A Forlì, chirurgia robotica della tiroide

ROBOT_IN_SALA_OPERATORIALa chirurgia forlivese guarda all’Asia e agli Usa e si prepara a operare la tiroide col robot. L’innovativa tecnica, ancora scarsamente praticata in Europa, sarà sperimentata da quattro pazienti del “Morgagni-Pierantoni”, i quali, in occasione del corso internazionale “Transaxillary Robotic Thyroidectomy. Live Surgery”, in programma lunedì 21 e martedì 22 giugno all’ospedale di Forlì, verranno sottoposti a tiroidectomia col Da Vinci.

A effettuare gli interventi sarà il prof. Woong Youn Chung, del Dipartimento di Chirurgia del Yonsei University Severance Hospital di Seul, in Corea, insieme alle équipe dell’U.O. di Chirurgia Endocrina, diretta dal dott. Alberto Zaccaroni, e dell’U.O. di Otorinolaringoiatria, diretta dal prof. Claudio Vicini. Per seguire il corso tenuto dal celebre chirurgo coreano, che, con 1.200 operazioni, vanta la maggiore casistica al mondo in chirurgia robotica della tiroide, arriveranno a Forlì più di cento chirurghi italiani ed europei, interessati ad apprendere una metodica diffusa soprattutto in Asia e Usa.

La due giorni di approfondimento teorico e, soprattutto, pratico, si svolgerà in sala Pieratelli, collegata in videoconferanza con le sale operatorie, per mostrare ogni fasi dell’intervento. Presidente onorario del corso è il prof. Domenico Garcea, direttore del Dipartimento di Chirurgia Generale dell’Ausl di Forlì, mentre direttori ne sono il prof. Claudio Vicini, Direttore del Dipartimento di Chirurgie Specialistiche, e il dott. Alberto Zaccaroni.

tratto da TecnoMedicina

La tiroide può far uscire gli occhi dalle orbite Le conseguenze del morbo di Graves e le cure possibili

Occhi che sembrano voler uscire dalle orbite, all’infuori in modo decisamente innaturale. È una delle conseguenze di un problema alla tiroide, l’ipertiroidismo o morbo di Graves, che colpisce soprattutto giovani donne causando danni funzionali anche molto gravi e notevoli disagi estetici.
Oggi ci sono novità importanti nel trattamento di questa disfunzione, che sono state presentate a Torino nel corso del primo convegno italiano dedicato all’argomento: “Quando gli occhi tendono a sporgere è quasi sempre sintomo di un malfunzionamento della tiroide – afferma Francesco Bernardini, chirurgo oculoplastico organizzatore dell’evento “Oftalmopatia Basedowiana” –. Se non curato, il problema in pochi mesi può peggiorare fino a danneggiare seriamente la vista, causando danni all’estetica e condizionando la vita sociale. Anche dopo aver risolto il problema alla tiroide, infatti, gli occhi non tornano al proprio posto ed è necessario intervenire chirurgicamente. In passato si trattava di un intervento non facile, in cui un caso su due aveva come effetto collaterale lo strabismo con diplopia, ossia la visione sdoppiata. Oggi invece, le tecniche mini invasive consentono di intervenire riducendo la pressione bulbare con una percentuale minima di complicazioni”.

La prima fase della cura. 
È importante intervenire in modo tempestivo per curare il Morbo di Graves anche dal punto di visto oculistico. Nella fase infiammatoria, che dura da 6 a 18 mesi, occorre intervenire con cortisone, controllare la pressione oculare e accertarsi che non ci sia sofferenza del nervo ottico, una circostanza che può compromettere del tutto la vista dei paziente. Al convegno è stata presentata una novità importante nel trattamento: “La somministrazione di cortisone oggi avviene con punturine localizzate attorno agli occhi, evitando così la via endovena o per bocca. In questo modo si uniscono gli effetti benefici del cortisone e si minimizzano gli effetti collaterali”. In ordine di frequenza a livello oculare si può manifestare esoftalmo sfigurante (quando la sporgenza dell’occhio è tale da modificare l’aspetto di una persona), retrazione palpebrale (occhi eccessivamente aperti), diplopia (vista sdoppiata con occhi storti) e neuropatia ottica (perdita della vista e del campo visivo). Inoltre questi disturbi possono essere associati a ipertono oculare e glaucoma, che aumentano i rischi di perdita della vista. Le fasi del trattamento oggi prevedono la perfetta messa a punto in tempi rapidi della funzione tiroidea con varie metodiche (chirugiche=tiroidectomia, mediche=tapazole, radioterapiche=iodio radioattivo), la gestione della fase infiammatoria dell’orbitopatia tiroidea, basata soprattutto sull’uso dello steroide, e il trattamento della fase stabilizzata a livello orbitario. 
La cura dell’aspetto estetico. 
Una volta sistemata la tiroide, quasi sempre le pazienti affette richiedono un trattamento per la riabilitazione estetica, cioè hanno il desiderio di ritornare come prima della malattia. Questo non è quasi mai raggiungibile con farmaci, steroide o altro, ma è necessario il bisturi. La riabilitazione estetica oggi prevede come primo step la correzione dell’esoftalmo e secondariamente la chirurgia delle palpebre. La prima novità è che la riabilitazione estetica di questo problema è eseguita dall’oculista specialista in chirurgia oculoplastica, che si occupa delle tecniche di decompressione orbitaria. La seconda novità è che la decompressione orbitaria oggi viene eseguita con tecniche mini-invasive, senza cicatrici visibili, con recuperi in tempi rapidi e soprattutto che le complicanze sono molto lievi e correggibili. Infatti la complicanza più temuta è lo strabismo (deviazione degli occhi) con diplopia (visione sdoppiata) che in passato si manifestava anche nel 50% dei casi. Oggi questa complicanza con le tecniche moderne ha un’incidenza inferiore al 10%; qualora si verificasse è comunque rimediabile con un intervento ambulatoriale in anestesia locale con recupero completo. 
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La chirurgia della tiroide

News
La chirurgia tiroidea presentaparticolari problemi per l’anestesista?Tutti i pazienti che devono essere sottopostiad intervento chirurgico vengonoanticipatamente valutati dall’anestesista,il quale visiona gli esami ematicie strumentali eseguiti preoperatoriamentee, qualora ravvisi la necessità,richiede ulteriori indagini – spieganoMarina Bissi, Bibiana Cappellini eTiziana Cassamali della U.O.Anestesia e Rianimazione che si occupanospecificamente dei pazientiaffetti da patologia tiroidea.
In particolare la valutazione preoperatoriadi questa chirurgia specialisticariguarda due aspetti: quello metabolicoe quello meccanico relativo allastruttura delle vie respiratorie.
In caso di alterazione della funzionalitàtiroidea, il paziente viene preparatoall’intervento con terapia farmacologica,per ottenere uno stato di eutiroidismoe prevenire problemi sia intra chepostoperatori, in particolar modo latemuta crisi tireotossica che può esserescatenata anche dallo stress chirurgicoe che oggi è da ritenersi evento eccezionaleproprio grazie alla preparazionedel paziente all’intervento.
L’uso di farmaci beta bloccanti in associazionealla terapia tireostatica è indicatoin pazienti con frequenza cardiacaelevata. In sede di visita preoperatoria,viene inoltre valutata la pervietà dellevie respiratorie e l’eventuale difficoltàdella manovra di messa in sicurezzadelle vie aeree con intubazione endotracheale.
Talvolta infatti la trachea ècompressa o dislocata lateralmentedalla massa tiroidea. Se è prevista unareale difficoltà alla manovra, in alternativaall’utilizzo del laringoscopio classicoo di altri presidi, viene utilizzato ilbroncoscopio a fibre ottiche, conpaziente in respiro spontaneo e unamodesta sedazione.
Questa manovra richiede la collaborazionedel paziente stesso, per cui èmolto importante che la problematicadell’accesso delle vie aeree e dellemetodiche che verranno utilizzate glivenga spiegata già al momento dellavisita preoperatoria.
Durante l’intervento chirurgico si mantieneun’adeguata profondità dell’anestesia,con una modesta ipotensioneper ridurre il sanguinamento ma, al terminedell’intervento, è fondamentaleche si riportino alla normalità i valoripressori per consentire al chirurgo unacorretta valutazione dell’emostasi nelcampo operatorio.
Per ridurre il rischio del sanguinamentopostoperatorio tali valori devono rimanerestabili anche nelle ore successive eil risveglio deve essere gestito il piùdolcemente possibile, evitando i colpidi tosse.
E’ poi indicata una adeguata terapiaantalgica e un’ omeostasi termica intrae postoperatoria.
Dalla collaborazione tra anestesista echirurgo deriva un ridotto rischio dicomplicanze che possono, seppur rare,creare gravi problemi da un punto divista anestesiologico. In particolare unsanguinamento postoperatorio, anchedi grado modesto, può, esercitandouna compressione sulla trachea, crearegravi problemi respiratori al paziente erendere molto difficoltosa e taloradrammatica la reintubazione.
Quali sono gli interventi chirurgicioggi più frequentemente utilizzatiin chirurgia tiroidea?
Ci parla della esperienza della Unitàdi Chirurgia Endocrina e SenologicaLoredana De Pasquale – la chirurgiatradizionale sulla tiroide prevedeun’incisione traversale, circa 2 cm. cranialmenteal giugulo (cervicotomiasecondo Kocher), tramite la quale siaccede alla tiroide che può essereasportata parzialmente o in toto.In passato è stata eseguita una chirurgiamolto conservativa: la patologianodulare veniva trattata asportando ilsingolo nodulo e lasciando in sede latiroide “apparentemente sana”.
L’intervento, noto come enucleoresezione,è stato successivamente abbandonatograzie alla migliore conoscenzadella storia naturale elle malattie tiroideee della tendenza per molte di essea recidivare anche nella parte di ghiandolaresidua all’intervento.
E’ stato quindi introdotto il concetto dimalattia d’organo non solo per i tumorima anche per i noduli di struma e ditiroidite, mentre la patogenesi autoimmuneè alla base di un’ ovvia indicazionechirurgica aggressiva per ilMorbo di Graves. In tutti questi casitrova indicazione la tiroidectomiatotale, asportazione completa dellaghiandola, o la sua variante, la tiroidectomiasubtotale, che comporta laconservazione di piccole quantità ditessuto tiroideo non a scopo funzionalema per proteggere dal rischio dilesione una struttura anatomica qualiuna paratiroide o un nervo.
Un altro fattore che ha giocato a favoredi una chirurgia più aggressiva è ladisponibilità attuale della levo-tiroxinache consente un’ottima terapia ormonalesostitutiva. Il trattamento più conservativo,la loboistmectomia oasportazione completa di un lobo tiroideoe dell’istmo è riservato alla curadell’adenoma autonomo di Plummere della proliferazione follicolare.
La chirurgia tiroidea può essere eseguitaanche con tecnica mininvasiva ovideoassistita utilizzando come via diaccesso una minicervicotomia: un’incisionecutanea di 1.5 cm, e l’intervento viene eseguito utilizzando un’otticae uno strumentario dedicato.La tecnica minivasiva ha indicazioniprecise: tiroide di piccole dimensioni,noduli del diametro inferiore a 3 cm.econtroindicazioni assolute sono letiroiditi e pregressi interventi sullatiroide.
Spesso i pazienti che devono essereoperati alla tiroide chiedono, preoccupati,come sarà la loro voce dopol’intervento: è una preoccupazioneche ha qualche fondamento?
Le complicanze specifiche della chirurgiatiroidea, sia essa con tecnica tradizionaleche videoassistita, sono legateagli stretti rapporti esistenti tra la ghiandolae altre delicate strutture del collo.
Esse sono prevlentemente dovute aalterazione della funzione delle ghiandoleparatiroidi, alterazione della funzionedei nervi laringei inferiori e superiori,emorragie.
A causa del trauma chirurgico, puòesserci una riduzione del funzionamentodelle ghiandole paratiroidi, nellamaggior parte dei casi di tipo transitorio, con significativa riduzione dei valoridi calcemia secondaria ad una ridottaproduzione del paratormone (PTH)Questa complicanza in forma transitoria,ha un’incidenza del 30% circa, informa definitiva dell’1%.
I nervi laringei inferiori si trovano, unoper lato, posteriormente alla tiroidenell’angolo diedro che questa formacon la parete dell’esofago e fannomuovere le corde vocali.
La loro lesione monolaterale può provocareuna paralisi di una corda vocale,con alterazione del tono della voce,transitoria (incidenza del 3%) o definitiva(incidenza dello 1%).
La lesione bilaterale dei nervi ricorrentiè una complicanza molto grave: laparalisi bilaterale delle corde vocali puòcomportare difficoltà respiratorie enecessità di tracheostomia (incidenzadello 0.4%).
Complicanza comune ad altri interventichirurgici è quella emorragica, in generedi non grande entità ma che puòessere pericolosa a causa della compressioneesercitata dalla raccolta ematicasulle vie respiratorie.
Cosa fare in caso di malattia invasivacon coinvolgimento di visceri cervicali?
L’allargamento dell’aggressione chirurgicaalle strutture viscerali peri-tiroideein corso di tiroidectomia ha trovatoindicazioni sempre maggiori, negli ultimianni, in relazione al miglioramentodelle capacità ricostruttive e del trattamentoanestesiologico/rianimativointra e postoperatorio – rispondeGiovanni Felisati responsabile dellaU.O.Otorinolaringoiatrica. Il campo diapplicazione è fondamentalmente rappresentatoda rare forme di carcinomatiroideo ben differenziato, generalmentecaratterizzate da una lunga storia clinicacon ritardi diagnostico/terapeuticio pregressi trattamenti non risolutivi, eche sono infine giunte ad interessare inmodo maggiore o minore la parete oaddirittura il lume della laringe e/odella trachea e/o della faringe.
Gli scopi dell’aggressione visceraleperi-tiroidea possono essere sintetizzatiin tre punti fondamentali:
1) necessità di garantire le funzionirespiratoria e deglutitoria, essenzialiper la vita;
2) ottenere un controllo locale dellamalattia neoplastica;
3) favorire il successivo trattamentoradiometabolico;
4) consentire la guarigione di eventualiesiti necrotici o infettivi di terapieadiuvanti quali la radioterapia (convenzionaleo metabolica).
L’otorinolaringoiatra ha oggi acquisitogrande dimestichezza con le tecnichedi faringectomia e laringectomia parziale,volte a consentire l’asportazione dineoplasie localizzate, conservando inmodo accettabile le tre fondamentalifunzioni laringee: respirazione, deglutizionee fonazione.
Tali tecniche sono state ideate e trovanoindicazione essenzialmente perneoplasie che nascono nel lume deivisceri e non per neoplasie che coinvolgonotali visceri dall’esterno, comeaccade nel caso dei carcinomi ben differenziatidella tiroide. Ciò nonostante,ove si ponga la necessità di unatiroidectomia allargata per neoplasiatiroidea, gli accertamenti diagnostici(TC, RMN) sono in prima battuta miratiproprio ad evidenziare se è possibileeseguire una chirurgia parziale dellafaringe, della laringe e della trachea,con successiva ricostruzione di talistrutture anatomiche.
Se l’indicazione è corretta, tali tecnicheottengono ottimi risultati funzionali e dicontrollo della malattia neoplastica.
Frequentemente, peraltro, tali approccinon risultano possibili perché la neoplasiaè troppo diffusa oc ha colpito strutture funzionali fondamentali che nonrisultano ricostruibili. In tali casi si rendenecessaria una laringectomia totale chesi associa generalmente all’asportazionedi tratti più o meno lunghi della trachea.
La laringectomia totale, purtroppo,rappresenta ancora oggi unamenomazione importante delle funzionilaringee, dove la sola deglutizione èottimale, la respirazione è garantita daltramite esterno diretto sulla cute dellatrachea (tracheotomia) e la fonazione,pur gravemente compromessa, puòessere aiutata dalla rieducazione (voceerigmofonica) o da specifiche valvolefonatorie.
Nei casi più gravi si può arrivare adover eseguire faringo-laringectomieestese, che pongono problemi diripristino anche della funzione deglutitoriache vengono oggi generalmenteaffrontati e risolti con l’adozionedi tecniche ricostruttive con lembiliberi rivascolarizzati.
In ogni caso va segnalato che il coinvolgimentodei visceri peri-tiroidei rappresentaun importante aggravamentodella malattia neoplastica che imponeuna corretta aggressione chirurgica.
La prognosi può essere favorevoleanche rispetto alla conservazione dellefunzioni faringo-laringee se l’interessamentoviscerale neoplastico è veramentelimitato e consente una chirurgiafaringo-laringo-tracheale parziale conricostruzione immediata e diretta.
Al patologo il compito di concludereil caso con l’esame istologico sulmateriale asportato nel corso dell’intervento.Quale lettura del referto?
Il ruolo del patologo nella diagnosticatiroidea è quello di correlare il quadroclinico con gli aspetti macroscopici emicroscopici – rispondono StefanoFerrero e Tatiana Brambilla della U.O.di Anatomia Patologica.
Dopo l’intervento chirurgico, il campioneoperatorio giunge nel reparto diAnatomia Patologica, dove viene effettuatauna prima analisi macroscopica(esterna) della tiroide a fresco: misurazionedelle dimensioni, del peso, valutazionedella forma, del colore, dellasuperficie esterna dell’organo e dell’integritàdella capsula.
Viene quindi chinata la superficie esternae la tiroide è posta a fissare in formalinadiluita al 10%. Trascorso iltempo necessario per la fissazione, vengonoeffettuati dei tagli trasversali perpoter procedere ad una seconda analisimacroscopica (interna) della tiroidefissata: presenza di noduli o altre areedisomogenee, valutazione del numero,delle dimensioni, dell’aspetto (colore,consistenza,…), della localizzazione e,in caso di neoplasia, dell’eventuale infiltrazionecapsulare.
Si procede quindi con il campionamentodell’organo, mappando i due lobi,l’istmo e tutte le aree di interesse.
Una volta ottenuti i vetrini corrispondentiai prelievi, il patologo effettua l’analisimicroscopica dei preparati e puòtrovarsi di fronte a diversi quadri:
1- patologia non neoplastica della tiroide(gozzo e/o tiroidite)
2- patologia neoplastica benigna dellatiroide (adenoma)
3- patologia neoplastica maligna dellatiroide (carcinoma papillifero, follicolare,midollare, anaplastico)
4- localizzazione metastatica di altrapatologia neoplastica.
La diagnosi istopatologica viene effettuatasulla base delle differenti presentazioniistologiche e/o citologiche chenella maggior parte dei casi consentonoun giudizio diagnostico definitivo.
Solo per alcune entità (es. carcinomamidollare della tiroide o carcinomaanaplastico) possono venire in ausiliodel Patologo metodiche ancillari qualil’immunoistochimica e la biologiamolecolare.
Ruolo fondamentale del Patologo nellapatologia neoplastica tiroidea è quellodi fornire al Clinico oltre che la diagnosiprecisa di istotipo l’estensione definitastadiazione della malattia.
Per la stadiazione ci atteniamo alle raccomandazionidella unione internazionalecontro il cancro (UICC) con il sistemaclassificativo TNM che prende inconsiderazione le dimensioni e l’estensionedel tumore (T), la valutazione dellinfonodi distrettuali (N) e l’eventualepresenza di metastasi a distanza (M).
Queste informazioni fornite dalPatologo in sintonia con la valutazionedel collega Clinico consentono, senecessario, una corretta terapia postchirurgica.
Abbiamo sentito citare a più ripreseil carcinoma differenziato della tiroide,in particolare il tumore papilliferoche è il più frequente dei tumori tiroideie che ha una buona prognosisoprattutto nei giovani e in caso didiagnosi precoce. Abbiamo sentitoche in caso di malattia metastatica ègiustificato un atteggiamento moltoaggressivo per aprire la strada al trattamentoradiometabolico: di che cosasi tratta?
Due sono i tipi principali di DTC(Differtentiated Thyroid Cancer): il CaPapillare (80%) ed Il Ca Follicolare (10-15%), meno frequenti i carcinomi anaplastici,i tumori a cellule parafollicolarie altri tumori.
Da un punto di vista terapeutico lamedicina nucleare ha un ruolo nel trattamentodelle patologie sia oncologicheche non oncologiche della tiroide,afferma e conclude Luca Tagliabue. Laterapia medico nucleare di tali affezionisi fonda sulla capacità che le celluletiroidee mantengono di concentrare loiodio naturale ed i suoi isotopi radioattivianche se trasformate in senso neoplastico.
A tal fine si somministra un isotoporadioattivo particolarmente tossico perle cellule tiroidee (il 131INa) che le”uccide” direttamente o ne innesta ilciclo apoptosico.
Questo meccanismo di morte programmatapuò colpire le cellule tiroideeanche in sedi lontane dalla tiroide,come è in caso di metastasi, purchè lecellule abbiano mantenuto la capacitàdi concentrare lo Iodio e i risultati deltrattamento saranno migliori se laquantità di tessuto da sterilizzare saràmodesta.
Da questa considerazione nasce l’indicazionead un chirurgia aggressiva cheelimini la maggior parte di tessutopatologico.
La bassa malignità biologica dei carcinomidifferenziati (soprattutto del capapillare) associata alla disponibilitàdi trattamenti efficaci rende la percentualedi cura di queste malattiemolto elevata. La terapia radio metabolicadei tumori tiroidei deve esserepraticata in ambiente protetto e dedicatoseguendo determinate regole diradioprotezione per contenere il piùpossibile una irradiazione indebita dellapopolazione generale.
Amelia Bastagli conclude: la MedicinaNucleare, così come le altre disciplinei cui rappresentanti hanno parlato inquesto incontro, si pone al servizio delpaziente nella piena coscienza che laqualità dei risultati ottenuti nella curadipende dalla qualità dei servizi offertisia a livello di diagnosi che di terapia inun sinergismo che deve essere mantenutoe possibilmente ampliato, al SanPaolo.

Tavola rotonda: dr.e Marina Bissi, Bibiana Cappellini e Tiziana Cassamali – Dirigenti Medici U.O. di Anestesia e RianimazioneDirettore prof. G. Iapichino – dr.a Loredana De Pasquale – Dirigente Medico U.D. di Chirurgia Endocrina e SenologicaDirettore prof.a A. Bastagli; prof. Giovanni Felisati – Direttore U.O. di Otorinolaringoiatria

Eutirox

 

Eutirox è il nome commerciale di un farmaco a base di levotiroxina sodica (o L-tiroxina sodica). Questo principio attivo è un analogo sintetico dell’ormone T4, indicato nell’ormonoterapia sostitutiva dell’ipotiroidismo. In pratica, l’assunzione di eutirox sopperisce alla carenza di tiroxina provocata dalla ridotta attività della tiroide.

EutiroxGrazie all’elevato grado di purezza e all’attività costante, l’introduzione nel mercato farmaceutico di eutirox ed analoghi (synthroid), ha gradualmente mandato in pensione la polvere di tiroide essiccata (bovina o porcina). La tiroxina sintetica presenta notevoli vantaggi anche nei confronti dell’altroormone tiroideo di sintesi, chiamatoT3 o triiodotironina. Gli analoghi di quest’ultimo ormone, infatti, hanno un’emivita di 24 ore contro gli 8 giorni di eutirox e simili, che per questo risultano meglio accettati dal paziente (è sufficiente una sola assunzione giornaliera). Il T4, inoltre, è di fatto un pro-ormone, che viene convertito a T3 aumentando notevolmente la propria attività; la somministrazione di eutirox ed analoghi, quindi, permette di ottenere un effetto più fisiologico, perché capace di riprodurre i livelli fisiologici sia di T3 che di T4.

La terapia dell’ipotiroidismo con eutirox mira a normalizzare i livelli di TSH, l’ormone ipofisario che stimola la tiroide a produrre T3 e T4: se la ghiandola funziona troppo, l’organismo cerca di compensare diminuendo la secrezione di TSH, viceversa, l’ipotiroidismo è tradizionalmente accompagnato ad elevati valori ematici di TSH. Per quanto detto, l’assunzione di una dose eccessiva di eutirox comporta una discesa del TSH al di sotto dei valori fisiologici.

Proprio per l’esigenza di personalizzare la terapia, l’eutirox è disponibile in compresse da 25, 50, 75, 100, 125, 150, 175 e 200 mcg di levotiroxina sodica.

Tiroide: visite gratuite alle Scotte

Tiroide

Dal 15 al 19 marzo. Prenotazioni al CUP

Controllare la salute della tiroide dovrebbe diventare una buona abitudine. Basti pensare che in Italia sono circa 6 milioni le persone che soffrono di alterazioni della funzionalità tiroidea, anche se spesso il problema non viene riconosciuto poiché asintomatico o con manifestazioni comuni ad altre patologie. Per questi motivi e per sensibilizzare i cittadini sull’importanza della prevenzione è in programma, dal 15 al 19 marzo, la Settimana Nazionale della Tiroide. 
Anche l’U.O.C. Endocrinologia del policlinico Santa Maria alle Scotte, diretta dal professor Furio Pacini aderirà all’iniziativa e gli specialisti saranno a disposizione per i controlli al piano 0 del V lotto. Per le visite gratuite è necessario prenotare chiamando il CUP al numero 0577-585858. “Si tratta di visite di screening dedicate a chi non è già seguito dalle nostre équipe – spiega il professor Pacini – Grazie alle nuove tecniche di esame oggi è possibile rilevare noduli tiroidei spesso di piccole dimensioni che, se scoperti in tempo, possono essere curati con terapia medica, evitando l’intervento chirurgico”. Le malattie della tiroide più diffuse sono il gozzo nodulare e i noduli tiroidei, che dipendono in larga parte da un’alimentazione carente di iodio. I disturbi tiroidei possono però anche avere natura ereditaria come nel caso dell’ipotiroidismo e dell’ipertiroidismo. “La terapia medica più comune – continua Pacini – è basata sulla somministrazione dell’ormone tiroideo che riduce la crescita ghiandolare anche se recentemente, nei casi di ipertiroidismo, viene sempre più utilizzato il radioiodio, una pillola di iodio radioattivo che agisce, senza alcun rischio, sulle cellule tiroidee”. La maggior parte dei noduli è solitamente benigna e solo nel 5 per cento circa dei casi il nodulo risulta invece maligno ed è necessaria l’asportazione. Per ulteriori informazioni sull’iniziativa è possibile chiamare il numero verde 800 199 894.

Tiroide: s’ammala spesso, quasi mai gravemente

MEDICINA E SALUTE

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«Giovane donna con il collare bianco» 
di Amedeo Modigliani

Ore: 06:01
lunedì, 15 marzo 2010

Le malattie della tiroide sono frequenti nella popolazione e, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno andamento benigno. Per questa ragione, è necessario identificare correttamente i pochi pazienti a rischio e tranquillizzare tutti gli altri. Per farlo, nella giornata di inizio della Settimana nazionale della tiroide che coinvolge diversi centri in Italia da oggi a venerdì prossimo, abbiamo intervistato il prof. Raffaele Giubbini, direttore della Cattedra e Unità operativa di Medicina nucleare dell’Università degli Studi e degli Spedali Civili di Brescia.
Quali le malattie alla tiroide?
Tra le malattie che possono colpire la tiroide dobbiamo distinguere fra patologie funzionali e patologie strutturali, con larga sovrapposizione fra le due tipologie. Le patologie funzionali sono caratterizzate da eccessiva o ridotta produzione ormonale, condizioni che, se non corrette, possono portare ad alterazioni metaboliche ed a complicanze anche gravi; già nell’ambulatorio del medico di medicina generale può sorgere il sospetto di una tireopatia; il solo dosaggio del TSH è in grado di escluderla o di indirizzare verso esami più mirati.
Sempre più spesso, inoltre, vengono riscontrate modeste alterazioni degli esami di laboratorio, effettuati in un contesto più generale. In questo caso, compito dello specialista è quello di identificare i pazienti che necessitano realmente di una terapia rispetto a quelli in cui può essere sufficiente tenere sotto controllo il quadro clinico-strumentale.
Fra le patologie strutturali dobbiamo distinguere tiroidi aumentate di volume (gozzo diffuso), senza noduli o con formazioni nodulari singole (gozzo nodulare) o multiple (gozzo polinodulare), ciascuno delle quali può essere o meno accompagnato da normale o alterata funzione. La diagnosi di gozzo è generalmente clinica: spesso è lo stesso paziente, o un familiare, che accorgendosi di un rigonfiamento in corrispondenza della superficie anteriore del collo, interpella il proprio medico, e determina l’avvio una serie di esami atti a chiarire la diagnosi. 
Preoccupa un nodulo tiroideo?
La risposta è negativa, perché i noduli maligni sono solo una piccolissima percentuale di tutti i noduli tiroidei. Inoltre, è in incremento il numero di noduli di piccole dimensioni riscontrati occasionalmente in corso di ecografie eseguite per ragioni diverse. Non sempre riconoscere noduli di pochi millimetri si traduce in un miglioramento della diagnosi e soprattutto della prognosi: quindi, nessun allarme, nessuna urgenza ed una visita in strutture idonee quali ambienti endocrinologici o in Medicina Nucleare potrà chiarire il problema. 
Uno studio ecografico correttamente condotto fornisce informazioni tali da riconoscere i pochi noduli sospetti. Nel caso di sospetto di nodulo maligno, la diagnosi sarà confermata da un esame citologico su agoaspirato. Va comunque precisato che, anche in questo caso, la prognosi è buona se non eccellente e, sia la malattia, che i trattamenti, necessari consentono ai pazienti di continuare una vita assolutamente normale.
A quale specialista rivolgersi?
In prima istanza al proprio medico di medicina generale che è ottimamente in grado di indirizzare il paziente allo specialista per la precisazione diagnostica ulteriore. Tra le strutture specialistiche, l’ambulatorio tireologico all’interno della Medicina nucleare svolge da circa 40 anni un’attività clinica avvalendosi delle metodiche strumentali adeguate, gestite sia direttamente, sia attraverso una stretta collaborazione anche organizzativa con altri specialisti.
Quali le indagini diagnostiche?
Nel dubbio di patologie funzionali, come sopra ricordato, le indagini di laboratorio, innanzitutto il dosaggio del TSH, sono fondamentali per un corretto approccio diagnostico e per indirizzare le successive scelte terapeutiche.
Nelle patologie strutturali la metodica di prima scelta è rappresentata dall’ecografia; sulla base di questa prima indagine è possibile, nella maggior parte dei casi, identificare i noduli «tranquilli» in cui non sono necessarie ulteriori accertamenti, dalle situazioni, fortunatamente meno frequenti, in cui è necessario ricorrere a procedure più specifiche. Mediante un agoaspirato ecoguidato è possibile raccogliere il tessuto presente nei noduli che, valutato al microscopio dall’anatomo-patologo, indirizza verso la necessità di un intervento chirurgico.
La scintigrafia, infine, rappresenta l’indagine indispensabile per definire le varie forme di ipertiroidismo e guidare le successive scelte terapeutiche; risulta spesso utile nei gozzi multinodulari per selezionare i noduli da sottoporre a verifica mediante agoaspirato. La scintigrafia trova inoltre una specifica applicazione nella diagnosi e nel monitoraggio delle tiroiditi subacute.
È necessario ribadire ancora una volta che è passato il tempo del «facciamo tutti gli esami a tutti» ma che una corretta pianificazione diagnostica è essenziale per arrivare rapidamente alla diagnosi evitando indagini inutili e costose sia per il paziente sia per la collettività.
La cura per le malattie tiroidee
La stragrande maggioranza non richiede il ricovero in ospedale ed è comodamente gestibile in regime ambulatoriale.
Nel caso di una condizione di ipertiroidismo lo specialista, tenendo conto delle caratteristiche cliniche e strumentali, sceglierà fra terapia medica, chirurgica o terapia radiometabolica, mentre in caso di ipotiroidismo la corretta prescrizione della sola terapia medica sarà da sola in grado di compensare adeguatamente il paziente, riportandolo alla completa normalità. Nel caso di gozzi mononodulari o plurinodulari, in cui le dimensioni complessive abbiano determinato sintomi compressivi a livello del collo e della parte superiore del torace (regione mediastinica), accompagnati, o non, da iperfunzione, sarà necessario procedere all’asportazione del gozzo, previa adeguata preparazione farmacologia in caso di ipertiroidismo. Qualora infine venisse accertato un tumore tiroideo, il paziente dovrà essere indirizzato al chirurgo generale o all’otorinolaringoiatra, per la tiroidectomia totale, eventualmente integrata con linfoadenectomia mono o bilaterale. In base alle caratteristiche del tumore sarà valutato da parte del medico nucleare se sarà sufficiente un controllo clinico-strumentale periodico o se sarà necessario procedere ad una terapia con radioiodio, che è effettuata in uno specifico reparto di degenza in grado di garantire la piena sicurezza dei pazienti e della popolazione. Nella terapia delle patologie tiroidee possono poi intervenire di volta in volta altri professionisti; ricordiamo ad esempio i cardiologi nei casi di importanti complicanze dell’ipertiroidismo, o i logopedisti nei rarissimi casi di lesioni secondarie post-chirurgiche dei nervi ricorrenti.

Settimana Nazionale della Tiroide: 15-19 marzo 2010

La salute in famiglia In Italia sono circa 6 milioni le persone che soffrono di alterazioni della funzionalità tiroidea, e molte sono giovani donne.

La tiroide è una ghiandola endocrina posta alla base anteriore del collo davanti alla laringe e alla trachea, ha due lobi di 30 gr ed è ricca di vasi. Produce due ormoni la tiroxina e lo triiodiotironina che stimolano lo sviluppo del corpo e regolano l’ invecchiamento.

Le malattie della tiroide più diffuse sono il gozzo nodulare e i noduli tiroidei, che dipendono in larga parte da un’alimentazione carente di iodio. I disturbi tiroidei possono però anche avere natura ereditaria come nel caso dell’ipotiroidismo e dell’ipertiroidismo.

E’ importante la prevenzione in quanto il problema non viene riconosciuto poiché asintomatico o con manifestazioni comuni ad altre patologie.

La terapia medica più comune si basa sulla somministrazione dell’ormone tiroideo che riduce la crescita ghiandolare anche se recentemente, nei casi di ipertiroidismo, viene sempre più utilizzato il radioiodio, una pillola di iodio radioattivo che agisce, senza alcun rischio, sulle cellule tiroidee. 

Fortunatamente la maggior parte dei noduli è solitamente benigna e solo nel 5 per cento circa dei casi il nodulo risulta maligno e si rende quindi necessaria l’asportazione. 

Per ulteriori informazioni sull’iniziativa è possibile chiamare il numero verde 800 199 894.

Le malattie delle paratiroidi

 

 

A cura del Prof. Salvatore Minisola


Testo elaborato con la collaborazione di: Dott.ssa Maria Lucia Mascia – Dott. Vincenzo Carnevale

 

Paratiroidi e  Paratormone (PTH)

Cosa sono?

Le paratiroidi sono ghiandole situate nel collo, posteriormente alla tiroide. Generalmente in numero di quattro (due superiori e due inferiori) sono costituite da due tipi di cellule: le principali e le eosinofile (così definite perchè contenenti granuli citoplasmatici che si colorano con l’eosina, un colorante acido).

Fig. 1 e 2 (istologia e anatomia delle paratiroidi)

Cosa producono?

Esse secernono il paratormone (PTH) ossia l’ormone che regola il metabolismo del calcio e del fosforo, controllando, di concerto con la forma attiva della vitamina D (1,25diidrossivitamina D3), l’equilibrio fosfo-calcico.

Come funziona ? In quali organi?

La funzione del PTH è di elevare la concentrazione plasmatica di calcio e di diminuire quella del fosforo. La secrezione del PTH da parte delle paratiroidi è regolata direttamente dalla concentrazione plasmatica di calcio: l’aumento della calcemiaprovoca una riduzione della secrezione e deposizione di calcio nelle ossa; la diminuzione della calcemia, al contrario, determina un incremento della sua secrezione e, di conseguenza, del riassorbimento di calcio dalle ossa.

Il PTH esplica la sua azione principalmente su tre organi: osso, rene e intestino.

Nell’osso stimola il rilascio di calcio e di fosforo, nel tubulo renale stimola il riassorbimento di calcio e inibisce quello del fosforo (azione fosfaturica). L’azione del PTH ha sull’intestino è indiretta: l’ormone stimola direttamente il tubulo prossimale renale a produrre la forma attiva della vitamina D, attivando l’enzima 1-α-idrossilasi. L’aumentata sintesi di 1,25diidrossicalciferolo a sua volta si traduce in un incremento dell’assorbimento intestinale di calcio e del riassorbimento osseo; ne deriva un ulteriore incremento del carico di calcio filtrato dal rene ed una minor ritenzione renale del fosforo.

In definitiva le azioni del PTH si traducono in un aumento della concentrazione sierica del calcio e una diminuzione di quella del fosforo.

Le azioni integrate del PTH a livello tubulare ed osseo (azioni dirette) e intestinale (azione indiretta, mediata dal 1,25diidrossicalciferolo) realizzano così una fine regolazione della concentrazione sierica del calcio. D’altra parte, la secrezione del PTH è a sua volta continuamente regolata dai livelli di calcio sierico, che rappresenta il più importante regolatore fisiologico della sua secrezione. Come sopra indicato, l’incremento della concentrazione del  calcio sierico diminuisce la secrezione del PTH, mentre la sua diminuizione ne incrementa la secrezione.

Fig. 3 (omeostasi del calcio nell’organismo)

 

Paratiroidi e  malattie correlate

Iperparatiroidismo

E’ una condizione caratterizzata da un’aumentata secrezione di paratormone da parte di una o di tutte le paratiroidi.

Si definisce iperparatiroidismo primitivo la condizione in cui l’aumentata secrezione di paratormone è dovuta ad un aumento e/o iperfunzione  del tessuto paratiroideo, ediperparatiroidismo secondario, quella in cui una carenza di vitamina D (ad es. osteomalacia) o l’insufficienza renale sono responsabili dell’incremento del PTH.

Nell’ipovitaminosi D il paratormone viene fisiologicamente secreto in eccesso per sopperire alla carenza di calcio nell’organismo. Nell’insufficienza renale, invece, l’incremento del PTH ha una patogenesi multifattoriale, legata alla diminuita sintesi di 1,25(OH)2vitamina D3 che consegue alla ridotta massa renale e all’incremento del fosforo sierico (causato dalla diminuzione della sua escrezione renale). La riduzione delle concentrazioni di calcio sierico che consegue al diminuito assorbimento intestinale contribuisce all’incremento di secrezione del PTH. Infine, anche gli aumentati livelli di fosforo incrementano direttamente la secrezione del PTH.

Nell’insufficienza renale cronica quindi le paratiroidi vengono continuamente stimolate a produrre PTH e questo può portare ad ipertrofia delle ghiandole e, talora, comparsa di ipercalcemia, il che configura il quadro dell’iperparatiroidismo terziario.

Iperparatiroidismo primitivo

L’iperparatiroidismo primitivo è la più comune malattia delle paratiroidi, caratterizzata da una secrezione dell’ormone PTH in eccesso rispetto alle richieste omeostatiche del calcio, con conseguente ipercalcemia.

E’ causato più frequentemente (80-85%) da un adenoma singolo di una delle quattro ghiandole paratiroidee, più spesso quelle inferiori. Nella maggioranza dei casi si tratta di forme sporadiche. Nei restanti casi la malattia è sostenuta dall’iperplasia di tutti gli elementi ghiandolari, come accade nelle neoplasie endocrine multiple (MEN I e MEN II), in cui si associa il coinvolgimento di altre ghiandole endocrine quali pancreas, tiroide e surrene. Meno del 2% dei casi è invece sostenuto da un carcinoma delle paratiroidi.

La diagnosi di iperparatiroidismo primitivo è diventata negli ultimi anni sempre più frequente, grazie all’introduzione del dosaggio della calcemia nella routine emato-chimica ospedaliera. Attualmente l’iperparatiroidismo primitivo viene riscontrato sempre più frequentemente in soggetti asintomatici, che non presentano i segni clinici della malattia, in seguito al riscontro casuale di ipercalcemia, ossia di valori di calcio superiori a 10,4 mg/dl. La presenza di valori elevati di  PTH sierico e di ipofosforemia completano il quadro biochimico. Sebbene il PTH incrementi il riassorbimento tubulare di calcio, i pazienti con iperparatiroidismo sono spesso ipercalciurici, ossia hanno un’elevata eliminazione urinaria di calcio. Questo apparente paradosso è legato al fatto che l’ ipercalcemia  determina un incremento del carico di calcio filtrato dal rene e quindi della sua escrezione urinaria, nonostante il maggior riassorbimento tubulare.

La forma sintomatica della malattia, la cui incidenza è oggi drasticamente calata, è caratterizzata dalla classica sintomatologia scheletrica e renaleIl quadro clinico si manifesta con  osteoporosi, ossia una riduzione della densità minerale ossea, soprattutto nei siti scheletrici in cui prevale il tessuto corticale, nonché aumentato rischio di fratture vertebrali, nefrocalcinosi, ossia  una calcificazione diffusa del parenchima renale, specie delle piramidi (oggi meno  frequente) e litiasi renale; quest’ultimo è il dato clinico più frequente nei pazienti sintomatici, in cui l’eccessiva eliminazione urinaria di calcio rappresenta uno dei fattore responsabili della formazione dei calcoli.

Altre manifestazioni cliniche correlate all’ipercalcemia, riscontrate in un terzo circa dei pazienti, sono di ordine neuro-psicologico (intensa astenia, sonnolenza, incapacità a concentrarsi, ansia, depressione), gastro-intestinale (ulcera peptica, dispepsia), cardio-vascolare (ipertensione arteriosa) e neuro-muscolare (mialgie).

Fig. 4, 5 e 6 (siti di fratture scheletriche nell’osteoporosi, riassorbimento subperiostale, ridotta densità minerale ossea)

Il tessuto ghiandolare paratiroideo iperfunzionante viene localizzato mediante diverse tecniche: ecografia del collo, metodica di primo livello; scintigrafia MIBI delle paratiroidi (uso del doppio contrasto, Tecnezio 99 per il tessuto ghiandolare e sestamibi per quello paratiroideo, con sottrazione di immagini); RMN del collo. Queste ultime due tecniche sono utili soprattutto qualora le paratiroidi siano ectopiche o localizzate in regione mediastinica.

Fig. 7 e 8 (ecografia del collo e scintigrafia MIBI delle paratiroidi)

La terapia dell’IPP è essenzialmente chirurgica (paratiroidectomia classica o mini-invasiva) e consiste nell’asportazione della ghiandola iperfunzionante. L’intervento è indicato in tutti i pazienti che presentino una complicanza della malattia, come la calcolosi renale, ovvero segni radiologici di severa compromissione scheletrica, quale osteoporosi con presenza o meno di fratture, ovvero ipercalciuria, ossia un aumento della calciuria superiore a 400 mg/die. In tali pazienti l’intervento chirurgico consente un recupero della densità minerale ossea e una riduzione di oltre il 90% della frequenza della formazione di nuovi calcoli, rispetto ai pazienti non operati. Più discussa è l’indicazione chirurgica nei pazienti con la forma lieve o asintomatica della malattia, che è attualmente quella più comune.

Fig. 9 e 10 (tecniche di chirurgia classica e mini-invasiva  di asportazione delle paratiroidi), 11 (adenoma delle paratiroidi), 12 (carcinoma delle paratiroidi), 13 (iperplasia multipla delle paratiroidi).

Ipoparatiroidismo

Mentre una eccessiva funzione del tessuto paratiroideo causa iperparatiroidismo, la sua ridotta funzione determina un quadro di deficit ormonale, noto come ipoparatiroidismo. La forma più frequente è di certo l’ipoparatiroidismo secondario a chirurgia del collo (tiroidectomia e paratiroidectomia), che può comportare l’ablazione o la devascolarizzazione delle ghiandole paratiroidee. Di grande interesse clinico è anche il meno comune ipoparatiroidismo primitivo, il cui riconoscimento è importante soprattutto nei primi anni di vita.

Attualmente si conoscono diverse sindromi ipoparatiroidee primitive:

da deficienza di secrezione di PTH: ipoparatiroidismo post-chirurgico; ipoparatiroidismo idiopatico ( congenito e acquisito); da ipomagnesemia.          Da secrezione di PTH biologicamente inattivo.

Da resistenza al PTH (pseudoipoparatiroidismi)

Ipoparatiroidismo primitivo

Nell’ ipoparatiroidismo primitivo l’ipocalcemia e l’iperfosfatemia, in presenza di una normale funzione renale, sono il risultato di un deficit della secrezione di PTH.

L’ipoparatiroidismo idiopatico isolato insorge in genere con carattere sporadico fra i 3 e i 12 anni, sebbene possa essere evidenziato anche in età adulta e siano state descritte in letteratura anche forme familiari. Nell’ipoparatiroidismo familiare isolato l’età di insorgenza è fra 1 mese e 30 anni e la diagnosi è generalmente posta in età infantile. Si tratta di una forma rara, ereditata con carattere autosomico dominante, recessivo o legato al cromosoma X. In questi pazienti è sempre presente ipercalciuria.

Esistono, inoltre, forme congenite, come la Sindrome di Di George, in cui l’assenza delle paratiroidi si associa a quella del timo, con alterazione dell’immunità cellulo-mediata e frequenti infezioni virali in età infantile. Questi pazienti hanno una facies tipica, con alterazioni auricolari (abbassamento dell’inserzione dell’orecchio) e degli occhi (taglio verso il basso), ipertelorismo e micrognatia. Molti casi sono sporadici, anche se vi sono forme familiari.

Le forme familiari di ipoparatiroidismo possono presentarsi come parte di un disordine multighiandolare complesso (come la sindrome poli-ghiandolare autoimmune) o in associazione a difetti quali, sordità, nefropatia e linfedema. Questi ultimi quadri sindromici sono esemplificati da patologie non ancora ben conosciute, come laSindrome di Barket (linfedema, alterazioni del nervo acustico, prolasso mitralico, brachidattilia e nefropatia) e la Sindrome di Kenney Caffey (bassa statura, osteosclerosi, calcificazione dei nuclei della base e difetti oftalmici).

La Sindrome polighiandolare autoimmune di tipo I (PGA I) è la più nota tra le forme di ipoparatiroidismo legato a malattie autoimmuni.  Può essere sporadica o familiare, trasmessa con carattere autosomico recessivo. Classicamente si presenta con la triade rappresentata da ipoparatiroidismo, insufficienza surrenalica e alterazioni muco-cutanee (candidiasi), sebbene non sempre i soggetti esprimano il quadro clinico completo. Generalmente la diagnosi è effettuata in età infantile anche se in alcuni casi la malattia si può manifestare dopo i 10 anni di età. Generalmente le manifestazioni cliniche iniziano con le alterazioni muco-cutanee (in genere verso i 5 anni), seguite da ipoparatiroidismo (verso i 9 anni) ed infine insufficienza surrenalica (verso i 14 anni). Anticorpi anti-paratiroide, anti-tiroide e anti-surrene sono frequentemente riscontrabili in tali soggetti.

Pseudoipoparatiroidismi

Alle sindromi ipocalcemiche si ascrivono anche i quadri di pseudoipoparatiroidismo, ossia condizioni cliniche eterogenee caratterizzate da ipocalcemia e iperfosforemia (analogamente a quanto si rileva nell’ipoparatiroidismo primitivo), nonostante siano presenti elevati livelli circolanti di PTH.

Se ne conoscono due forme:

la Sindrome di Albright o pseudoipoparatiroidismo di tipo 1 che si configura clinicamente per una resistenza ormonale multipla con ipotiroidismo, ipogonadismo, ritardo mentale e difetti olfattivi. I pazienti presentano facies tonda, bassa statura, obesità, brachidattilia (brevità metacarpale e metatarsale), ossificazioni sottocutanee eterotopiche (osteoma cutis) ed esostosi (osteodistrofia di Albright).

Lo pseudoipoparatiroidismo di tipo 2 che insorge con un quadro di resistenza renale al PTH e deficit di sintesi di 1,25 (OH)2D3 a livello renale.

La diagnosi è clinica e laboratoristica. Per la diagnosi differenziale fra le varie forme di ipocalcemia è importante eseguire un’accurata anamnesi ed un accurato esame obiettivo del paziente. Il quadro di ipoparatiroidismo è spesso associato ad una storia familiare per tale patologia o alla presenza di disordini endocrini che non accompagnano tale quadro. Un test molto importante nella diagnosi definitiva di pseudoipoparatiroidismo è quello di infusione e.v. di PTH, la cui somministrazione determina una riduzione della fosfaturia anziché un suo incremento.

Come si cura?

Di fronte ad un paziente con livelli di calcio ionizzato sotto la norma (inferiori a 1,12 mmol/l) è necessario intervenire prontamente. Il trattamento delle forme gravi di ipocalcemia con crisi ipocalcemiche (tetania grave, laringospasmo o convulsioni) viene effettuato con la somministrazione di calcio gluconato per via endovenosa. Il trattamento cronico dell’ipoparatiroidismo consiste invece nella somministrazione orale di calcio e di vitamina D. In questi pazienti la concentrazione di calcio deve essere mantenuta fra 8 e 9 mg/dl. Tale concentrazione è sufficiente per prevenire le manifestazioni ipocalcemiche (parestesie alle mani, ai piedi e periorale), senza tuttavia indurre ipercalciuria e formazione di calcoli renali. La forma di vitamina D generalmente utilizzata è il calcitriolo, forma attiva ma con breve emivita.