Il Parlamento scopre che l’Imu è fuorilegge

Per gli esperti di Montecitorio l’imposta sulla casa approvata dal Senato viola l’articolo 23 della Costituzione

di Anna Maria Greco

Roma – Gli esperti della Camera lanciano l’allarme: forte rischio incostituzionalità per il provvedimento sull’Imu. Sono pesanti le osservazioni del Servizio Studi di Montecitorio: il nuovo meccanismo di pagamento della tassa sulla casa non rispetterebbe la «riserva di legge» assegnata dall’articolo 23 della Costituzione alle imposizioni fiscali.

 

L'Imu

L’Imu
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Il testo approvato dal Senato probabilmente subirà modifiche a Montecitorio, dove ieri la Commissione Finanze si è trovata sul tavolo il critico dossier dell’Ufficio Studi. Si parla di rateizzazione in due-tre tranche dell’acconto Imu sulla prima abitazione, di soluzione per gli anziani ospitati nelle case di riposo che devono pagare l’aliquota più alta su quella che viene ritenuta seconda abitazione e di agevolazioni per gli appartamenti affittati a canone concordato.

Che il decreto sulle semplificazioni fiscali in cui sono state inserite le norme sull’Imu non sia «blindato» lo conferma l’azzurro Gianfranco Conte, relatore e presidente della stessa Commissione.
E il Pdl presenta i suoi emendamenti per rendere la tassa «rateizzabile e una tantum», come ha detto il segretario Angelino Alfano che forse già oggi incontrerà il premier Monti per discutere di fisco.
I tecnici della Camera sottolineano che le modifiche dell’importo delle aliquote di base e della detrazione sulla prima abitazione non sono contenute nel decreto fiscale, ma si prevede che siano introdotte da Palazzo Chigi con uno o più Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) da emanare entro il 10 dicembre.

La modifica è dovuta ad un emendamento dei relatori nelle Commissioni Bilancio e Finanze del Senato, poi recepito nel maxi-emendamento del governo sul quale è stata votata la fiducia a Palazzo Madama.
Ma nel dossier dell’Ufficio Studi sono forti le critiche al fatto che le previsioni del gettito dell’Imu non facciano parte di un provvedimento di legge, ma solo di una relazione tecnica. Le entrate attese saranno la base sulla quale riparametrare le aliquote dopo l’acconto di giugno.

Gli esperti della Camera osservano che il decreto-legge 201 del 2011, il cosiddetto «Salva-Italia», non ha esplicitamente quantificato le stime del gettito ma rinvia, appunto, alla relazione tecnica allegata al provvedimento.
Il Pdl intanto preme per ottenere le modifiche al testo di cui ha parlato Alfano: rendere l’acconto Imu rateizzabile e la tassa «una tantum».
In via dell’Umiltà si è riunito ieri un tavolo ad hoc per presentare una serie di emendamenti in questo senso. Il termine in Commissione è scaduto alle 16 e ora solo governo e relatore potranno presentare le loro proposte di modifica. Il segretario del Pdl Alfano insiste per ottenere un faccia a faccia con il presidente del Consiglio al rientro dal viaggio in Medio Oriente, per discutere di come deve cambiare l’Imu, oltre che di legge sul mercato del lavoro e di delega fiscale del governo. Potrebbe essere oggi ma dipende molto sulle trattative sul mercato del lavoro.

Pierluigi Bersani intanto precisa che le tasse di Monti sono colpa del Cavaliere e che il suo partito non ha colpe. «Ora affrontiamo questioni come Imu e Iva – dice il segretario del Pd – non per scelta di Monti, ma perchè stiamo scontando anni di non governo e di favole da parte di Berlusconi». Per Bersani, il premier «sta disinnescando le bombe ad orologeria innescate» dal centrodestra. Ma «queste misure rischiano di aggravare l’andamento recessivo». 
Frasi che provocano la reazione del vicepresidente dei deputati Pdl Osvaldo Napoli: «L’abuso di metafore ardite e del lessico scanzonato stanno mettendo il segretario del Pd sempre più in confusione. Per difendere il governo Monti, Bersani sostiene che se l’Imu è tornata e l’Iva aumentata è colpa di Berlusconi. Salvo poi criticare Monti per aver esagerato con le tasse».

14 marzo 1861 – Il tricolore diviene la bandiera del Regno d’Italia

La bandiera Italiana


Nella Costituzione Repubblicana del 1947, all’art. 12, si legge: “La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni”.
Il significato dei tre colori è:

Verde= (1794: Zamboni – De Rolandis / Colore della speranza di un’Italia libera e unita)
Bianco = (1794: Zamboni – De Rolandis / Colore di Bologna)
Rosso = (1794: Zamboni – De Rolandis / Colore di Bologna)

Il significato dei tre colori della nostra Bandiera Nazionale

Dal discorso di Giosuè Carducci, tenuto il 7 gennaio 1897 a Reggio Emilia per celebrare il 1° centenario della nascita del Tricolore

«Sii benedetta! Benedetta nell’immacolata origine, benedetta nella via di prove e di sventure per cui immacolata ancora procedesti, benedetta nella battaglia e nella vittoria, ora e sempre, nei secoli! Non rampare di aquile e leoni, non sormontare di belve rapaci, nel santo vessillo; ma i colori della nostra primavera e del nostro paese, dal Cenisio all’ Etna; le nevi delle alpi, l’aprile delle valli, le fiamme dei vulcani, E subito quei colori parlarono alle anime generose e gentili, con le ispirazioni e gli effetti delle virtù onde la patria sta e si augusta: il bianco, la fede serena alle idee che fanno divina l’ anima nella costanza dei savi; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi, E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà»,

La bandiera italiana oggi

La Bandiera degli italiani

I colori della bandiera Nazionale Italiana furono stabiliti dal Senato di Bologna, con un documento datato 28 ottobre 1796, in cui si legge: “Bandiera coi colori Nazionali – Richiesto quali siano i colori Nazionali per formarne una bandiera, si è risposto il Verde il Bianco ed il Rosso.”    A Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, i deputati delle popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, su proposta del deputato Giuseppe Compagnoni, fu fatta   “mozione che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso e che questi tre colori si usino anche nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti”.    Il congresso della Repubblica Cispadana convocato a Modena il 21 gennaio del 1797 confermando le deliberazioni di precedenti adunanze decretò vessillo di stato il tricolore per virtù d’uomini e di tempi fatto simbolo dell’unità indissolubile della nazione. Ma perché proprio questi tre colori? Nell’Italia del 1796, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, le numerose repubbliche di ispirazione giacobina che avevano soppiantato gli antichi Stati assoluti adottarono quasi tutte, con varianti di colore, bandiere caratterizzate da tre fasce di uguali dimensioni, chiaramente ispirate al modello francese del 1789. In realtá i primi a ideare la bandiera nazionale erano stati due patrioti e studenti studenti dell’Universitá di Bologna, Luigi Zamboni, natio del capoluogo emiliano, e Giambattista De Rolandis, originario di Castell’Alfero (Asti), che nell’autunno del 1794 unirono il bianco e il rosso delle rispettive cittá al verde, colore della speranza. Si erano prefissi di organizzare una rivoluzione per ridare al Comune di Bologna l’antica indipendenza perduta con la sudditanza agli Stati della Chiesa. La sommossa, nella notte del 13 dicembre, fallì e i due studenti furono scoperti e catturati dalla polizia pontificia, insieme ad altri cittadini. Avviato il processo, il 19 agosto 1795, Luigi Zamboni fu trovato morto nella cella denominata “Inferno” dove era rinchiuso insieme con due criminali, che lo avrebbero strangolato per ordine espresso della polizia. L’altro studente Giovanni Battista De Rolandis fu condannato a morte ed impiccato il 23 aprile 1796. Anche i reparti militari “italiani”, costituiti all’epoca per affiancare l’esercito di Bonaparte, ebbero stendardi che riproponevano la medesima foggia. In particolare, i vessilli reggimentali della Legione Lombarda presentavano, appunto, i colori verde, bianco e rosso, fortemente radicati nel patrimonio collettivo di quella regione: il bianco e il rosso, infatti, comparivano nell’antichissimo stemma comunale di Bologna (croce rossa su campo bianco), mentre verdi erano, fin dal 1796, le uniformi della Guardia civica Bolognese. Gli stessi colori, poi, furono adottati anche negli stendardi della Legione Italiana, che raccoglieva i soldati delle terre dell’Emilia e della Romagna, e fu probabilmente questo il motivo che spinse la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera. Al centro della fascia bianca, lo stemma della Repubblica, un turcasso contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e ornato da un trofeo di armi.

L’epoca napoleonica

1796 Vessillo militare – non di Stato – dei Cacciatori a cavallo della Legione Lombarda 
(Museo del Risorgimento di Milano)

Il Vessillo militare – non di Stato – sventolò alla testa delle formazioni dei Patrioti italiani, che si arruolarono volontariamente nell’Armata d’Italia per combattere contro l’Austria. Napoleone, infatti, entrato da vincitore a Milano il 10 maggio 1796, promuove l’organizzazione della “Legione Lombarda”, forte di 3.471 uomini, nella quale ognuna delle sette Coorti “avrà il suo Stendardo tricolorato Nazionale Lombardo distinto per numero, ed ornato degl’Emblemi della Libertà”.

Il 6 novembre 1796, nel corso di una solenne cerimonia alle ore cinque pomeridiane sulla piazza del Duomo, come riportava il Corriere Milanese del giorno dopo, la prima coorte della Legione Lombarda ricevette la bandiera. Nei giorni seguenti, senza particolari cerimonie pubbliche, anche le restanti cinque coorti ricevettero la loro bandiera. Queste sei bandiere, quasi incredibilmente sopravvissute a tanti sconvolgimenti militari e politici, sono ora custodite nell’Hures Museum di Vienna le prime cinque e nel Musée de l’Armeé all’Hotel des Invalides a Parigi la sesta. Nel Museo del Risorgimento di Milano è invece custodita la bandiera della compagnia cacciatori a cavallo della Legione, bandiera consegnata al reparto probabilmente in epoca successiva. Queste bandiere non sono identiche, differenziano per piccoli particolari.

Le prime vere bandiere tricolore, ossia quelle successive alla Coccarda della sollevazione bolognese del 1794, vessilli consegnati da Napoleone:
18 maggio alla Guardia Nazionale (subito dopo Cherasco);
9 ottobre a Milano per la Legione Italiana;
6 novembre a Milano alla Legione Lombarda.
Queste bandiere a striscie verticali, verde bianche rosse fanno comprendere meglio la frase scritta da Compagnoni a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797 e venti giorni dopo a Modena, “affinchè si renda universale lo stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori … ” ecc . Don Compagnoni non poteva parlare di decreto, o di costituzione, perchè i vessilli esistevano già da più di 7 mesi. Ed il “si renda universale” (ripetuto a Modena tal quale) va interpretato come segno di entusiasmo, e come sottolineava il De Sanctis attingendo alla volgata, come segno di giubilo: “va gridato in tutto il mondo”.

Bandiera della Guardia Civica Modenese della Repubblica Cispadana
(dal 7 gennaio 1797 al 29 giugno 1797)
Nel documento consultabile cliccando qui datato Modena 18 ottobre 1796 si legge: “Ogni Coorte avrà la sua bandiera a tre colori Nazionali Italiani”

 

Bandiera  della  Repubblica  Cispadana (Ricostruzione storica)
Bandiera della Repubblica Cispadana di Reggio Emilia 
(Ricostruzione storica) 

 L'arma della Repubblica Cispadana  (Ricostruzione storica)

L’arma della Repubblica Cispadana di Reggio Emilia
(Ricostruzione storica) 

In data  26 aprile 1797 il vecchio Senato bolognese si autoconvocò per rassegnare il proprio mandato nelle mani della nuova assemblea.  Fu definitivamente soppresso il 31 maggio 1797.
L'unica moneta di cui si abbia notizia è la -Doppia o da 20 lire- coniata dalla Zecca di Bologna (1797),   molto discussa per la non corresponsione del peso della moneta con alcun valore monetale del periodo o della monetazione di Bologna

In data 26 aprile 1797 il vecchio Senato bolognese si autoconvocò per rassegnare il proprio mandato nelle mani della nuova assemblea. Fu definitivamente soppresso il 31 maggio 1797. L’unica moneta di cui si abbia notizia è la “Doppia o da 20 lire” coniata dalla Zecca di Bologna (1797), molto discussa per la non corresponsione del peso della moneta con alcun valore monetale del periodo o della monetazione di Bologna. 

Nella seduta del 7 gennaio 1797 i Delegati della Repubblica Cispadana, accogliendo una mozione di Giuseppe Compagnoni, decretano “che si renda Universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di tre colori, Verde, Bianco e Rosso”. Nasce così il Tricolore come Vessillo Nazionale, La prima Bandiera Tricolore Cispadana ha i colori disposti in tre strisce orizzontali: il Rosso in alto, il Bianco in mezzo, il Verde in basso. Al centro è dipinto il Turcasso o Faretra con quattro frecce, a simboleggiare l’Unione delle quattro popolazioni di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia. Le lettere “R” e “C”, poste ai lati sono le iniziali di “Repubblica Cispadana”. La ricostruzione storica del Primo Tricolore è di Ugo Bellocchi.

Sala detta del Tricolore – Palazzo Comunale, Reggio Emilia

Costruita su progetto dell’Architetto Lodovico Bolognini tra il 1772 e il 1787, la Sala era originariamente destinata a Sede dell’Archivio Generale della Municipalità. Il 27 dicembre 1796 ospitò il Congresso dei Deputati di Reggio, Modena, Bologna e Ferrara che, dopo avere proclamato la Repubblica Cispadana, il 7 gennaio 1797 ne adottarono come Vessillo il Tricolore Verde, Bianco e Rosso. Oggi è sede del Consiglio Comunale e delle più importanti Manifestazioni Civiche.

La prima campagna d’Italia, che Napoleone conduce tra il 1796 e il 1799, sgretola l’antico sistema di Stati in cui era divisa la penisola. Al loro posto sorgono numerose repubbliche giacobine, di chiara impronta democratica: la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana, la Repubblica Partenopea, la Repubblica Anconitana. La maggior parte non sopravvisse alla controffensiva austro-russa del 1799, altre confluirono, dopo la seconda campagna d’Italia, nel Regno Italico, che sarebbe durato fino al 1814. Tuttavia, esse rappresentano la prima espressione di quegli ideali di indipendenza che alimentarono il nostro Risorgimento. E fu proprio in quegli anni che la bandiera venne avvertita non più come segno dinastico o militare, ma come simbolo del popolo, delle libertà conquistate e, dunque, della nazione stessa.

1798
Stendardo del II Reggimento D’Usseri della Repubblica Cisalpina (1800)
Il Gran Consiglio della Repubblica Cisalpina, nella seduta dell’11 maggio 1798, decreta che “La Bandiera della Nazione Cisalpina è formata di tre bande parallele all’asta, la prossima all’asta verde, la successiva bianca, la terza rossa. L’asta è similmente tricolorata a spirale, colla punta bianca“. Tale risoluzione venne molto spesso disattesa: per almeno quattro decenni, infatti, le bandiere con il tricolore saranno composte con modalità variabili nell’accostamento e nella disposizione, sino alla definitiva codifica del 1848.
Repubblica Cisalpina
1797-1802 
Bandiera di impiego generale dall’11 maggio 1798 al 20 agosto 1802. Nel maggio del 1797 Napoleone stacca le provincie di Modena e Reggio dalla Repubblica Cispadana alla quale annette le Romagne e le destina alla Repubblica Transpadana che dà alle sue coorti un Tricolore col berretto frigio e l’archipendolo; il 9 luglio 1797 le riunifica nella Repubblica Cisalpina. L’11 maggio del 1798 il Consiglio Repubblicano ufficializza il Tricolore verticale di forma quadrata. Nel gennaio 1802 il nome dello stato cambiò in Repubblica Italiana e il 20 agosto dello stesso anno anche il tricolore fu sostituito

Bandiera nazionale e di stato a terra dal 20 agosto 1802 al marzo 1805. Il tricolore cisalpino, forse ritenuto troppo simile a quello francese, o troppo rivoluzionario, fu riarrangiato nel 1802 in un nuovo disegno. 

 

Il drappo era quadrato. Invece la versione marittima, decretata ufficialmente, come la versione di terra, il 30 agosto 1802 ma già descritta in un documento del 17 luglio, aveva una forma molto allungata (prop. 3/8). Curiosamente, le insolite proporzioni del drappo furono scelte perché stimate simili a quelle delle navi che lo inalberavano.

 

 Repubblica Italiana 
20 agosto 1802-1805

 

Il 20 agosto 1802, su proposta del Ministro della Guerra Trivulzi, ilGoverno della Repubblica approva il cambiamento della “Bandiera di terra e di mare” dello Stato. La forma del nuovo vessillo sarà, “un quadrato a fondo rosso, in cui è inserito un rombo a fondo bianco, contenente un altro quadrato a fondo verde”. La decisione adottata resterà in vigore, fino al 1814, anche dopo la proclamazione del Regno d’ Italia, con lievi varianti riconosciute ai drappi di taluni reparti militari o adottate in circostanze particolari.

 

 

Regno Italico
1805-1814
 

 

Dal marzo/aprile 1805 alla primavera del 1814 bandiera del Regno Italico a terra e in mare. Quando la Repubblica Italiana diventò Regno Italico, il disegno della bandiera non fu cambiato, ma venne aggiunta al centro l’aquila d’oro napoleanica recante sul petto lo stemma di stato dall’araldica incerta, caratteristica di quel periodo.

 

 

 

 

L’amianto uccide ancora

In Italia la questione amianto non è ancora chiusa. Le persone continuano a morire per l’uso che se n’è fatto in passato, e le sentenze continuano a essere troppo poche mentre troppi sono i responsabili delle morti rimasti impuniti. Secondo i dati del Registro Nazionale Mesoteliomi, istituito dall’Ispesl nel 1993, per censire il tumore dell’apparato respiratorio, causato soprattutto dall’inalazione di fibre di amianto, sono oltre 9000 i casi riscontrati fino al 2004, con una esposizione che circa il 70% delle volte è stata professionale. Nessuna regione è esclusa, ma tra quelle più colpite ci sono il Piemonte (1.963 casi), la Liguria (1.246), la Lombardia (1.025), l’Emilia-Romagna (1.007) e il Veneto (856).
L’amianto è stato usato per lungo tempo, fino agli anni ’80, per produrre ‘eternit‘, un composto di cemento e amianto sfruttato per l’isolamento di tetti, edifici, navi, treni, e utilizzato come materiale per l’edilizia, nelle auto, per la fabbricazione di plastica, cartoni, corde, tute ignifughe. La sua polvere è stata utilizzata anche come coadiuvante nella filtrazione di vini. Le sue fibre sono invisibili a occhio nudo e sono state messe al bando da una legge del 1992 (l.n. 257/1992), perché estremamente cancerogene e dannose per la salute umana. La Germania si era accorta del pericolo nascosto dietro l’amianto già nel 1943. Ma l’Italia a quanto pare è arrivata un po’ in ritardo.
La legge, stabilisce termini e procedure per la dismissione delle attività inerenti l’estrazione e la lavorazione dell’asbesto (nome scientifico dell’amianto), modalità di smaltimento dello stesso, e risarcimento dei lavoratori esposti all’amianto, a forte rischio di malattia.
Tuttavia la situazione, soprattutto su quest’ultimo punto, è ferma. Gli esperti hanno già allertato le autorità: il 2015 sarà l’anno in cui il periodo di incubazione di chi è stato a lungo tempo a contatto con l’amianto finirà.
A Torino il 13 febbraio dovrebbe essere emessa la sentenza del processo che vede incriminata la multinazionale Eternit per disastro doloso e omissione volontaria di misure di sicurezza sul lavoro negli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Bagnoli (Napoli), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia). A marzo, a Padova, la corte deciderà sulle cause della morte dei due marinai Giuseppe Calabrò, di Siracusa, e Giovanni Baglivo, di Tricase (Lecce). Il sospetto, fondato, è che il loro prematuro decesso per malattie polmonari sia connesso all’inalazione di fibre di amianto. La lista di membri della marina militare italiana che hanno perso la vita in condizioni simili è piuttosto lunga d’altronde: 300 persone.
E si parla di amianto anche per la morte di un dirigente Rai, che aveva lavorato per trent’anni nella sede di via Cernaia, a Torino. Secondo l’inchiesta del pm Raffaele Guariniello, tracce di amianto erano presenti nelle intercapedini dell’edificio, e questo avrebbe potuto essere tra le cause del decesso di altri ex dipendenti Rai.
E quanto amianto c’è ancora in Italia? A che punto è la bonificazione? Difficile rispondere a queste domande. Come documentato da uno studio di Legambiente del 2010 (rapporto “I ritardi dei Piani regionali per la bonifica dell’amianto”), sono ancora troppo poche le Regioni che si sono dotate di un Piano regionale amianto per stabilire un programma per il censimento, la bonifica e lo smaltimento dei materiali contaminati. E anche dove il piano esiste, le stime non arrivano, così si rimane alle stime del Cnr e dell’Ispesl che però considerano solo le onduline di cemento-amianto, e parlano di 32 milioni di tonnellate di sostanza nociva presenti sul territorio.
Anche lo smaltimento è ancora un problema. In Italia sono poche e scarsamente capienti le discariche dedicate ai rifiuti contenenti amianto, così i materiali contaminati vengono mandati in Germania o in Austria.
Sono più di 10 le interrogazioni parlamentari presentate nel 2011 al riguardo, l’ultima è a firma del senatore Scilipoti e risale al 12 novembre 2011. Nessuna di queste, però, è riuscita a sollecitare un’accelerazione degli interventi per l’eliminazione dell’amianto dalle nostre città.  Il governo Prodi aveva stanziato cinquanta milioni di euro per le persone che hanno il mesotelioma pleurico ma il governo Berlusconi aveva bloccato quei soldi. Il governo Monti non si è ancora espresso al riguardo.

http://www.iljournal.it/2012/lamianto-uccide-ancora/295350

“L’Italia può e deve farcela. La nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa”

“Grazie a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese, per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell’Italia unita e i suoi 150 anni di vita”. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha aperto il tradizionale messaggio televisivo, a reti unificate, di fine anno.

“Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell’Italia. Che fa tutt’uno con fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità: spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un’economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un’eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute. Non mi nascondo, certo, che nell’animo di molti, la fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. La radice di questi stati d’animo, anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l’Italia si dibatte. Ora, è un fatto che l’emergenza resta grave: è faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno”.

Per il Presidente della Repubblica “lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato nell’ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa dal Parlamento, deve essere portato avanti con rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l’economia riprenderà a crescere : il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale. Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi – nessun gruppo sociale – può sottrarsi all’impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell’Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive”.

Per il Capo dello Stato è necessario impegnarsi “a fondo per colpire corruzione ed evasione fiscale. E’ un’opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità: ed è quanto si richiede egualmente per un impegno di riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina, di intervento incisivo su posizioni di rendita e di privilegio. Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello perché si agisca in queste direzioni, è necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative”.

Quindi, “per procedere con equità si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi. Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall’esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro. Senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro”.

Il Presidente ha ricordato i tanti incontri con le maestranze delle fabbriche: “Comprendo, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell’Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale”.

Il Paese ha davanti grandi prove. “L’Italia può e deve farcela – ha detto il Presidente – la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa. Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all’investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito. E’ a queste misure che ha annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento. Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i giovani e per le donne”.

Per il Capo dello Stato “i sacrifici sono inevitabili per tutti: ma la preoccupazione maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare un futuro ai figli, ai giovani. E’ questo obbiettivo che può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo l’impegno cui non possiamo sottrarci. Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più coerente sforzo congiunto al livello europeo. E’ comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi insoddisfazione per il quadro che presenta l’Europa unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso l’integrazione europea: solo uniti potremo ancora progredire e contare come europei in un quadro mondiale radicalmente cambiato. All’Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali. Abbiamo solo da procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio sentire, in seno alle istituzioni europee – in condizioni di parità – il nostro contributo a nuove, meditate decisioni ed evoluzioni dell’Unione”.

“E’ importante ora che l’Italia possa contare su una fase di stabilità e di serenità politica”, ha sottolineato il Presidente Napolitano. “Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c’è futuro per l’Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all’altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze. Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l’emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare. Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti”.

Occorre “una nuova ‘forza motivante’ perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto ‘con speranza fondata verso il futuro'”, ha detto il Presidente Napolitano riprendendo “alte voci spirituali” levatesi nei giorni natalizi. E ha concluso: “La fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia. E allora apriamoci così al nuovo anno: facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l’Italia”.

 

http://www.quirinale.it/elementi/Continua.aspx?tipo=Notizia&key=22530

E’ morto Mirko Tremaglia, una vita a destra da Salò a Fli

Aveva 85 anni. Deputato di Futuro e libertà, è stato anche ministro. In gioventù aveva aderito alla Repubblica sociale

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Roma, 30 dic. (TMNews) – E’ morto a Bergamo dove era nato 85 anni fa, il 17 novembre 1926, il deputato di Futuro e Libertà Mirko Tremaglia. Era malato da tempo. Lo riferisce il sito dell’Eco di Bergamo, il quotidiano della sua città.

Volontario a diciassette anni della Repubblica sociale, dirigente del Msi, da parlamentare e poi da ministro per gli italiani nel mondo si era battuto per la legge che concesse il voto agli emigrati e ai loro discendenti. Eletto in questa legislatura nelle liste del Pdl, Tremaglia si è poi iscritto il 30 luglio del 2010 al gruppo finiano di Futuro e Libertà.

 
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