I rifiuti uccidono come l’Ilva: boom di tumori in Campania

NAPOLI – In Italia si muore per i veleni delle industrie, in Campania per quelli dei rifiuti. Lo spiegano gli scienziati che hanno seguito il progetto Sentieri, finanziato dal ministero della Salute, e hanno preparato il rapporto su 44 dei 57 Sin (Siti di interesse nazionale) da bonificare.

Lo stesso rapporto che ha portato all’inchiesta della magistratura sull’Ilva di Taranto e alla chiusura di alcuni reparti. In Campania sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento solo 2 dei 5 sin presenti sul territorio. Dallo studio è restata esclusa, ad esempio l’area di Bagnoli. In tutto sono stati esaminati 88 Comuni nei quali abitano 776.544 persone, quasi un sesto della popolazione della Regione (5.834.056). 

In tutti e due i siti studiati, quello delle aree del litorale vesuviano (11 Comuni con 462.322 abitanti) e quello Litorale Domizio Flegreo e agro aversano (77 comuni con 141.793 abitanti) si registra un eccesso rispetto al paramentro medio di riferimento, per la mortalità generale, per tutti i tipi di tumore, per quelle dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, dell’apparato genitourinario. Fatta base cento, gli sforamenti più significativi si registrano nel vesuviano per le malattie dell’apparato genitourinario (uomini 109, donne 128) e nella seconda area per l’apparato digerente (114 per uomini e donne). 

E, in riferimento all’area del litorale Vesuviano, si legge nel rapporto: «in singoli comuni sono stati osservati eccessi della mortalità per il tumore del polmone, dello stomaco e della vescica per gli uomini e del tumore del fegato per entrambi i generi». E anche nella zona Domizia si notano patologie in eccesso anche al di là di quelle misurate dallo studio Sentieri e richiamate nel rapporto. 

Si legge, infatti: per alcuni Comuni del Sin si notano «eccessi di mortalità per tumore epatico, della pleura, della laringe e per malattie circolatorie». I dati si riferiscono al periodo tra il 1995 e il 2002, ma, a quanto pare, la progressione continua: in Campania, diversamente da quanto si verifica anche nell’area Italsider di Taranto, ci si ammala sempre di più, come conferma anche la ricerca del 2006 ordinata dall’istituto superiore della Sanità. 

Non solo: nella tragedia dell’Italsider sono coinvolti 216.618 abitanti, meno di un terzo di quelli interessati nella nostra regione. La tragedia della Campania ha due origini: la presenza di amianto in alcuni siti industriali e gli sversamenti dei rifiuti tossici. Il primo dato viene confermato anche da un procedimento in corso: quello contro i vertici dell’ex Alfasud dove negli ultimi cinque anni si è notata la morte per mesotelioma (il tumore provocato dall’amianto) di dieci lavoratori. 

E nelle considerazioni conclusive per entrambi i siti campani i relatori sottolineano che le aree sono caratterizzate oltre che da numerose discariche, anche dalla presenza di siti di smaltimento illegale e di combustione dei rifiuti sia urbani sia pericolosi. Gli scienziati per entrambe le zone raccomandano studi per la valutazione dell’inquinamento ambientale presente nell’area. E raccomandano di prevedere «percorsi di comunicazione con gli stakeholder, compreso l’associazionismo presente sul territorio». Ma, nonostante il continuo peggioramento della situazione, ancora nulla è stato fatto. 

Eppure, scorrendo l’elenco dei siti altamente inquinati esaminati nello studio, ricorrono i nomi di tutte le aziende che hanno sversato per anni rifiuti tossici nel cosiddetto triangolo della morte, quello che comprende l’area a nord di Napoli e a Sud di Caserta, come ha raccontato il pentito Gaetano Vassallo. Un’altra conferma dello scempio è arrivata dalla relazione del perito Giovanni Balestri sulla Resit di Giugliano. 

Il geologo ha sottolineato che il deposito di veleni di ogni tipo nella discarica non a norma provocherà entro il 2064, in assenza di interventi efficaci, un vero e proprio disastro industriale. In Campania attraverso i rifiuti le imprese del Nord hanno esportato la morte.

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Consumismo addio: arrivano i materiali che si auto-riparano

Dalla nuova plastica che si ripara come fosse pongo, alla carrozzeria che con luce ultravioletta si scioglie e cancella i graffi, le nuove frontiere della scienza dei materiali che alleggeriranno il Pianeta dai rifiuti.

vetro rotto
UN PROBLEMA DA RISOLVERE 

rifiuti EuropaRifiuti: 558 kg a testa entro 2020, grave danno per il clima

L’Ue deve correre ai ripari, la montagna di scarti prodotta dai cittadini europei è una pericolosa fonte di gas serra. Una corretta gestione vedrebbe l’abbattimento delle emissioni e la produzione di energia.

RESPONSABILITÀ DEI NEGOZIANTI 

rifiuti elettroniciRifiuti elettronici: raccolta e riciclo responsabilità dei negozianti

Con la nuova direttiva Ue la raccolta dovrà arrivare all’85% del totale prodotto e il riciclo al 75%. La responsabilità del raggiungimento degli obiettivi sarà di negozianti, consumatori e produttori.

UN ESEMPIO VIRTUOSO 

starbucks mug 280Starbucks e il riciclo delle tazze d’asporto

L’impatto ambientale sta diventando una priorità per la multinazionale del caffè, ma attenzione all’intera filiera, coltivatori inclusi.

Materiali di ultima generazione: super resistenti e in grado di ripararsi da soli, in poche parole duri a morire. Un vero impegno mandarli in discarica, dunque, per la gioia del Pianeta – ormai schiacciato da montagne di rifiuti.

Si tratta di nuovi composti che la scienza ha messo a punto, talvolta ispirandosi a caratteristiche osservate in natura o addirittura copiando i meccanismi di autorigenerazione del corpo umano, altre volte con la chimica in un laboratorio, permigliorare le performances sia di oggetti di uso comune che di attrezzature specializzate.

I risultati sono sorprendenti e le applicazioni davvero tantissime: dal settore biomedico ai gadget tecnologici, passando per l’industria automobilistica e l’arredamento. Una vera rivoluzione a ben pensarci, che potrebbe ridurre in maniera significativa i consumi e il nostro impatto sull’ambiente.

Repubblica.it  ha effettuato un viaggio tra queste novità, che di seguito vi presentiamo. Per quanto riguarda le montature degli occhiali, i giocattoli, ma anche i telai e gli involucri protettivi per qualunque tipo di oggetto – dai computer portatili agli smartphone – arriva dall’Olanda un nuovo tipo di plastica, il “Super B”. Questo materiale, grazie a un sapiente gioco di legami a idrogeno tra le molecole, è in grado di ripararsi da solo quando si rompe o viene tagliato. Basta rimettere insieme le parti e maneggiarle un po’, proprio come si farebbe con un pezzetto d’argilla o di pongo, e il gioco è fatto.

Per la carrozzeria dell’auto, studiosi svizzeri e statunitensi all’opera insieme hanno proposto un polimero che – esposto a luce ultravioletta – si trasforma in liquido, riuscendo così a riempire i solchi e i segni di abrasione. Una volta spenta la luce, però, dopo neanche un minuto, il polimero diventa di nuovo solido e liscio, senza alcuna imperfezione.

Un’altra novità arriva dalla Germania, dove i ricercatori hanno messo a punto un materiale il cui stato può essere cambiato da rigido a malleabile. Basta utilizzare un impulso elettrico e la rigidità può essere regolata sfruttando i cambiamenti della forza del legame metallico.

Prendendo a modello una pianta carnivora (Darlingtonia californica) – le cui foglie sono impermeabili all’acqua piovana grazie a uno strato scivoloso di fluido che ne avvolge la superficie – invece, un team di ricercatori di Harvard ha creato un materiale in grado di respingere qualsiasi tipo di sostanza liquida o solida gli passi sopra.

Le cosiddette Slips (da “Slippery Liquid-Infused Porous Surfaces), inoltre, sembrano capaci di ripararsi da sole e conservare intatte le loro proprietà anche in condizioni particolarmente avverse, comepressioni altissime e temperature polari, per tanto potranno essere usate nelle tecnologie biomediche per la gestione dei fluidi, ma anche nei sistemi di trasporto dell’acqua e dei carburanti e per la produzione di tecnologie antighiaccio e anticontaminazione. Senza dimenticare la possibilità di realizzare, sfruttando questo materiale, finestre in grado di ripulirsi da sole e superfici resistenti ai batteri. Con conseguente riduzione dell’uso di detersivi spesso dannosi per l’ambiente.

Per finire, anche il corpo umano ha fornito ispirazione in questo campo. Gli scienziati dell‘Arizona State University hanno scelto di “copiare” la capacità, tipica di sistemi biologici come le ossa, di avvertire la presenza di un danno, fermarne la progressione e attivare un processo di rigenerazione. Hanno così utilizzato polimeri “forma-memoria” con una rete incorporata di fibra ottica che funziona sia comesensore del danno che come attivatore del processo di riparazione.

 

L’importanza della lista della spesa Scrivere un elenco di ciò che è necessario comprare ci fa concentrare su ciò di cui abbiamo veramente bisogno, evitando inutili sprechi.

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ECO-SHOPPING

borsa spesaLa borsa della spesa è verde!

Evitate sacchetti di plastica o di carta: portare una borsa da casa da utilizzare tutte le volte che volete non costa niente e fa bene all’ambiente.

Come fare a non lasciarsi tentare dai tanti prodotti e dalle offerte che ci invitano a comprare ogni volta che si va a fare la spesa al supermercato?

La lista della spesa è un metodo efficace per combattere gli sprechi, che poi si traducono in un aumento dei rifiuti e delle emissioni di gas serra, danneggiando l’ambiente oltre che il portafoglio.

Il classico metodo di scrivere un elenco di ciò che è necessario comprare fa concentrare su ciò di cui avete veramente bisogno.