In Italia 1142 industrie sono a rischio di incidente rilevante

 

In Italia 1142 industrie sono a rischio di incidente rilevante

In Italia 1142 industrie sono a rischio di incidente rilevante
EVENTI E RAPPORTI
8 luglio 2013

Dall’Ispra la mappatura ufficiale degli stabilimenti pericolosi: il record va alla Lombardia, ultima la Valle d’Aosta. Napoli prima tra le province del Sud

Sono 1142 gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante (Rir) sparsi su tutta la Penisola, di cui oltre il 50% nel Nord del Paese. È questa la fotografia scattata dall’Ispra, che ha presentato l’Annuario dei dati ambientali 2012 in cui è contenuta la mappatura ufficiale delle industrie italiane più pericolose per la salute umana e quella ambientale. Si tratta, in parte, di siti a cui è applicabile la normativa “Seveso, che definisce incidenti rilevanti “un’emissione, un incendio o un’esplosione connessi ad uno sviluppo incontrollato dell’attività industriale che dia luogo a un pericolo grave, immediato o differito per l’uomo e il territorio.

Il rapporto analizza il numero, le tipologie di stabilimenti presenti nei vari ambienti territoriali, i comuni più a rischio e i quantitativi di materiali ivi utilizzati. I dati sono aggiornati al 31 dicembre 2012: a questa data è la Lombardia a detenere il triste primato per numero di stabilimenti pericolosi con il 25% del totale. Seguono immediatamente dopo Emilia Romagna, Veneto e Piemonte. Non sono da meno anche la Sicilia, il Lazio e la Campania, ciascuna con poco più del 6%, mentre la Regione più virtuosa da questo punto vista è la Valle d’Aosta, con solo 6 industrie.

Per quel che riguarda le Province, Milano è al primo posto con 69 stabilimenti, poiBrescia con 45 e Ravenna con 37, mentre Macerata è l’unica realtà territoriale di questo tipo ad essere piva di impianti Rir. Al Centro è Roma la capofila con 26 siti, e ancora Napoli con 33 industrie pericolose la prima del Meridione. In totale, in40 Comuni sono presenti più di 4 stabilimenti, distribuiti in 12 regioni italiane. Aree di particolare concentrazione di stabilimenti Rir sono vicino ai poli petrolchimici e di raffinazione, come per esempio Trecate (nel Novarese), Porto Marghera, Ravenna e Ferrara, Gela, Priolo a Siracusa, Brindisi, Taranto, Porto Torres (Ss) e Sarroch (Ca).

Dalla tipologia di industrie si comprende il tipo di sostanze e preparati più pericolosi, con una cospicua presenza di prodotti petroliferi, quali benzina, gasolio e cherosene, e di gas liquefatti estremamente infiammabili come Gpl e metano. Consistenti sonio anche metanolo ed ossigeno. Circa il 22% dei 514 stabilimenti “Seveso”, che detengono questi materiali pericolosi per l’ambiente in quantità superiori alle soglie di assoggettamento, è ubicato entro 100 metri da un corpo idrico superficiale o dalla linea di costa.

 

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Prevenzione ed ecosostenibilità sono sottovalutate dagli italiani che ancora non sanno se schierarsi a difesa della natura

Negli anni Settanta vi furono i casi dell’IPCA di Ciriè, fabbrica di colori dove l’anilina provocava tumori alla vescica, e dell’ICMESA, dalla quale fuoriuscì diossina in quello che è ricordato come il disastro di Seveso (a dire il vero, preannunciato da avvisaglie rimaste senza seguito) cui dovette seguire una bonifica ambientale durata oltre 10 anni. Del febbraio scorso è la sentenza di condanna per i due manager dell’Eternit, ai quali il tribunale di Torino ha contestato più di duemila morti per tumori causati dall’amianto. A fine settimana è esploso il caso Ilva di Taranto, sigillata per disastro ambientale, e con esso la contraddizione fra tutela dell’ambiente e della salute, da una parte, e tutela dei posti di lavoro dall’altra. Una contraddizione insensata eppure drammaticamente inevitabile in tempi di crisi di crisi economica e occupazionale, ma soprattutto di confusione rispetto ai valori. L’antropologo Clyde Kluckhohn scriveva che il “valore” è la concezione del desiderabile, che influenza l’azione con la selezione fra modi, mezzi e fini disponibili. Prevenzione ed ecosostenibilità sono, per nostra miopia, relegati al ruolo di accessori di lusso anziché di opportunità di crescita. Se non sappiamo da quale parte schierarci, le istituzioni ce la mettono tutta per confonderci ancora di più: da ultimo il Consiglio di Stato, che ha sospeso “cautelativamente” il provvedimento che cercava di liberare il centro di Milano dalla congestione del traffico e dall’inquinamento.

sabato 10 luglio 1976 Disastro di Seveso

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
 
Disastro di Seveso
Stato bandiera Italia
Luogo SevesoMedaCesano MadernoDesioBarlassina,BovisioNova Milanese e in porzioni minori anche Seregno,Varedo e Lentate sul Seveso
Data sabato 10 luglio 1976
12:37
Tipo Fuoriuscita di nube tossica del tipo TCDD

Con il termine disastro di Seveso si fa riferimento all’incidente avvenuto il 10 luglio 1976 nell’azienda ICMESA di Meda, che provocò la fuoriuscita di una nube di diossina del tipo TCDD, una tra le sostanze tossiche più pericolose. La nube tossica investì una vasta area di terreni nei comuni limitrofi della bassa Brianza, in particolare Seveso.


Verso le 12:37 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento della società ICMESA sito nel territorio del comune di Meda, al confine con quello di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente di diversi diserbanti, andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa prima fu probabilmente l’arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa, e quindi senza contrastare l’esotermicità della reazione, aggravato dal fatto che nel processo di produzione l’acidificazione del prodotto veniva fatta dopo la distillazione, e non prima.


I fatti

L’esplosione del reattore venne evitata dall’apertura delle valvole di sicurezza, ma l’alta temperatura raggiunta aveva causato una modifica della reazione che comportò una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche.

La TCDD fuoriuscì nell’aria in quantità non definita e venne trasportata verso sud dal vento in quel momento prevalente.[1] Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni di Meda,SevesoCesano Maderno e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto si trova immediatamente a sud della fabbrica.

Le prime avvisaglie furono l’odore acre e le infiammazioni agli occhi. Non vi furono morti, ma circa 240 persone vennero colpite da cloracne, una dermatosi provocata dall’esposizione alcloro e ai suoi derivati, che crea lesioni e cisti sebacee. Per quanto riguarda gli effetti sulla salute generale, essi sono ancora oggi oggetto di studi. I vegetali investiti dalla nube si disseccarono e morirono a causa dell’alto potere diserbante della diossina, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. La popolazione dei comuni colpiti venne però informata della gravità dell’evento solamente 8 giorni dopo la fuoriuscita della nube.

Contaminazione Seveso.png


La decontaminazione

Il territorio colpito fu suddiviso in tre zone a decrescente livello di contaminazione sulla base delle concentrazioni di TCDD nel suolo: zona A, B, e R.

Le abitazioni comprese nella zona A, la più colpita, furono demolite e il primo strato di terreno venne rimosso; gli abitanti furono evacuati e ospitati in strutture alberghiere. La zona A venne presidiata dalle forze dell’ordine per impedire a chiunque di entrarvi.

La zona B, contaminata in minor misura, e la zona R, ovvero zona di rispetto, vennero tenute sotto controllo e vi fu imposto il divieto di coltivazione e di allevamento.

Successivamente vennero create due enormi vasche di contenimento, costantemente monitorate, nelle quali venne riposto tutto ciò che era presente nella zona A, il terreno rimosso e anche i macchinari utilizzati per la demolizione e gli scavi. Al di sopra di queste due vasche sorse il Parco Naturale Bosco delle Querce, oggi aperto alla popolazione.


Alcune conseguenze a lungo termine

Ricerche effettuate verso la fine degli anni novanta sulla popolazione femminile hanno mostrato, a venti anni di distanza, una relazione tra esposizione alla TCDD in periodo prepuberale e alcuni disturbi.
Uno studio pubblicato nel 2008 ha evidenziato come ancora a 33 anni di distanza dal disastro gli effetti, misurati su un campione statisticamente ampio di popolazione[2] siano elevati. Nello studio, in sintesi, la probabilità di avere alterazioni neonatali ormonali conseguenti alla residenza in zona A delle madri è 6,6 volte maggiore che nel gruppo di controllo. Le alterazioni ormonali vertono sul TSH, la cui alterazione, largamente studiata in epidemiologia ambientale, è causa di deficit fisici ed intellettuali durante lo sviluppo[3].

È stato rivelato inoltre che negli anni novanta sono nate molte più bambine che bambini. Ciò è stato correlato al fatto che molti dei genitori di questi neonati erano adolescenti all’epoca del disastro e quindi si presume che la diossina abbia in qualche modo alterato lo sviluppo dell’apparato riproduttivo, prevalentemente quello maschile.

L’ipotesi dell’aumento di tumori riscontrati nella zona è invece controversa. All’epoca del disastro, molti scienziati avevano sollevato la possibilità di un considerevole aumento dei casi tumorali nell’area, ma ricerche scientifiche hanno evidenziato invece che il numero di morti per tumore si sia mantenuto relativamente nella media della Brianza; i risultati di tali ricerche sono però contestati da alcuni comitati civici.


Seveso e la legislazione sull’aborto

La diossina è una sostanza altamente teratogena, capace quindi di creare gravi malformazioni ai feti. Nonostante all’epoca del disastro in Italia l’aborto fosse praticamente vietato, fatte salve alcune deroghe concesse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 27 del 1975, nelle quali non rientrava comunque il caso delle ipotetiche malformazioni ai feti, il 7 agosto 1976 i due esponenti democristiani l’allora Ministro della sanità Luciano Dal Falco e quello della giustizia Francesco Paolo Bonifacio, ottenuto il consenso del Presidente del consiglioGiulio Andreotti, autorizzarono aborti terapeutici per le donne della zona che ne avessero fatto richiesta. Aborti vennero praticati presso la clinica Mangiagalli di Milano e presso l’ospedale di Desio.

Uniche voci importanti di dissenso furono Il Giornale di Indro Montanelli che scrisse: «Il rischio è per i bambini, non per la madre: si tratta di aborto eugenetico, e non terapeutico» e il cardinale di Milano, Giovanni Colombo, che disse: «Non uccidete i vostri figli, le famiglie cattoliche sono pronte a prendersi cura di eventuali bambini handicappati». Il dibattito sulla necessità di una regolamentazione dell’aborto attraverso leggi dello stato da anni interessava l’opinione pubblica, acquistando vigore proprio da questo evento e dal dramma che stavano vivendo le donne della zona contaminata. Si arrivò pertanto all’emanazione della Legge 194 del 22 maggio 1978[4], confermata poi dal referendum del 1981.


Testimonianze sull’evento

A questa triste vicenda si è ispirato il cantautore Antonello Venditti per scrivere Canzone per Seveso, pubblicata nell’ottobre del 1976 nell’album Ullalla, che analizza i fatti accaduti tentando di individuarne le cause profonde. Testimonianza degli avvenimenti avvenuti nel primo anno dopo la fuga si possono trovare nel libro “Visto da Seveso” di Laura Conti, consigliere regionale della Lombardia ai tempi del disastro, edito da Feltrinelli nel 1977.

  « …voi, che vivete tranquilli nella vostra coscienza di uomini giusti,

che sfruttate la vita per i vostri sporchi giochetti

allora, allora ammazzateci tutti! »

 
(Antonello Venditti, Canzone per Seveso)


Recupero ambientale

Nell’area più inquinata (Zona A), il terreno fu depositato in vasche. Fu apportato un nuovo terreno proveniente da zone non inquinate ed effettuato un rimboschimento, che ha dato origine al Parco Naturale Bosco delle Querce.


Note

  1. ^ Si stima che in diverse condizioni meteorologiche avrebbe potuto colpire un’area di 30.000 abitanti
  2. ^ il campione era composto da 1772 individui esposti ed altrettanti individui di controllo
  3. ^ (ENNeonatal Thyroid Function in Seveso 25 Years after Maternal Exposure to Dioxin. Plos Medicine Journal, 29-07-2008. URL consultato il 22-04-2010.
  4. ^ s:L. 22 maggio 1978, n. 194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza Legge 194 del 22 maggio 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza


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