Era nato a Cuneo il 28 agosto del 1920 E’ morto Giorgio Bocca

Giorgio Bocca

Giorgio Bocca

Milano, 25-12-2011

Tra i grandi protagonisti del giornalismo italiano, Giorgio Bocca, scomparso oggi all’età di 91 anni, ha raccontato nei suoi articoli e nei suoi libri l’ultimo mezzo secolo di vita italiana con rigore analitico e passione civile, improntando sempre il suo stile alla sintesi e alla chiarezza.

Nato a Cuneo il 28 agosto del 1920, Bocca inizio’ a scrivere gia’ a meta’ degli anni ’30, su periodici locali e poi sul settimanale cuneese La Provincia Grande. Durante la guerra si arruolo’ come allievo ufficiale alpino e dopo l’armistizio fu tra i fondatori delle formazioni partigiane di Giustizia e Liberta’. Riprese allora l’attivita’ giornalistica, scrivendo per il giornale di GL, poi lavorando per la Gazzetta del Popolo, per l’Europeo e per Il Giorno e segnalandosi per le grandi inchieste. Nel 1976 fu tra i fondatori del quotidiano la Repubblica, con cui ha sempre continuato a collaborare.

Al suo attivo, in una carriera cinquantennale, anche numerosi libri, che spaziano dall’attualita’ politica e dall’analisi socioeconomica all’approfondimento storico e storiografico, senza mai dimenticare la sua esperienza partigiana. Tra le sue
opere: Storia dell’Italia partigiana (1966); Storia dell’Italia nella guerra fascista (1969); Palmiro Togliatti (1973); La Repubblica di Mussolini (1977); Il terrorismo italiano 1970-78 (1978); Storia della Repubblica italiana – Dalla caduta del fascismo a oggi (1982); Il provinciale.

Settant’anni di vita italiana (1992); L’inferno. Profondo sud, male oscuro (1993);
Metropolis (1994); Piccolo Cesare (2002, dedicato al fenomeno Berlusconi, libro che segno’ il passaggio di Bocca da Mondadori, suo editore da oltre dieci anni, a Feltrinelli); Le mie montagne (2006); E’ la stampa, bellezza (2008). Annus Horribilis, Milano, Feltrinelli (2010). Fratelli Coltelli (1948-2010 L’Italia che ho Conosciuto), Milano, Feltrinelli (2010). Nell’aprile 2008 Bocca ha vinto il premio Ilaria Alpi alla
carriera.

 

Condoglianze di Napolitano
Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con commozione la triste notizia della scomparsa di Giorgio Bocca, ha inviato un messaggio alla famiglia nel quale ricorda la “figura di spicco del movimento partigiano rimasto sempre coerente con quella sua fondamentale scelta di campo per la liberta’ e la democrazia”. “Dedicatosi subito al giornalismo di inchiesta e di battaglia civile – prosegue Napolitano – Giorgio Bocca ha scandagliato nel tempo la realta’ del nostro Paese e le sue trasformazioni sociali con straordinaria intransigenza e combattivita”‘. “Con sentimenti di riconoscenza per il suo vigoroso impegno – conclude – partecipo al cordoglio della famiglia e del mondo dell’informazione”.

http://www.rainews24.it/it/news.php?newsid=159991

 
 

 

 

Philip Roth, Patrimonio – Una storia vera

By liotro

di alessandro garigliano

Non avrei mai voluto scrivere una recensione su Philip Roth. Non avrei mai voluto esprimere un parere su un autore, celebrato in tutto il mondo, che scrive con una lingua piana, standard, al grado zero; che affronta argomenti rasoterra,  penetrando all’interno di complicate, intime, vicende quotidiane o di correnti difficoltà esistenziali. Certo, attraverso il racconto di biografie comuni si spalancano sempre, in Roth, analisi di massimi sistemi, osservazioni su cruciali punti di svolta della Storia. Focalizzando il particolare, colmo di contraddizioni e di miserie, di generosità d’animo e di manie, Philip Roth, riesce a far riflettere i diversi contesti politici, sociali o economici. Ma i grandi e piccoli temi vengono sempre trattati senza alcuna ostentazione di forma, senza mai ricorrere a eccentricità retoriche perché la semplicità dei contenuti possa avere un’esposizione più seducente. Niente, ogni volta devo sopportare l’umiliazione di percorrere i romanzi di Philip Roth completamente rapito, malgrado sembri scorrere sulle pagine acqua, senza canali o altri argini, come se nessuno avesse progettato l’opera, controllato la struttura della trama, come se le parole e il montaggio delle scene non fossero stati da nessuno selezionati e rivisti con pedanteria, e anziché accadere quello che ogni manuale di retorica impone, vi sia solo, sempre, in ogni suo romanzo, una maledetta, torrenziale, incontrollata cascata d’ispirazione pura. Io so che non è così, lo so, ma l’effetto è quello, di un’opera d’arte composta senza sforzo.

Patrimonio è l’ennesimo capolavoro che leggo di Philip Roth. Con il sottotitolo Una storia vera, che per me è una specificazione respingente (l’ho iniziato a leggere per colpa di Giorgio Vasta che me l’ha consigliato). Da subito, ancora una volta con Roth, sono rimasto invischiato. La storia vera è quella di un figlio che accudisce il padre anziano, colpito da un tumore che gli deforma il volto. Il figlio, voce narrante e scrittore, diventa una sorta di infermiere. Com’è ovvio che sia, il racconto del passato del padre, la narrazione dei momenti principali delle proprie radici, c’è, ma non si tratta di un’immersione cieca, si ripercorre la storia del genitore con una delicatezza rara, si rammentano episodi salienti allo scopo di fare emergere la personalità della persona-personaggio, il profilo psicologico definito e complesso.  Ma quello che più mi è piaciuto è la forza del figlio, che nel sostenere anima e corpo il padre, diventa ciò che proprio il padre definisce con una flagrante, impassibile e invidiabilmente schietta forma d’amore: una madre. Non un padre generoso, come anche  il figlio si aspettava, ma la sintesi e la dilatazione dell’amore: una madre.

Voglio riportare un passo, che sebbene troppo lungo, dà netta l’immagine del tipo di rapporto che lega queste due generazioni in lotta, in concorrenza e in estenuante ma appagante dialogo.

Potreste dire che non significa molto per un figlio essere teneramente protettivo verso il proprio padre una volta che questi è senza forze e ridotto quasi al lumicino. Posso solo rispondere che mi sentivo altrettanto protettivo della sua vulnerabilità (come padre di famiglia emotivo e vulnerabile alle frizioni famigliari, come sostegno della famiglia vulnerabile agli incerti finanziari, come figlio incolto di immigrati ebrei vulnerabile ai pregiudizi sociali) quando io ero ancora a casa e lui era forte e sano e mi faceva diventare matto con consigli che erano inutili e limitazioni  che non avevano senso e ragionamenti che mi spingevano, solo soletto nella mia stanza, a spaccarmi la testa contro il muro e urlare per la disperazione. Era proprio questa la discrepanza che aveva fatto del ripudio della sua autorità un conflitto così opprimente, così pieno di dolore e di scherno. Non era un padre qualunque, era il padre, con tutto ciò che c’è da odiare in un padre e tutto ciò che c’è da amare.

Così per tutto il libro, negli episodi più umilianti, quando la vergogna sopraffa la vecchiaia, nei momenti tragicomici, al cospetto della carcassa piagata del padre senescente, il figlio sta in soccorso con una forza innata e immotivata, concentrato a dare.

Cito ancora un brano che spiega il titolo, di quale patrimonio si tramanda l’eredità, quale sia il senso del dare, quale sia il timbro icastico della narrazione e con quanta forza si riflette su un padre che si è tragicamente smerdato:

Portai giù la federa puzzolente e la misi in un sacco nero della spazzatura che legai forte, e portai il sacco alla macchina e lo buttai nel bagagliaio per darlo in lavanderia. E perché questo era giusto e come doveva essere non avrebbe potuto essermi più chiaro, ora che il lavoro era finito. Questo, dunque, era il mio patrimonio. E non perché pulire fosse il simbolo di qualche altra cosa, ma proprio perché non lo era, perché non era altro, né più né meno, della realtà vissuta che era.

Ecco il mio patrimonio: non il denaro, non i tefillin, non la tazza per farsi la barba, ma la merda.

 

Ma la storia non è una definitiva inversione di ruoli tra un padre che ha educato il figlio infante e un figlio che adesso soccorre un padre nell’età senile. Avviene, attraverso la malattia  e il bisogno, nel contatto assiduo tra le due generazioni, un mutuo dialogo dov’è naturale che entrambi, l’uno dall’altro, apprendano lezioni di vita. Ci si incanta a seguire il nitore dialettico con il quale la mortificazione o la prosaicità dell’anziano, ma anche il suo sano moralismo testardo, si completano e sono complementari alla capacità riflessiva del figlio, ma anche alla sua capacità di angosciarsi senza smarrirsi, di amare senza rimuovere l’odio filiale.

Nell’atto conclusivo della vita del genitore, il figlio scrittore, non può che manifestare testualmente la volontà di non volersi dimenticare nulla. Abbiamo assistito per tutto il libro alla travagliata agonia di un eroe ebreo che si è fatto da sé e che lentamente soccombe al tumore. Veglieremo anche sul narratore, quando, verso la fine, rischierà un attacco cardiaco, identificandosi con la condizione psicologica d’inesorabilità del padre. E ragioneremo sul fatto che probabilmente sarà in questa occasione, di impotenza e di fragilità, che l’autore maturerà  la scelta di non volere applicare al padre nessuna forma di accanimento terapeutico, decidendo, e nel deciderlo destando un’emozione senza eguali, di lasciarlo andare.

E quando tutto sta per ultimarsi, quando sempre più netto trapela il dolore di Philip Roth nel registrare il decorso della malattia del padre, tra le righe di questa meditazione composta squilla stonato e urgente un urlo infantile che trascende lo stile del libro, la personalità del suo autore e noi umani lettori: perché dobbiamo morire? Una domanda che ormai nessun essere umano esplicita più e che pure è rimasta inevasa e irrisolvibile, e che nonostante l’evidenza di milioni di anni implode latente dall’alba dei tempi:perché dobbiamo morire?

Notte infinita

 

Nella vita ci sono giorni

pieni di vento e pieni di rabbia,

ci sono giorni pieni di pioggia e pieni di dolore,

ci sono giorni pieni di lacrime;

ma poi ci sono giorni pieni d’amore

che ci danno il coraggio

di andare avanti per tutti gli altri giorni.

 

ROMANO BATTAGLIA

da Notte infinita

la lotta contro l’amianto a Sesto S. Giovanni


Michele Michelino

Daniela Trollio

 

 

Operai, carne da macello

 

la  lotta  contro  l’amianto  a  Sesto  S. Giovanni

 

 

 

 

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

Prologo

 

 

La storia: una storia di fatica, sudore, malattie e morti, ma anche lotte, solidarietà, gioia e vittorie.

I luoghi: Sesto San Giovanni, provincia di Milano. La Stalingrado d’Italia, la città operaia delle grandi fabbriche come la Breda, la Marelli, la Falck.

La fabbrica: la Breda Fucine, fondata nel 1886 col nome E.Breda & C. e chiusa nel 1997.

I protagonisti: operai,  lavoratori, cittadini; uomini e donne molto spesso senza nome e senza volto.

Il killer: l’amianto, detto anche asbesto, il  “miglior termodispersore al mondo”. Pratico, economico ma anche mortale. In sé non è pericoloso: lo diventa quando si usura e le piccolissime particelle di cui è composto (nell’ordine di millesimi di millimetro) si disperdono e vengono inalate. Allora vanno a concentrarsi nei bronchi, negli alveoli polmonari e nella pleura e provocano danni irreversibili ai tessuti.

 

Questo libro racconta come un gruppo di operai della Breda Fucine siano riusciti a portare sul banco degli imputati non solo i dirigenti di una fabbrica “di morte” ma un sistema economico che, in nome del profitto, calpesta e uccide uomini e natura.

 

È una storia “vera”, una  storia collettiva come tante altre – magari  sconosciute, ma che  formano la Storia del movimento operaio – di uomini e donne che hanno portato avanti, contro tutto e contro tutti, una battaglia  per la salvaguardia del diritto alla salute di  lavoratori e cittadini.

È a loro, alla loro tenacia e al loro coraggio, che è dedicato questo libro.

 

 

Questa storia collettiva è stata scritta non solo per ricordare.

A Sesto S. Giovanni il veleno si chiama AMIANTO. Ma potrebbe chiamarsi ARSENICO, come a Manfredonia, DIOSSINA come a Seveso o CVM come a Porto Marghera.

Il nome che avrà domani ancora non lo conosciamo.

Vogliamo far conoscere la nostra storia perché non si ripeta.

 

 

Michele Michelino

Daniela Trollio

 

 

Operai, carne da macello

 

la  lotta  contro  l’amianto a  Sesto  S. Giovanni

 

Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

 

Il ricavato della vendita di questo libro va interamente

al Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio

per continuare le sue battaglie

 

 

Chi volesse approfondire il tema qui trattato può rivolgersi agli autori

presso il Centro di Iniziativa Proletaria “Giambattista Tagarelli” di Sesto S. Giovanni (MI) – cap 20099 – via Magenta n. 88

tel. 0226224099, oppure al cellulare n. 3394435957 o all’ e-mail: michele.mi@inwind.it

 

 

Sesto S. Giovanni, febbraio 2005

 

Indice

Cap.  1.   La condizione di vita e di lavoro in fabbrica

Cap.  2. L’inchiesta operaia

Cap.  3. All’interno di Cascina Novella occupata dai cassaintegrati nel 1994 nasce il “Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Territorio”

Cap.  4. Comincia la battaglia per ottenere giustizia

Cap.  5. Una lapide in ricordo dei nostri morti

Cap.  6. Lo sgombero di Cascina Novella Occupata

Cap.  7. Le prime archiviazioni

Cap.  8. Conquistiamo una nuova sede

Cap.  9. Un blitz in Consiglio comunale

Cap. 10. La strage continua

Cap. 11. Prepariamo i processi

Cap. 12. Un duro colpo per il Comitato: la morte di Giambattista Tagarelli

Cap. 13. La lotta contro le archiviazioni

Cap. 14. Si rompe il muro di omertà

Cap. 15. Una prima vittoria: rinviati a giudizio due dirigenti della Breda

Cap. 16. Provocazioni e solidarietà

Cap. 17. La lotta contro l’INAIL e l’INPS

Cap. 18. Cominciano i processi

Cap. 19. L’assoluzione dei dirigenti Breda

Cap. 20. Non ci siamo arresi: portiamo in tribunale i dirigenti della Breda/Ansaldo

Cap. 21.  La lotta si estende sul territorio

Cap. 22. La condanna dei dirigenti

 

Altri materiali:

. L’amianto nel mondo: una strage lunga un secolo

. Estratto dei rapporti dello SMAL (Servizio di Medicina Preventiva

per gli Ambienti di Lavoro)

. Riflessioni, di Sandro Clementi, avvocato

. Breda, Reparto Aste, testo di E. Partesana

 

Laringectomia Una guida per i laringectomizzati

Consigli utili
Prestare particolare cura allo stoma tracheale,
evitando traumatismi locali nelle manovre di
introduzione o estrazione della cannula.
Nell’eventualità che la cannula si alteri, si può
sostituire con una identica, evitando quindi
l’impiego di cannule di tipo diverso senza il
preventivo consiglio del medico.
Non eliminare la cannula tracheale di spontanea
volontà: l’uso della cannula infatti è temporaneo
ed è limitato al periodo di cicatrizzazione dello
stoma (circa due mesi).
Nessun allarme deve destare la secrezione
catarrale, specie nei primi periodi. Essa è legata a
fatti infiammatori bronchiali conseguenti alla
nuova dinamica respiratoria creatasi dopo
l’intervento (assenza del filtro nasale).
Qualora invece con l’espettorato notasse la
fuoriuscita di striature di sangue ciò può essere
provocato dal decubito della cannula in trachea.
Niente di allarmante ma è utile consultarsi con il
medico. Se al contrario la fuoriuscita di sangue è
abbondante è doveroso rivolgersi allo specialista.
E’molto importante non esporsi alle forti
correnti d’aria, preferire gli ambienti ben
umidificati e con temperature non elevate, evitate
il fumo, l’alcool e gli ambienti polverosi.
Sin dalla dimissione è bene munirsi di bavaglino
per coprire lo stoma, non tanto per nasconderlo
quanto per filtrare l’aria atmosferica e frenarne la
forza di penetrazione in trachea. Il bavaglino è un
pezzo di stoffa a maglie intrecciate di forma
rettangolare che si lega intorno al collo sopra la
cannula.
IMPORTANTISSIMA sarà l’iscrizione e la
frequentazione assidua della scuola per la
rieducazione vocale (voce esofagea).
VOCE ESOFAGEA = il suono viene prodotto
ingoiando l’aria dalla bocca, facendola passare
nell’esofago e riespellendola con una certa forza
e gradualità.
Indirizzi utili:
A.I.L. (Associazione Italiana Laringectomizzati)
Via Friuli, 28
Tel. 02/5510819
20135 M I L A N O
sito internet: www.laringect.it
Microfoni
sito internet: www.servox.de
Il personale volontario dell’Associazione Modenese
“La nostra voce” ha ottenuto dalla Clinica per la
riabilitazione delle patologie oncologiche di
Aulendorf, in collaborazione con la ditta Servox SMT,
il brevetto nazionale per lo svolgimento di attività e
riabilitazione e ginnastica funzionale in acqua.
Grazie all’ausilio funzionale di uno specifico
apparecchio che consente la respirazione in acqua, i
pazienti laringectomizzati potranno usufruire delle
specifiche terapie in acqua con fini riabilitativi per la
ripresa funzionale post-intervento degli arti superiori
e, laddove esista la necessità, di una specifica
riabilitazione post-traumatica. A tutto questo si
aggiunge la riconquista della possibilità preclusa
dall’operazione di poter scendere nuovamente in
acqua.
Informazioni su sito internet: www.lanostravoce.it
Counselling e sostegno psicologico
http://www
.ieo.it
CED DO 1132 A.
Laringectomia
Una Guida
per i pazienti
Our Booklets
A cura della
Divisione di Chirurgia Cervico Facciale
Istituto Europeo di Oncologia
Via Ripamonti, 435 – 20141 MILANO
Comitato Educazione Sanitaria

Materiale occorrente:
Per lo stoma: – acqua ossigenata o disinfettante
(Citrosil bruno o Betadine)
– batuffolo di garza e non cotone
idrofilo.
Per la cannula:- spazzolino per cannula
(vedi articoli sanitari)
– acqua calda
– lyofoam
(compressa per tracheo Delcon)
(articoli sanitari)
– metalline
(compresse per tracheo Lohmann)
(articoli sanitari)
– fettuccia di cotone o fascetta
(Trach-Band della Gibeck
Respiration vedi art. sanitari)
– bavaglino
(vedi art. sanitari)
– olio gomenolato
(farmacia)
– aspiratore
– sondini per aspirare
Per avere tutti questi presidi bisogna far compilare
dal medico di reparto il modello 03 (rivolgersi alla
Capo Sala)
N.B. STOMA = sito di abboccamento della trachea
alla cute del collo.
Stoma
Toilette a cura della stomia
Come procedere:
1. Lavarsi le mani;
2. mettersi davanti allo specchio;
3. sfilare la cannula;
4. lavarla sotto l’acqua calda con lo spazzolino,
avendo cura di rimuovere tutte le incrostazioni;
5. scrollare l’acqua dalla cannula;
6. disinfettare la zona intorno allo stoma con
batuffolo poco imbevuto per evitare che il
disinfettante refluisca nella trachea;
7. ricomporre la cannula;
8. mettere la fettuccia o la fascetta;
9. lubrificare la punta della cannula con olio
gomenolato;
10. riposizionare la cannula nello stoma;
11. posizionare la compressa per tracheo intorno alla
cannula;
12. mettere il bavaglino.
L’operazione va ripetuta almeno due volte al giorno,
preferibilmente al mattino e alla sera.
Legenda:
1 cannula – 2 controcannula – 3 mandrino – 4 spazzolino
5 fascetta – 6 lyofoam –7 metalline – 8 olio gomenolato
Bavaglino
Anatomia e Fisiologia normale.
Nella normale anatomia e fisiologia umana la via
aerea e quella digestiva sono comuni nel primo tratto.
Laringectomia: si definisce laringectomia totale
l’intervento chirurgico che asporta completamente la
laringe.
L’intervento separa definitivamente la via digestiva
da quella respiratoria, abboccando la trachea alla cute
(stoma).
In tal modo l’aria non passa più attraverso le vie
naturali (bocca-naso) ma solo attraverso lo stoma.
Respirazione prima dell’intervento
Respirazione dopo Laringectomia totale
Aria che entra
Aria che entra
Questo opuscolo è stato realizzato per fornire
ai pazienti alcune informazioni sulla
Laringectomia, nella speranza che ciò possa
essere d’aiuto nel mitigare le più che
comprensibili preoccupazioni circa il
trattamento che dovranno affrontare.
Le informazioni qui contenute non potranno
certo sostituire il colloquio diretto:
vi invitiamo comunque ad esporre
liberamente e senza timore ogni eventuale
dubbio al personale del Reparto.

IL PAZIENTE CON LARINGECTOMIA TOTALE:

 

Page 1

ASPETTI GENERALI DELLA RELAZIONE TERAPEUTICA

di Eugenio Lampacrescia

pubblicato in: Riabilitazione Oggi (numero monografico), anno XII n°8, Ottobre 1995

Mi piace cominciare subito con una domanda.

Quante persone che hanno subito una laringectomia totale saranno capaci di recuperare

la voce senza l’ausilio di una protesi o di una fistola ? Quanti soggetti,cioè, riusciranno ad

apprendere la voce faringo-esofagea ?

Basandosi sulle statistiche, la risposta è quantomai controversa.

Se si prova, infatti, a consultare qualche manuale di foniatria, di otorinolaringoiatria ed

anche pubblicazioni più specifiche dove si illustrano tecniche operatorie come, ad

esempio, il posizionamento di protesi interne, si rimane come minimo perplessi nel

constatare sia genericità che sostanziali discordanze: in alcuni casi non vengono espresse

valutazioni, in altri si riscontrano diverse percentuali di successo che variano dal 25% fino

al 70/80%. Viene, allora, legittimamente da chiedersi il perchè di tanta disparità.

Sulla base dell’esperienza acquisita in questi anni, posso affermare che le

possibilità di apprendimento delle tecniche faringo-esofagee sono alte. Tali risultati si

potranno ottenere a patto che si tengano in considerazione alcune modalità di attuazione

dell’iter terapeutico. Con questo voglio dire che, per valutare a fondo i differenti dati,

dovremmo essere in grado di conoscere il tipo di procedimento riabilitativo adottato e la

qualità delle relazioni terapeutiche. Procedimenti terapeutici e qualità delle relazioni sono,

senza dubbio, gli aspetti che decidono in modo sostanziale per la riuscita o il fallimento

dell’intervento di recupero.

In quale modo possono essere resi operativi questi due aspetti cruciali ?

Page 2

Credo che, la disponibilità umana del logopedista, la sua preparazione teorico-pratica, la

preferenza di un rapporto individuale,

la definizione di un contratto terapeutico e

l’allungamento dei tempi di terapia siano cinque scelte irrinunciabili.

* Dire che il logopedista deve essere umanamente disponibile può apparire

un’affermazione generica. Merita per questo un approfondimento.

Ma chi è un laringectomizzato ?

Innanzitutto è una persona operata.

Non si tratta di un intervento comune. La mutilazione interessa la laringe e con essa il

linguaggio verbale. Non poter parlare significa interrompere la via privilegiata di

comunicazione e di relazione con gli altri. Ma la voce porta con sé significati più profondi:

essa esprime direttamente la nostra personalità. Se il linguaggio traduce, la voce tradisce

perche è parte essenziale di quei metalinguaggi che rendono ridondanti le informazioni e

ci aiutano a codificare la verità o la falsità dei messaggi di contenuto rispetto a quelli di

relazione.

E’ il primo problema con il quale fare i conti. Il laringectomizzato si sente mutilato di una

parte profonda di sé.

Ma è anche un paziente operato di tumore.

L’idea della morte è lì, come uno spettro. Tutti i giorni. Ogni minuto.

Quando un laringectomizzato arriva da noi questa idea deve elaborarla e ci chiede un

aiuto. Non si tratta di avere velleità psicoterapiche, ma di entrare dentro una personale

sofferenza solo con un surplus di umanità. Molte volte la terapia non giunge ad un positivo

risultato perchè non si è avuto il coraggio di ascoltare il paziente prima ancora di

insegnargli a parlare. In fondo l’idea della morte fa paura a tutti, anche a noi.

A causa dell’asportazione la respirazione non avviene più per via bucco-nasale, ma

tramite il tracheostoma. Ed è a questo punto che arrivano le difficoltà pìù grosse per chi

vuole intraprendere il lavoro con questi pazienti. Sentire continuamente quel soffio, i colpi

Page 3

di tosse, la vista della cannula e della garza con il catarro qualche volta striato di sangue,

l’atteggiamento di molti pazienti nel farci vedere tutto. Alcuni di essi vogliono

inconsciamente metterci alla prova per verificare la possibilità di stare a proprio agio. Altri,

i più riservati, attenderanno da noi un cenno di disponibilità, ad esempio, per fare

tranquillamente le manovre di pulizia dello stoma in nostra presenza. Entrambe le

situazioni dimostrano il bisogno di sapere se si è totalmente accolti.

Non ha senso, allora, “avvicinarsi con la mascherina e i guanti di gomma” tanto più perchè

dovremmo, in seguito, regalarci dei “rutti”.

Ma il respirare dal tracheostoma crea altri piccoli e grandi problemi: ad esempio diventa

complicato lavarsi, soffiarsi il naso quando si è in preda ad un raffreddore, diminuiscono e

spesso scompaiono le sensazioni olfattive e, quello che più ci riguarda, non è più

possibile usare l’aria espiratoria per parlare.

Tutti questi problemi ed anche altri, richiedono un intervento e una risposta efficace

da parte nostra. Ecco perchè è indispensabile professionalità e grande umanità.

*La seconda scelta irrinunciabile è la preparazione teorico-pratica soprattutto per

quanto riguarda le tecniche di apprendimento della nuova voce. Purtroppo si fa ancora

molta confusione sia tra gli operatori, ma anche sui testi.

C’è chi ancora insegna solo con il metodo della deglutizione utilizzando, magari, le

bevande gassate; C’è chi spera solo nella capacità del paziente di far uscire

autonomamente qualcosa e poi vi si adatta; c’è chi fa confusione tra un metodo e l’altro

non comprendendo, invece, le sostanziali differenze e le diverse possibilità di

applicazione; c’è, ancora, chi dice che i laringectomizzati parlano con lo stomaco…..

La conoscenza approfondita e la capacità di insegnare le diverse tecniche fa si che ogni

paziente possa trovare il “proprio metodo”, arrivando ad una percentuale più alta di

successi. Così, ad esempio, nel caso di un soggetto sottoposto a cobaltoterapia che

presenta xerostomia, non prospetteremo mai la deglutizione, a quello con un foro stomale

Page 4

troppo ampio proporremo con cautela l’inspirazione, chi è anziano o non ha una buona

elasticità dell’esofago difficilmente potrà utilizzare la compressione consonantica…

Deglutizione, compressione standard, compressione consonantica, ispirazione sono

approcci completamente diversi, non tanto per la modalità di produzione del suono (sarà

sempre l’esofago cervicale e mettersi in vibrazione), quanto per la fase d’incameramento

nell’esofago della poca aria buccale. Anche la qualità della voce non risulterà la stessa

soprattutto per quanto riguarda l’agilità nei rifornimenti e quindi la fluenza del linguaggio,

l’intensità, il controllo del soffio tracheale.

La compressione standard e quella consonantica sono, quando è possibile, sempre da

preferire.

*La terza scelta riguarda la preferenza di una terapia individuale.

E’ una solida convinzione che ho maturato in questi anni dopo aver preso in carico

pazienti provenienti dalle scuole collettive e dopo aver io stesso sperimentato tali approcci.

Quando una terapia è effettuata con troppe persone il logopedista non è in grado di

seguire il caso in tutti i risvolti sia tecnici che relazionali. Soffermarsi per correggere, avere

tutto il tempo per spiegare e per riprovare insieme o magari detendere la tensione

parlando d’altro. Scegliere una terapia individuale significa mettere al centro la persona,

rispettandone i tempi, i problemi, le paure, i bisogni. Ciò risulta sempre vero all’inizio di

ogni trattamento. Successivamente è possibile programmare dei momenti in comune

soprattutto per verificare i progressi e stimolare una “sana competizione”. Saranno,

comunque , i pazienti a deciderlo.

Vedo sempre di buon occhio il coinvolgimento della famiglia e la presenza in sala di

terapia di qualche suo componente. Moglie o figli, confrontandosi concretamente con i

problemi, verranno aiutati a superare quel frequente atteggiamento pedante o pietoso e

potranno divenire un utile sostegno nell’esecuzione del lavoro che ogni giorno il

laringectomizzato eseguirà a casa.

Page 5

* La quarta scelta è la definizione del contratto terapeutico.

Accanto alle doti di pazienza, di grande disponibilità umana e di professionalità del

logopedista è essenziale che anche il paziente si impegni seriamente. Per questo motivo il

contratto terapeutico assume rilevante importanza. Esso consiste nello stabilire alcune

regole cui il soggetto dovrà attenersi e servirà per verificare, via via, se permangono le

condizioni per continuare la relazione terapeutica.

Il lavoro riabilitativo è una cosa seria e, affinchè sia considerato tale, non può venir gestito

in maniera superficiale. La necessità di rispettare il contratto terapeutico ha l’obiettivo di

valorizzare, e quindi di rendere più efficace, l’intervento: per questo il paziente è tenuto a

“pagare” qualcosa. Quale sia questo qualcosa saremo sempre noi a stabilirlo valutando di

volta in volta le situazioni. Esistono, comunque, clausole generali valide in ogni

circostanza: il rispetto degli orari e degli appuntamenti; la comunicazione preventiva di una

eventuale assenza; l’esecuzione fedele delle prescrizioni; l’esercizio quotidiano a casa;

ecc. ecc.

* La quinta ed ultima scelta si riferisce ai tempi di terapia.

I tre mesi vengono considerati, un po’ da tutti, il tempo medio entro il quale dovrebbe

essere recuperata la voce. Certamente non ha senso continuare all’infinito quando ci si

imbatte in difficoltà insormontabili, ma, prima di decidere una sospensione, bisogna essere

certi di avere esperito ogni tentativo e di aver superato anche i blocchi psicologici e la

difficoltà ad accettarsi nella nuova situazione. Queste cause sono spesso all’origine dell’

insuccesso terapeutico. Inoltre, nel caso di operazioni particolarmente demolitive o quando

si comincia il trattamento dopo l’intervento chirurgico, occorrono molte sedute prima di

raggiungere qualche risultato. Nella mia esperienza il periodo medio di riabilitazione è di

sei/sette mesi. Infatti, saranno pochi i pazienti naturalmente predisposti all’apprendimento,

gli altri incontreranno difficoltà e riusciranno a parlare solo se dedicheremo più tempo e

Page 6

saremo in grado di proporre diverse soluzioni, piccoli stratagemmi, trovando risposte

efficaci ai problemi che via via si presenteranno.

Molte informazioni saranno date dallo studio dinamico della deglutizione e delle prime via

digestive in videofluoroscopia. Questo esame, prescritto dal medico specialista, ci

informerà anche sulla funzionalità della neo-glottide e quindi potrà aiutarci a decidere per

un eventuale proseguimento della terapia o per una sospensione che ci farà orientare

verso altre soluzioni.

Bibliografia:

Apolloni M.S., Aspetti psicologici nella riabilitazione dei laringectomizzati, in “Logopedia

Contemporanea,

anno IV n°2, 1987.

Croatto-Sadler, La riabilitazione fonetica del laringectomizzato, La Garangola, Padova,

1984.

Lampacrescia E., La relazione terapeutica con il paziente laringectomizzato, (in corso di

stampa).

Segre R., La comunicazione orale normale e patologica, Edizioni Medico Scientifiche,

Torino, 1983.

Schindler O., Breviario di patologia della comunicazione (vol. 1), Omega, Torino, 1980

Spinsanti S., L’alleanza terapeutica:le dimensioni della salute, Città Nuova, Roma, 1988