Il linfoma non è più un problema, la “giustizia” sì


Sette anni fa guarisce dal cancro, oggi i giudici decidono che deve restituire i soldi delle terapie: 41 mila 178 euro. Perchè  la sua malattia  ”non si poteva curare” come ha fatto lei e cioè con il metodo Di Bella.

Barbara Bartorelli, quarantenne bolognese, scopre undici anni fa di avere un linfoma di Hodgkin. Si affida alle cure tradizionali, affronta quattro cicli di chemioterapia ma, dopo pochi mesi, la malattia ritorna più aggressiva.

I medici le prospettano la soluzione del trapianto senza però garantirle la guarigione. La donna non vuole rischiare, non se la sente di “farsi ridurre a zero le difese immunitarie e di assumere grandi quantità di antibiotici”, decide di provare con il metodo Di Bella. Dopo pochi mesi migliora. E, piano piano, quei i benefici diventano stabili.

Per pagarsi la terapia, sui duemila euro al mese, chiede soldi ad amici e a parenti e c’è è anche chi, per racimolare la cifra, organizza per lei tornei di calcio.  Passano altri mesi e, d’accordo con gli avvocati, Lorenzo Tomassini e Luca Labanti,  Barbara fa causa alla Asl per ottenere il rimborso.

Due le pronunce a lei favorevoli, un decreto d’urgenza nel 2004 e una sentenza di merito nel 2006. I giudici constatano – grazie anche alle perizie di oncologici incaricati dai magistrati – che Barbara è guarita e che non ha un reddito tale da permetterle di pagarsi le cure. La Asl però impugna la decisione.  E sei anni dopo, ossia a fine agosto di quest’anno, arriva il verdetto della corte d’appello.

Barbara non avrebbe potuto fare quella cura,  perché, recita la sentenza ” una sperimentazione ministeriale stabilì che era inefficace”. Non solo. Poche righe più sotto si legge che ” la malattia di Barbara non era fra quelle oggetto di sperimentazione nel 1998″  ( infatti, non venne testato il suo linfoma, ma un altro, il non Hodgkin).

Non è finita. I tre magistrati, autori della sentenza d’appello, dichiarano che i loro colleghi non avrebbero dovuto affidarsi a esperti, a medici incaricati di esaminare le cartelle cliniche della paziente, visto che nel 1998 la sperimentazione ministeriale stabilì che la terapia Di Bella non era valida.

Testuale: ”All’autorità giudiziaria non compete di accertare, mediante l’ammissione di una consulenza tecnica di uffici, l’efficacia terapeutica del trattamento del prof Di Bella, in relazione alla patologia tumorale in coerenza con il principio dell’ordinamento secondo cui la legge ha attribuito ad appositi organi tecnici il potere di effettuare la sperimentazione…“.

L’avvocato Lorenzo Tomassini è stupefatto: “E’ assurdo, come si può stabilire per legge che è vietato indagare? Oserei dire: vietato guarire. Alla base del diritto civile c’è la possibilità di emettere provvedimenti d’urgenza per tutelare i casi limite. Lo stesso diritto civile prevede che si guardi all’obbiettività della situazione, la signora Bartorelli è guarita. Ha ottenuto un indubbio beneficio da quella terapia, invece non sappiamo quali risultati avrebbe avuto con un trapianto… com’è possibile che un giudice non si curi del fatto che un malato di tumore è guarito? Il diritto alla salute è sacro e inviolabile”.

E il diritto alla  libertà di cura? Barbara Bartorelli annuncia un prossimo ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo:  ”Perchè dobbiamo accettare che lo Stato sia tutore della nostra salute? Perchè la commissione del farmaco deve decidere come si deve curare un malato ? Se le terapie non funzionano, il nostro Stato  – lo stesso che si interroga sull’opportunità del testamento biologico – ci lascia morire. E che colpa avrei io? Di  non aver accettato di andare all’altro mondo a 32 anni? Chiedo la libertà di rivolgermi al medico che scelgo e che sia lui a decidere cosa è meglio per me, non un prontuario stabilito da una azienda farmaceutica!”

 fonte

Ora l’ordine dei medici riconosce il metodo Di Bella

L’ordine dei medici di Bologna dà il patrocinio al congresso organizzato dalla Fondazione Di Bella in programma sabato, dal titolo “Evidenze scientifiche non valorizzate in oncoterapia”. Non solo: fra i relatori anche oncologi e ricercatori di varie università

di Gioia Locati 

L’ordine dei medici di Bologna dà il patrocinio al congresso organizzato dalla Fondazione Di Bella. Il convegno, dal titolo “Evidenze scientifiche non valorizzate in oncoterapia” è in programma sabato a Bologna (aula magna dell’università, via Belmeloro 14) dalle 9 alle 18.30..

 
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L’ingresso è libero. È la prima volta che un ordine dei medici riconosce il valore scientifico del metodo Di Bella, non solo patrocinandone il convegno ma favorendo la partecipazioneanche fra i non dibelliani. Il presidente dell’ordine dei medici bolognese, Giancarlo Pizza, infatti, illustrerà proprio sabato i risultati di una sperimentazione da lui condotta, in collaborazione con l’università di Firenze, su 360 malati di carcinoma renale metastatico a cui è stato iniettato un vaccino.


Dottor Pizza, il patrocinio al convegno significa che riconoscete il valore della terapia Di Bella? 

“Stiamo dando il patrocinio a un convegno che ha basi scientifiche, i cui lavori sono stati sottoposti al vaglio dell’ordine dei medici di Bologna. Ossia, gli argomenti che verranno dibattuti sono stati valutati e approvati da una commissione incaricata. Questo non significa che stiamo dando la patente al metodo Di Bella ma che prendiamo atto che ci sono colleghi che fanno osservazioni e ottengono risultati che si ritiene giusto che vengano proposti alla comunità scientifica”.


Come mai non collimano i risultati della sperimentazione del ’98 con le storie cliniche dei pazienti guariti? 

“Non sono in grado di entrare nel merito della sperimentazione del ’98, so che sono state fatte delle critiche ma non le conosco. Tuttavia, prendo atto che ci sono medici che ottengono risultati. Ed io non posso dire a questi colleghi che stanno sostenendo posizioni non vere”.


Il patrocinio bolognese capita a soli due mesi di distanza dalla sanzione che un altro ordine dei medici, quello di Bari, inflisse a un medico, reo di aver prescritto la cura Di Bella. Il presidente barese, Filippo Anelli, responsabile del provvedimento, lo motiva così: “Mi occupai io dell’esposto non perché il collega avesse prescritto i farmaci del metodo Di Bella ma perché aveva approfittato della sua posizione per speculare su un malato (forse su più di uno). Mi arrivò la segnalazione ed io fui obbligato a intervenire. Un ordine professionale non entra nel merito (non guarda se la cura è scientifica o meno) ma controlla se è rispettata la deontologia professionale. Questo vuol dire che un medico, in scienza e coscienza, se ritiene che faccia bene al malato, può anche prescrivere la cura Di Bella”.


Così al convegno di sabato interverranno non solo medici dibelliani ma anche studiosi di varie università, italiane e straniere. Si va dal virologo Giulio Tarro (professore a Philadelphia e presidente della fondazione de Beaumont Bonelli per la ricerca sul cancro e attualmente impegnato in lavori sull’immunoterapia) all’oncologo Paolo Lissoni del san Gerardo di Monza, noto per le sue 600 pubblicazioni sulle proprietà antitumorali della melatonina. Verranno esposti i risultati dell’immunovaccinoterapia sui malati di cancro renale metastatico (ai quali la chemioterapia non ha dato alcun beneficio) condotti dal gruppo congiunto università di Bologna e di Firenze (De Vinci, Capanna, Pizza, Lo Conte e Mazzarotto). La psichiatra Giusy Messina del Policlinico di Milano parlerà della psiconeuroendocrinologia, di come la prognosi del cancro è influenzata dallo stato psicologico e dalla dimensione spirituale del paziente. Infine, Giuseppe Di Bella affronterà il ruolo fondamentale che hanno le molecole anti-proliferative (somatostatina e anti-prolattinici) nel fermare il cancro. E, oltre ai casi di tumore al seno guariti con il metodo Di Bella, illustrerà le regressioni di microcitomi polmonari, leucemie linfatiche croniche, leucemie mieloidi acute, carcinomi del pancreas e fibrosarcomi.