10 FEBBRAIO GIORNO DEL RICORDO

10 Febbraio Giorno del Ricordo

Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92[1] essa vuole conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
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Preghiera per i martiri delle “foibe”

Immagini Giorno del Ricordo Le Foibe

 

 

 

 

 

 

 

 

Preghiera per i martiri delle “foibe”

composta nel 1959 da Mons. Antonio Santin, Arcivescovo di Trieste e Capodistria

O Dio, Signore della vita e della morte, della luce e delle tenebre,
dalle profondità di questa terra e di questo nostro dolore noi gridiamo a Te.
Ascolta, o Signore, la nostra voce.
De profundis clamo ad Te, Domine.
Domine, audi vocem meam.

Oggi tutti i Morti attendono una preghiera, un gesto di pietà, un ricordo di affetto. E anche noi siamo venuti qui per innalzare le nostre povere preghiere e deporre i nostri fiori, ma anche per apprendere l’insegnamento che sale dal sacrificio di questi Morti.
E ci rivolgiamo a Te, perché tu hai raccolto l’ultimo loro grido, l’ultimo loro respiro.

Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra, che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace.
In trent’anni due guerre, come due bufere di fuoco, sono passate attraverso queste colline carsiche; hanno seminato la morte tra queste rocce e questi cespugli; hanno riempito cimiteri e ospedali; hanno anche scatenato qualche volta l’incontrollata violenza, seminatrice di delitti e di odio.

Ebbene, Signore, Principe della Pace, concedi a noi la Tua Pace, una pace che sia riposo tranquillo per i Morti e sia serenità di lavoro e di fede per i vivi.
Fa che gli uomini, spaventati dalle conseguenze terribili del loro odio e attratti dalla soavità del Tuo Vangelo, ritornino, come il figlio prodigo, nella Tua casa per sentirsi e amarsi tutti come figli dello stesso Padre.
Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il Tuo Nome, venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà.
Dona conforto alle spose, alle madri, alle sorelle, ai figli di coloro che si trovano in tutte le foibe di questa nostra triste terra, e a tutti noi che siamo vivi e sentiamo pesare ogni giorno sul cuore la pena per questi nostri Morti, profonda come le voragini che li accolgono.

Tu sei il Vivente, o Signore, e in Te essi vivono. Che se ancora la loro purificazione non è perfetta, noi Ti offriamo, o Dio Santo e Giusto, la nostra preghiera, la nostra angoscia, i nostri sacrifici, perché giungano presto a gioire dello splendore dei Tuo Volto.

E a noi dona rassegnazione e fortezza, saggezza e bontà.
Tu ci hai detto: Beati i misericordiosi perché otterranno misericordia, beati i pacificatori perché saranno chiamati figli di Dio, beati coloro che piangono perché saranno consolati, ma anche beati quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati in Te, o Signore, perché è sempre apparente e transeunte il trionfo dell’iniquità.

O signore, a questi nostri Morti senza nome ma da Te conosciuti e amati, dona la Tua pace. Risplenda a loro la Luce perpetua e brilli la Tua Luce anche sulla nostra terra e nei nostri cuori, E per il loro sacrificio fa che le speranze dei buoni fioriscano.

Domine, coram te est omne desiderium meum et gemitus meus te non latet. Così sia”.

Eventi “Giorno del Ricordo” Cinisello 7 febbraio 2016, giardino dedicato a vittime foibe

Eventi “Giorno del Ricordo” Cinisello 7 febbraio 2016, giardino dedicato a vittime foibe

Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo, per ricordare le vittime delle foibe; non mancheranno eventi e celebrazioni per non dimenticare
giorno del ricordoIn occasione del Giorno del Ricordo, domenica 7 febbraio 2016, alle 11.30, l’Amministrazione comunale dedica il giardino di Piazza Italia alle vittime delle foibe, per mantenere viva la memoria tra la cittadinanza dei tragici eventi in cui trovarono la morte un considerevole numero di italiani. I giardini sono al centro di una zona che sarà culturalmente sempre più attiva e riqualificata, tra Villa di Breme Forno, sede dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ospiterà nuovi appuntamenti e gli spazi dell’ex Civica Scuola di Musica dove si stanno ultimando i lavori di un residence per studenti. Due luoghi di cultura per sensibilizzare anche i giovani su una pagina drammatica che appartiene alla storia di tutti.
Il 10 febbraio, Giorno del Ricordo, è stato istituito come solennità civile nel 2004, per ricordare la tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, l’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e la più complessa vicenda del confine orientale.
Proprio l’anno scorso è partito l’iter che ha portato oggi a questa intitolazione: il Consiglio comunale ha votato all’unanimità un ordine del Giorno – presentato dal consigliere del Nuovo Centro Destra Riccardo Visentin – che impegnava l’Amministrazione comunale a dedicare un luogo pubblico in città alle vittime delle foibe.
All’inaugurazione saranno presenti il sindaco Siria Trezzi, il Presidente del Consiglio della Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, la Vicepresidente Sara Valmaggi, le Forze dell’Ordine e il decano Don Alberto Capra. Sono invitate a partecipare tutte le associazioni con i loro labari e la cittadinanza.
Per approfondire il tema, dal 6 al 19 febbraio, presso il Centro culturale Il Pertini è stata selezionata una bibliografia e una esposizione di libri (foto: wikipedia.org).

10 Febbraio Giorno del Ricordo L’Esodo di 350.000 italiani da Istria Fiume e Dalmazia

Una delle tante pagine non scritte della nostra storia recente è l’Esodo di 350 mila fiumani, istriani e dalmati che, dal 1945, si riversarono in Italia con tutti i mezzi possibili: vecchi piroscafi, macchine sgangherate, treni di fortuna, carri agricoli, barche, a nuoto e a piedi. Una fuga per restare italiani, un vero Esodo biblico, affrontato con determinazione, verso un’Italia sconfitta e semidistrutta, quale reazione al violento tentativo di naturalizzazione voluta nella primavera del 1945, dalla ferocia dei partigiani slavi.
“Non è certo il caso di restare a Pola -leggiamo nel verbale del Comitato di Liberazione Nazionale di Pola del 27 dicembre 1946 – per fare da cavie, sacrificandosi per fare opera di italianità, come qualcuno ha detto a Roma. Nella Capitale non si ha un’idea di cosa succede in Istria. Il pericolo è grande di fronte all’inerzia del governo. La popolazione di Pola è angosciata e domanda se potrà salvarsi”. Improvvisamente l’Istria, Fiume e la Dalmazia furono oscurate dall’ombra livida di un destino incerto e rosso di sangue innocente.
La gente era bloccata dalla paura dei rastrellamenti improvvisi, delle delazioni, delle vendette e delle notizie di infoibamenti, di affogamenti e di fucilazioni che la giustizia sommaria di sedicenti tribunali del popolo irrogava a chi era colpevole di essere italiano. Le città cominciarono a svuotarsi. Da Fiume fuggirono 54 mila su 60 mila abitanti, da Pola 32 mila, da Zara 20 mila su 21 mila, da Capodistria 14 mila su 15 mila. 
Soltanto l’Esodo degli abitanti di Pola si svolse sotto la protezione inglese con navi italiane. Tutti gli altri istriani, fiumani e dalmati dovettero abbandonare le loro case e i loro averi sotto il controllo poliziesco dei partigiani slavi. Coloro che ottenevano il visto per la partenza potevano portare in Italia solo 5 kg di indumenti e 5 mila lire. Dopo lunghe settimane di attesa e dopo implacabili controlli, si poteva salire su un convoglio diretto al confine, cioè verso la libertà. Il viaggio era breve, ma diventava lungo per le continue verifiche dell’OZNA (la famigerata polizia segreta) che aveva occhi e orecchi, fino a Trieste.
“Nessuno – ha scritto Amleto Ballerini – era mai certo di arrivare alla meta. C’era sempre qualcheinfelice, ad ogni viaggio, che doveva scendere senza fiatare con tutti i suoi miseri bagagli, stretto da due agenti, e gli altri, muti, stavano là a guardarlo dai finestrini del treno mentre s’allontanava, curvo come Cristo sotto il peso della croce”. A moltissimi il visto venne negato per ragioni politiche, per vendetta, per odio, per non privarsi di personale specializzato, ma soprattutto perché ogni partenza era la conferma di una condanna per il nuovo regime. Ebbero inizio le fughe drammatiche, di giorno e di notte, fra le doline del Carso, attraverso passaggi clandestini noti solo ai contrabbandieri, fughe verso la libertà che spesso si concludevano con una raffica di mitra, con lo scoppio di una mina o sul filo spinato.
Alcuni affrontarono l’Adriatico con fragili barche a remi e raggiunsero le coste italiane stremati dalla fatica e dalla sete, con le mani spellate e sanguinanti. Spesso però l’approdo rimase un sogno: catturati dalle motovedette slave, furono condannati a lunghi anni di lavoro forzato. Talvolta la spiaggia romagnola e marchigiana restituiva le salme dei fuggiaschi travolti da un’improvvisa bufera.
L’esule prima saluta i suoi morti nel cimitero, poi raccoglie povere cose in una grossa valigia. Con le lagrime scruta le cose più care, i ricordi di ieri, quelli del tempo felice. Poi addio alla casa, alla terra lavorata fino al giorno prima. In silenzio verso l’ignoto, mentre la stampa slava sghignazza: “I fascisti scappano come ladri di galline”. L’Esodo, la disperazione, è stata ignorata dai nostri governanti.
All’inizio degli anni ’50 De Gasperi e Scelba suggerirono la dispersione degli esuli, perché i giuliani apparivano “nazionalisti pericolosi”. Furono attrezzati alla meglio (o alla peggio) 109 campi profughi. Gli squallidi androni furono divisi in piccoli box: fra tubature arrugginite e sgocciolanti, fra correnti d’aria, odori di fornelli e puzzo di gabinetti, con la biancheria posta ad asciugare in baracche piantate nel fango e in quelle flagellate dalla bora sul Carso, gli esuli hanno vissuto per anni, con la fierezza di coloro che hanno fatto una scelta irreversibile, quella di vivere da italiani in Italia. Di essere liberi in Patria.
L’Esodo è la ribellione contro le foibe, i saccheggi, l’imposizione di una lingua straniera, delle scritte provocatorie e delle stele rosse affisse in ogni luogo. L’Esodo è stato un dramma di 350 mila persone che hanno abbandonato case ed averi pur di restare italiani e che in Italia hanno continuato e continuano a soffrire per l’indifferenza e l’ignoranza di una politica miope, pavida e vile.

QUALCHE CIFRA

Città

abitanti

profughi

Lussingrande

1.992

1.500

Cherso

7.570

6.000

Fiume

60.000

54.000

Capodistria

15.000

14.000

Cittanova

2.515

2.025

Rovigno

10.020

8.000

Zara

20.055

18.000

Lussinpiccolo

6.856

5.850

Pola

34.000

32.000

Con la firma a Parigi del Trattato di Pace del 10 febbraio 1947 l’Italia cede alla Jugoslavia 7.700 chilometri quadrati con Pola, Fiume e Zara. Su 502.124 abitanti, 350.000 italiani (300.000 secondo Tito) vengono profughi in Italia. Vengono insultati dai comunisti ad Ancona, Bologna, Venezia e Milano.
Ottantamila fuggono nelle Americhe e in Australia, centomila vengono accolti nella Regione Friuli – Venezia Giulia, gli altri vengono ricoverati nelle baracche di 109 campi profughi, dal Carso alla Sicilia.
(Estratto da “Il rumore del silenzio: la storia dimenticata dell’Adriatico Orientale”, a cura della Lega Nazionale – Trieste, della Presidenza della Provincia di Roma, della Fondazione “Ugo Spirito”, 2001.)

http://www.leganazionale.it/index.php?option=com_content&view=article&catid=113%3Aesodo&id=708%3Auna-pagina-non-scritta-della-nostra-storia&Itemid=138