INTERVISTA – Dynamo Camp, quando la medicina va a braccetto con il divertimento

È questo l’obiettivo del centro di terapia ricreativa in provincia di Pistoia per bambini affetti da patologie gravi e croniche. Un modo per guardare oltre la malattia e ritrovare lo spirito di gioco in un luogo fatto a loro immagine e somiglianza

Fonte: Dynamo Camp

 

È possibile vincere il male con un sorriso? Puòl’allegria sopraffare il dolore e la malattia? Forse sono solo belle speranze, ma è anche vero che un’anima allietata può vincere le sofferenze con più forza. Sopratutto se a fare i conti con cure e degenza sono i più piccoli, bambini che in realtà dovrebbero pensare solo a giocare e divertirsi. Ed è proprio per donare un sorriso ai più piccoli, rendendo così più leggero, per quanto possibile, il peso delle loro malattie che nel 2007 è nato il progetto Dynamo Camp, una struttura che organizza campi estivi gratuiti di terapia ricreativa appositamente strutturati per bambini affetti da patologie gravi e croniche e nel periodo di post ospedalizzazione. La struttura, che in Italia si trova a Limestre, in provincia di Pistoia, in un’oasi di oltre 900 ettari affiliata WWF, fa parte della più ampia organizzazione internazionale SeriousFun Children’s Network, associazione non-profit che promuove e gestisce i campi di vacanza per i piccoli pazienti in tutto ilo mondo, nata dall’impegno dell’attore Paul Newman che nel 1988 ha fondato il primo Campo negli Stati Uniti[1]. 

Dynamo Camp Italia accoglie bambini e ragazzi da 7 ai 17 anni con programmi specifici di 1 settimana o 10 giorni. Una possibilità concreta per riappropriarsi della propria infanzia attraverso un programma che, in totale sicurezza e allegria, porti i piccoli ospiti a ritrovare e acquisire fiducia in loro stessi e nelle proprie potenzialità. Tutto questo senza trascurare la famiglia: il Camp prevede, infatti, anche programmi specifici rivolti a genitori ed eventuali fratelli o sorelle di questi bambini, coinvolgendo così tutto il nucleo che ha dovuto affrontare, ed affronterà ancora, la delicata situazione della malattia.

LA TERAPIA RICREATIVA DEL DYNAMO CAMP


E dal momento che la realtà Dynamo Camp non gode di sostegni pubblici, ma vive solo graziealle donazioni di quanti credono in questo progetto, per supportare questa iniziativa è sceso in campo anche il Teatro Centrale Carlsberg di Roma, uno dei punti di ritrovo storici della mondanità romana, con una grande serata di musica e spettacolo il 22 ottobre scorso destinata proprio ad una raccolta fondi. Qui NanniMagazine.it ha incontrato Maria Serena Porcari, Vice Presidente dell’Associazione Dynamo Camp Onlus:

Dottoressa Porcari, come e quando nasce l’avventura di Dynamo Camp?
“Nasce nel 2007, per volontà di Vincenzo Manes, come progetto studiato per due anni da una Fondazione che si chiama appunto Dynamo. Il compito di offrire una settimana di vacanza a bambini con malattie gravi e croniche può sembrare un obbiettivo di per sé molto semplice, ma in realtà è alquanto complesso. Vede per i bambini vacanza vuol dire non solo divertimento, ma anche svolgere un’attività fisica che deve essere gestita con attenzione: molti prendono ancora delle medicine, hanno una disabilità o arrivano da noi dopo essere stati a lungo in ospedale. Quindi necessitano di tutta la nostra attenzione”. 

Può raccontarci una settimana tipo nel vostro Camp?

“Intanto le posso dare qualche numero per avere un’idea: quest’anno ospiteremo gratuitamente 1.061 bambini e circa 230 genitori. I ragazzi arrivano via via attraverso le strutture ospedaliere pediatriche con cui siamo in contatto e che decidono quali bambini far partecipare alle terapie ricreative secondo criteri assolutamente medici. Una volta che il bambino arriva nella nostra struttura con il proprio protocollo, ossia la sua terapia giornaliera, il nostro gruppo medico, soprannominato scherzosamente ‘Club Med’, lo prende in carico. A questo punto iniziano le sue attività. La mattina, di solito, si svolgono le attività all’esterno come le arrampicate, il tiro con l’arco, la piscina, l’equitazione. Il pomeriggio vengono attivati vari laboratori come il teatro, l’arte e via dicendo. Tutto definito e disegnato secondo le necessità dell’ospite più debole di quella settimana”. 

E come vivono i piccoli ospiti questa settimana speciale per loro?
“Molti dei bambini e ragazzi provengono da strutture del Centro Sud, da città come Palermo, Napoli e Bari. Quando arrivano molti di loro sono spaesati, perché o non sono mai usciti dal loro realtà oppure hanno passato veramente molto tempo in ospedale e quindi l’effetto iniziale è quello di essere un po’ fuori dal mondo. Inoltre, va detto, che qualcuno passerà una settimana lontano dalla propria famiglia, e parliamo di bambini e ragazzi che vanno dai 7 ai 17 anni. Se ad esempio i più piccoli arrivano la domenica, fino al mercoledì hanno ancora nostalgia, ma poi la loro capacità di adattarsi a situazioni nuove vince sempre, iniziano ad ambientarsi e a trovarsi bene che alla fine non vorrebbero più tornare a casa. I più grandicelli, invece, vivono questa esperienza come fanno tutti gli adolescenti quindi da noi, fanno amicizia, ballano, cantano, s’innamorano…fanno tutto quello che farebbero i loro coetanei”.

Alla luce di quanto sta accadendo a livello medico-sanitario, come riuscite ad andare avanti? 
“Noi riusciamo a vivere grazie a fondi privati, senza alcun sostegno pubblico. Un grande aiuto ci arriva dalle case farmaceutiche che, indistintamente, ci sostengono in aree anche non collegate al loro business e questo è un altro modello etico di comportamento. In qualche modo è come se le aziende svolgessero attività di volontariato presso la nostra struttura. Sono molti, infatti, i dipendenti inviati da noi per poter lavorare nel nostro Campo. Complessivamente il 20 per cento dei 600 volontari presenti nella nostra struttura sono lavoratori aziendali”.

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Il dolore ci da sentire soli

Il dolore è dolore sempre. Sia esso un male fisico, oppure una sofferenza psicologica legata a un tradimento, un lutto o una condizione di emarginazione sociale, l’effetto del dolore è sempre lo stesso: ci si sente soli ed esclusi. La prova che ogni forma di sofferenza ha la stessa ‘dignità’, e che quindi va sempre presa sul serio e mai sottovalutata, arriva da uno studio italo-americano pubblicato online sull”European Journal of Social Psychology’. La ricerca è coordinata dall’università degli Studi di Milano-Bicocca, e prova che bastano 60 secondi di dolore fisico o sociale – appena un minuto – per sentirsi ignorati o ‘fuori dal giro’.

Il lavoro è firmato da un team internazionale guidato da Paolo Riva, assegnista di ricerca del Dipartimento di psicologia della Bicocca, in collaborazione con James H.Wirth, assistant professor all’University of North Florida e Kipling Williams, docente alla Purdue University. Lo studio – spiega l’ateneo milanese – è partito da alcuni spunti presenti in letteratura, secondo i quali il dolore fisico (per esempio il classico dito schiacciato) e quello sociale (che deriva da un lutto, un tradimento, un’esclusione o uno stato di isolamento) condividono gli stessi circuiti neurali. Ora i ricercatori hanno fatto un passo in avanti, scoprendo che i due tipi di dolore producono risposte psicologiche del tutto simili.

La fase sperimentale della ricerca si è svolta in Usa nei laboratori della Purdue University, nell’Indiana, e ha coinvolto un campione complessivo di 215 fra laureandi e studenti dello stesso ateneo, con un’età media intorno ai 20 anni.

L’ipotesi è stata verificata con due esperimenti. Nel primo un campione di 115 persone è stato suddiviso in tre gruppi, ai quali è stato chiesto di rievocare rispettivamente un’esperienza passata di dolore sociale, di dolore fisico, oppure una routine giornaliera (gruppo controllo). Dopo la rievocazione, sono state completate specifiche scale di self-report che permettono di misurare la soddisfazione di 4 bisogni psicologici fondamentali (senso di appartenenza, autostima, senso di controllo, esigenza di una vita significativa), delle emozioni e delle tendenze antisociali.

Il secondo esperimento è stato condotto su un campione di 100 persone suddivise in due gruppi, assegnati in modo casuale a condizioni di dolore sociale o fisico. Il dolore sociale è stato indotto utilizzando ‘Cyberball’, un videogame online che permette di includere o escludere un giocatore da un’interazione sociale. Il dolore fisico è stato causato invece usando il ‘Cold pressor task’, un compito che consiste nel chiedere a un partecipante di mantenere la mano non dominante nell’acqua fredda (5° C). Al termine di queste manipolazioni, ai partecipanti è stato chiesto di completare le stesse scale del primo esperimento, con l’aggiunta di un’altra che misura la percezione di essere esclusi e ignorati. Ebbene, il risultato di entrambi gli esperimenti ha dimostrato che sia l’induzione di dolore sociale sia l’induzione di dolore fisico riducono autostima, controllo, senso di appartenenza e percezione di significatività dell’esistenza, mentre aumentano l’intensità delle emozioni negative e delle risposte antisociali. Il secondo esperimento, inoltre, ha mostrato che sia il dolore sociale che il dolore fisico inducono i partecipanti a sentirsi psicologicamente esclusi e ignorati.

“In generale – commenta Riva in una nota – questi risultati suggeriscono che anche induzioni minimali di dolore sociale (come l’esclusione da un gioco online) e fisico (come tenere la mano nell’acqua fredda) possono avere un impatto psicologico profondo”.

Da un punto di vista applicativo, secondo gli autori i risultati di questo studio potrebbero avere ricadute importanti per la gestione del dolore del paziente. “Studi precedenti – ricorda Riva – hanno messo in evidenza la tendenza dei professionisti della salute a dubitare del dolore riportato dal paziente quando questo si manifesta contemporaneamente a situazioni di disagio psicologico, come gli stati depressivi. In questa ottica, il dolore riportato da chi soffre può essere erroneamente attribuito dagli operatori alla depressione, piuttosto che il contrario, ossia l’attribuzione della situazione di disagio psicologico alla presenza di dolore fisico”.