40 anni senza Sergio Ramelli

Il 29 aprile cade il quarantesimo anniversario della morte di Sergio Ramelli,  militante del Fronte della Gioventù milanese assassinato a diciannove anni da un gruppo di attivisti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia operaia. Ramelli fu aggredito il 13 marzo 1975, in via Paladini, a Milano, e morì dopo 48 giorni di agonia. A quaranta anni di distanza la sua fine, spietata e straniante, è l’emblema di una stagione di ferocia ideologica, i cui postumi si risentono tutt’ora.

 

sergio_ramelli_presente1Quante cose ti racconterei, se ti avessi di fronte a me, caro Sergio. Pensa che te ne sei andato giusto un anno prima che io arrivassi, eppure la tua presenza è stata tra le poche, pochissime, capaci di dare un senso al mio percorso di ragazzo che passo dopo passo si è fatto uomo e padre. Tutto cominciò un giorno come tanti, quando mi capitò tra le mani il libro che racconta la tua storia, che non definisco triste perché ad essere tristi sono le esistenze di quelle anime fatte di aria viziata che ti hanno rubato il futuro in nome di un’ideologia sepolta dal passato.

No, la tua è storia di semplicità e coraggio, quella di un ragazzo apparentemente come tanti che ha difeso come pochi la scelta di non omologarsi al pensiero unico non nascondendo il proprio, pur nella consapevolezza che rifiutando il comodo rifugio dell’ignavia avrebbe esposto se stesso alle gelide intemperie di un clima in cui soffiava forte, il vento dell’odio.

Tu facevi loro paura, caro Sergio, perché avevi un volto troppo pulito, modi troppo gentili e financo capelli troppo lunghi per poterti permettere il lusso di stare dalla parte di quelli che loro consideravano alla stregua del nemico da abbattere. Loro ti odiavano perché non hanno potuto amarti, caro Sergio, accecati com’erano dall’esigenza morbosa di affermare e dimostrare la loro presunta superiorità, hanno visto in te e nella tua scelta una sorta di affronto antropologico. Meglio morto che fascista, devono aver pensato, in quelle loro menti atrofizzate dal continuo fluttuare nella bile.

Trovai più risposte nello sguardo umido e affettuoso di tua Mamma che non in mille e mille parole spesso e volentieri di circostanza, e mettendo piede nella tua stanza compresi, forse per la prima volta in vita mia, che la presenza di una persona non è necessariamente sinonimo di corpo, ma essenzialmente di spirito.

Un giorno racconterò a mia figlia che molte delle mie azioni le ho compiute seguendo il tuo esempio, e che alcune delle mie relazioni più importanti sono nate e cresciute all’ombra del tuo nome. Le parlerò di un giovane ragazzo con un coraggio da leone, la cui storia non reclama compassione o pietà, ma che va raccontata e tramandata perché sa di libertà.

fonte

Gli uomini di coraggio muoiano, uccisi dai vili.

1544966_502130976573104_1774324492_nIeri 24 dicembre tutte le mamme dopo un lungo girovagare fra negozi alimentari,di vestiti e giocattoli si stavano preparando a stare in cucina per preparare la cena di vigilia di Natale,tutte tranne una.
Forse sapeva che dove andava non ci sarebbe stato bisogno di beni materiali come il mangiare o come qualche pacchetto da aprire sotto l’albero e che sarebbe stato l’ultimo Natale terreno ma il primo di un Natale di resurrezione abbracciando suo figlio Sergio.
Li sicuramente non ci saranno persone che lo attaccarono vigliaccamente, sotto casa armati da chiavi inglesi e difesi da uno stato e giustizia impotenti e complici,sotto casa mentre te dalla finestra vedevi tutto impotente e senza poter difendere il figlio che dopo un lungo martirio in ospedale spirò,era il 1975.
Finalmente stanotte sei tornata a festeggiare il Santo Natale con tuo figlio Sergio che ti stava aspettando ancora con la gioia nel viso,come normalmente ha un ragazzo che aveva tutto da sognare,tutto da fare e come unica colpa quello di voler cambiare il mondo.
Buon Natale Anita,Buon Natale Sergio

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13 marzo: per non dimenticare l’aggressione a Sergio Ramelli

Il 13 marzo 1975, a Milano, Sergio Ramelli veniva preso a sprangate sotto casa sua.
Dopo aver parcheggiato il motorino all’angolo tra via Amadeo, dove abitava al civico 40, e via Paladini, è stato aggredito da un gruppo di 8 extraparlamentari di sinistra che lo stava aspettando con chiavi inglesi, le famigerate Hazet 36 che all’epoca andavano di moda come strumento di punizione per i “giovani fascisti”. Soltanto due di loro, Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo, hanno colpito Sergio, gli altri facevano da palo. Gli aggressori erano studenti di medicina facenti parte del cosiddetto servizio d’ordine di Avanguardia operaia. Non conoscevano Sergio, avevano solo desiderio di mettersi in mostra e ben figurare al cospetto degli altri servizi d’ordine della realtà antagonista milanese.
E’ stato un delitto su commissione. Sì, un delitto, perché Sergio, rimasto in coma, non ce l’ha fatta: il 29 aprile, 40 giorni dopo, è morto in ospedale.
Aveva appena 18 anni.
Una storia che oggi sembra incredibile. Nella Milano di allora, ma non solo a Milano -anche, e soprattutto, a Roma- era invece usanza comune e quasi accettata. Era la Milano in cui “uccidere un fascista non è reato”, come cantavano gli antifascisti di quegli anni.
Semmai, è incredibile che l’omicidio sia stato soltanto uno, dato che le aggressioni erano all’ordine del giorno: Peter Walker, Carlo Viaggiano, Carlo Piancastelli, Sergio Frittoli, Giuseppe Costanzo, Benito Bollati, Rinaldo Guffanti, Rodolfo Mersi, Francesco Moratti, Cesare Biglia, Pietro Pizzorni, sono solo alcuni dei nomi di “fascisti” aggrediti con le spranghe tra il 1973 e il 1975, tutti finiti all’ospedale in prognosi riservata o addirittura in coma.
In quella Milano, il Consiglio comunale, sindaco compreso, ha accolto la notizia della morte di Sergio con un applauso. Alcuni professori dell’Istituto Molinari, scuola frequentata ed abbandonata da Sergio a causa delle continue minacce ed aggressioni, hanno commentato: “Che importa, dunque, se costui era un fascista?”.
In quella Milano, si faticava a trovare un prete disposto a celebrare il funerale di un “giovane fascista”. Oggi non è più così. Ma la storia di Sergio Ramelli è da ricordare e fa ancora paura. Fa paura che ancora oggi molti intellettuali giustifichino lo squadrismo di sinistra di quegli anni, o che si racconti la menzogna che Sergio Ramelli fosse un picchiatore fascista. Non è vero: come dimostrano gli atti processuali non aveva mai partecipato a risse. E si era iscritto al Msi semplicemente perché disgustato dai soprusi degli autonomi all’interno del suo istituto: come quel giorno in cui Sergio stesso ha scritto un tema contro le Brigate Rosse ed è stato messo alla gogna e preso di mira da studenti e persino professori. Quel tema è stata la vera causa scatenante la persecuzione. Un paradosso.
Uno degli aggressori, Antonio Belpiede, ha fatto carriera ed è diventato recentemente primario a Canosa, in Puglia. A Milano esiste una scuola intitolata a Claudio Varalli, una vittima di sinistra che più che vittima è stato aggressore, mentre il nome di Sergio risulta ancora scomodo per molti, troppi.
Ma ciò che fa più paura è che ancora oggi esistano autonomi di sinistra che si ispirano agli “idraulici” (venivano chiamati così proprio per le chiavi inglesi che utilizzavano nelle spedizioni punitive) della Milano degli anni ’70.

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