Laringectomia totale: Consigli dopo la terapia

In tutti i casi in cui il tumore laringeo è circoscritto, le possibilità di guarigione sono molto buone e nella maggior parte dei casi è possibile conservare integralmente o parzialmente la laringe, senza la perdita totale delle sue funzioni.
Oggi anche in casi di tumore più esteso si può ottenere la guarigione senza il sacrificio della laringe grazie a più efficaci protocolli di radiochemioterapia. Nei casi in cui non si riesca a raggiungere la guarigione, la chirurgia può essere accompagnata da ottime possibilità di cura anche se con unaguarigione della ferita più lunga e complessa. 

Dopo le terapie effettuate è molto importante che il paziente si sottoponga ai controlli periodici con visite cliniche e gli esami che di volta in volta gli saranno richiesti.
I controlli periodici si protrarranno per almeno cinque anni, che rappresentano  il periodo di rischio per il paziente, ma possono anche essere proseguiti più a lungo; sussiste, infatti, la possibilità che nel distretto della testa e del collo o in altra sede possa svilupparsi un’altra neoplasia, che così può essere prontamente diagnosticata in stadi più limitati.

È importante comunque che il paziente sia il primo medico di sé stesso sorvegliando attivamente il proprio stato di salute e rivolgendosi al medico di famiglia o agli specialisti che lo hanno curato, tutte le volte che si accorga di nuovi sintomi.
È assolutamente sconsigliato riprendere a fumare.  

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Come si può parlare nuovamente dopo la laringectomia totale?

Trascorso un primo periodo in cui il paziente deve portare la cannula, questa può essere rimossa e dopo l’eventuale trattamento radioterapico, può iniziare la fase della riabilitazione vocale.
Esistono apposite scuole di rieducazione alla parola, presso le quali i pazienti laringectomizzati imparano di nuovo a parlare con voce esofagea o faringo-esofagea.
La rieducazione può essere attuata seguendo uno dei seguenti metodi:
deglutitorio
inspiratorio
bucco-faringeo
che sono praticati dai rieducatori ailar o dai logopedisti che insegnano ai laringectomizzati come riprendere a comunicare. La scelta di un metodo dipende dalle problematiche fisiologiche individuali; per questo motivo il rieducatore si rivolgerà al chirurgo prima di iniziare la riabilitazione del paziente.

Sia che il paziente sia predisposto alla voce esofagea che a quella faringo-esofagea, è bene che la mattina, subito dopo il risveglio, esegua alcuni semplici esercizi per affrontare al meglio la giornata e raggiungere buoni risultati con la nuova voce- Ad esempio:
fare impacchi caldi al collo con l’ausilio di due spugnette immerse in acqua calda e poi strizzate. Ciò procura una vasodilatazione all’altezza delle cicatrici, che le manterrà elastiche;
massaggiare la zona del collo-spalle, del collo-torace e viceversa;
allungare tutti i muscoli del collo facendo ‘boccacce’;
palpare leggermente la base del collo fino a provocare colpi di tosse per eliminare eventuali depositi di catarro formatisi durante la notte;
ruotare lentamente la testa alternativamente verso destra e verso sinistra, cercando, nel contempo di allungare al massimo i muscoli del collo per mantenerli elastici;
effettuare movimenti rotatori con la lingua attorno ai denti, prima in un’arcata e poi nell’altra, e ripetere l’esercizio più volte;
spingere la punta della lingua quanto più indietro possibile fino a sfiorare prima una tonsilla e poi l’altra
I pazienti che seguono il metodo faringo-esofageo possono, inoltre, inclinare la testa tutta indietro mantenendo il busto eretto; quindi, tenendo la bocca chiusa, spingere con la punta della lingua ben ferma verso i denti anteriori; muovere l’attaccatura della lingua ritmicamente per pompare aria nella faringe. Tale movimento dovrà portare a produrre un suono simile al tubare dei piccioni.

I pazienti che, invece, seguono il metodo di apprendimento inspiratorio, possono inspirare, trattenere il respiro, chiudere rapidamente la bocca cercando di incamerare più aria possibile; quindi gonfiare le guance e poi darsi dei colpetti sulle gote per far uscire in successione l’aria trattenuta, emettendo quei rumoretti che ricordano le ‘pernacchie’ che si fanno da bambini.

È anche possibile riprendere a comunicare con l’ausilio di protesi meccaniche interne oppure esterne. La protesi interna è costituita da un tubicino particolare che può essere inserito durante o dopo l’intervento di laringectomia. Il chirurgo crea una fistola, ossia una comunicazione tracheo-esofagea su cui si applica la protesi. Questa soluzione non è adatta per tutti i pazienti; sarà quindi il chirurgo a stabilire nel singolo caso se è eseguibile oppure no.

La protesi esterna è costituita da un sistema a vibrazione meccanica con trasduzione del segnale in maniera elettrica e, più recentemente, in forma elettronica. L’apparecchio si chiama laringofono e si posiziona sotto il mento quando s’intende parlare, dopo averlo avviato. Un circuito elettrico/elettronico trasforma la vibrazione meccanica, modulata dalla vibrazione della faringe, in un segnale acustico, che riproduce un suono articolato ed intellegibile simile a quello verbale. Il pulsante deve essere rilasciato ogni volta che si cessa di parlare, per evitare che il laringofono continui a vibrare, emettendo un ronzio che risulta fastidioso
Per ulteriori informazioni sulle metodiche di comunicazione, siano esse autonome o tramite dispositivi protesici, si rimanda alle pubblicazioni disponibili presso l’ailar.

Esercizi per la riabilitazione dell’odorato
Inspirare, trattenere il respiro e poi chiudere rapidamente la bocca. Quindi, mantenendo sempre la bocca chiusa, fare dei rapidi movimenti di spinta della lingua verso il palato così da spingere l’aria della bocca verso le fosse nasali. Questo ‘pompaggio’ farà defluire l’aria dalle narici verso l’esterno, ma la richiamerà anche verso l’interno. In questo modo il passaggio dell’aria manterrà efficiente il senso dell’odorato.
Una volta appreso il meccanismo, l’esercizio potrà essere attuato in qualsiasi momento per percepire gli odori ambientali.
Anzi, una volta acquisita la giusta pratica, si potrà anche riuscire a soffiare il naso.

Non bisbigliare, ma provare sempre a emettere qualunque tipo di rumore dalla gola.
Di grande importanza, in tutta la fase riabilitativa, sono la pazienza e il conforto dei parenti e degli amici, che, primi fra tutti, possono aiutare moltissimo il paziente a recuperare la propria autonomia reinserendosi nella vita sociale e riprendendo i rapporti interpersonali, che sono basati in gran parte sulla comunicazione orale.

Attenzione
Pur garantendo l’esattezza e il rigore scientifico delle informazioni, AIMaC declina ogni responsabilità con riferimento alle indicazioni fornite sui trattamenti, per le quali si raccomanda di consultare il medico curante, l’unico che possa adottare decisioni in merito.

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Sportello di segretariato sociale

Presso F.A.V.O. è attivo uno sportello di segretariato sociale grazie al quale i pazienti e i loro familiari potranno essere aiutati da un’assistente sociale nel reperire informazioni di natura socio-assistenziale e nella compilazione della domanda di riconoscimento di invalidità civile, handicap ed accompagnamento da inviare per via telematica all’INPS.

È possibile accedere al servizio di segretariato sociale telefonando il Giovedì dalle ore 9:00 alle ore 15:00 al seguente numero verde 800903789 o scrivendo una mail all’indirizzo segretariatosociale@favo.it

Il servizio di segretariato sociale è così articolato:

a. Cos’è: il segretariato sociale costituisce un servizio gratuito, che si rivolge ai pazienti e ai loro familiari che desiderano avere informazioni complete e verificate riguardanti la realtà socio-assistenziale e socio-sanitaria del territorio, ma anche consulenza e orientamento in merito ai diritti, alle prestazioni e alle modalità di accesso dei servizi.

b. Come: viene effettuata telefonicamente o via mail una presa in carico progressiva: dall’orientamento alla definizione della domanda, dall’avvio dell’intervento alla sua valutazione.

c. Dove: presso F.A.V.O. e AIMaC.

d. Per chi: per le persone malate di cancro e per i loro familiari ed amici.

ACCESSO

a. Rivolgersi telefonicamente al seguente numero: 800903789 o al seguente indirizzo mail: segretariatosociale@favo.it

b. Quando: telefonicamente potete contattarci il giovedì dalle ore 9:00 alle ore 15:00, negli altri giorni è possibile inviare una mail alla quale sarà fornita una risposta il venerdì.

c. La qualità offerta è: – garantire una risposta contestuale alla domanda per le richieste di carattere generale; – appuntamento telefonico con l’assistente sociale per le informazioni più specifiche.

Per i malati oncologici ora c’è il congedo per curarsi

Fonte: Il Sole 24Ore Sanità del 12-18 luglio 2011

Un diritto in più, un serio problema in meno per le oltre 300 mila persone che ogni anno in Italia si ammalano di cancro. Con l’approvazione definitiva a fine giugno del Dlgs, in attuazione dell’articolo 23 del collegato lavoro (legge 4 novembre 2010, n. 183) relativo alla «delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi», sollecitato per lungo tempo dall’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), i malati di cancro ottengono il riconoscimento di un nuovo diritto: curarsi mantenendo la retribuzione e la possibilità di affrontare con serenità le fasi critiche della malattia.

A sancirlo è l’articolo 7 del decreto che va così a colmare una lacuna legislativa che abbandonava a se stessi tanti malati di cancro. Finora, infatti, chi veniva colpito dal tumore, con invalidità riconosciuta superiore al 50%, nel momento in cui si assentava per le cure oltre al periodo previsto dal contratto di lavoro perdeva la retribuzione. Da ora in poi non sarà più così: i lavoratori con riduzione della capacità lavorativa superiore al 50 per cento potranno fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. Durante questo congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Un passaggio importante inserito nell’articolo 7 del Dlgs riguarda, poi, il regime giuridico perché si riconosce che tale congedo non rientra nel periodo di comporto: in sostanza il posto di lavoro è tutelato per un lasso di tempo più lungo.

http://www.favo.it/news/779-malati-oncologici-congedo-curarsi

Come essere d’aiuto?

Suggerimenti pratici 
Una delle sensazioni più comuni di amici e parenti, che desiderano sostenere un malato di cancro, è non sapere da che parte cominciare, nonostante le migliori intenzioni. In questo capitolo seguiremo un percorso logico che potete imitare e che vi aiuterà a stabilire dove il vostro aiuto è più prezioso e da dove cominciare.
Questi suggerimenti valgono in particolare per gli amici al di fuori della cerchia familiare e parentale che sono quelli maggiormente chiamati a svolgere funzioni di supporto.

1. Fare la propria offerta
Innanzitutto dovete scoprire se il vostro aiuto è richiesto oppure no. Nel primo caso, fate la vostra offerta. L’Esplicitate nello specifico come volete e potete  essere d’aiuto attraverso azioni concrete, evitate frasi del tipo “Fammi sapere se c’è qualcosa che posso fare per te”. Inoltre rendetevi disponibili a ripassare per vedere se potete rendervi utili. Ovviamente, se siete il padre/la madre di un bambino malato o il partner di un paziente oncologico, non dovete chiedere nulla. Ma se siete fuori dalla cerchia familiare è importante sapere se siete nella posizione giusta per ‘dare una mano’. A volte un conoscente o un collega è più gradito di un parente stretto, per cui non esprimete un giudizio affrettato sulla vostra utilità. Non rimanete male se il malato non sembra gradire il vostro appoggio. Non fatene un fatto personale. Se proprio volete rendervi utili, chiedete a coloro che sono più vicini al malato se hanno bisogno d’aiuto. Dopo aver fatto l’offerta iniziale non aspettate di essere chiamati, ma fatevi risentire.

2. Informarsi
Se volete essere utili, dovete necessariamente essere informati sulla situazione medica, ma solo quel tanto che basta per fare progetti razionali. Non dovete assolutamente diventare esperti sull’argomento. Molti di coloro che vogliono aiutare i malati sono spinti ad acquisire sempre più dettagli che non sono necessariamente pertinenti alla situazione del loro amico/parente. A volte sono spinti dalla curiosità, a volte dal desiderio di essere padroni della situazione.

3. Valutare le esigenze del malato e dei suoi familiari
Naturalmente qualunque valutazione non sarà mai definitiva e sarà carica di incertezze perché il futuro è spesso imprevedibile. Ma devono essere prioritarie le esigenze del malato. Queste, è chiaro, variano a seconda di quanto sia invalidante la malattia in quel momento (ammesso che lo sia). Se le condizioni del malato sono seriamente compromesse, forse vi porrete delle domande. Chi si prenderà cura di lui durante il giorno? Può alzarsi dal letto e andare in bagno? Può prepararsi da mangiare? Ha bisogno di cure che non può fare da solo? E poi potreste chiedere ai suoi familiari. Ci sono bambini da accompagnare a scuola e andare a riprendere? Il partner è in buone condizioni di salute o ci sono cose di cui ha bisogno? La casa si presta ad assistere qualcuno nelle sue condizioni oppure ha bisogno di essere adattata? Per quante domande ci vengano in mente, non sono mai esaustive per la singola situazione. Fatevi un elenco personalizzato ricostruendo una giornata ‘tipo’ della vita del vostro amico e pensando a ciò di cui può avere bisogno in ogni fase.

4. Stabilire che cosa si può e si vuole fare
Che cosa sapete fare? Potreste cucinare per il nostro amico? Portare dei pasti surgelati precotti è sempre ben accetto. Potreste preparare da mangiare per gli altri membri della sua famiglia? Siete abili nei piccoli lavori domestici? Sapreste installare dei servoscala o rampe per sedie a rotelle, se necessario? Sapreste badare alla casa? Potreste portare i bambini allo zoo per un giorno in modo da lasciare la coppia tranquilla per un po’ di tempo? Se non siete in grado di fare niente di tutto ciò, ve la sentireste, per esempio, di pagare una colf per mezza giornata la settimana in modo che dia una mano al vostro posto? Potreste procurare delle letture adatte al vostro amico? Siete in grado di trovare delle videocassette di suo gradimento? Se avesse bisogno di adattare il suo appartamento, sareste in grado di aiutarlo? Se è una donna, vi ricorderete di farle trovare dei fiori a casa al ritorno dall’ospedale?

5. Cominciare con piccole cose pratiche
Scorrete l’elenco delle cose che siete disposti a fare e cominciate offrendovi di farne alcune. Non vi dichiarate disponibili a fare tutto, altrimenti il vostro amico avrà la sensazione di essere ‘soffocato’. Privilegiate alcuni piccoli compiti pratici che il malato potrebbe non essere in grado di eseguire con una certa facilità. Fate programmi di minima: raggiungere un obiettivo modesto è molto meglio che puntare ad un ideale difficilmente raggiungibile. Ci vogliono un po’ di attenzione e tatto. 

Un nostro conoscente, Mario, era solito farsi tagliare i capelli tutte le settimane. Niente di particolare, ma faceva parte della sua routine. Quando fu ricoverato, un suo amico prese accordi con il barbiere dell’ospedale perché andasse a tagliargli i capelli una volta alla settimana. Fu un gesto molto carino e premuroso. Esistono molti esempi di questo genere, come offrirsi per badare alle piante di casa, oppure per portare fuori il cane.

6. Evitare gli eccessi
Non fate doni enormi che sono fuori luogo e imbarazzano. In certe situazione i regali nascono da un senso di colpa e di difficoltà del donatore e inducono disagio anche nel destinatario. Analogamente le vostre offerte di aiuto dovrebbero essere modeste e adatte al malato e ai suoi familiari. Siate sensibili.

7. Ascoltare
Il tempo è un dono prezioso che, invece, potete fare in qualunque momento. Se non lo avete già fatto, leggete il capitolo che parla di come diventare un ‘buon ascoltatore’ e cercate di passare regolarmente del tempo con il vostro amico. È meglio essere una presenza costante dedicandogli dieci, quindici minuti ogni giorno o a giorni alterni piuttosto che due ore una volta al mese. Siate affidabili e sempre disponibili.

8. Coinvolgere altre persone
Siate sinceri con voi stessi e riconoscete i vostri limiti. Tutti coloro che forniscono il proprio aiuto e sostegno desiderano fare del loro meglio. Potreste essere tentati da gesti eroici per un senso di ira e rabbia contro quanto è capitato al vostro amico e contro l’ingiustizia della situazione. Ma se vi ponete ideali troppo alti e poi fallite, sarete voi stessi a disagio anziché essere d’aiuto. Per voi stessi, per il vostro amico, dovete essere capaci di intraprendere sforzi ragionevoli che potete portare a compimento. Ciò vuol dire che dovrete essere sempre realistici su ciò che siete in grado di fare ed essere disponibili a farvi aiutare quando non ce la fate.

Ripassare questa lista mentalmente è utile in quanto consente un vero approccio pratico a qualcosa che probabilmente non vi è familiare, e serve anche a placare il dolore che provate quando non sapete da che parte cominciare. Quali che siano i vostri piani, cambieranno senz’altro con il tempo, in quanto le condizioni muteranno. Siate disposti ad essere flessibili e ad imparare cammin facendo.

http://www.aimac.it/informazioni-tumore/parlare-malato-cancro/essere-di-aiuto_k6ab_k6Wa_k6Wa_3p.html

Il decalogo del buon ascoltatore

Il ‘buon ascoltatore’ può essere definito come colui che ha un approccio alla conversazione sia con la dimensione fisica che con quella psicologica. A volte, molti degli imbarazzanti vuoti di comunicazione che si creano durante uno scambio interpersonale, sono causati dal fatto che ignoriamo le poche, semplici regole che favoriscono la libera comunicazione.

1. Creare l’atmosfera
Questo punto è molto importante e deve essere curato nei dettagli: mettetevi comodi, sedetevi, cercate di apparire rilassati  e mandate dei segnali che facciano capire che avete intenzione di fermarvi e di dedicare tempo alla persona malata (ad esempio, toglietevi il cappotto). 
Guardate sempre l’interlocutore negli occhi, possibilmente tenendo lo sguardo allo stesso livello, il che quasi sempre vuol dire mettersi a sedere. Il contatto visivo è ciò che trasmette all’altro il senso di esclusività della conversazione e lo fa sentire accolto e ascoltato. Se in un momento doloroso non riuscite a guardarlo dritto negli occhi, almeno avvicinatevi e stringetegli la mano; oppure, se potete, accarezzatelo.

Come regola generale, se il vostro caro si trova in ospedale, mettersi a sedere sul letto è meglio che stare in piedi. A volte le circostanze potrebbero darvi l’impressione di essere sfavorevoli: ad esempio, potreste rendervi conto che non è possibile sedersi sul letto, oppure che l’unica seduta disponibile è il piano di un tavolo o di un comodino. Anche se ciò vi causa un certo imbarazzo, cercate di sedervi: è sempre meglio che cercare di parlare a qualcuno dominandolo e guardandolo dall’alto in basso.
L’atmosfera deve essere quanto più intima possibile, anche se, nonostante i vostri sforzi, ci possono essere sempre delle interruzioni (il telefono che squilla, il campanello che suona, i bambini che vanno e vengono, il personale ospedaliero che entra). Evitate di parlare in un corridoio o sulle scale. Ciò sembra ovvio, ma ricordatevi che spesso la comunicazione non riesce ad essere libera e autentica proprio perché subisce  l’influenza di queste piccole cose. Fate attenzione alla prossimità. Non siate troppo distanti dall’interlocutore, infatti una distanza maggiore di circa mezzo metro renderebbe la conversazione imbarazzata e formale, mentre una minore potrebbe far sentire il malato ‘circondato’, soprattutto se è costretto a letto e quindi impossibilitato a sottrarsi. Assicuratevi che non si frappongano tra di voi ostacoli fisici (tavoli, comodini, ecc.). Anche in questo caso può non essere facile, ma se dite qualcosa del tipo “Non è facile parlare da una parte all’altra di questo tavolo. Posso spostarlo?”, può essere di aiuto ad entrambi.

2. Capire se il malato ha voglia di parlare
Può darsi che il vostro amico o parente non si senta, o non abbia voglia, di parlare quel giorno. Può anche darsi che abbia voglia di parlare di cose banali (i programmi della televisione, gli abiti di moda, i risultati delle partite o altre cose quotidiane). Non dispiacetevi: anche se siete mentalmente preparati per una conversazione impegnativa, non scoraggiatevi se in quel momento l’interlocutore non risponde alle vostre aspettative. Potete comunque essergli di grande aiuto conversando con lui di cose quotidiane; o semplicemente ‘ascoltando il suo silenzio’. Se non siete sicuri di quello che desidera, chiedetegli: “Ti va di parlare un po’?”. Piuttosto che avviare una conversazione profonda non desiderata, è meglio partire da questa semplice domanda. Oppure, se il malato è stanco o ha appena parlato con qualcun altro, potete dirgli: “Parlami solo se te la senti”.

3. Ascoltare il malato mostrando di ascoltare
Quando il vostro amico o familiare parla, ascoltate ciò che vi sta comunicando anziché pensare a quello che dovreste dire voi, e mostrategliche gli prestate attenzione. 
Evitate di anticipare le parole del vostro interlocutore o di interpretare il suo pensiero, perché così facendo rischiate di perdere di vista ciò che, invece, egli sta effettivamente esprimendo. Evitate anche di interromperlo. Mentre parla non intervenite, ma aspettate che abbia finito prima di interloquire. Se, invece, è l’interlocutore ad interrompervi con un “Ma” o un “Credevo”, o con un’espressione analoga, fermatevi e lasciatelo parlare.

4. Incoraggiare il malato ad aprirsi
Un ‘buon ascoltatore’ deve poteraiutare il suo interlocutore ad aprirsi, senza timore di esprimere  ciò che gli passa per la mente. Ci sono semplici espressioni che vanno benissimo: cercate di annuire e pronunciate parole semplici del tipo “Sì”, “Capisco”, “Vai avanti”. Nei momenti di tensione sono proprio le cose semplici quelle che facilitano le situazioni.
Per mostrare al  vostro caroche le sue parole sono veramente ascoltate , potete anche ripetere due o tre parole dell’ultima frase che ha pronunciato. , oppure potete sintetizzare il concetto che egli ha appena espresso, in parte per verificare che abbiate compreso il senso del suo discorso, in parte per dimostrargli che ascoltate e vi sforzate di comprenderlo. Potete, per esempio, dire “Allora intendi dire che …”, oppure “Se ho ben capito senti che …”.

5. Prestare attenzione al silenzio e alla comunicazione non verbale
Se qualcuno smette di parlare,  può significare che sta pensando a qualcosa di doloroso o delicato. Rispettate per un  po’ il suo silenzio, se ne avete voglia stringetegli la mano o accarezzatelo, e poi chiedetegli con dolcezza a cosa stia pensando. Non mettetegli fretta anche se vi sembra che il silenzio duri secoli.
Può darsi che il silenzio vi induca a pensare “Oddio, adesso non so cosa dire”. Ma il silenzio può indicare che effettivamente non c’è bisogno di parlare. Se questo è il motivo, non abbiate paura di tacere ma rimanete vicino al vostro caro. In queste situazioni toccare delicatamente il suo volto o mettergli un braccio intorno alla spalla può valere più di tante parole.
A volte la comunicazione non verbale dice molto di più sulle emozioni del parente o amico di quanto si possa immaginare. Ecco un esempio tratto dall’esperienza di un medico.

Avevo in cura una donna anziana di nome Antonietta che sembrava molto contrariata e chiusa. Io cercavo di spronarla a parlare, ma non riuscivo a scucirgli una parola di bocca. Durante un incontro mentre parlavo allungai le mani verso le sue. Era più che altro un tentativo, perché non ero affatto sicuro che fosse la cosa giusta. Con mia grande sorpresa la donna afferrò la mia mano e la strinse a lungo. L’atmosfera mutò all’istante e all’istante Antonietta iniziò a parlare delle sue paure di dover subire altri interventi e di essere lasciata sola dalla sua famiglia. Il messaggio del mio contatto non verbale era ‘provaci e vedi come va’. Se, per esempio, Antonietta non avesse reagito positivamente, avrei potuto ritirare la mia mano e nessuno dei due avrebbe riportato un insuccesso in conseguenza di quel gesto. 

6. Non avere timore di esprimere i propri sentimenti
L’autenticità è alla base di una comunicazione libera. Non temete di manifestare il vostro diasgio usando espressioni del tipo “Mi è difficile parlare di …”, oppure “Non sono molto bravo a parlare di …”, o anche “Non so cosa dire”.
Riconoscere i sentimenti che sono di solito abbastanza comuni per entrambi (anche se in questo caso si tratta dei vostri sentimenti e non di quelli del malato) può migliorare incredibilmente l’atmosfera, riducendo spesso quel senso di distanza e imbarazzo che avvertiamo talvolta. È straordinario quanto ciò possa migliorare la comunicazione tra voi e il malato.

7. Accertarsi di non aver frainteso
Se siete certi di aver compreso ciò che il vostro caro intende dire, potete sottolinearlo attraverso frasi come “Mi sembri molto abbattuto” oppure “Immagino che ciò ti abbia fatto infuriare”. Tuttavia se non siete sicuri di ciò che ha voluto esprimere, non abbiate timore di domandargli, per esempio, “Come ti sentivi?”, “Che ne pensi?”, “Come ti senti adesso?”. Supposizioni errate, infatti, possono causare  malintesi. Una domanda esplicita del tipo “Fammi capire meglio che cosa vuoi dire” può rivelarsi utile a capire meglio che cosa pensa l’interlocutore. 

8. Non cambiare argomento
Se il vostro caro vuole parlare di quanto si senta male, consentiteglielo. Può essere doloroso per voi ascoltare alcune delle cose che dice, ma, se non vi crea eccessivo turbamento, rimanetegli vicino mentre parla. Se, invece, vi sentite troppo a disagio e ritenete di non essere in grado di affrontare questi argomenti in quel momento, diteglielo con chiarezza e proponete di rimandare a un’altra volta. Potete anche usare una frase del tipo “Ciò mi mette molto a disagio in questo momento. Possiamo riprendere a parlare più tardi?”. Evitate di lasciar cadere il discorso o di cambiare argomento senza esplicitare il fatto che il vostro interlocutore ha sollevato questioni che vi hanno turbato e di cui al momento non sentite di riuscire a parlare.

9. Non cominciate mai col dare consigli
Sarebbe bello se i consigli fossero dati solo quando sono richiesti, ma purtroppo molto spesso non è così. Cercate sempre di evitare, però, di dare consigli in apertura di conversazione perché inibireste il dialogo. Se non sapete proprio trattenervi, cercate almeno di ricorrere a frasi del tipo “Hai pensato a provare questo o quell’altro?”. Oppure, se siete diplomatici per natura, dite: “Un mio amico una volta ha provato questo e quell’altro”. Sono espressioni meno sfrontate di “Se fossi in te, farei …” il che induce il vostro interlocutore a pensare (e forse anche a dire) “Ma tu non sei in me!…”. E così davvero la conversazione finirebbe lì.

10. Essere pronti alla battuta
Normalmente si ritiene che non ci sia proprio nulla da ridere quando qualcuno è gravemente malato o sta morendo. In questo modo, però, si trascura una  possibilità molto importante per le persone, che è quella di utilizzare l’umorismo. L’umorismo, infatti, consente di esorcizzare grandi minacce e paure dandoci la possibilità di sfogare anche i sentimenti forti e negativi. Nella vita spesso è proprio facendo ricorso  all’umorismo  che riusciamo ad affrontarecose che ci sembrano impossibili. Basti pensare agli argomenti su cui si incentrano più comunemente le barzellette: la suocera, la paura di volare, l’ospedale e i dottori, il sesso, ecc. Tutti questi argomenti nascondono dei timori. Una discussione con la suocera, per esempio, può essere molto penosa per tutte le parti in causa, ma proprio questo è stato per secoli il cavallo di battaglia dei monologhi dei comici, perché tutti noi siamo portati a esorcizzare le paure ridendo delle situazioni che affrontiamo meno facilmente. 

In un ospedale c’era una paziente di una quarantina d’anni il cui trattamento aveva comportato l’inserimento di un catetere a permanenza in vescica. Durante la degenza portava il sacchetto di drenaggio come una borsetta e si lamentava ad alta voce che era una vergogna che nessuno avesse pensato a fare dei sacchetti di colore diverso, da abbinare al suo foulard o ai suoi guanti. Al di fuori di quel contesto tutto ciò potrebbe sembrare fuori luogo, ma per quella donna era il modo per far fronte a un problema estremamente doloroso. Stava a dimostrare il suo coraggio e il suo desiderio di porsi al di sopra dei problemi fisici.

Ridere aiuta le persone ad affrontare le situazioni in maniera diversa. Se il vostro parente o amico è disposto a vedere l’aspetto umoristico della propria malattia, anche se ciò può sembrare macabro ad un estraneo, è bene assecondarlo. Ciò non vuol dire che dovete cercare di tirarlo su raccontando una barzelletta dopo l’altra. Non servirebbe. Potete essergli di maggior aiuto se rispondete in maniera intelligente al suo umorismo anziché creare voi delle situazioni umoristiche.

Riassumendo: l’obiettivo di un atteggiamento di ascolto sensibile è quello di comprendere nel modo più completo possibile ciò che l’altra persona sente. Non potrete mai raggiungere una comprensione totale, ma quanto più vi avvicinerete capire l’altro nella sua complessità, tanto migliore sarà la comunicazione tra di voi. Tanto più cercherete di comprendere i suoi sentimenti, maggiore sarà l’aiuto che gli darete.

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