Tumori: cancro terremoto su lavoro per 8 pazienti su 10, nasce ‘Pro Job’



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Articolo pubblicato il: 12/05/2014

Milano, 12 mag. (Adnkronos Salute) – Dopo la malattia il terremoto sul lavoro. Fare i conti con il cancro significa anche questo. Il risultato, spesso, è devastante: meno redditi e più costi per i pazienti. Dopo la diagnosi, infatti, il 78% dei malati oncologici subisce un cambiamento nel lavoro: il 36,8% è costretto a fare assenze, uno su 5 lascia l’impiego e il 10,2% si dimette o cessa l’attività (in caso di lavoratore autonomo). Pochi conoscono e utilizzano le tutele previste dalle leggi per facilitare il mantenimento e il reinserimento: solo il 7,8% ha chiesto il passaggio al part-time, un diritto di cui è possibile avvalersi con la legge Biagi, poco meno del 12% ha beneficiato di permessi retribuiti (previsti dalla Legge 104/1992), il 7,5% ha utilizzato i giorni di assenza per terapia salvavita e il 2,1% i congedi lavorativi.

E’ la fotografia scattata oggi a Milano dove è stato presentato ‘Pro Job: lavorare durante e dopo il cancro – Una risorsa per l’impresa e per il lavoratore’, un progetto dell’Associazione italiana malati di cancro (Aimac), in collaborazione con l’università degli Studi del capoluogo lombardo, la Fondazione ‘Insieme contro il cancro’ e l’Istituto nazionale tumori della metropoli. Obiettivo: superare gli ostacoli che rendono difficile la vita dei pazienti sul lavoro e sensibilizzare le aziende sulle opportunità disponibili. I dati diffusi (dall’indagine Censis-Favo) evidenziano che le forme di gestione flessibile per conciliare lavoro e cure oncologiche sono ancora poco note e non influiscono in modo significativo sulla vita dei molti pazienti coinvolti. Questa situazione interessa anche i ‘caregiver’, familiari o amici che assistono i malati in modo continuativo. Scarso anche per loro il ricorso agli strumenti legislativi e regolatori: il 26% utilizza i congedi lavorativi e solo il 7% le varie forme di tempo parziale, verticale e orizzontale, con riduzione proporzionale dello stipendio, previsto dal decreto legislativo 61/2000.

“Secondo un sondaggio Piepoli-Aimac – spiega Francesco De Lorenzo, presidente dell’Aimac – il 91% delle persone malate vuole continuare a lavorare ed essere parte attiva della società. E’ importante che Pro Job venga adottato dal maggior numero possibile di realtà imprenditoriali”. Il progetto ha vinto il premio ‘Sodalitas Social Innovation’ ed è oggi al centro del convegno in Statale ‘Lavorare durante e dopo il cancro’, che apre gli eventi legati alla IX Giornata nazionale del malato oncologico (l’edizione di quest’anno sarà celebrata a Roma dal 16 al 18 maggio).

Nel 2013 in Italia si sono registrati 366 mila nuovi casi di tumore. E sono circa 700 mila le persone con diagnosi di cancro in età produttiva. “Pro Job – sottolinea Elisabetta Iannelli, segretario della Fondazione Insieme contro il cancro – mira a promuovere l’inclusione dei pazienti oncologici, a sensibilizzare i dirigenti perché creino condizioni ottimali nell’ambiente di lavoro, ad agevolare i dipendenti che hanno parenti colpiti da tumore a conservare l’impiego e a disincentivare il ricorso inadeguato a procedure per fronteggiare le difficoltà determinate dalla patologia”. Evidenze scientifiche, aggiunge Francesco Cognetti, presidente di Insieme contro il cancro, “dimostrano che il lavoro aiuta a guarire e a seguire meglio i trattamenti, ma servono nuovi strumenti per non escludere i malati dal mondo produttivo. E’ essenziale che il mondo delle imprese comprenda che i malati oncologici possono e devono lavorare, ma non necessariamente come prima della diagnosi”.

L’azienda in grado di sviluppare il progetto Pro Job, conclude Michele Tiraboschi, professore di diritto del lavoro all’università di Modena e Reggio Emilia, “potrà valorizzare il proprio capitale umano permettendo, da un lato, ai dipendenti malati di cancro di recuperare parte del proprio benessere e di ritrovare velocemente motivazione, impegno e capacità produttiva, dall’altro ai familiari di continuare il lavoro, senza rinunciare all’assistenza del malato, avvalendosi del part time. Tutto ciò a beneficio sia del lavoratore che dell’azienda”.

fonte

Congedi parentali a ore, si potrà stare a casa part-time per curare i figli. Tutte le regole Attualmente i permessi per i figli minori di 8 anni possono essere utilizzati solo a giorni, settimane o mesi. Una flessibilità che aiuta le famiglie

congedi parentali

 
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Conciliare lavoro e famiglia potrebbe diventare più facile. Il governo sta discutendo un decreto legge che contiene, tra l’altro, nuove regole suicongedi parentali: i lavoratori dipendenti – madri o padri – potranno prendere anche permessi a oreper curare i figli fino agli 8 anni di età. Attualmente il congedo può essere suddiviso in mesi, settimane e giorni ma non in ore.

Se la norma passerà cambierà la vita di molte famiglie introducendo di fatto un part-time per accudire i figli secondo le esigenze della giornata (ad esempio stare a casa il pomeriggio) eallungando così il periodo usufruibile.

La norma è contenuta nella bozza di decreto “salva-infrazioni” col quale l’Italia si uniforma a una serie di norme europee chiudendo così ben 21 procedure di infrazione di Bruxelles e scongiurando le conseguenti maxi-multe. Un altro “rimedio” contenuto nel decreto riguarda il blocco della possibilità per i comuni di allargare il campo della riscossione dei tributi delle loro concessionarie senza una gara pubblica.

Congedi parentali, come funzionano ora

Nei primi 8 anni di età del bambino i genitori, lavoratori dipendenti, hanno il diritto di assentarsi dal lavoro, anche contemporaneamente per i seguenti periodi massimi, continuativi o frazionati:

• madre6 mesi;
• padre7 mesi.
• genitore solo: 10 mesi;
• entrambi i genitori11 mesi complessivi.

In caso di figli adottivi o in affidamento i genitori possono usufruire del congedo parentale entro i primi 8 anni dall’ingresso del bambino in famiglia, a prescindere dalla sua età ed entro la maggiore età.

Il padre lavoratore dipendente può fruire dei riposi giornalieri anche se la madre è casalingadimostrando però l’impossibilità per quest’ultima di dedicarsi alla cura del neonato perché impegnata in altre attività (es. cure mediche, partecipazione a concorsi ecc.).

Le lavoratrici autonome e parasubordinate possono astenersi dal lavoro per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. I padri lavoratori autonomi invece non hanno diritto al congedo parentale (ma i parasubordinati si).

La retribuzione durante i periodi di congedo parentale:

• viene ridotta al 30%, fino ai 3 anni di vita del bambino e fino 6 mesi di congedo complessivo tra i genitori;
• viene azzerata oltre i 6 mesi di congedo se il reddito annuo del genitore che lo richiede supera di 2,5 volte l’importo delle pensioni minime (per il 2012 la soglia di reddito è di 15.617 euro annui). (A.D.M.)