20 OTTOBRE 1944 LA SCUOLA DI PRECOTTO E GORLA

Quella mattina d’autunno

 

In volo

Presso il comando generale della 15a Air Force, dal febbraio 1944 era presente un rapporto della R.A.F. britannica dove si informava che gli stabilimenti milanesi operanti nel settore meccanico-siderurgico erano in piena attività, probabilmente al servizio dell’industria bellica; questo portò alla decisione di effettuare sopra la città di Milano una pesante incursione che distruggesse tutti gli impianti produttivi. La data decisa era quella venerdi 20 ottobre 1944.

Da ricerche effettuate sui foto-rilevamenti dell’epoca è singolare il fatto che dalla scelta degli obiettivi da colpire quel giorno vennero escluse grandi fabbriche come le Acciaierie e Ferriere lombarde Falck e la Caproni (produttrice di aerei) dove erano presenti davvero produzioni belliche, mentre la Breda, l’Alfa Romeo e la Isotta Fraschini oggetto della missione avevano decentrato tutta la loro produzione in stabilimenti ombra nella provincia o addirittura in Germania, dove furono costretti a trasferirsi molti operai della Breda; probabilmente gli informatori degli americani non erano molto “informati”.

Un’altra novità riguardava la scelta degli obiettivi: a parte un episodio avvenuto il 30 aprile 1944 dove venne distrutto un distaccamento della Breda situato nel vicino aeroporto di Bresso, le altre incursioni sulla zona avevano interessato solo lo scalo ferroviario di Lambrate e in parte minore quello di Greco. Un fatto da segnalare era la presenza quella mattina a Milano del ministro degli armamenti tedesco Albert Speer, ma pensare ad un tentativo da parte americana di eliminare quel personaggio politico colpendolo con un bombardamento aereo avrebbe comportato un grande “colpo di fortuna” nonchè un esagerato dispendio di energie quando allo scopo sarebbe stato sufficiente un tiratore scelto.

I preparativi per questa missione vennero quindi messi in opera, incaricando della missione tre Bomb Group dislocati nelle basi pugliesi, e più precisamente: 38 aerei B-24 del 461° group diretti sugli stabilimenti Isotta Fraschini, 29 aerei B-24 del 484° group per gli stabilimenti Alfa Romeo, 36 aerei B-24 del 451° group con obiettivo gli stabilimenti Breda di Sesto san Giovanni; in totale 103 bombardieri quadrimotori con rotta su Milano per effettuare il più grande bombardamento sulla zona dopo gli attacchi dell’agosto 1943.

Gli aerei del 461° e del 484° group arrivarono sul bersaglio prestabilito senza particolari problemi, anche per il fatto che i caccia germanici erano stati richiamati in patria e l’antiaerea di terra era praticamente inesistente, e portarono a termine il loro compito secondo quanto prestabilito a parte alcune bombe che caddero fuori bersaglio colpendo numerosi palazzi civili nella zona della Fiera, causando un elevato numero di morti tra la popolazione. Il 451° ebbe una storia tutta diversa.

La formazione di attacco di questo gruppo prevedeva un numero di 36 aerei disposti su due ondate di 18, composte a loro volta da tre box di 6 aerei in fila di due disposti a punta di freccia. Decollati dall’aeroporto di Castelluccio a Foggia alle 7,58 si ritrovarono ben presto in 35 in quanto un aereo tornò alla base poco dopo il decollo per problemi meccanici, mentre gli altri procedendo alla velocità di 160 miglia orarie arrivarono su Milano poco dopo le 11,00; ogni componente della formazione aveva a bordo 10 bombe da 220 Kg. il cui tempo di caduta da un’altezza di 10.000 metri era calcolato in 180 secondi.

 

 

Raggiunto dopo un largo giro da destra fin quasi sulla Svizzera l’I.P. e cioè l’initial point, un punto rilevante a circa 4 Km. ad ovest del bersaglio da colpire, da dove aveva inizio la corsa d’attacco, cambiarono rotta dirigendosi verso gli stabilimenti Breda, ma a questo punto le cose non andarono più secondo i programmi: accadde che il group leader, l’aereo di testa del box centrale della prima ondata, a causa di un corto circuito al pulsante di lancio sganciò fuori bersaglio il proprio carico, imitato dai componenti degli altri box; le bombe caddero quindi in aperta campagna nella zona di Saronno.

La seconda ondata che seguiva dopo alcuni minuti, raggiunto l’I.P. prese senza apparente motivo una rotta di attacco deviata di 22 gradi verso destra invece che verso sinistra (vedi foto aerea); quando il leader della formazione si accorse dell’errore ormai la corsa di attacco gia avanzata non gli permetteva di ritornare al punto di partenza, un errore di 22 gradi gli aveva fatto “mancare” gli stabilimenti; non essendoci in zona altri obiettivi militari decise di rientrare alla base considerando la missione come “fallita”.

Rimaneva il problema del carico: le bombe (circa 2200 Kg. ogni aereo) non potevano essere riportate a casa in quanto già innescate; il problema era di primaria importanza per l’incolumità dell’equipaggio. Una via per uscire da questa situazione poteva essere quella di proseguire per 140 gradi raggiungendo la campagna verso Cremona dove lo spazio per liberarsi dello scomodo carico non mancava, oppure lanciarle nel mare Adriatico sulla via del ritorno. Ma il comandante decise diversamente.

Non sappiamo e probabilmente non sapremo mai se la soluzione che scelse fu frutto di una sua decisione o se era prevista dal suo piano operativo, sappiamo però che in quel momento si concretizzò quello che possiamo definire uno dei peggiori crimini contro l’umanità nella guerra aerea di quegli anni, perchè egli ordinò agli altri velivoli di sganciare le bombe subito, sulla città, anche se sotto di lui non c’erano obiettivi militari ma solo abitazioni civili che poteva perfettamente vedere date le favorevoli condizioni meteorologiche.

Le conseguenze di quella decisione si manifestarono dopo tre minuti, dopo cioè il tempo necessario agli ordigni per raggiungere terra dall’altezza di lancio di circa 10.000 metri.

Trascorso infatti quel breve intervallo, durante il quale la popolazione vedendo cadere le bombe cercava di trovare riparo raggiungendo i rifugi sotterranei, l’abitato di Gorla raggiunto da oltre 37 tonnellate di esplosivo divenne l’inferno… vennero colpite case, negozi, officine ma una bomba più delle altre provocò una strage che avrebbe cambiato la vita del quartiere per sempre: quella che aveva centrato la scuola elementare “Francesco Crispi” uccidendo 184 bambini con i loro insegnanti ed alcuni genitori che al suono delle sirene d’allarme erano accorsi per portarli in salvo.

L’unico commento a quanto accaduto venne dal colonnello Stefonowicz del 49° Wing, da cui dipendeva il 451° group, che criticò pesantemente l’operato del gruppo, non tanto per aver sganciato le bombe dopo aver preso atto di essere fuori bersaglio (colpendo quindi la popolazione civile) quanto per il danno d’immagine che lo scadente lavoro di squadra aveva causato all’aviazione americana.

Una missione “riparatoria”, organizzata per i giorni seguenti, venne annullata a causa del maltempo e la cosa fini li.

Nessuno venne mai chiamato sul banco degli imputati, ne a Norimberga ne successivamente, a rispondere di questa azione che era costata la vita, oltre ad altre centinaia di milanesi civili inermi, a 184 bambini italiani.

 

A terra

Come nel resto dell’Italia settentrionale, anche a Milano la popolazione cercava di superare gli ultimi mesi di una guerra che aveva messo tutti in ginocchio: il cibo era scarso, mancava la legna per riscaldarsi o per cercare di riparare le case danneggiate dai bombardamenti; in città era elevato il numero di profughi, sbandati e di chi aveva perso tutto. Molti milanesi che negli anni precedenti avevano preso la decisione di lasciare la città per rifugiarsi in Brianza, in Veneto o in Piemonte, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 erano sicuri che la guerra fosse ormai veramente finita, tornarono a vivere a Milano. L’urlo delle sirene di allarme per l’avvicinarsi di formazioni di bombardieri restava però una realtà quasi quotidiana. Infatti, appena i rilevatori si accorgevano dell’arrivo di velivoli nemici sulla regione, veniva suonato il “piccolo allarme”, se poi gli aerei si dirigevano verso un preciso bersaglio nella zona di questo suonava il “grande allarme”; ovviamente in quel momento tutti i cittadini dovevano essere gia all’interno dei rifugi.

Portarsi nel rifugio spesso non si rivelava una cosa veloce: chi aveva un negozio doveva chiuderlo mettendo al sicuro la merce per prevenire fenomeni di sciacallaggio dovuti alla fame, chi si trovava in casa doveva preparare tutto il necessario (cibo, acqua, coperte) per una permanenza che poteva protrarsi anche per ore, i malati dovevano essere portati nei rifugi a spalla, i bambini piangevano. Ripetere tutte queste operazioni anche per due-tre volte al giorno era diventata una cosa insopportabile, anche perchè gli alleati non colpivano Milano da settimane; fra i cittadini aveva quindi preso piede l’usanza di ignorare il piccolo allarme, proseguendo tranquillamente la propria attività.

Quella mattina il piccolo allarme (come riportato anche dai documenti della Prefettura) suonò alle 11,14, quando gli aerei erano appena entrati nel cielo della Lombardia, quello grande suonò alle 11,24. Le bombe sganciate alle 11,27 toccarono terra alle 11,29. Dal piccolo allarme al momento in cui le bombe esplosero passarono quindi soli 15 minuti, un lasso di tempo troppo breve per lasciare tutto e correre in rifugio per la popolazione adulta, per una scuola frequentata da centinaia di alunni poi, divenne un’impresa impossibile.

A Gorla la scuola elementare Francesco Crispi accoglieva tutti i bambini del quartiere, figli di operai, di artigiani, di impiegati; molti di questi alunni erano stati fatti rientrare dallo sfollamento perchè i genitori erano convinti che ormai “la guerra era finita”; dato l’alto numero di piccoli che frequentavano la scuola si era resa necessaria l’istituzione del doppio turno. Quella mattina i 200 bambini presenti erano i figli di chi poteva condurre una vita con qualche problema in meno (almeno dal lato economico) rispetto a chi, abitante nelle case della Fondazione Crespi Morbio, era considerato più bisognoso e prima di seguire le lezioni del turno pomeridiano usufruiva della refezione scolastica a carico del Comune. Pochi altri erano assenti per motivi di salute o perchè, vista la bella giornata di sole, avevano deciso di marinare la scuola…

Alle 11,14, quando suonò il piccolo allarme, le maestre cominciarono a preparare gli alunni per scendere nel rifugio, altre cercarono prima di informarsi in direzione se si trattasse del grande allarme e magari, il piccolo non l’avevano sentito. Quando alle 11,24 suonò veramente il grande, la testa del corteo formato dai bambini era già arrivata nel rifugio, altri si trovavano ancora sulle scale; in quegli attimi i bombardieri erano ormai visibili a tutti: nel cielo azzurro tanti piccoli punti argentei dai quali si staccavano altri punti ancora più piccoli. Le bombe avevano iniziato a cadere sul quartiere. A questo punti alcuni bambini scapparono da scuola cercando di raggiungere la propria casa, con il rischio di essere colpiti per strada (come in alcuni casi avvenne). Trovandosi al piano terreno, la quinta del maestro Modena non dovette percorrere le scale, fu quindi l’unica classe che ebbe la possibilità di salvarsi al completo. Per tutti gli altri il destino fu più tragico: una delle 170 bombe lanciate su Gorla si infilò nella tromba delle scale ed esplodendo causò il crollo dell’ala dello stabile e delle scale stesse sulla soletta in muratura che sovrastava il rifugio, trascinando con sè tutti i bambini ed i loro insegnanti nel cumulo di macerie. Anche numerosi genitori che al suono del piccolo allarme erano corsi a scuola per riprendere i propri figli, morirono nel crollo.

Appena finita la sequenza di esplosioni e depositatosi il polverone grigio e soffocante causato dagli scoppi e dai crolli, i cittadini che si trovavano nelle vicinanze della scuola si resero subito conto di quanto era successo, diedero l’allarme ed iniziarono a scavare con badili, picconi o semplicemente con le mani; nonostante i danni interessassero tutta la zona, i soccorsi si concentrarono principalmente sulla scuola dove accorrevano i genitori per cercare di sapere cosa fosse successo ai loro figli.

La Prefettura di Milano venne informata subito e dispose i primi aiuti: in breve arrivarono militari dell’ U.N.P.A. (Unione Nazionale Protezione Antiaerea), quelli della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana), i Vigili del Fuoco; tra i primi soccorritori vi furono gli operai della ditta Gramegna (molti dei quali erano padri dei bambini) che utilizzarono i badili prelevati dal negozio di ferramenta del sig. Didoni.

Subito fu chiara la dimensione della tragedia, dalle macerie venivano estratti solo corpi senza vita; particolarmente attivo in quelle ore fu un giovane sacerdote, Don Ferdinando Frattino, che con la sua opera contribuì al salvataggio di un buon numero di bambini, ma purtroppo sempre pochi: gli alunni morti quella mattina furono 184, più tutte le maestre, la direttrice ed il personale ausiliario. Quello che accadde negli ultimi minuti della scuola è affidato ai ricordi di chi, in vario modo, riuscì a sopravvivere.

Insieme alla scuola di Gorla venne colpita anche quella del confinante quartiere di Precotto, ma a questa abbiamo dedicato un’apposita pagina.

Anche negli stabilimenti che erano bersaglio della missione e che vennero solo parzialmente colpiti si contarono decine di operai morti in quanto non erano riusciti a raggiungere il rifugio in tempo. Interi quartieri vennero quasi totalmente distrutti, tra questi (sempre a Gorla) il complesso edilizio della Fondazione Crespi Morbio dove si contarono molte vittime civili. Quel giorno in tutta Milano i morti che si riuscì a recuperare furono 614, di molti altre persone non si ritrovarono nemmeno i resti perchè vennero a trovarsi nell’immediata vicinanza di un’esplosione restando dilaniati; oltre a questi centinaia di persone rimasero ferite e migliaia senza un tetto.

I funerali si svolsero nella vicina parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù alla presenza di milanesi venuti da tutta la città a testimoniare il loro dolore; i piccoli vennero tumulati nel cimitero di Greco dal quale vennero poi trasferiti una volta pronto il monumento ossario.

I Bambini :

 

ABBONDANTI Ernesta, di anni 7

ALQUA’ Dolores, di anni 9

ANDREONI Edvige, di anni 6

ANDREONI Franco, di anni 6

ANDENA Vanda, di anni 7

ANDENA Giorgio, di anni 9

ANGIOLINI Cesarina, di anni 10

ASSANDRI Marisa, di anni 10

AVANZI Lucia, di anni 8

BACCINI Luciana, di anni 10

BACILIERI Giancarlo, di anni 11

BALDO Bruno, di anni 7

BALUCI Teresa, di anni 7

BALUCI Concetta, di anni 9

BANDIERA Valter, di anni 9

BECCARI Vilma, di anni 10

BECCARI Stefania, di anni 8

BELLUSSI Ambrogio, di anni 8

BENZI Bice, di anni 6

BERETTA Giuseppe, di anni 6

BERNAREGGI Tullio, di anni 8

BERSANETTI Loredana, di anni 6

BERTOLENI Vincenzo, di anni 7

BERTOLESI Piera, di anni 7

BERTONI Valter, di anni 9

BIANCHET Chiara, di anni 10

BIFFI Pierluigi, di anni 6

BOERCHI Silvano, di anni 8

BOLZONI Gianfranca, di anni 6

BOMBELLI Giuseppe, di anni 9

BONFIGLIO Celestina, di anni 8

BORACCHI Vilma, di anni 6

BORGATTI Elena, di anni 9

BREMBATI Giovanna Elisabetta, di anni 8

BREMMI Maria, di anni 11

BRIOSCHI Paolo, di anni 9

BRIOSCHI Gianni, di anni 6

BRIVIO Giovanna, di anni 12

BURATTI Rosalba, di anni 7

CACCIATORI Ernestina, di anni 6

CALABRESE Loredana, di anni 6

CALETTI Giancarla, di anni 6

CAUDA Rosangela, di anni 12

CARANZANO Margherita, di anni 7

CARRERA Carlo, di anni 11

CARRETTA Renata Teresa, di anni 9

CARRETTA Luigi, di anni 8

CARRETTA Anna, di anni 7

CASATI Giuliano, di anni 7

CASLINI Adriano, di anni 10

CASSI Giordano, di anni 9

CASSUTTI Ida Santina, di anni 10

CASTELLI Lorenzo Omobono, di anni 6

CASTELLINO Claudia, di anni 9

CASTOLDI Rolando, di anni 7

CATTANEO Carlo, di anni 5

CAVAGNOLI Giuliana Maria, di anni 6

CAZZANIGA Antonio, di anni 9

CELIO Anna, di anni 7

CERUTI Giancarlo, di anni 7

CINQUETTI Felice, di anni 10

COLOMBANI Adriano, di anni 9

COLOMBANI Rosanna, di anni 7

COLOMBO Annamaria, di anni 7

COLOMBO Maria, di anni 10

COMPITI Agostina, di anni 9

CONCARDI Giancarlo, di anni 7

CONSIGLIO Riccardo, di anni 11

CONTATO Rosalia, di anni 6

CONTI Mirella, di anni 10

DALLA DEA Marina, di anni 9

DALLA DEA Vittore Paolo Ambramo, di anni 7

DALL’ORA Emilia, di anni 10

DANIELI Gianna, di anni 10

DE CONCA Luisa, di anni 10

DIDONI Fausta, di anni 10

DIDONI Teresina, di anni 11

DONEDA Giulia, di anni 6

DORDONI Giancarla, di anni 11

FALCO Franco, di anni 6

FARINA Gaetano, di anni 10

FARINA Mario, di anni 6

FARINELLA Giovanna, di anni 8

FERRARIO Luigi, di anni 6

FERRE’ Margherita, di anni 8

FERRI Natalino, di anni 8

FERRONI Pierino, di anni 7

FONTANA Oscar, di anni 8

FONTANA Vittoria, di anni 10

FOSSATI Adele, di anni 6

FRANCHI Dario, di anni 7

FRANZI Angelo, di anni 6

FREZZATI Rosalia, di anni 6

FRONTI Angelo, di anni 6

FUZIO Ezio, di anni 9

GALLINA Clelia, di anni 12

GARULLI Giovanni, di anni 8

GAVOLDI Antonio, di anni 9

GHELFI Pasquale, di anni 10

GILARDI Silvana, di anni 6

GIOVANNINI Villiam, di anni 7

GIULIANI Aldo, di anni 8

GOI Eleonora, di anni 11

GORETTI Edoardo, di anni 6

GRANDI Enrico, di anni 7

LAMBERTI Lamberto, di anni 9

LANDINI Peppino, di anni 8

LIBANORI Giancarlo, di anni 6

LIBRIZZI Maria, di anni 11

LOMBARDI Giuliana, di anni 3

MAESTRONI Giuliano, di anni 6

MAESTRONI Luigi, di anni 12

MAJO Giuliano, di anni 9

MAJO Santino, di anni 7

MAROLI Ruggiero, di anni 8

MARZORATI Roberto, di anni 8

MASCHERONI Nella, di anni 9

MASIERO Gianfranco, di anni 8

MASSARO Antonio, di anni 9

MASSAZZA Natale, di anni 10

MEREGALLI Mirella, di anni 6

MERONI Adriano, di anni 9

MIGLIORINI Maria, di anni 9

MINGUZZI Graziano, di anni 10

MOCCIA Carmela, di anni 6

MODESTI Giancarlo, di anni 6

MOIOLI Umberto, di anni 6

MONFRINI Bruno, di anni 6

MORETTI Licia, di anni 6

MUTTI Giuseppina, di anni 10

NASI Cesarino , di anni 8

ORLANDI Graziella Maddalena, di anni 7

PAGANINI Giorgio, di anni 6

PAGLIOLI Guido, di anni 9

PAGOT Francesca, di anni 5

PANIZZA Armida, di anni 6

PANIZZA Maria, di anni 13

PANNACCESE Antonio, di anni 8

PAVAN Gualtiero, di anni 6

PAVANELLI Maria Luisa, di anni 10

PEDUZZI Rosa Rachele, di anni 8

PETROZZI Sergio, di anni 7

PIAZZA Mario Adolfo, di anni 6

PIERIN Giuseppe, di anni 9

PIOLTELLI Anna, di anni 6

PIROTTA Annunziata Ornella, di anni 6

PIROVANO Adele, di anni 6

PONTI Abele, di anni 6

PORRO Emilio, di anni 6

POZZI Elisa, di anni 6

PUTELLI Anna, di anni 6

PUTELLI Pierina, di anni 7

RAVANELLI Pierluigi, di anni 6

REDAELLI Franco, di anni 9

RELLANDINI Franco, di anni 8

RESTELLI Rosanna, di anni 6

RHO Pierangelo, di anni 6

RIZZOLI Gerardo, di anni 6

ROMANDINI Maria Gabriella Federica, di anni 6

RUMI Rinaldo, di anni 8

RUMI Gabriella, di anni 6

RUSCELLI Marisa, di anni 6

SALA Maria, di anni 7

SALETTI Giancarla, di anni 6

SCOTTI Luigia, di anni 10

SIRONI Ambrogio, di anni 7

SONCINI Antonietta, di anni 9

STOCCHIERO Armando, di anni 9

STOCCHIERO Rinaldo, di anni 6

STRANIERI Erminia, di anni 7

TAMIAZZO Gianfranco, di anni 6

TENCA Teresa, di anni 8

TERMINE Giannina, di anni 7

TROYER Giuseppe, di anni 12

VALLI Antonio, di anni 7

VELATI Giuliano, di anni 10

VELATI Maria, di anni 7

VERDERIO Ennio, di anni 6

VERGANI Giovanni, di anni 12

VICENTIN Mario, di anni 10

VIGANO’ Ernestina, di anni 7

VIGENTINI Alberto, di anni 10

VILLA Lidia, di anni 6

VOLPIN Rina, di anni 7

ZAMBONI Andrea Lorenzo, di anni 9

ZANABONI Lidia, di anni 11

ZANELLATI Rosa Maria, di anni 6

ZELI Italo, di anni 7

ZUCCHETTI Luigi, di anni 8

ZUCCHETTI Giovanni, di anni 10

 

La Direttrice :

 

TAGLIABUE Isabella Ved. Castelnuovo

 

I Maestri  e collaboratori :

 

COLOMBO Bianca

CONSONNI Giulia

CONSONNI Silvio

CONTRERAS Aurora ARMANI

FIOCCHI Alicia

FOLLI Piera MERATI

GAZZINA Norma

LISSANDRINI Ester BENEDETTI

MAGNOLFI Giovanna LUZI

NOSETTO Piera Maddalena

PERONE Eugenio

PISTONE Teresa PEZZOTTA

POZZOLI Luisa

REDAELLI Maddalena

SANGALLI Maria Maddalena BIRAGHI con la figlia Riccardina di anni 14

VALZELLI Ida Ved. FUMAGALLI

VERGANI Cesare

ZACCHIA Dorotea QUARANTELLI

ZAMBONI Sara

 

Altri piccoli periti nello stesso bombardamento :

 

AMBROSINI Marisa Vanda, di mesi 16

BACILIERI Silvano, di anni 2

BALLADORI Annamaria, di mesi 15

BAZZANELLA Giancarlo, di mesi 18

BECCARI Lilia, di anni 2

BIRAGO Silvana Adele, di anni 4

BONATI Carlo, di mesi 12

CAVALLI Ornella, di anni 2

CLAPES Franca, di mesi 12

CONTE Vittoria, di anni 4

FRANCO Domenico, di anni 3

GALBIATI Rosa, di anni 3

GALBIATI Rolando, di mesi 11

PEREGO Maria Grazia, di mesi 22

SIFARELLI Biagio, di anni 4

SORMANI Isabella Paola, di anni 4

SORRAVIA Alberto Salvatore, di anni 5

VILLA Franca, di anni 4

 

20 OTTOBRE 1944

LA SCUOLA DI PRECOTTO

 

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A DIFFERENZA DI GORLA, LA SORTE DELLA SCUOLA DI PRECOTTO PUO' ESSERE CONSIDERATA MIGLIORE, POICHE' VENNE SI COLPITA DA UNA BOMBA E COMPLETAMENTE DISTRUTTA, MA I PICCOLI, CHE QUI ERANO 280, FECERO IN TEMPO A METTERSI IN SALVO NEL RIFUGIO SOTTOSTANTE, DA DOVE VENNERO ESTRATTI CON GRANDE FATICA DAL SACERDOTE DON CARLO PORRO E DA ALCUNI GENITORI; LE PERDITE UMANE FURONO IN QUESTO CASO MIRACOLOSAMENTE MINIME: DUE BIDELLE E UN PADRE RIMASERO SOTTO IL CROLLO DELLE SCALE CHE PORTAVANO AL RIFUGIO QUANDO ORMAI I BAMBINI ERANO AL SICURO.

ECCO LA TESTIMONIANZA DI UNA SOPRAVVISSUTA:

 

Da allora è passato molto tempo, avevo solo otto anni, ma di quel giorno non dimenticherò mai l’angoscia e la paura che provai trovandomi sepolta nel rifugio sotto le macerie della scuola di Precotto.

C’erano 280 bambini.

Ricordo di aver sentito la sirena del cessato allarme, tutti i bambini erano radunati nell’atrio del rifugio pronti per uscire, quando cominciarono invece i bombardamenti.

Subito si sollevò un gran polverone ed io mi sentii scaraventata violentemente tra i miei compagni.

Improvvisamente il buio e la paura, tutti urlavano terrorizzati, e non capivamo cosa fosse successo.

Non so quanto tempo sia trascorso, non si vedeva nulla, quando ad un tratto da un finestrino, l’unico rimasto intatto nel crollo, filtrò una lama di luce: sembrava polvere d’oro …

Cercammo in tutti i modi di richiamare l’attenzione mentre dall’esterno si sentivano le grida di disperazione delle persone accorse per salvarci, tra cui mio padre.

Affannosamente cercavano di spostare le macerie cercando di creare un varco per farci uscire e finalmente ci riuscirono.

Schiacciata contro un muro mi trascinarono verso quella via di salvezza, fui la 123° ad uscire quando mi accorsi di avere ancora in mano, non so come, la mia cartella, due lire ed il colletto.

I bambini si salvarono tutti mentre due bidelli ed un papà (si chiamava Lecchi) rimasero uccisi nel crollo delle scale.

Stretta tra le braccia di mio padre sentivo intorno a me urla strazianti, imprecazioni contro i responsabili della guerra, confusione e disperazione.

C’erano morti sparsi in strada e sul tram fermo davanti alla scuola.

La bomba creò una voragine in mezzo al viale Monza e le rotaie del tram sembravano quelle di un ottovolante.

Mio padre mi disse che Don Carlo Porro entrò nel rifugio per controllare che tutti fossero salvi e appena tornò fuori tutto crollò.

 

MARCHIORI NERIS Maria

nata a Milano il 24 Giugno 1936

tratto da http://www.piccolimartiri.it/index2.htm

IL BOMBARDAMENTO DI S.LORENZO



Una pagina splendida è quella scritta dai chirurghi a Roma durante i bombardamenti compiuti sulla città il 19 luglio ed il 13 agosto del 1943. Una pagina di atti d’eroismo, di grande sacrificio, di alta professionalità in un’atmosfera, quasi irreale, di angoscia, terrore, rabbia, voglia di sopravvivere. L’orrore della guerra, il coraggio e la volontà dei medici. Una pagina che merita di essere raccontata attraverso le testimonianze del tempo, le voci degli scampati, le cronache dei giornali e soprattutto la ricostruzione di un giornalista, Cesare De Simone, che ai bombardamenti ha dedicato un libro Venti angeli sopra Roma.
Lunedì 19 luglio 1943, a Roma, in edicola c’è solo Il Messaggero, gli altri quotidiani il lunedì non escono: sono II Popolo d’Italia, II Giornale d’Italia, Le Vie dell’Aria. In prima pagina c’è il radiodiscorso di Sforza. E c’è anche il bollettino di guerra n. 1149 nel quale si annuncia l’abbandono, sotto gli attacchi delle forze nemiche, di Agrigento. E c’è la notizia che Napoli è stata nuovamente bombardata. In cronaca un avviso che è quasi un presagio: riporta una serie di norme riservate ai medici i quali sono invitati, in caso di allarme aereo, a recarsi al Comando di zona della Vigilanza Urbana per essere destinati nei quartieri dove dovesse essere urgente la loro presenza.

Su Il Messaggero c’è anche l’annuncio che i consumatori residenti a Roma possono effettuare un quarto prelevamento di patate, un chilo. E anche una razione di carne bovina. C’è anche voglia di dimenticare l’angoscia del momento. Al “Teatro Quirino” la Compagnia comica Tommei-Sabbatini-Bacci-Raviglia presenta “La città delle lucciole” fantasia musicale in due tempi. Sulla locandina è scritto che “II teatro è arieggiato dalla cupola apribile”. Utile avviso perché fa caldo, alle otto del mattino il termometro già segna 27 gradi che alle 11, ora del bombardamento, arriveranno a 40 gradi. Una giornata di rara limpidezza senza una bava di vento. Chi ha tempo e voglia di andare al cinema può scegliere fra “Le due orfanelle” con Alida Valli e Osvaldo Valenti allo “Smeraldo”, “La Gorgona” con Mariella Lotti al “Salone Umberto” e “Pazzo d’Amore” con “il comicissimo Rascel” al “Farnese”.

Un altro tornante della storia sta girando su Roma ma gli abitanti non lo sanno. “Lo sa – scrive De Simone -Eisenhower ad Algeri. Lo sanno nella palazzina attorniata dalle palme del Comando NAAF ad Orano, gli ufficiali che si versano il caffè e bevono acqua ghiacciata mentre seguono sulle carte la rotta delle squadriglie che convergono verso Roma dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Egitto. Lo sanno anche i settemila uomini in giubbotto di cuoio seduti sui seggiolini delle Fortezze volanti, dei Marauder, dei Mitchell, dei caccia P-38 Lightning in volo sul mare. La sterminata nuvola di ferro e di fuoco sta puntando su Roma nel cielo azzurro, dalla parte del mare e del sole, con le bombe da 500 e 1.000 libbre, gli spezzoni incendiari al fosforo e alla termite-magnesio, i proiettili traccianti, i cannoncini. In cuffia gli uomini sentono Glenn Miller e la tromba di Louis Armstrong o Ella Fitzgerald. E bevono Coca Cola e té aromatizzato”.
Il bombardamento ha inizio alle 11,03e termina alle 13,45 in due fasi: dalle 11,03 alle 12,10 sugli scali ferroviari del Littorio e di San Lorenzo come obiettivi primari, dalle 12,12 alle 13,35 sugli aeroporti del Littorio e di Ciampino. Si avvicendano, in sei ondate, 930 velivoli. Roma è aggredita, mutilata, uccisa dalla più potente flotta aerea che sia stata mai mossa nei cieli italiani. In poco più di due ore d’apocalisse, su Roma vengono sganciate 1.060 tonnellate di esplosivo, qualcosa come 4 mila fra bombe e spezzoni incendiari. La più pesante incursione come numero di vittime: dai 2.800ai 3.000 morti, non meno di diecimila feriti.
Ed ecco la pagina eroica dei medici. Gli ospedali più vicini all’area colpita sono il Policlinico “Umberto I” e il “San Giovanni”, i due maggiori nosocomi di Roma, e l’ospedale militare del Celio. In pochi minuti, mentre gli aerei stanno ancora martoriando la città infierendo su interi quartieri, le corsie si intasano. Morti e feriti vengono prima sistemati sui materassi, poi sulle coperte infine sui giornali o sulla nuda terra.
Orazio Pesce, medico traumatologo, primario al CTO della Garbatella, il giorno del bombardamento – aveva 23 anni e frequentava il sesto anno di medicina – si trovava al secondo padiglione di chirurgia al Policlinico “Umberto I”. “Pochi minuti dopo le undici – ricorda – arrivano i primi feriti e i primi morti. Una scena terrificante. Bianchi di polvere e di calcinacci, pieni di sangue. Un’intera mattinata al Policlinico a medicare, disinfettare, ricucire ferite. Feriti e morti con ambulanze ma anche con carretti, carrettini, motofurgoni, camioncini. Un continuo arrivare. Nel pomeriggio mi chiamano al secondo padiglione dove c’è una camera operatoria in funzione. Ore e ore, fino alla mattina dopo, ad operare soprattutto amputazioni di braccia e gambe, gambe e braccia “.
L’ospedale Regina Elena – scrive De Simone – il più vicino al piazzale di San Lorenzo, un ospedale specializzato in oncologia, ma con un paio di reparti destinati ad emergenza, è messo fuori uso dalle bombe”. Crollano due padiglioni dell’Istituto. I degenti sono prontamente trasportati nei rifugi sotterranei, ma due équipe restano al lavoro perché gli interventi sono in una fase avanzata. Una delle équipe è diretta da Raffaele Bastianelli che dell’Istituto è stato il fondatore e adesso ne è il direttore. Un altro episodio ha per teatro sempre il “Regina Elena”. Poche ore prima del bombardamento, il chirurgo Luisini visita un capitano di fanteria che era stato ricoverato nell’Istituto per la frattura della spalla sinistra sul fronte tunisino. Il medico comunica all’ufficiale che è guarito e può tornare al suo 40° reggimento della “Divisione Trieste”. Praticamente Luisini salva la vita all’ufficiale, Enzo Stimolo di 27 anni. Infatti l’ufficiale in attesa di avere dall’Istituto il foglio di dimissione, approfitta del tempo necessario per la stesura del documento, si reca alla stazione per acquistare il biglietto ferroviario per raggiungere il suo Corpo. Appena esce dal “Regina Elena” piovono le bombe.
Si saturano – scrive De Simone – rapidamente di feriti il Policlinico, il San Giovanni, l’ospedale militare del Celio, il San Giacomo, il San Camillo, il Santo Spirito, il Fatebenefratelli, il Cesare Battisti (l’altro ospedale militare in via Ramazzini a Monteverde). Si saturano le cliniche private. I feriti in condizioni meno gravi vengono trasportati negli ospedali di Frascati, Tivoli e Albano. Il primo ferito registrato è quello che viene trasportato alle 11,10 al San Giovanni. “Tavolieri Antonio – è scritto sul registro del pronto soccorso – anni 57, domiciliato ad Ardea, spappolamento arti inferiori ed escoriazioni alla faccia”.
Una testimone dell’abnegazione dei medici e del personale di assistenza è Letizia Zappelli, all’epoca infermiera volontaria della Croce Rossa al Celio. “Stavo all’Ospedale Militare – racconta dove c’era un reparto sempre pronto all’emergenza. Appena i feriti giungevano, li mandavamo, a seconda della gravità, in una delle cinque sale operatorie dirette dal colonnello medico Tarquini. Si dovevano passare in continuazione stracci imbevuti di acqua ossigenata per togliere il sangue ed impedire che coagulasse in terra”. In un documento inviato alle autorità dal dottor P. Santoli, colonnello medico dell’ospedale del Celio, è scritto che ” numerosi sono stati gli interventi demolitivi per spappolamento degli arti inferiori, numerose le laparatomie per lesioni addominali; più di uno gli interventi al cranio; complessivamente un centinaio gli interventi in cavità. Le camere operatorie hanno funzionato ininterrottamente fino a notte inoltrata, qualche chirurgo ha prestato la sua opera per più di dieci ore consecutive”. Per il grande contributo dato dai medici, il nuovo ministro della guerra del governo Badoglio, Sorice, ordina alla Direzione della Sanità Militare di inviare una lettera di compiacimento ai sanitari del Celio.
Roma è in ginocchio. Si contano i morti. Gli ospedali non reggono all’urto dei feriti. Alle 17,20 la Mercedes nera papale con il guidoncino bianco e giallo, esce dal portone su via Angelica. A bordo Pio XII accompagnato dal sostituto segretario di stato Mons. Montini. Il Papa raggiunge il quartiere di San Lorenzo e a piedi, circondato dalla folla, va la Basilica. Il Papa si fa largo fra la folla che grida “pace, pace…”. È la prima volta che Pio XII esce dal Vaticano dall’inizio della guerra. Ed è anche la prima personalità che giunge sul luogo del bombardamento. La folla continua a stringersi intorno al Pontefice che appare visibilmente commosso. Una moltitudine, fra cittadini e militari.
Ben altra accoglienza la gente di Roma riserva al sovrano Vittorio Emanuele III quando si reca in visita alle zone colpite. Grida ostili, addirittura “assassini…” La regina Elena visita i feriti, ma avverte un clima poco favorevole. Bene accolta invece dalla gente di San Lorenzo la principessa Maria José. Mussolini, che si trovava a Feltre in un incontro con Hitler mentre Roma viene bombardata, rientra a Roma in aereo nel tardo pomeriggio, ma rinvia al giorno successivo la visita ai luoghi colpiti dalle bombe alleate.
Ventiquattro giorni dopo Roma viene colpita di nuovo. Alle ore 11 in punto, tre minuti prima che nel primo bombardamento. È il venerdì 13 agosto 1943. Un’altra giornata limpida, azzurra, con il termometro che indica 31 gradi. Arrivano sul cielo di Roma 409 aerei decollati dalla Tunisia, dall’Algeria e da Pantelleria. L’incursione dura un’ora e mezza. Questa volta le Fortezze volanti volano su una Roma che “se dall’alto – scrive De Simone – sembra la stessa, nei Palazzi che contano è cambiata. Mussolini è in carcere, il suo regime è stato spazzato via, al Viminale, alla scrivania di capo del Governo, c’è il maresciallo Badoglio che già si sta attivando per raggiungere un’intesa con gli Alleati. Le bombe seminano morte e dolore. Quando suonano le sirene del “cessato allarme”, Pio XII dà disposizione di preparare la sua Mercedes nera e alle 12,45 è già per le vie di Roma fino a Piazza San Giovanni, Porta Maggiore, Via Taranto. La folla prega e grida “Pace, pace…”. Il giorno dopo, è il 14 agosto, a meno di 24 ore dal bombardamento, il governo Badoglio dichiara “Roma, città aperta”.
Fra tanto dolore, fra tanti episodi di eroismo, fra tante distruzioni, un episodio che fa sorridere, protagonista un chirurgo di cui un testimone del tempo, il già citato Orazio Pesce, medico traumatologo, studente di medicina all’epoca del bombardamento del 19 luglio, non vuol rivelare il nome.” Da quel giorno del bombardamento – racconta – un chirurgo emerito, professore di grande valore, Primario al Policlinico, ogni mattina alle 10,30, qualsiasi intervento stesse facendo, smetteva, posava i ferri, li dava all’Aiuto o ad un collega, saliva in macchina e se ne scappava a piazza San Pietro perché, diceva, lì stava al sicuro. Andava in un caffè di via della Conciliazione, prendeva un cappuccino seduto fuori del bar. Tanto gli americani vengono sempre alle 11, diceva. I colleghi lo sfottevano e lui rispondeva serio: e no, io alle 11 sto in piazza San Pietro, così mi salvo.