BUONA SANITÀ Tumori, tutto quello che si può fare per impedire e correggere gli errori


Oncologi, chirurghi e infermieri possono sbagliare: se ne parla troppo poco. E anche i malati possono contribuire

MILANO – «Ho lavorato in ospedale come medico specialista di malattie infettive per 40 anni e non sono mai stato consapevole di quanto siano frequenti gli errori medici fino a quando non sono diventato anch’io un paziente perché mi è stato diagnosticato un tumore alla gola». A Chicago, durante la sessione dedicata agli errori in oncologia in programma nell’ultimo convegno della Società americana di oncologia clinica (Asco), Itzhak Brook, del Dipartimento di pediatria della Gerorgetown University School of Medicine di Washington DC, racconta la sua storia. «Il mio piccolo carcinoma dell’ipofaringe è stato asportato chirurgicamente e poi ho fatto radioterapia, ma dopo 20 mesi ho avuto una recidiva al seno pirifome (che è parte della laringe, ndr) e nonostante tre tentativi fatti con il laser i chirurghi non sono riusciti a rimuoverla completamente». Brook è poi stato sottoposto a faringo-laringectomìa radicale, intervento chirurgico di resezione che interessa faringe e laringe, e a successiva ricostruzione, che hanno risolto completamente il problema. In tutto è stato seguito in tre grandi centri ospedalieri e, sebbene sia grato e soddisfatto delle cure ricevute, ammette di aver imparato sulla sua pelle che «uno sbaglio è sempre dietro l’angolo, molto più frequente di quanto si possa immaginare».

 

I MALATI – Secondo le statistiche presentate durante l’incontro, gli errori possono interessare fino al 40 per cento dei pazienti che si sottopongono a chirurgia e possono essere fonte di complicanze fino al 18 per cento dei casi. E fra le conseguenze bisogna poi aggiungere l’aumento del costo delle spese mediche (in Italia a carico del Servizio sanitario nazionale), il possibile prolungamento della degenza in ospedale e la possibilità di cause legali. Nel suo intervento all’Asco Itzhak Brook ha elencato una serie di suggerimenti utili per prevenire un possibile errore: «Scegliere un centro che ha esperienza nella malattia di cui si soffre è già un buon punto di partenza – ha detto -, ma anche il paziente può e deve fare la sua parte: informarsi e non esitare a chiedere informazioni è molto utile, così come domandare un secondo parere se si deve prendere una decisione importante. Bisogna anche imparare a palesare a medici e infermieri le proprie necessità e a chiedere loro aiuto per risolvere eventuali problemi».

PARLARE E ORGANIZZARSI – Quanto ai medici, Brook si schiera decisamente fra le fila di quanti sostengono la necessità di migliorare la comunicazione e l’utilità di ammettere apertamente con il malato se si sbaglia. «Spiegare onestamente e con chiarezza a pazienti e familiari cosa è andato storto è fondamentale, perché se l’errore mina la fiducia verso il clinico, sentirlo ammettere le proprie responsabilità è un ottimo inizio per ricostruire un rapporto di stima» conferma Antonella Surobone, oncologa e docente alla New York University Medical School. E se la relazione medico-paziente è stata impostata bene fin dall’inizio, se si è discusso apertamente durante tutto l’iter terapeutico (da un’esaustiva spiegazione al momento della diagnosi fino alla condivisione delle scelte sui trattamenti, con un consenso davvero consapevole e informato), anche affrontare un errore è un po’ meno complicato. «Il confronto con malati e familiari in caso di sbagli li rassicura del fatto che il medico e l’ospedale stanno prendendo la cosa seriamente e che si sta facendo il possibile per impedire che la cosa si ripeta – aggiunge Surbone, che è leader del Comitato educativo dell’Asco -. Mentre evitare la discussione serve solo ad accrescere ansia, rabbia e frustrazione, il che aumenta sia le probabilità di un contenzioso legale, sia il rischio di maggiore danno per il paziente se non si interviene subito per correggere l’errore o mitigarne le conseguenze».

ONCOLOGI – Anche per l’organizzazione ospedaliera o del Sistema sanitario ignorare gli errori clinici (chirurgici, medici o infermieristici) è scorretto, perché non aiuta a modificare il la programmazione del lavoro in modo tale da prevenirli. «Non bisogna poi trascurare le difficoltà psicologiche a cui vanno incontro gli oncologi che, oltre a temere le conseguenze legali e l’imbarazzo nei confronti di interessati e colleghi, speso si trovano a fare i conti con i propri sensi di colpa, angoscia e vergogna – prosegue l’esperta -. Chiedere scusa, potersi spiegare con pazienti e familiari, affrontare l’accaduto chiaramente è utile a tutti, compreso l’oncologo che può così ricominciare a instaurare un rapporto con il proprio assistito. Certo, questo è un campo dove resta ancora molto lavoro da fare: serve un’adeguata preparazione a oncologi, chirurghi e infermieri per prepararli in questo tipo di comunicazione e servono maggiori dati, statistiche, studi per migliorare l’organizzazione dei reparti in modo da impedire più errori possibile. Ma dalla prima sessione sul tema che avevamo organizzato all’Asco nel 2006 e dal primo studio pubblicato abbiamo mosso già diversi passi nella giusta direzione».

Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)

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La denuncia Infermieri insultati e malmenati dai parenti: “mancano ausiliari e se la prendono con noi”

II racconto di un infermiere del San Timoteo che rivela: “veniamo quotidianamente insultati, minacciati e a volte anche malmenati da qualche utente un po’ troppo facinoroso e dai familiari dei tanti pazienti allarmati perché a causa della gravosa e annosa carenza di personale, spesso non viene eseguita l’igiene personale sui malati, né viene cambiata la biancheria, rimanendo talvolta per ore con i loro bisogni fisiologici ancora addosso”.

Termoli. Le lamentele, le proteste, i solleciti non sono serviti a nulla. La carenza di infermieri e soprattutto di ausiliari all’ospedale San Timoteo di Termoli – in realtà in gran parte dei presidi sanitari molisani – continua ad avere proporzioni drammatiche. Ed è proprio un infermiere, G.O., che decidendo di reagire all’inerzia generale trova la forza per una denuncia pubblica e per raccontare cosa avviene nelle corsie del nosocomio adriatico. eventi al limite dell’incredibile: «Gli infermieri vengono quotidianamente insultati, minacciati e a volte anche malmenati da qualche utente un po’ 
troppo facinoroso e dai familiari dei tanti pazienti allarmati perché a questi ultimi, a causa della 
gravosa e annosa carenza di personale, spesso non vengono puliti». Che significa? Che l’assenza di ausiliari, vale a dire figure professionali specifiche nell’assistenza di routine dei malati, si traduce col fatto che l’igiene personale dei malati stessi è abbandonata a se stessa, se non sempre almeno spesso. Troppo spesso. «Non viene cambiata nemmeno la biancheria – prosegue l’infermiere – e i malati restano talvolta per ora con i bisogni fisiologici addosso. Questo scatena l’ira dei familiari, che se la prendono con noi, coprendoci di insulti e a volte alzando anche le mani». 

Le mansioni del personale ausiliario (che nel gergo dei contratti Asrem si identifica con Oss e Ota) vengono svolte, spesso, dagli infermieri stessi, «con l’ausilio dei ragazzi allievi infermieri (nel breve periodo che ci sono). Pertanto gli unici due infermieri a turno, già stracarichi delle proprie mansioni,n on riescono materialmente a snellire la gran mole di lavoro che quotidianamente si accumula». 
La pianta organica, nelle grandi corsie come medicina, chirurgia, cardiologia e ortopedia prevede ben 4 infermieri a turno e due ausiliari per ogni singolo reparto. Ma «il fatto curioso è che la nostra pianta organica è stracolma ’sia di infermieri che di ausiliari e che grazie al fatidico aiuto “dell’amico politico” si ritrovano a svolgere tutt’altro tipo di incarichi. C’è chi è diventato segretario, chi centralinista, chi applicato, chi infermiera particolare di tale dirigente sanitario…». 

«In Pronto Soccorso – prosegue l’autore della denuncia – dove soprattutto in questo periodo estivo c’è un considerevole aumento dell’utenza, vi è spesso un solo ausiliario a turno, però a volte ci sono 2/3 medici, i quali dopo aver visitato i pazienti si rivolgono tutti allo stesso ausiliario, che per accompagnarli ad eseguire esami radiologici e consulenze varie, anziché utilizzare la classica carrozzina, necessiterebbe invece di un vero e proprio “servizio navetta”.

Anche l’Utic, la rianimazione e il nido e la dialisi sono costretti il contendersi l’unico ausiliario a turno. «Quando c’è: perché a volte manca del tutto». 

Gli infermieri sono stanchi, e scoraggiati. Ma anche arrabbiati di dover svolgere mansioni che non competono loro e di venire insultati e aggrediti. «La figura degli ausiliari è in estinzione nei nostri ospedali, grazie alle ingerenze della politica, che in Molise ha praticamente distrutto la sanità. 
Ai nostri politici vorrei fare due domande: i 30 o 40 ausiliari (OSSOTA) che ogni anno frequentano il corso il cui costo è di 2.800 euro a persona, una volta finito il corso dove andranno a lavorare? E soprattutto la congrua somma di 112.000 euro che si ricava ogni anno dal corso, quali tasche va a riempire?». 

Per quanto concerne gli infermieri, la domanda è addirittura inevitabile: «I dirigenti della Asrem, anziché barcamenarsi con le assunzioni temporanee spendendo tra l’altro soldi inutili facendo regali alle agenzie interinali da oltre 15 anni, perché non ricorrono a una stabilizzazione interna di tutto il personale incaricato a tempo determinato, così come già accaduto in altre regioni italiane?». 
La risposta? «Io una me la sono data: i politici molisani sono bravissimi a spendere inutilmente i soldi di tutti (noi) per fare un favore a qualcuno».

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Infermieri: protagonisti della sanità del futuro tra appeal e professionalità

Secondo un’indagine del Censis, è questo uno dei lavori con ottime chance occupazionali: 9 laureati su 10 le trovano entro un anno dal conseguimento del titolo. Entro il 2020 l’Italia avrà bisogno di 266mila infermieri in più

 

Serietà, professionalità, alta occupabilità e utileagli altri: quella dell’infermiere è una professione con un’attrazione sempre più crescente tra i giovani. Ma quale ruolo occupa oggi nel settore medico e quale potrebbe essere il suo contributo per una sanità migliore? Di cosa c’è bisogno per valorizzare l’apporto che già oggi, secondo la maggioranza degli italiani, gli infermieri garantiscono alla sanità? A queste domande ha cercato di dare una risposta una recente indagine del Censis presentata nei giorni scorsi durante il XVI° Congresso della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi (Infermieri professionali, Assistenti sanitari, Vigilatrici d’infanzia) che ha evidenziando due aspetti essenziali: primo, l’infermiere gioca un ruolo positivo nella sanità attuale e ha le capacità di diventare  uno dei principali protagonisti della buona sanità del futuro (90 per cento degli intervistati). Secondo, diventare infermiere è considerata una scelta da condividere e incoraggiare per via della good social reputation (76,6 per cento) di cui gode la professione e perché consente di trovare lavoro rapidamente (47 per cento). Tra i tanti dati emersi, la ricerca, ha evidenziato come l’84,2 per cento degli italiani incoraggerebbe un figlio, parente o amico che volesse iscriversi al corso di laurea in Scienze infermieristiche, perché la ritiene una buona scelta; il 76,6 per cento per l’alto valore sociale della professione, perché dà aiuto agli altri; il 47 per cento perché garantisce un titolo di studio che consente di trovare facilmente lavoro.

“DA GRANDE VOGLIO FARE L’INFERMIERE”. Vogliono fare l’infermiere sempre di più i liceali (tra le matricole di Scienze infermieristiche erano il 29 per cento del totale nel 2003-2004, sono diventati il 46 per cento nel 2009-2010), i maturati con un voto alto (nel 2003-2004 quelli con un voto alla maturità superiore a 90 erano l’11,8 per cento delle matricole, sono diventati quasi il 13 per cento nel 2009-2010), i giovani per i quali il corso di studi in Scienze infermieristiche rappresenta la prima scelta (erano il 46 per cento delle matricole nel 2003-2004, sono diventati il 59 per cento nel 2009-2010).

DOPO LA LAUREA 9 SU 10 TROVANO LAVORO. Diventare  infermiere è considerato, oggi, un percorso accelerato per  trovare collocazione nel mercato del lavoro: a un anno dalla Laurea, infatti, il 93 per cento degli infermieri ha trovato un’occupazione. Le ragioni primarie indicate invece da coloro che sconsiglierebbero parenti e amici di dedicarsi alla professione infermieristica sono la durezza del lavoro (63 per cento) e, soprattutto, l’inadeguatezza del reddito: il 66,4 per cento degli italiani ritiene che gli infermieri guadagnino poco. Tuttavia, il 71 per cento ritiene che la professione infermieristica sia destinata ad avere maggiore riconoscimento in termini di stipendi, status sociale e percorsi di carriera.

SCIENZE INFERMIERISTICHE, UN ERRORE IL NUMERO CHIUSO E IL TEST D’ACCESSO. Numero chiuso e test d’accesso, non è cosi che si prepara un buon infermiere. Il 61,3 per cento degli italiani considera un errore il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di Scienze infermieristiche. Quasi il 32 per cento perché c’è bisogno di avere più infermieri nel futuro e in questo modo l’Italia rischia di non averli. Per il 29,7 per cento perché la selezione dovrebbe basarsi sulla capacità degli studenti di andare avanti nel percorso di studi. Meno del 40 per cento degli italiani, invece, si dichiara favorevole al numero chiuso. Di questi, il 29,3 per cento lo considera un buon modo per selezionare gli studenti e il 9,4 per cento lo valuta positivamente anche se ritiene che occorrerebbe ampliare il numero dei posti disponibili. Gli italiani si dividono sul ricorso alla prova con test a risposta multipla (i quiz) per selezionare l’accesso al corso di laurea in Scienze infermieristiche: il 37,8 per cento lo giudica un modo adeguato, il 37,5 per cento lo ritiene un sistema errato (percentuale che cresce tra i laureati fino al 45,1 per cento), mentre per il 24,7 per cento forse non è adeguato, però non ci sono alternative. Il numero chiuso rende inevitabile il ricorso a infermieri stranieri: c’è già stato un boom nel periodo 2007-2010, con un incremento del 25 per cento (+8mila unità).

LA PERCEZIONE DEI PAZIENTI E LA CAPACITÀ DI RELAZIONARSI. Professionale e capace di relazionarsi, l’infermiere piace agli italiani. Il 75,2 per cento degli italiani che hanno avuto rapporti diretti o indiretti, tramite i familiari, con gli infermieri valuta come ottima o buona l’attività da loro svolta. Molto apprezzate sono le capacità tecnico-professionali (dal 55,6 per cento), la capacità di relazionarsi con i pazienti e i familiari (51,2 per cento), la cortesia e la gentilezza (44,7 per cento). Del resto, le cose più importanti che si aspettano da un infermiere, quando entrano in relazione con lui nei diversi contesti sanitari, sono per oltre l’82 per cento degli intervistati le capacità psicologiche,  relazionali, di approccio alle persone, oltre che competenze tecniche, e che questa dimensione sarà sempre più significativa anche in futuro; la capacità di creare un buon clima relazionale e l’attenzione agli aspetti psicologici e umani (per il 66 per cento), un ottimo livello tecnico-professionale (62,3%), la capacità di dare spiegazioni sulla diagnosi e la terapia (25,5 per cento).

CRESCITA OCCUPAZIONALE NEL FUTURO. 
Nella sanità del futuro le opportunità occupazionali saranno ancora migliori. Si stimano in 266mila unità in più gli infermieri di cui l’Italia avrà bisogno nel 2020 rispetto agli attuali 391mila (ipotizzando un rapporto infermieri/popolazione pari al benchmark olandese di 1.051 ogni 100mila abitanti). Sulla necessità di aumentare il numero di infermieri c’è un ampio consenso sociale: il 68,5 per cento dei cittadini ritiene che attualmente nel nostro Paese ce ne siano pochi e che bisogna aumentarne il numero. Nella sanità del futuro, fatta più di prevenzione e di presidi sul territorio, secondo il 90 per cento degli italiani quella dell’infermiere sarà una professione importante, che giocherà un ruolo rilevante. Già oggi gli infermieri possono dare un contributo al miglioramento della sanità. Il 48,5 per cento degli italiani è d’accordo con la possibilità che i casi meno gravi che arrivano in Pronto soccorso, i cosiddetti “codici bianchi”, vengano trattati dagli infermieri, nel rispetto delle linee guida indicate dai medici, in modo da smaltire le file di attesa senza abbassare la qualità del servizio.


L’UPGRADING DELLA PROFESSIONE. 
Anche alla luce del giudizio positivo delle esperienze di Pronto Soccorso (dove in alcune realtà geografiche gli infermieri ora si occupano direttamente dei codici bianchi), nella sanità del prossimo futuro emergono alcuni aspetti significativi relativi all’upgrading della professione infermieristica: una crescente attenzione alla dimensione relazionale; il riconoscimento di spazi più ampi di responsabilità ed esercizio delle proprie competenze in stretta connessione con i medici; una relazione sempre più stretta con le nuove tecnologie. È qui che va ad incastonarsi il dato sulla percezione collettiva che vede gli infermieri “sono pochi rispetto alle esigenze” e la richiesta di questo tipo di professionalità che va aumentando in misura significativa.


PROFESSIONE INFERMIERE: I PROSSIMI OBIETTIVI IN AGENDA.
 Sulla base degli elementi emersi dalla ricerca del Censis, è stata stilata una possibile agenda degli obiettivi da raggiungere nel prossimo periodo: aumentare le opportunità di accesso ai corsi universitari in Infermieristica, modulandole maggiormente sull’evoluzione attesa della domanda di infermieri derivante dai mutamenti della domanda e dell’offerta sanitaria; mettere al centro della formazione non solo le competenze tecnico-professionali ma quelle relazionali, di attenzione al paziente e alla famiglia, e la capacità di interagire, di comunicare e di relazionarsi; ampliare nella sanità gli spazi di azione autonoma e diretta degli infermieri, laddove ciò migliora la qualità dei servizi, come, ad esempio, nei Pronto Soccorso.


MATERIALI
– La ricerca del Censis
– Report Ipasvi sugli infermieri stranieri