica anche la situazione nei pressi delle raffinerie di Porto Torres e Gela, delle acciaierie di Taranto, delle miniere del Sulcis-Iglesiente e della chimica di Porto Marghera, zone in cui è stato rilevato un aumento significativo di mortalità per tumore al polmone e malattie respiratorie non tumorali. O i decessi in più per insufficienza renale e altre malattie del sistema urinario alle emissioni di metalli pesanti, composti alogenati e idrocarburi degli stabilimenti di Piombino, Massa Carrara, Orbetello o la bassa valle del fiume Chienti.

LA STRAGE- Una strage silenziosa  che interessa sia gli operai che chi abita vicino alle fabbriche. “Per quasi tutte le malattie considerate la mortalità ha riguardato sia gli uomini sia le donne e tutte le classi d’età. Tutta la popolazione quindi è stata più o meno interessata dalla contaminazione diffusa” spiega l’autrice di Sentieri Roberta Pirastu, della Sapienza di Roma. “Così a causa delle bonifiche in ritardo la collettività paga con morti e malattie queste situazioni”.

I prossimi passi di Sentieri prevedono l’analisi in queste aree delle malattie e dei ricoveri per vedere se a una aumentata mortalità corrisponde anche – come è prevedibile – una maggior carico di malattie di natura ambientale, e quanto questa situazione perduri ancora oggi”.

http://www.articolotre.com/2011/11/amianto-e-diossina-la-mappa-in-italia/47886

PER I MORTI D’AMIANTO LA PIRELLI SI PORTA AVANTI E OFFRE MAXI RISARCIMENTI

 

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PER I MORTI D’AMIANTO LA PIRELLI SI PORTA AVANTI E OFFRE MAXI RISARCIMENTI

 

CRONACAQUI

di: LUDOVICA SCALETTI


IN AULA Alla sbarra 11 ex dirigenti per 24 decessi o casi di malattia Per i morti d`amianto la Pirelli si porta avanti e offre maxi risarcimenti. Le associazioni dei lavoratori: «L`azienda cerca di comprarsi la licenza di uccidere e l`impunità» Ludovic a Scaletti.

Trattative in corso per risarcire con milioni di euro le famiglie dei lavoratori morti di amianto negli stabilimenti milanesi della Pirelli. Ieri mattina si è aperta con questa notizia, annunciata dall`avvocato della difesa, la seconda udienza del processo che vede imputati undici ex dirigenti dell`azienda per omicidio colposo e lesioni colpose. Sono accusati di essere responsabili di 24 casi: una ventina di dipendenti morti di mesotelioma pleurico e altri malati di diverse forme di tumore.

Un colpo di scena per le associazioni che intendono costituirsi parte civile nel processo. «La Pirelli cerca di comprarsi la licenza di uccidere e l`impunità» denunciano.

TUTTO RIMANDATO Ieri, dopo la prima udienza “tecnica” del 19 dicembre 2011, era previsto che i giudici decidessero se accettare o meno le parti civili. C`è stato un cambio di programma. Uno dei legali della Pirelli ha spiegato che l`azienda ha già concluso le transazioni con sei delle famiglie colpite, che altre sei sono in corso, mentre una è tramontata. Si tratta di grosse offerte di denaro, nell`ordine, sembra, di centinaia di migliaia di euro, in cambio dell`uscita dal processo. E pare che altre transazioni potrebbero cominciare nei prossimi giorni, anche con l`Inail, l`Asl di Milano e Regione Lombardia.

Un modus operandi che è già stato sperimentato durante il processo Eternit di Torino, conclusosi con la condanna a 16 anni di carcere di due dirigenti. In quel caso l`offerta era di diversi milioni di euro per il Comune di Casale Monferrato, perchè ritirasse la costituzione di parte civile. Soldi che, dopo settimane di discussioni, sono stati rifiutati dall`amministrazione.

LA RABBIA Ieri in tribunale c`erano anche l`Associazione Medina Democratica, l`associazione Italiana Esposti Amianto e il Comitato per la Difesa della salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio (che raggruppa cittadini e operai delle fabbriche di Sesto e Milano, fra cui lavoratori Pirelli), che hanno ribadito di non essere disposti a nessuna trattativa. «Il fatto che delle famiglie in difficoltà accettino la transazione – spiega Michele Michelino del Comitato per la Difesa della Salute – lo possiamo capire anche se ci dispiace, ma che lo facciano le istituzioni no». In questo modo, continua Michelino, «si cerca di monetizzare la salute». Milioni di euro, quelli che la Pirelli propone alle famiglie dei suoi ex dipendenti, che pare fossero già stati messi in conto. «Ci fa rabbia – aggiunge Michelino che già nel 2006 la Pirelli aveva messo da parte 38 milioni di euro in previsione di cause per l`amianto». Quello che chiedono le associazioni è una «condanna pesante», affinchè i «datori di lavoro capiscano che è meglio prevenire». Anche perché, sottolinea Michelino, «l`amianto non è un problema del passato, ma del presente e del futuro e le bonifiche non devono essere un costo per la società».

LA VICENDA I 24 operai parte offesa nel processo, hanno lavorato tra la fine degli anni `70 e la fine degli anni `80 negli stabili- menti milanesi di viale Sarca e via Ripamonti. Secondo l`accusa hanno subito negli anni «esposizioni massicce e ripetute» alle fibre di amianto, senza «l`adozione di adeguati sistemi di aspirazione o protezione individuale» e senza alcun sistema di «raccoglimento polveri».

L`AZIENDA Non la pensa così la Pirelli, che sostiene di aver «sempre agito cercando di tutelare al meglio la salute e la sicurezza dei propri dipendenti, con le misure adeguate alle conoscenze tecniche a disposizione nel corso degli anni». L`azienda, che dice «di essere sempre stata vicina ai propri ex dipendenti colpiti da malattie e alle loro famiglie», afferma anche di non aver «mai utilizzato amianto quale componente nella produzione degli pneumatici e che all`epoca l`uso dell`amianto negli edifici era pratica comune nelle tecniche di costruzione». Le responsabilità verranno stabilite dai giudici. Intanto «per esigenze legate alle trattative in corso per la definizione dei profili civilistici» il processo è stato rimandato al 19 aprile. [.]

Ilva, dai fumi malattie e tumori

«L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all’esposizione all’inquinamento». Cinque righe da brivido a pagina 226. Sono, forse, la risposta più attesa e temuta della perizia sugli aspetti medici ed epidemiologici nell’ambito dell’inchiesta per disastro ambientale a carico di alcuni dirigenti dell’Ilva di Taranto. Il dottor Francesco Forastiere, il professore Annibale Biggeri e la professoressa Maria Triassi ieri mattina poco dopo mezzogiorno hanno depositato la perizia nell’ufficio del gip Patrizia Todisco, titolare dell’inchiesta. Il magistrato, insieme al procuratore Franco Sebastio, si è intrattenuto in un lungo colloquio con gli esperti. Tre i quesiti a cui dovevano rispondere: «Quali sono le patologie interessate dagli inquinanti, considerati singolarmente e nel loro complesso e nella loro interazione, presenti nell’ambiente a seguito delle emissioni dagli impianti industriali in oggetto? Quanti sono i decessi e i ricoveri per tali patologie per anno, per quanto riguarda il fenomeno acuto, attribuibili alle emissioni in oggetto? Qual è l’impatto in termini di decessi e di ricoveri ospedalieri per quanto riguarda le patologie croniche, che sono attribuibili alle emissioni in oggetto?»
La perizia, che completa il quadro già tracciato dalla parte inerente le sostanze inquinanti emesse dal siderurgico, è suddivisa in sei capitoli ed esamina i vari aspetti indicati dai quesiti non trascurando un’attenta analisi degli agenti tossici immessi dagli impianti dell’Ilva.  In via preliminare i periti sottolineano che «gli inquinanti si presentano in concentrazioni più elevate in prossimità dell’impianto e nei territori limitrofi, in particolare nei rioni Tamburi, Borgo, Paolo VI e Statte. Le concentrazioni sono variabili nel tempo e dipendono fortemente dalla direzione del vento».
Quali sono le patologie interessate dagli inquinanti, considerati singolarmente e nel loro complesso e nella loro interazione, presenti nell’ambiente a seguito delle emissioni dagli impianti industriali in oggetto?
Nel merito della risposta i tre esperti hanno così riassunto il quadro delle patologie che possono essere riconducibili all’esposizione a sostanze inquinanti. «Agli Idrocarburi Policiclici Aromatici  – affermano –  è riconosciuto un potere cancerogeno, specie per il tumore del polmone e della vescica. Alle diossine è riconosciuto un ruolo cancerogeno per i tumori nel loro complesso, per i tumori del tessuto linfoematopietico (linfoma non-Hodgkin) e per i tumori del tessuto connettivo, come i sarcomi dei tessuti molli. All’amianto è riconosciuto un potere cancerogeno per la laringe, il polmone e la pleura. Alle sostanze volatili organiche, tra cui il benzene, è riconosciuto un ruolo cancerogeno per i tumori del sangue, in particolare la leucemia». C’è poi una fascia di patologie per le quali il rapporto di causa ed effetto non è pienamente stabilito anche se vi sono indicazioni più o meno forti di una associazione che ancora non può essere ritenuta causale. A questo ambito appartengono gli effetti delle sostanze inquinanti «sul tessuto cerebrale con un aumento della patologia degenerativa e alterazioni delle capacità cognitive per esposizioni croniche». Inoltre, secondo i periti, «la presenza di un grande quantitativo di metalli nel particolato atmosferico (rame,piombo, cadmio, zinco) può produrre danni renali fino alla insufficienza renale cronica. Nel comparto della siderurgia, infine, sono stati segnalate altre patologie tumorali tra i lavoratori (es.tumore dello stomaco) per le quali l’evidenza non è conclusiva». Per questo motivo le patologie sono state classificate in due diversi elenchi nel primo sono considerati gli «esiti sanitari per i quali esiste una forte e consolidata evidenza scientifica di possibile danno derivante dalle emissioni dell’impianto siderurgico o per effetto delle esposizioni in ambiente lavorativo». In questo elenco sono comprese: mortalità per cause naturali; patologia cardiovascolare, in particolare patologia coronarica e cerebrovascolare; patologia respiratoria, in particolare infezioni respiratorie acute, broncopatia cronicoostruttiva (BPCO) e asma bronchiale. I bambini e gli adolescenti possono essere particolarmente suscettibili; tumori maligni nella popolazione generale e/o tra i lavoratori: tutti i tumori, tumori in età pediatrica (0-14 anni), tumore della laringe, del polmone, della pleura, della vescica, del connettivo e tessuti molli, tessuto linfoematopietico (linfoma non-Hodgkin e leucemie).
Nel secondo elenco sono, invece, considerati gli «esiti sanitari per i quali vi è una evidenza scientifica suggestiva ma le prove non sono ancora conclusive di un possibile danno derivante dalle emissioni dell’impianto siderurgico o per effetto delle esposizioni in ambiente lavorativo». Si tratta di malattie neurologiche; malattie renali; tumore maligno dello stomaco tra i lavoratori del complesso siderurgico.
Quanti sono i decessi e i ricoveri per tali patologie per anno, per quanto riguarda il fenomeno acuto, attribuibili alle emissioni in oggetto?
La seconda domanda posta dai giudici riguarda gli effetti acuti delle emissioni sulla salute. I periti hanno condotto uno studio di serie temporali epidemiologiche incrociando le frequenze giornaliere degli eventi di interesse, con le medie giornaliere delle concentrazioni degli inquinanti. Si tratta di un approccio largamente accettato nella letteratura epidemiologica che permette di analizzare situazioni in cui la frequenza giornaliera degli eventi è piccola, come nel caso di Taranto e dei due quartieri di interesse, Borgo e Tamburi. «L’analisi sulla città di Taranto nel suo complesso – scrivono i periti – ha mostrato un’associazione con la mortalità per cause naturali coerente con quanto registrato in letteratura (una variazione percentuale di 0,8% per incrementi di 10 mg/m3 dell’inquinante). Sui ricoveri si è documentata un’associazione con le malattie respiratorie (una variazione percentuale di 5,8%). L’analisi ristretta ai residenti nei quartieri Borgo e Tamburi ha mostrato un’associazione con la mortalità per tutte le cause (vp 3,3%) ,le cause cardiovascolari (vp 2,6%) e respiratorie (vp 8,3%). Sui ricoveri, l’analisi sui quartieri Borgo e Tamburi ha mostrato un’associazione con i ricoveri per malattie cardiache (vp 5,0%; p=0,051) e respiratorie (vp 9,3%; p=0,002)».
Nel periodo esaminato dagli esperti  (sette anni), «i decessi e i ricoveri nel breve termine attribuibili alle emissioni derivanti dagli impianti industriali per quanto attiene ai livelli di PM10 superiori al limite OMS sulla qualità dell’aria di 20 µg/m3 per i residenti a Borgo e Tamburi sono 91 (IC80% 55; 127) decessi, 160 (IC80% 106-214) ricoveri per malattie cardiache, 219 (IC80% 173; 264) ricoveri per malattie respiratorie. Scontando una possibile maggior fragilità della popolazione dei due quartieri per effetto di condizioni socio-economiche e lavorative e il contributo di inquinanti da altre sorgenti estranee all’area industriale, i decessi attribuibili diventano circa quaranta (1,2% dei decessi totali, 9 decessi per centomila persone per anno), i ricoveri attribuibili per malattie cardiache settanta (16 ricoveri per centomila persone per anno) ei ricoveri attribuibili per malattie respiratorie cinquanta (11 ricoveri per centomila persone per anno)».
Qual è l’impatto in termini di decessi e di ricoveri ospedalieri per quanto riguarda le patologie croniche, che sono attribuibili alle emissioni in oggetto?
Per rispondere al quesito è stato condotto uno studio epidemiologico con un approccio di coorte di popolazione basato sulla ricostruzione della storia anagrafica di tutti gli individui residenti, il loro successivo follow-up la verifica di mortalità, ricoveri ospedalieri, incidenza dei tumori, e il computo dei tassi assoluti e relativi di frequenza di malattia e di mortalità. La coorte è composta dai soggetti residenti al 1 gennaio 1998 e da tutti quelli che sono successivamente entrati come residenti nell’area per nascita o immigrazione fino al 31 dicembre 2010. Le considerazioni finali dei periti fanno rabbrividire: «L’esposizione continuata agli inquinanti dell’atmosfera emessi dall’impianto siderurgico ha causato e causa nella popolazione fenomeni degenerativi di apparati diversi dell’organismo umano che si traducono in eventi di malattia e di morte. I modelli di analisi messi a punto hanno consentito di stimare quantitativamente il carico annuale di decessi e di malattie che conseguono all’esposizione all’inquinamento».

Eternit gli scienziati: “Micidiale e vive a casa degli Italiani”

La sentenza del Tribunale di Torino che ha condannato a 16 anni di carcere i proprietari dell’Eternit «entrerà nella storia». Il ministro della Salute, Renato Balduzzi, non ha dubbi. A dare la misura della sua importanza è la strage che si consuma periodicamente in Italia, con 3-4 mila morti l’anno. Tutti uccisi dall’amianto. Tra loro, il 15 per cento non sapeva nemmeno di essere stato esposta a questa polvere assassina. «Ecco perché l’eternit è un problema nazionale», puntualizza il ministro. Operai e cittadini sono esposti A pagare saranno il magnate svizzero Stephan Schmidheiny, 65 anni, e il barone belga 91 enne Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne. ex proprietari della multinazionale Eternit: sono stati condannati per disastro ambientale doloso e omissione volontaria delle norme anti-infortunio. Secondo i giudici, è stata loro la responsabilità della morte e della malattia di migliaia di persone, fra operai e cittadini esposti alle fibre di amianto, la cui dispersione nell’aria provoca malattie asbesto- correlate, cioè difficoltà respiratorie, cancro ai polmoni (il mesotelioma), alla laringe, alle ovaie, solo per citare le più rilevanti. I due miliardari, in tempi diversi, pur sapendo che la polvere d’amianto era velenosa, hanno tenuto i lavoratori all’oscuro dei pericoli che correvano nelle fabbriche di Ca sale Monferrato (Alessandria). Cavagnolo (Torino), Bagnoli (Napoli) e Rubiera (Reggio Emilia), tutte chiuse a metà degli anni Ottanta. Se i reati contestati per Bagnoli e Rubiera sono però caduti in prescrizione, per quelli di Casale e Cavagnolo sono stati dichiarati colpevoli e obbligati a un maxi risarcimento danni da 100 milioni di euro e destinato a salire. «E un sogno che si avvera, perché i diritti sono realtà», commenta il procuratore Raffaele Guariniello. che ha coordinato l’inchiesta. «Questa sentenza rende giustizia alle famiglie. Ma purtroppo vedremo ancora tanti amici morire e abbiamo ancora tanta rabbia e tanta strada da fare», aggiunge Romana Blasoni, 83 anni, presidente dell’Aneva (l’associazione dei parenti delle vittime) che per l’amianto ha perso il marito, la figlia, la sorella, un nipote e un cugino. La sentenza di Tonno è una “condanna-pilota”. Perché, grazie a questo precedente, si innescheranno battaglie legali contro i morti e i malati d’amianto non solo in Italia, ma pure nel resto d’Europa. L’Italia è sempre in prima linea Anche perché, secondo la rivista scientifica Lancet, nel Vecchio Continente le vittime ogni anno sono circa 90 mila. Un numero, però, destinato a salire vertiginosamente, tan to che potrebbe arrivare a 500 mila nei prossimi trenl’anni. Tralasciando il clamore del processo di Torino, il nostro Paese rimane in prima linea nella lotta all’amianto: dal 1992 la produzione e commercializzazione è vietata per legge. Ma questo materiale, composto da fibre di silicio, per decenni è stato considerato il miracolo dell’industria e della manifattura del ventesimo secolo e quindi è diffuso capillarmente. Un minerale versatile, a basso costo, indistruttibile, isolante, fonoas sorbente, che resiste bene al calore, alla corrosione, al fuoco, all’umidità è stato impiegato, in passato, in mille modi, dall’industria all’edilizia. Era pure nei filtri delle sigarette Dai ferri da stiro ai freni delle auto, dalle caldaie alle vernici, dai pannelli per ricoprire i tetti, ai tubi. Negli anni “50 veniva inserito persino nei filtri delle sigarette. Ma quanto amianto c’è in Italia? E quanto in Europa e nel resto del mondo? Impossibile saperlo. Non c’è infatti una cifra esatta sulla quantità al di qua e al di là delle Alpi. E questa assenza di numeri precisi rende ancor più inquietante la minaccia della fibra killer. Nel Paese,trai40 e i 60 siti dismessi Si stima che solo nel nostro Paese circa 3,7 milioni di tonnellate siano entrate nella composizione di oltre tremila prodotti diffusi nelle case e nei luoghi di lavoro. L’Inail calcola che lungo la Penisola ci siano fra i 40 e i 60 siti dismessi per la produzione di amianto, che ci siano in circolazione circa 10 mila fra carrozze ferroviarie, navi, metropolitane con amianto spruzzato, che ci siano fra i 50 mila e gli 80 mila chilometri di tubature e condotte altamente pericolose. Assobeton (Associazione nazionale industrie manufatti cementizi) indica la presenza di 12 milioni di tonnellate di lastre per coperture in cementoamianto in tutto il Paese, pari a una superfìcie di 1,2 miliardi di metri quadrati distribuiti sia su edifici pubblici (scuole, ospedali, stazioni) che privati. Ma a rendere lo scenario ancor più allarmante sono le difficoltà della bonifica e dello smaltimento: operazioni lunghe, costose e con pochi siti di stoccaggio. Se nel settore privato è praticamente impossibile fare un censimento di questa bomba ecologica, da una ricerca dell’Istituto per l’inquinamento atmosferico del Cnr risulta che in Lombardia, Emilia-Romagna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta, Piemonte, una mappatura è stata fatta quantomeno per gli edifici pubblici. Non è cosi nelle regioni del Sud: «Abbiamo pochissime informazioni su dove e quanto ce n’è», spiega la ricercatrice Lorenza Fiumi. «La situazione è drammatica ». Un nemico silenzioso, inodore, diffuso, ma soprattutto spietato. L’inalazione delle sue polveri, che il materiale rilascia da sé nell’aria con il tempo e il deterioramento, è dimostrato che siano tossiche e nocive fino a causare la morte, con un insorgenza delle malattie anche nell’arco di 30-40 anni dall’esposizione. Mediamente, secondo i dati fomiti dal Regi stro nazionale dei mesotelioni (Renam), il cancro ai polmoni provocato dall’amianto si manifesta attorno ai 70 anni e la diagnosi è infausta: la sopravvivenza va dai 9 ai 12 mesi. Le vittime sono spesso uomini In due casi su tre le vittime sono uomini. Ogni anno, in Italia, le persone colpite da mesotelioma, questa gravissima forma di tumore ai polmoni, sono in media 1.400. Il responsabile del Renam, il dottor Alessandro Marinacelo, sottolinea però che negli Stati Uniti d’America sono stati eseguiti degli studi clinici che hanno aperto qualche speranza di sopravvivenza. Nei casi di diagnosi precoce, già all’insorgenza dei primi sintomi (tosse, difficoltà respiratorie, dolore al torace), se subito curato, il tasso di mortalità si abbassa.