3 Marzo 1944 – A Balvano si consuma la “Sciagura del treno 8017”, la più grave sciagura ferroviaria italiana con oltre 500 morti

Sciagura del treno 8017

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« Nessuna Spoon River dei poveri ha mai raccontato le loro storie.  »
(Antonio Manzo, su Il Mattino, 29 febbraio 2004)
Sciagura del treno 8017
Luogo Galleria delle Armi, Balvano (PZ)
Data 3 marzo 1944
0:50 – 1:20
Tipologia Incidente ferroviario
Morti 517 secondo i dati ufficiali, ma forse oltre 600. I morti identificati sono 438.
Feriti circa 90 intossicati

La sciagura del treno 8017 (3 marzo 1944) che prende il nome dal numero del treno coinvolto ma è conosciuta anche con il nome di “disastro di Balvano“, è il più graveincidente ferroviario per numero di vittime della storia d’Italia e d’Europa.


Nel primo pomeriggio del 2 marzo 1944, il treno merci speciale 8017, creato per caricare legname da utilizzare nella ricostruzione dei ponti distrutti dalla guerra, partì da Napoli con destinazione Potenza.
Antefatto

Il treno era molto lungo, perciò venne dotato di una locomotiva elettrica molto potente che, nella stazione di Salerno, fu sostituita da una macchina a vapore, per poter percorrere il tratto dopo Battipaglia che, all’epoca, non era elettrificato.

Il treno arrivò nella stazione di Battipaglia poco dopo le 6 del pomeriggio.

Storia

Alle 19:00, il treno 8017 partì dalla stazione di Battipaglia, in direzione di Potenza, mosso dalle due vaporiere 476.020 e 480.016 di pertinenza del deposito di Salerno. Era composto da 47 vagoni e 2 locomotive per superare le impegnative pendenze, dato il ragguardevole peso di 520 tonnellate.

In origine non era prevista la seconda locomotiva, ma la necessità di spostare la macchina 480 da Battipaglia a Potenza spinse ad aggiungerla in testa al treno per rendere più facile il duro valico tra BaragianoTito. Come tutte le locomotive dell’epoca, entrambe le macchine avevano la cabina aperta, alimentate a carbone spalato da fuochisti e controllate da un macchinista.

Sul treno salirono centinaia di viaggiatori clandestini provenienti soprattutto dai grossi centri del napoletano, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari in cambio di sigari e caffè distribuiti dagli statunitensi. Sul treno erano presenti anche alcuni ragazzi. Il carico di persone influiva notevolmente sul peso del treno, portandolo a superare le 600 tonnellate.

Alla stazione di Eboli alcuni abusivi vennero fatti scendere ma più numerosi ne salirono alle stazioni successive, fino ad arrivare ad un numero di circa 600 passeggeri.

Il treno arrivò circa a mezzanotte alla stazione di BalvanoRicigliano, dove registrò 37 minuti di ritardo per manutenzione alle locomotive. Da lì, alle 0:50 del 3 marzo, ripartì per un tratto in notevole pendenza con numerose gallerie molto strette e poco areate. Sarebbe dovuto arrivare venti minuti dopo alla stazione successiva, BellaMuro Lucano, ma alle 2:40 non era ancora stato segnalato.

La tragedia

Nella galleria delle Armi le locomotive cominciarono a slittare e il treno rimase bloccato, senza riuscire ad uscire dalla galleria. Questo tunnel è una piccola galleria posta tra BalvanoBellaMuro Lucano, che si estende per 1.692 metri con una pendenza media del 12,8‰ (0,73° di inclinazione) e punte del 13‰. Il treno si fermò a 800 metri dall’ingresso, con i soli due ultimi vagoni fuori.

Gli sforzi delle locomotive per riprendere la marcia svilupparono grandi quantità di monossido di carbonioacido carbonico, facendo presto perdere i sensi al personale di macchina. In poco tempo anche la maggioranza dei passeggeri, che in quel momento stavano dormendo, venne asfissiata dai gas tossici che, in assenza di vento, potevano uscire dalla strettissima galleria solo tramite il piccolo condotto di aerazione.

L’unico fuochista che sopravvisse, Luigi Ronga, dichiarò che il macchinista suo compagno, Espedito Senatore, prima di svenire, tentò di dare potenza per superare lo stallo e cercare di uscire dalla galleria. Le condizioni della macchina 476 indicano che invece il suo personale, il macchinista Matteo Gigliano e il fuochista Rosario Barbaro, tentò di invertire la marcia per retrocedere. La potenza superiore della 476 e l’inclinazione avrebbero comunque permesso di sopravanzare in potenza la macchina 480, ma il macchinista perse i sensi prima di aprire la valvola di regolazione, particolarmente dura su quelle macchine. La posizione dei treni e dei comandi confermò in seguito questo racconto.

Oltre al fuochista si salvò anche il frenatore del carro di coda, Giuseppe De Venuto, che riuscì, camminando lungo i binari, ad avvisare alle ore 5:10 il capostazione di Balvano che nella galleria era presente un treno con numerosi cadaveri a bordo.

Il capostazione di Balvano, alle 5:25, fece distaccare la locomotiva del convoglio 8025 giunto in stazione ed in attesa di passo e dispose una ricognizione alla galleria indicata: ai soccorsi arrivati sul posto la situazione apparve subito molto grave, al punto da non poter rimuovere il convoglio a causa dei corpi abbandonati anche sulla banchina. Con l’arrivo di una seconda squadra di soccorso, alle ore 8:40 venne liberata la linea e il treno finalmente recuperato.

Bilancio e cause

Il bilancio della tragedia è ancora oggi impossibile da accertare e oggetto di controversie: quello ufficiale parlava di 501 passeggeri, 8 militari e di 7 ferrovieri morti, ma sicuramente i morti furono oltre 600. Molte vittime tra i passeggeri non vennero riconosciute. Furono tutti allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti senza funerali nel cimitero del paesino, in quattro fosse comuni.

Gli agenti ferroviari invece vennero sepolti a Salerno. Molti dei sopravvissuti riportarono gravi sconvolgimenti mentali.

È la più grave sciagura ferroviaria italiana ed europea e una delle più gravi al mondo.

Le cause della tragedia furono molteplici: la giornata era poco ventosa, per cui la galleria non godeva della normale ventilazione naturale, e l’umidità della foschia notturna aveva bagnato i binari, rendendoli scivolosi e ardui da percorrere per un treno così pesante. A questi si affiancava la mancata vigilanza delle autorità competenti, che avevano permesso il sovraccarico del treno e la presenza a bordo di viaggiatori clandestini.

Inoltre, per una serie di cause contingenti, il treno era stato composto con due locomotive in testa, invece che con una in testa e una in coda come nelle composizioni tipiche. Anche solo aver posto le locomotive separate, avrebbe potuto contribuire ad evitare la tragedia.

Soprattutto però la responsabilità della tragedia venne imputata alla scarsa qualità del carbone jugoslavo fornito dal Comando Militare Alleato. Questo carbone, di qualità nettamente inferiore a quello tedesco usato in precedenza, conteneva molto zolfo e ceneri, che rendevano poco affidabile il tiraggio dei fumi ostruendo le tubature della caldaia.

Mancando un efficiente drenaggio dei fumi, all’apertura della bocca di lupo del forno i gas ritornavano in cabina, intossicando il personale e rendendo difficile la regolazione del forno, una situazione che poteva causare improvvisi cali di pressione alla caldaia. Senza uno stretto controllo dell’alimentazione, la capacità di trazione scadeva notevolmente, fino a far fermare la macchina in salita e a rendere impossibile la compensazione dello slittamento sulle rotaie.

Ecco i dati delle vittime secondo diverse fonti[1]:

Precedenti

Un mese prima, in una galleria sulla tratta Baragiano – Tito, immediatamente successiva a quella della tragedia e con pendenze superiori al 22‰, un treno dell’autorità militare statunitense aveva subito un incidente simile, dove il personale era rimasto intossicato dai gas di scarico del carbone di scarsa qualità. Il macchinista Vincenzo Abbate era svenuto ed era rimasto schiacciato tra la motrice e il tender.

Per ridurre l’eventualità di questi incidenti riducendo gli sforzi e le emissioni delle macchine era stato disposto il limite di 350 tonnellate per questa tratta, e l’utilizzo di locomotori diesel-elettrici americani nei casi di doppia trazione, con eventualmente una locomotiva a vapore italiana posta in coda e invertita per scaricare con il fumaiolo in coda. Venne stabilito a Battipaglia il punto di applicazione di queste normative, per evitare di dover compiere operazioni di separazione sulla linea montana. Questi limiti rimasero per molto tempo in vigore, fino al 1996, quando lalinea Battipaglia-Metaponto venne tutta elettrificata.

Inoltre nell’uscita sud della Galleria delle Armi fu istituito un posto di guardia in cui l’operatore ad ogni passaggio di treno doveva avvertire telefonicamente la stazione di Balvano quando poteva vedere la luce in fondo, segno che nella galleria non vi erano più gas di scarico. Queste disposizioni rimasero in vigore fino al 1959, quando su questa linea vennero vietate le locomotive a vapore.

Responsabilità

La commissione parlamentare non rilevò alcuna responsabilità per l’accaduto, che venne ritenuto una sciagura per cause di forza maggiore. Tuttavia vennero avanzate ipotesi per alcune infrazioni secondarie.

Il treno avrebbe dovuto essere fermato a Battipaglia nonostante le due locomotive fossero nominalmente sufficienti al traino, e avrebbe dovuto essere messo in regola con le nuove normative; era noto inoltre che il carbone fornito non era in grado di sviluppare sufficiente potenza per mantenere le massime prestazioni delle macchine.

Vennero sollevati dubbi sulla tempestività dei soccorsi e sull’operato dei capistazione di Balvano e Bella-Muro, che non accertarono subito la posizione del treno quando questo apparve in ritardo sulla tabella di marcia. Tuttavia nella confusione postbellica era normale che le comunicazioni fossero intermittenti, e i treni portassero grande ritardo. Non era raro che ci volessero oltre due ore per percorrere i 7 km della tratta.

Inizialmente venne anche supposto che i macchinisti non avessero adeguatamente regolato le sabbiere, che avrebbero potuto evitare lo slittamento delle ruote.

Infine la catastrofe venne attribuita principalmente a[4]:

« una combinazione di cause materiali, quali densa nebbia, foschia atmosferica, mancanza completa di vento, che non ha mantenuto la naturale ventilazione della galleria, rotaie umide, ecc., cause che malauguratamente si sono presentate tutte insieme e in rapida successione. Il treno si è fermato a causa del fatto che scivolava sulle rotaie e il personale delle macchine era stato sopraffatto dall’avvelenamento prodotto dal gas, prima che avesse potuto agire per condurre il treno fuori del tunnel. A causa della presenza dell’acido carbonico, straordinariamente velenoso, si è prodotta l’asfissia dei passeggeri clandestini. L’azione di questo gas è così rapida, che la tragedia è avvenuta prima che alcun soccorso dall’esterno potesse essere portato. »

Venne notato che le disposizioni per la costituzione del treno venivano direttamente dal Comando Alleato, e che comunque il personale di stazione e viaggiante non avrebbe potuto fermare il treno e chiederne la modifica. Lo stesso comando organizzò un treno per verificare le condizioni dell’incidente, con il personale dotato di maschere ad ossigeno, che rilevò l’effettivo sviluppo di quantità anomale di gas tossici.

Molti dei parenti delle vittime intentarono causa alle Ferrovie dello Stato. Le ferrovie declinarono ogni responsabilità, sostenendo che su quel treno non avrebbero potuto trovarsi passeggeri di alcun tipo e che, a causa della complicata situazione dell’equilibrio dei poteri tra le amministrazioni italiane e il comando statunitense, non era immediato nemmeno risalire a chi avesse la responsabilità della gestione di quella particolare tratta. Tuttavia, non bisogna dimenticare che in quel periodo, tra Napoli e Potenza, esisteva solo una relazione per viaggiatori, il treno 8021, che partiva dal capolugo campano due volte alla settimana, il mercoledì e il sabato.

Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l’emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra (risarcimento che venne erogato dopo oltre 15 anni).

Peraltro, alcune fonti[5] indicano che molti dei passeggeri a bordo del treno fossero in possesso di un regolare biglietto ferroviario, che li qualificava quindi come passeggeri e non come clandestini. Questa eventuale condizione, che implica la possibilità di richiedere cospicui risarcimenti all’ente che gestisce la linea, sarebbe stata fatta passare sotto silenzio durante le inchieste ufficiali sulla tragedia. In ogni caso, le fonti ufficiali fanno riferimento a coloro che si trovavano sul treno, eccetto il personale ferroviario, solo con il termine di “clandestini”. Questa posizione è supportata dal fatto che il treno era classificato come “merci” e quindi non autorizzato al trasporto di passeggeri paganti. La questione non risulta tuttora essere stata chiarita in modo definitivo.

Cultura popolare

  • La tragedia del treno 8017 rimane tuttora presente nella cultura popolare delle zone colpite, ed ebbe allora un grande impatto mediatico conquistandosi visibilità in molti giornali europei ed americani.
  • Non è vera la leggenda popolare che vuole che il fatto fu nascosto dalle autorità alleate fino alla sua pubblicazione su Il Risorgimento; la pubblicazione sulla testata di Napoli avvenne il 7 marzo, ma già il 6 la notizia compariva nelle prime pagine del Corriere e in numerosi quotidiani statunitensi, e il 7 apparve anche sul Times.
  • La storia è stata ripresa nel 1996 dal cantante country statunitense Terry Allen nella ballata Galleria dele Armi.[6]
  • Nel 1972 Salvatore Avventurato, figlio e fratello di due vittime, fece costruire una cappella nel cimitero di Balvano, per ricordare le vittime della tragedia.
  • Nel film Tutti a casa, nonostante la vicenda sia ambientata al nord, la tragedia è direttamente citata, con il treno su cui viaggiano i protagonisti bloccato in un tunnel ed il fumo che invade le carrozze superaffollate.
  • Il disastro ha ispirato allo scrittore piemontese Alessandro Perissinotto la scrittura di un giallo sociologico dal titolo Treno 8017, pubblicato nel 2003.

Note

  1. ^ Lucania, 3 marzo 1944
  2. ^ Nel tragico merci 8017
  3. ^ Consiglio dei Ministri seduta 9 marzo 1944
  4. ^ Il Corriere della Sera – Salerno, 23 marzo 1944, pagina 2.
  5. ^ Si vedano a questo proposito i tre articoli di Giulio Frisoli pubblicati su L’Europeo nel marzo 1956, riportati in [1].
  6. ^ Terry Allen, Human Remains, 1996, Sugar Hill Records. Il titolo è errato nell’originale.

Bibliografia

  • Gianluca Barneschi, Balvano 1944: I segreti di un disastro ferroviario ignorato, Mursia, 2005. ISBN 88-425-3350-5
  • Alessandro Perissinotto, Treno 8017, Sellerio Editore, 2003. ISBN 88-389-1878-3

Collegamenti esterni

3 Marzo 1944 – A Balvano si consuma la “Sciagura del treno 8017”, la più grave sciagura ferroviaria italiana con oltre 500 mortiultima modifica: 2010-03-03T12:14:00+01:00da weefvvgbggf
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