IL BOMBARDAMENTO DI S.LORENZO



Una pagina splendida è quella scritta dai chirurghi a Roma durante i bombardamenti compiuti sulla città il 19 luglio ed il 13 agosto del 1943. Una pagina di atti d’eroismo, di grande sacrificio, di alta professionalità in un’atmosfera, quasi irreale, di angoscia, terrore, rabbia, voglia di sopravvivere. L’orrore della guerra, il coraggio e la volontà dei medici. Una pagina che merita di essere raccontata attraverso le testimonianze del tempo, le voci degli scampati, le cronache dei giornali e soprattutto la ricostruzione di un giornalista, Cesare De Simone, che ai bombardamenti ha dedicato un libro Venti angeli sopra Roma.
Lunedì 19 luglio 1943, a Roma, in edicola c’è solo Il Messaggero, gli altri quotidiani il lunedì non escono: sono II Popolo d’Italia, II Giornale d’Italia, Le Vie dell’Aria. In prima pagina c’è il radiodiscorso di Sforza. E c’è anche il bollettino di guerra n. 1149 nel quale si annuncia l’abbandono, sotto gli attacchi delle forze nemiche, di Agrigento. E c’è la notizia che Napoli è stata nuovamente bombardata. In cronaca un avviso che è quasi un presagio: riporta una serie di norme riservate ai medici i quali sono invitati, in caso di allarme aereo, a recarsi al Comando di zona della Vigilanza Urbana per essere destinati nei quartieri dove dovesse essere urgente la loro presenza.

Su Il Messaggero c’è anche l’annuncio che i consumatori residenti a Roma possono effettuare un quarto prelevamento di patate, un chilo. E anche una razione di carne bovina. C’è anche voglia di dimenticare l’angoscia del momento. Al “Teatro Quirino” la Compagnia comica Tommei-Sabbatini-Bacci-Raviglia presenta “La città delle lucciole” fantasia musicale in due tempi. Sulla locandina è scritto che “II teatro è arieggiato dalla cupola apribile”. Utile avviso perché fa caldo, alle otto del mattino il termometro già segna 27 gradi che alle 11, ora del bombardamento, arriveranno a 40 gradi. Una giornata di rara limpidezza senza una bava di vento. Chi ha tempo e voglia di andare al cinema può scegliere fra “Le due orfanelle” con Alida Valli e Osvaldo Valenti allo “Smeraldo”, “La Gorgona” con Mariella Lotti al “Salone Umberto” e “Pazzo d’Amore” con “il comicissimo Rascel” al “Farnese”.

Un altro tornante della storia sta girando su Roma ma gli abitanti non lo sanno. “Lo sa – scrive De Simone -Eisenhower ad Algeri. Lo sanno nella palazzina attorniata dalle palme del Comando NAAF ad Orano, gli ufficiali che si versano il caffè e bevono acqua ghiacciata mentre seguono sulle carte la rotta delle squadriglie che convergono verso Roma dall’Algeria, dalla Tunisia, dalla Libia e dall’Egitto. Lo sanno anche i settemila uomini in giubbotto di cuoio seduti sui seggiolini delle Fortezze volanti, dei Marauder, dei Mitchell, dei caccia P-38 Lightning in volo sul mare. La sterminata nuvola di ferro e di fuoco sta puntando su Roma nel cielo azzurro, dalla parte del mare e del sole, con le bombe da 500 e 1.000 libbre, gli spezzoni incendiari al fosforo e alla termite-magnesio, i proiettili traccianti, i cannoncini. In cuffia gli uomini sentono Glenn Miller e la tromba di Louis Armstrong o Ella Fitzgerald. E bevono Coca Cola e té aromatizzato”.
Il bombardamento ha inizio alle 11,03e termina alle 13,45 in due fasi: dalle 11,03 alle 12,10 sugli scali ferroviari del Littorio e di San Lorenzo come obiettivi primari, dalle 12,12 alle 13,35 sugli aeroporti del Littorio e di Ciampino. Si avvicendano, in sei ondate, 930 velivoli. Roma è aggredita, mutilata, uccisa dalla più potente flotta aerea che sia stata mai mossa nei cieli italiani. In poco più di due ore d’apocalisse, su Roma vengono sganciate 1.060 tonnellate di esplosivo, qualcosa come 4 mila fra bombe e spezzoni incendiari. La più pesante incursione come numero di vittime: dai 2.800ai 3.000 morti, non meno di diecimila feriti.
Ed ecco la pagina eroica dei medici. Gli ospedali più vicini all’area colpita sono il Policlinico “Umberto I” e il “San Giovanni”, i due maggiori nosocomi di Roma, e l’ospedale militare del Celio. In pochi minuti, mentre gli aerei stanno ancora martoriando la città infierendo su interi quartieri, le corsie si intasano. Morti e feriti vengono prima sistemati sui materassi, poi sulle coperte infine sui giornali o sulla nuda terra.
Orazio Pesce, medico traumatologo, primario al CTO della Garbatella, il giorno del bombardamento – aveva 23 anni e frequentava il sesto anno di medicina – si trovava al secondo padiglione di chirurgia al Policlinico “Umberto I”. “Pochi minuti dopo le undici – ricorda – arrivano i primi feriti e i primi morti. Una scena terrificante. Bianchi di polvere e di calcinacci, pieni di sangue. Un’intera mattinata al Policlinico a medicare, disinfettare, ricucire ferite. Feriti e morti con ambulanze ma anche con carretti, carrettini, motofurgoni, camioncini. Un continuo arrivare. Nel pomeriggio mi chiamano al secondo padiglione dove c’è una camera operatoria in funzione. Ore e ore, fino alla mattina dopo, ad operare soprattutto amputazioni di braccia e gambe, gambe e braccia “.
L’ospedale Regina Elena – scrive De Simone – il più vicino al piazzale di San Lorenzo, un ospedale specializzato in oncologia, ma con un paio di reparti destinati ad emergenza, è messo fuori uso dalle bombe”. Crollano due padiglioni dell’Istituto. I degenti sono prontamente trasportati nei rifugi sotterranei, ma due équipe restano al lavoro perché gli interventi sono in una fase avanzata. Una delle équipe è diretta da Raffaele Bastianelli che dell’Istituto è stato il fondatore e adesso ne è il direttore. Un altro episodio ha per teatro sempre il “Regina Elena”. Poche ore prima del bombardamento, il chirurgo Luisini visita un capitano di fanteria che era stato ricoverato nell’Istituto per la frattura della spalla sinistra sul fronte tunisino. Il medico comunica all’ufficiale che è guarito e può tornare al suo 40° reggimento della “Divisione Trieste”. Praticamente Luisini salva la vita all’ufficiale, Enzo Stimolo di 27 anni. Infatti l’ufficiale in attesa di avere dall’Istituto il foglio di dimissione, approfitta del tempo necessario per la stesura del documento, si reca alla stazione per acquistare il biglietto ferroviario per raggiungere il suo Corpo. Appena esce dal “Regina Elena” piovono le bombe.
Si saturano – scrive De Simone – rapidamente di feriti il Policlinico, il San Giovanni, l’ospedale militare del Celio, il San Giacomo, il San Camillo, il Santo Spirito, il Fatebenefratelli, il Cesare Battisti (l’altro ospedale militare in via Ramazzini a Monteverde). Si saturano le cliniche private. I feriti in condizioni meno gravi vengono trasportati negli ospedali di Frascati, Tivoli e Albano. Il primo ferito registrato è quello che viene trasportato alle 11,10 al San Giovanni. “Tavolieri Antonio – è scritto sul registro del pronto soccorso – anni 57, domiciliato ad Ardea, spappolamento arti inferiori ed escoriazioni alla faccia”.
Una testimone dell’abnegazione dei medici e del personale di assistenza è Letizia Zappelli, all’epoca infermiera volontaria della Croce Rossa al Celio. “Stavo all’Ospedale Militare – racconta dove c’era un reparto sempre pronto all’emergenza. Appena i feriti giungevano, li mandavamo, a seconda della gravità, in una delle cinque sale operatorie dirette dal colonnello medico Tarquini. Si dovevano passare in continuazione stracci imbevuti di acqua ossigenata per togliere il sangue ed impedire che coagulasse in terra”. In un documento inviato alle autorità dal dottor P. Santoli, colonnello medico dell’ospedale del Celio, è scritto che ” numerosi sono stati gli interventi demolitivi per spappolamento degli arti inferiori, numerose le laparatomie per lesioni addominali; più di uno gli interventi al cranio; complessivamente un centinaio gli interventi in cavità. Le camere operatorie hanno funzionato ininterrottamente fino a notte inoltrata, qualche chirurgo ha prestato la sua opera per più di dieci ore consecutive”. Per il grande contributo dato dai medici, il nuovo ministro della guerra del governo Badoglio, Sorice, ordina alla Direzione della Sanità Militare di inviare una lettera di compiacimento ai sanitari del Celio.
Roma è in ginocchio. Si contano i morti. Gli ospedali non reggono all’urto dei feriti. Alle 17,20 la Mercedes nera papale con il guidoncino bianco e giallo, esce dal portone su via Angelica. A bordo Pio XII accompagnato dal sostituto segretario di stato Mons. Montini. Il Papa raggiunge il quartiere di San Lorenzo e a piedi, circondato dalla folla, va la Basilica. Il Papa si fa largo fra la folla che grida “pace, pace…”. È la prima volta che Pio XII esce dal Vaticano dall’inizio della guerra. Ed è anche la prima personalità che giunge sul luogo del bombardamento. La folla continua a stringersi intorno al Pontefice che appare visibilmente commosso. Una moltitudine, fra cittadini e militari.
Ben altra accoglienza la gente di Roma riserva al sovrano Vittorio Emanuele III quando si reca in visita alle zone colpite. Grida ostili, addirittura “assassini…” La regina Elena visita i feriti, ma avverte un clima poco favorevole. Bene accolta invece dalla gente di San Lorenzo la principessa Maria José. Mussolini, che si trovava a Feltre in un incontro con Hitler mentre Roma viene bombardata, rientra a Roma in aereo nel tardo pomeriggio, ma rinvia al giorno successivo la visita ai luoghi colpiti dalle bombe alleate.
Ventiquattro giorni dopo Roma viene colpita di nuovo. Alle ore 11 in punto, tre minuti prima che nel primo bombardamento. È il venerdì 13 agosto 1943. Un’altra giornata limpida, azzurra, con il termometro che indica 31 gradi. Arrivano sul cielo di Roma 409 aerei decollati dalla Tunisia, dall’Algeria e da Pantelleria. L’incursione dura un’ora e mezza. Questa volta le Fortezze volanti volano su una Roma che “se dall’alto – scrive De Simone – sembra la stessa, nei Palazzi che contano è cambiata. Mussolini è in carcere, il suo regime è stato spazzato via, al Viminale, alla scrivania di capo del Governo, c’è il maresciallo Badoglio che già si sta attivando per raggiungere un’intesa con gli Alleati. Le bombe seminano morte e dolore. Quando suonano le sirene del “cessato allarme”, Pio XII dà disposizione di preparare la sua Mercedes nera e alle 12,45 è già per le vie di Roma fino a Piazza San Giovanni, Porta Maggiore, Via Taranto. La folla prega e grida “Pace, pace…”. Il giorno dopo, è il 14 agosto, a meno di 24 ore dal bombardamento, il governo Badoglio dichiara “Roma, città aperta”.
Fra tanto dolore, fra tanti episodi di eroismo, fra tante distruzioni, un episodio che fa sorridere, protagonista un chirurgo di cui un testimone del tempo, il già citato Orazio Pesce, medico traumatologo, studente di medicina all’epoca del bombardamento del 19 luglio, non vuol rivelare il nome.” Da quel giorno del bombardamento – racconta – un chirurgo emerito, professore di grande valore, Primario al Policlinico, ogni mattina alle 10,30, qualsiasi intervento stesse facendo, smetteva, posava i ferri, li dava all’Aiuto o ad un collega, saliva in macchina e se ne scappava a piazza San Pietro perché, diceva, lì stava al sicuro. Andava in un caffè di via della Conciliazione, prendeva un cappuccino seduto fuori del bar. Tanto gli americani vengono sempre alle 11, diceva. I colleghi lo sfottevano e lui rispondeva serio: e no, io alle 11 sto in piazza San Pietro, così mi salvo.
IL BOMBARDAMENTO DI S.LORENZOultima modifica: 2009-04-09T14:59:00+02:00da admin
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