La Tiroide

Nella pratica clinica quotidiana le disfunzioni della tiroide sono, per l’appunto, all’ordine del giorno. Pochi sono i pazienti che hanno i valori della tiroide nella norma. Il cattivo funzionamento di questa piccola grande ghiandola rappresenta un segnale da tenere in seria considerazione.

In questa sezione, pertanto, tratteremo di questo argomento, importantissimo, delicatissimo, di cui si parla troppo pur conoscendo poco e niente: parleremo della Tiroide, questa sconosciuta…. Sarà una storia bellissima, che vi permetterà di capire, finalmente, a cosa serve questo piccolo grande organo di cui in molti parlano, spesso con poca cognizione di causa.

La tiroide è una ghiandola dalla forma di una farfalla, che si trova alla base del collo. E questo, più o meno, lo sapevamo anche prima. Quello che invece non sapevamo, perché non ce ne parla mai nessuno, è che dietro la tiroide esistono 4 piccole ghiandoline, importantissime, che si chiamano Paratiroidi. Le paratiroidi sono così importanti tale per cui senza non si può vivere, mentre senza tiroide si può vivere eccome. E questo lo sanno bene tutte quelle persone che sono state tireoctomizzate, cioè quelle persone a cui è stata asportata chirurgicamente la tiroide.

Delle paratiroidi e della loro importanza capitale parleremo in un’altra sezione, dove tratteremo l’equilibrio del calcio.
Ed ora concentriamoci solo sulla tiroide, visto che le persone che assumono farmaci per la tiroide sono tantissime, sono in aumento, purtroppo, e questo, da solo, dà la dimensione del fenomeno.


La tiroide deve essere considerata il motore principale del metabolismo umano. E nonostante se ne parli tanto non è da molti anni che si hanno le idee chiare sul reale funzionamento di questa ghiandola così delicata.
Partiamo raccontando che la tiroide produce una molecola, dal nome complicato, che è a noi nota attraverso la sua sigla: il T4. Questa molecola, che contiene iodio, una volta prodotta dalla tiroide viene immessa nel circolo sanguigno e raggiunge i cosiddetti organi bersaglio. E cosa fa? Qual è la sua funzione? Quella di promuovere il lavoro cellulare, cioè di obbligare le cellule a consumare carburante (vedi il glucosio della sezione dedicata al diabete), a consumare ossigeno, e cioè in definitiva ad aumentare il metabolismo. E quindi a consumare l’energia introdotta con i cibi.


A questo punto avviene una cosa interessantissima che rappresenta il nodo cruciale, il passaggio più importante, determinante, che, se non viene capito chiaramente soprattutto da noi terapeuti, non saremo mai in grado di aiutare seriamente i nostri pazienti…. Quando il T4 raggiunge i cosiddetti organi bersaglio non è in grado, da solo, di attivare subito le cellule per promuovere il loro metabolismo. Ma, per fare questo, deve subire una trasformazione, cioè deve essere obbligatoriamente trasformato in una molecola che si chiama T3. Ecco quindi che il vero promotore del metabolismo delle nostre cellule è il T3. E qui, come si suol dire, casca l’asino. E non casca in piedi…. Perchè? Perché il nostro T4, per trasformarsi e diventare T3, ha bisogno di una molecolina che, purtroppo, è facilmente inattivata, ostacolata, bloccata da una serie di elementi che provengono sia dal cibo che da farmaci molto comuni. Vediamoli:

– Integratori a base di ferro o integratori di vitamine contenenti ferro (…chi l’avrebbe detto?)
– Integratori a base di calcio (anche qui, chi l’avrebbe detto?)
– Farina di semi di soia (non vale per tutti, ma per alcune persone sì)
– Idrossido di alluminio (o allumina), contenuto in farmaci antiacido, usati comunemente per lo stomaco
– Sucralfato, si trova nei farmaci per l’ulcera dello stomaco nonché inibitore della pepsina, il cui eccesso causa ulcere
– Alcuni composti per la riduzione del
colesterolo

E adesso passiamo ai cibi:
–    semi di rapa
–    cavolo
–    cavolini di Bruxelles
–    broccoli
–    cavolfiori
–    patate dolci
–    maizena
–    fagioli di lima
–    soia e miglio perlato.

Sebbene cuocere questi alimenti riduca l’efficacia dei composti, è sempre consigliabile evitarli.
E così, si torna a parlare di cibo

Fino ad ora abbiamo detto della tiroide cose importantissime, ma non è finita qui. Perché detta così, a patto che non ci sia nessun elemento di ostacolo alla trasformazione del nostro povero T4, detta così, appunto, sembra che la nostra tiroide abbia autonomia decisionale, cioè decida lei quanto T4 produrre, come, quando e perché. Non esiste proprio, la nostra cara tiroide non decide proprio niente. Anzi, è un esecutore. Risponde a dei comandi ben precisi e si attiene scrupolosamente a degli ordini. Impartiti da chi? Da una piccolissima parte del nostro cervello che, con grande rigore, invia ordini molto chiari alla tiroide. E questi ordini precisi e perentori si chiamano TSH. Sigla che tutti conosciamo…..E qui il quadro inizia a delinearsi: E qui chiamiamo in causa tutti gli ipotiroidei.


Si dice che quando il TSH è alto siamo in presenza di ipotiroidismo, cioè di una bassa o scarsa funzionalità tiroidea. E allora, immaginiamo lo scenario:
1— il nostro povero T4, fresco di produzione, va presso le cellule bersaglio ma nessuno lo trasforma in T3
2— gli organi e le cellule bersaglio sentono che non c’è il T3 e mandano segnali al cervello molto precisi: gli dicono che qui manca il T3!!!!
3— Il cervello ne prende atto e cosa fa? Invia una valanga di TSH alla tiroide..
4— La tiroide, che si vede arrivare questa quintalata di TSH cosa fa? Il suo dovere di esecutore: si dà una mossa, accelera più che può la sua attività (e mentre accelera fa qualche bel nodulo) e produce un sacco di T4!
5— Che viene immesso nel circolo sanguigno, che raggiunge gli organi bersaglio e, ancora una volta, non c’è nessuno che se lo fila….cioè non c’è nessuno che lo trasforma in T3.

Adesso avete tutti gli elementi a disposizione per capire che la nostra povera tiroide centra poco con l’ipotiroidismo, purtroppo. Ed anche ammesso di somministrare un farmaco contenente il T4 sintetico non si ottiene granchè se poi nessuno lo trasformerà in T3 (se il difetto è questo citato, naturalmente) e quindi la terapia non ha né successo né significato.

Qui l’unica soluzione è il cambio radicale dello stile di vita a partire dal cibo. Solo se si parte da questo punto fondamentale si raggiunge lo stato di equilibrio.


Arrivati a questo punto si pensa, ragionevolmente, di avere esaurito l’argomento…..e invece no, magari avessimo solo questo piccolo meccanismo inceppato.

Ce n’è anche un altro….che riguarda in paticolare le donne. Più precisamente le donne che assumono estrogeni, che prendono la pillola, tanto per intenderci. Questo vale sia per la pillola anticoncezionale propriamente detta che per gli ormoni che si assumono per la “gestione” della menopausa (cerotti vari). Per non parlare delle spirali a rilascio ormonale.
Comunque, che siano spirali, che siano cerotti, che siano pillole per tutti vale una sola regola: gli estrogeni entrano in competizione con il T4. Cosa vuol dire? Che gli estrogeni assumono una forma molecolare del tutto uguale al T4. Che vengono scambiati per T4. Entrano, per così dire in termini tecnici, in competizione con il T4. E quindi? E quindi le nostre molecoline trasformatrici, quelle che si recano dal T4 per trasformarlo in T3, invece che andare, appunto, dal T4 vanno dagli estrogeni. Peccato che gli estrogeni non siano trasformarmabili in T3.


E a questo punto uno dice: ma sarà finito questo elenco di condizioni avverse….macchè, ce n’è un altro: che riguarda le donne ipotiroidee che non assumono estrogeni sintetici. Anche gli estrogeni endogeni, quelli nostri naturali possono entrare in competizione con il T4. Quando, perché? Quando sono prodotti in eccesso. Quando capita questo? Quando c’è un nodulo al seno, quando c’è un ovaio policistico, quando c’è un fibroma in utero.

Ecco ora avete a disposizione molti strumenti per capire che un valore di TSH alto ha molteplici origini. Che bisogna osservare con attenzione tutte le dinamiche del paziente e capire, attraverso diverse indagini approfondite, che cosa sta succedendo nel suo organismo.

Chirurgia della tiroide

Ruolo della chirurgia

La chirurgia viene impiegata con finalità:

  • diagnostica: nei casi in cui gli esami preoperatori non consentono di escludere con certezza un tumore maligno.
  • profilattica: quando esiste una familiarità per carcinoma midollare, confermata con l’analisi genetica (mutazione del protoncogene RET).
  • terapeutica: in caso di tumore, di tiroidi voluminose (gozzi), e ipertiroidismi non passibili di trattamenti medici.

Malattie che richiedono un trattamento chirurgico

Tumori maligni della tiroide

Predisposizione genetica al tumore

  • Mutazione protoncogene RET

Diagnosi incerta

Gozzo

  • diffuso (M. di Basedow)
  • nodulare (tumori maligni, noduli solitari, cisti, proliferazioni follicolari)
  • multinodulare

Ipertiroidismo

L’anestesia

L’anestesia può essere:

  • generale: il paziente viene addormentato, respira attraverso un tubo endotracheale
  • locale: il paziente rimane sveglio. L’anestetico locale viene utilizzato per bloccare i nervi del plesso cervicale superficiale e per infiltrare i piani di dissezione.

Cenni di anatomia

Per approfondire, vedi la voce Tiroide.

La tiroide è costituita da due lobi a forma di pera uniti da un istmo (dal quale può distaccarsi il lobo piramidale, noto anche come “piramide di Lalouette” o “appendice di Morgagni”). Si trova alla base del collo, “avvolta” attorno alle vie respiratorie (trachea e laringe). Alla faccia posteriore della tiroide sono attaccate le ghiandole paratiroidi e i nervi laringei inferiori o ricorrenti.

Interventi chirurgici

La chirurgia della tiroide comprende essenzialmente due tipi di intervento:

L’enucleazione intracapsulare della tiroide, infatti, è da considerarsi un intervento obsoleto.

L’asportazione può essere:

  • Totale: completa, senza lasciare un residuo di tessuto tiroideo
  • Subtotale: incompleta, lasciando un residuo. Questo residuo viene lasciato dal chirurgo per tenersi alla larga dal nervo laringeo inferiore o ricorrente, onde evitare danni alla voce.

L’approccio chirurgico può essere:

  • tradizionale: attraverso un ampio taglio alla base del collo.
  • mininvasivo: dal 1998 gli interventi di emitiroidectomia e di tiroidectomia possono essere eseguiti anche con tecniche endoscopiche, la più affermata delle quali è la Tiroidectomia videoassistita o MIVAT (Mini-Invasive Video Assisted Thyroidectomy che significa tiroidectomia mini-invasiva video-assistita) attualmente eseguita da pochi centri specializzati.

Tiroidectomia

La tiroidectomia è l’intervento chirurgico per l’asportazione della tiroide in maniera completa (totale) o incompleta (subtotale) specificando il lato in cui viene lasciato un residuo tiroideo. Questo intervento viene eseguito comunemente per gozzo multinodulare, tumore della tiroide, e ipertiroidismo (malattia di Graves-Basedow nei casi non passibili di terapia radiometabolica, struma basedowizzato). La tecnica chirurgica prevede una incisione cutanea alla base del collo in sede anteriore, generalmente praticata due dita sopra la fossetta del giugulo (“cervicotomia a collare secondo Kocher”). Si procede quindi alla preparazione e alla sospensione del lembo muscolocutaneo superiore, alla sezione del rafe mediano, divaricazione dei muscoli pre-tiroidei, esposizione e dissezione extracapsulare della tiroide con interruzione dei peduncoli vascolari (che possono venire sezionati tra legature o clips metalliche, o coagulati con apparecchi emostatici) e preservazione della ghiandole paratiroidi (generalmente due per lato) e dei nervi laringei inferiori o ricorrenti (uno per lato). L’intervento si conclude con la ricostruzione del piano muscolare (muscolo sternoioideo e sternotiroideo) e con la sutura del muscolo platisma unitamente al piano sottocutaneo, e della cute. A seconda dei casi vengono posizionati uno o due drenaggi talora in aspirazione, lateralmente o inferiormente alla ferita, per facilitare l’accollamento dei piani e per rimuovere eventuali secrezioni sierose ed ematiche nelle logge. Il drenaggio abitualmente si rimuove dopo 48 ore. Vi sono tuttavia condizioni patologiche per cui si rende necessario allargare il campo operatorio con una sternotomia mediana. Tali situazioni sono principalmente rappresentate da gozzi cosiddetti “immersi” (ampiamente estesi al di sotto dello stretto toracico superiore), con impossibilità di lussazione esterna dei lobi per via unicamente cervicotomica. Inoltre, la sternotomia è indicata anche per un tentativo di radicalità oncologica, quando possibile, in casi di neoplasie nel contesto del gozzo immerso che infiltrano le strutture mediastiniche.

Complicanze della tiroidectomia totale:

  • L’emorragia: il sangue si può raccogliere nel collo e comprimere le vie respiratorie. In tal caso la ferita va riaperta immediatamente, e il paziente va rioperato immediatamente. Raramente vi sono perdite di entità tale da richiedere una trasfusione di sangue.
  • L’ipoparatiroidismo: consiste nella scarsa funzionalità delle ghiandole paratiroidi, deputate a mantenere un adeguato livello di calcio nel sangue. Dopo tiroidectomia l’ipoparatiroidismo si verifica molto frequentemente in quanto le ghiandole paratiroidi condividono gli stessi vasi che nutrono la tiroide e che vengono sezionati per asportarla. In genere, dopo l’intervento, vengono fatti dei prelievi di sangue per misurare la calcemia e/o il calcio ionizzato in modo da prevenirla con un’adeguata profilassi a base di Calcio e vitamina D. L’ipoparatiroidismo di manifesta con dei formicolii alle dita delle mani o attorno alla bocca (in gergo tecnico chiamate “parestesie”) e solo eccezionalmente con tetania paratireopriva.
  • L’ipotiroidismo
  • La lesione di uno o di entrambi i nervi laringei inferiori o ricorrenti
  • La lesione di uno o di entrambi i nervi laringei superiori
  • Pneumotorace: complicanza molto rara, talora osservata in caso di lesione della cupola pleurica in corso di asportazione di voluminosi gozzi cosiddetti “immersi”, ossia estesi al di sotto dello stretto toracico superiore. Spesso di lieve entità, raramente necessita di posizionamento di tubo di drenaggio toracico. Può essere accompagnato a pneumomediastino e/o ad enfisema sottocutaneo.
  • Lesioni tracheali: complicanze anch’esse di raro riscontro. Possono prodursi durante la manovra di scollamento della ghiandola dal sottostante piano tracheale anteriore, nel corso della sezione del legamento sospensore della tiroide o legamento di Berry. Tali lesioni risultano relativamente più frequenti in pazienti con condizioni patologiche pre-esistenti, quali la tracheomalacia, o in caso di scollamento di tumori tiroidei infiltranti il piano tracheale. Può riscontrarsi inoltre, in seguito ad una eccessiva diatermocoagulazione in prossimità o a livello del piano tracheale (per inesperienza del chirurgo o per cospicuo sanguinamento intra-operatorio – es. nella malattia di Basedow); tali manovre possono infatti danneggiare la vascolarizzazione degli strati dell’organo, comportando necrosi su base ischemica.
  • Lesioni del dotto toracico: anche questa infrequente complicanza può essere osservata in seguito all’asportazione di gozzi endotoracici e/o linfoadenectomie allargate, generalmente per lesione del dotto al suo sbocco nella vena succlavia di sinistra.
  • Crisi tireotossiche: le manovre di trazione e spremitura della ghiandola nel corso dell’intervento chirurgico possono provocare un’aumentata immissione in circolo degli ormoni tiroidei; sono più facilmente riscontrabili in patologie da iperfunzione tiroidea (malattia di Basedow) e si manifestano tipicamente con tachicardia, sudorazione, agitazione psicomotoria, tremori diffusi di vario grado fino, raramente, allo scompenso cardiaco acuto (specie in individui con pre-esistente malattia cardiaca di base). La sintomatologia si protrae generalmente per pochi giorni dall’intervento, fino ad esaurirsi spontaneamente; crisi tireotossiche importanti vanno tuttavia trattate con farmaci quali metimazolo e beta-bloccanti. Uno stratagemma per prevenire la loro comparsa è la somministrazione di gocce di soluzione di Lugol nei giorni precedenti la tiroidectomia. Tale composto, oltre ad inibire l’increzione di ormoni tiroidei, conferisce una maggiore compattezza al parenchima ghiandolare (che nella malattia di Basedow è generalmente più friabile ed ipervascolarizzato) e ne riduce la vascolarizzazione, in modo da facilitare le manovre chirurgiche e diminuire il sanguinamento intraoperatorio.

Emitiroidectomia

Complicazioni:

  • L’emorragia
  • L’ipotiroidismo: l’emitiroide lasciata può essere incapace di produrre ormoni tiroidei in quantità adeguate.
  • La lesione del nervo laringeo inferiore o ricorrente dal lato operato
  • La lesione del nervo laringeo superiore.

Collegamenti esterni

Tiroide

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.


Le informazioni qui riportate hanno solo un fine illustrativo: non sono riferibili né a prescrizioni né a consigli medici – Leggi le avvertenze

La tiroide (Schilddrüse) nell’uomo e il suo drenaggio venoso

La tiroide (tedesco: Schilddrüse; inglese: thyroid gland; francese: glande thyroide) è una ghiandola endocrina di grandi dimensioni, l’unica di tipo follicolare (costituita cioè da tanti “palloncini” pieni di colloide). Produce un ormone fondamentale allo sviluppo e al metabolismo corporeo.

Indice

Anatomia

È formata da due lobi piriformi, destro e sinistro, uniti da una ristretta parte trasversale che prende il nome di istmo da cui si può dipartire (30-50% dei casi) un prolungamento parenchimale detto processo piramidale, che si staglia in alto spostato verso sinistra e che può raggiungere l’osso ioide. L’organo ha colorito rosso bruno, superficie liscia, consistenza molle e misure di 7 cm di larghezza, 3 di altezza e 0,5-2 cm di spessore circa, mentre il peso medio è di 20 g anche se si presenta minore nel bambino (2 g) e maggiore nella donna incinta. La tiroide rappresenta il centro di riserva dello iodio, fondamentale per la sintesi degli ormoni tiroidei.

Topografia [modifica]

La tiroide è situata nella regione ventrale (anteriore) del collo, all’altezza dell’unione del suo terzo inferiore con i due terzi superiori. Per arrivare alla tiroide bisogna attraversare:

  • Cute, sottocute (la pelle) e il muscolo platisma (un muscolo pellicciaio di scarsa importanza nell’uomo, ma che nel cavallo fa fremere la pelle).
  • Un piano muscolo-tendineo che comprende la fascia cervicale superficiale e media e i muscoli sterno-ioidei e tiro-ioidei.

Posteriormente la tiroide è attaccata saldamente al condotto laringo-tracheale di cui segue tutti i movimenti (si solleva durante la deglutizione) e più dorsalmente (posteriormente) abbraccia lateralmente l’esofago ed è in contatto con il fascio vascolo-nervoso del collo (arteria carotide comune, vena giugulare interna, nervo vago).

La tiroide è avvolta, oltre che dalla capsula fibrosa propria, anche dalla guaina peratiroidea, dipendente dalle fasce del collo, che la fissa alle cartilagini di trachea e laringe mediante i legamenti mediano (tiroide e cricoide), laterali interni (anelli tracheali) e laterali esterni (fascia nervovascolare del collo). Tra questa guaina e la capsula propria è presente uno spazio, occupato da numerose formazioni vascolari, che prende il nome di spazio pericoloso a causa della facilità con cui si verificano emorragie durante gli interventi chirurgici. Anteriormente la tiroide è in rapporto con i muscoli sottoioidei e con la fascia cervicale media tesa tra i due muscoli omoioidei, lateralmente con i muscoli sternocleidomastoidei e con il fascio vascolonervoso del collo e posteriormente con il condotto laringotracheale, che segue durante i suoi movimenti la porzione laringea della faringe e le paratiroidi. Riceve le arterie tiroidee superiori (rami delle carotidi esterne) e tiroidee inferiori (rami del tronco tireocervicale delle succlavie); le vene formano un ricco plesso nello spazio peritiroideo che drena per mezzo della vena tiroidea superiore alla giugulare interna e per mezzo della inferiore al tronco brachiocefalico. I vasi linfatici formano una rete perifollicolare che drenano a quelli della capsula, tributari dei linfonodi della catena giugulare interna, ai paratracheali ed ai pretracheali.

Embriologia

La tiroide deriva dall’intestino branchiale, quella parte dell’embrione che dà origine anche all’apparato digerente. Inizia come un abbozzo cavo della radice della lingua (dove nell’adulto permane una struttura obliterata chiamata forame cieco), che migra poi in senso caudale fino alla cartilagine tiroide del laringe, dove si impianta. Durante questa migrazione, viene formata una struttura cava, il dotto tireoglosso, che viene progressivamente riempita fino a scomparire completamente alla fine del quarto mese. In alcuni individui, il dotto tireoglosso può rimanere pervio anche in età adulta, contenendo isole di tessuto tiroideo che vanno incontro a cisti.

Fisiologia

Gli ormoni da essa prodotti sotto stimolo ipofisario, composti iodati derivanti dalla tirosina, come la tetraiodotironina o T4 e la triiodotironina o T3, agiscono sul metabolismo cellulare e sui relativi processi di accrescimento; una scarsa secrezione di questi ormoni nell’infanzia (ipotiroidismo), può portare a un mancato sviluppo del sistema nervoso (cretinismo tiroideo).

Nella tiroide sono poi presenti alcune cellule, le cellule C di derivazione neuroectodermica, deputate alla produzione di calcitonina che agisce sul ricambio del calcio assieme al paratormone e alla vitamina D.

Riferimenti funzionali

La tiroide rappresenta l’unico caso di ghiandola endocrina che possiede la capacità di accumulare il secreto, prima che esso venga riversato nel torrente circolatorio, in sede extracellulare in quanto gli ormoni, legati ad una glicoproteina iodata (tireoglobulina), si accumulano nel lume follicolare sotto forma di colloide. Nella parete follicolare si evidenziano due popolazioni cellulari:le cellule parafollicolari o cellule C e le cellule follicolari o tireociti. Queste due popolazioni cellulari hanno una diversa origine embriologica: solo le cellule follicolari, più numerose, originano propriamente dall’abbozzo tiroideo che deriva da un’introflessione della mucosa del faringe primitivo (tasca di Ratke) alla base della lingua; le cellule parafollicolari migrano invece successivamente nella tiroide provenendo dai corpi ultimobranchiali, abbozzi embrionari dei quali nei mammiferi non resta traccia, e vengono considerati parte del sistema endocrino diffuso denominato APUD (Amine Precursor Uptake and Decarbossilation). Gli ormoni prodotti dalle cellule follicolari o tireociti sono due dipeptidi iodati: la tiroxina (T4) prodotta in maggior quantità e la triiodotironina (T3). Entrambe sono sotto il controllo dell’ormone ipofisario TSH.

Gli ormoni hanno un effetto generalmente eccitatorio sul metabolismo basale: aumentano il consumo di ossigeno da parte dei tessuti, stimolando la produzione endogena di calore; stimolano la sintesi proteica, la gluconeogenesi, la glicogenolisi e il catabolismo dei lipidi; hanno un effetto inotropo e cronotropo positivo sul miocardio, migliorandone la sensibilità alle catecolamine. Nell’età fetale e nella prima infanzia, hanno un importantissimo ruolo nel differenziamento e nella crescita del sistema nervoso, e un loro deficit dovuto ad una condizione di ipotiroidismo produce una condizione detta cretinismo caratterizzata da incompleto sviluppo del SNC e da ritardo mentale. La calcitonina, prodotta dalle cellule parafollicolari C, regola il metabolismo del calcio agendo in modo antagonista al paratormone secreto dalle ghiandole paratiroidi. Nei mammiferi l’effetto della calcitonina sul metabolismo del calcio è decisamente marginale, per cui se ne ipotizzano altri possibili azioni, come quella di neuromodulatore.

Cenni Storici

Recenti ricerche evidenziano un notevole interesse per i disordini tiroidei già presso la Scuola Medica Salernitana di epoca medievale (XII sec.). Nell’articolo “The Thyroidology in the medieval Medical School of Salerno” del prof. Maurizio Bifulco e del dr.Mathews Cooltard (Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Salerno), pubblicato dalla rivista scientifica “Thyroid”[1], si evidenzia come già Rogerio Salernitano, il maestro chirurgo salernitano autore del “Post mundi fabricam” (1180 circa), che era considerato al tempo in tutta Europa il trattato di chirurgia per eccellenza, descrivesse alcune cure per il gozzo nel capitolo “De bocio” del trattato stesso. L’articolo evidenzia l’intuitività e l’efficacia di questi trattamenti che, sebbene basati solo su evidenze assolutamente empiriche correttamente interpretate, costituiscono ancora oggi il fondamento delle attuali terapie antigozzigene.