18 Gennaio 1981 – 1981 – A seguito di un’aggressione subita da due reclute, circa duecento parà della Folgore marciano su Pisa.

Si verificano tafferugli con la popolazione locale, ma grazie all’intervento di un fotografo amico i parà della Folgore tornano in caserma perfettamente inquadrati.

La “marcia” su Pisa

L’antefatto

La Scuola Militare di Paracadutismo (SMiPar) è stata al centro di alcune contestazioni a causa di una marcia improvvisata nel centro di Pisa il18 gennaio 1981.[4]
La marcia avvenne in seguito ad un episodio di teppismo, ovvero il pestaggio di due reclute della scuola in un bar della città a causa del quale i due militari furono ricoverati. I vertici della SMiPar tennero la notizia riservata, ma tra gli ufficiali di complemento, circolò la voce che ad uno dei due allievi fu necessaria l’amputazione dei testicoli.[5]

A seguito di tale evento, 3 ufficiali di complemento, organizzarono una “spedizione punitiva”, che nelle loro intenzioni doveva essere mirata ed eseguita da pochi elementi di truppa scelti tra i graduati istruttori. La voce si sparse e, verso sera, all’ora della libera uscita, all’appuntamento fissato a Porta a Lucca si ritrovarono tra i duecento e i quattrocento militari, tutti in borghese. Quest’ultima cifra è quella riportata dai giornali dell’epoca, poi citati nelle interrogazioni parlamentari che seguirono.[4][6], L’unico dei 3 ufficiali organizzatori, presente all’appuntamento, realizzò immediatamente che, data la numerosità dei presenti, era difficile mantenere il controllo della situazione se fosse stato messo in atto il proposito originale e quindi, decise per una sfilata lungo la via centrale di Pisa. Il gruppo si inquadrò spontaneamente in ranghi ordinati ed iniziò la marcia in direzione della stazione ferroviaria.
Una volta in marcia, i parà iniziarono a “cadenzare il passo” e ad intonare i canti della Brigata oltre all’urlo di reparto[7]. Proseguendo con la sfilata, alcuni partecipanti alternarono ai canti militari, alcuni saluti romani, accenni a canti fascisti e slogan, tra cui “Boia chi molla, è il grido di battaglia“, caratteristico delle manifestazioni di destra dell’epoca.[8][5]

I tafferugli

Giunti nei pressi del ponte sull’Arno, un gruppo di giovani pisani, alcuni a bordo di ciclomotori, altri a piedi, iniziarono ad inveire verso il reparto mantenendosi, inizialmente, a debita distanza dalla formazione, finché un ragazzo su una Vespa, seguito da pochi altri ciclomotori, caricò lo schieramento con il suo ciclomotore impennato. Le prime file dello schieramento si lanciarono verso i motociclisti facendoli cadere. Uno dei contusi fu trasportato al pronto soccorso per le ferite procuratesi con la caduta. La fuga improvvisa degli altri ragazzi, scatenò una sorta di caccia all’uomo lungo i vicoli laterali della città, senza conseguenze mediche. La cronaca e le interrogazioni parlamentari riportano alcuni danneggiamenti, particolarmente all’insegna alla sede di una organizzazione di sinistra avvenuta nel mentre il reparto si ricompattò e continuò la marcia verso la stazione. [5]
Accorsero sul posto le prime unità della Polizia di Stato e dei Carabinieri ed un funzionario di PS intimò con un megafono al corteo di fermarsi e rientrare in caserma. I parà diedero ben poca importanza all’avvertimento, continuando l’avanzata e costringendo le volanti della Polizia che si erano portate davanti al corteo, ad arretrare in retromarcia, operazione resa difficoltosa dalla presenza in strada di molta gente incuriosita. In breve giunsero ulteriori rinforzi sia di PS in tenuta antisommossa, che di Carabinieri. Il funzionario di P.S., minacciò una carica per disperdere i militari, ma i parà mimarono una “controcarica” che dissuase la Polizia da mettere in atto il proposito, preferendo contenere la manifestazione che si avviava alla volta della stazione di Pisa con sufficiente ordine. Raggiunta la meta dei manifestanti, la situazione venne ulteriormente normalizzata da un fotografo locale conosciuto nell’ambiente dei militari che si rivolse ai paracadutisti e li invitò amichevolmente a tornare in caserma. Lo schieramento ordinatamente rientrò in caserma cantando. Tutta la truppa fu immediatamente consegnata in caserma a tempo indeterminato.[5]

Il seguito

L’indomani ebbero luogo le reazioni, rimbalzate dalla stampa a livello nazionale e approdate in Parlamento, dove vennero presentate interrogazioni al Ministro della Difesa. Alcuni organi di stampa parlarono di marcia fascista su Pisa. La giunta comunale della città discusse una mozione per proporre il trasferimento della SMiPar in altra località, incontrando il dissenso degli esercenti cittadini contrari al provvedimento, di fronte alla prospettiva di perdere le entrate derivanti dalla presenza dei giovani in città. Vennero fatte pressioni sui politici locali e la mozione venne ritirata.
Due giorni dopo l’episodio, i vertici militari inviarono in ispezione alla SMiPar, il generale di corpo d’armata Alvaro Rubeo, Ispettore delle Armi di Fanteria e Cavalleria, che fece una dura reprimenda a tutti i reparti, schierati in adunata generale. Alla fine del rimprovero, però, alcuni testimoni riportano che il generale, inaspettatamente, concluse dichiarando che se avesse avuto ancora vent’anni, alla marcia avrebbe partecipato anche lui. Seguirono grida di acclamazione e l’alto ufficiale fu irritualmente portato in trionfo sostenuto a braccia.[5]

Le indagini della procura militare non portarono a condanne, mentre l’inchiesta interna portò all’adozione di una punizione di tre mesi per uno dei graduati istruttori di leva, e la mancata accettazione della domanda di permanenza in servizio effettivo dell’unico ufficiale presente alla marcia.[5]

Questo episodio non fu l’unico che vide coinvolti i paracadutisti in risse con giovani pisani. Nel febbraio 1992, a seguito di un litigio tra un giovane pisano ed un paracadutista fiorentino nel quale il pisano avrebbe avuto la peggio, duecento giovani locali il giorno dopo diedero indiscriminatamente la caccia ai paracadutisti in libera uscita, al grido di “terroni”, “fascisti”, “sporchi fiorentini”. Il fatto si stemperò dopo la visita del sindaco dell’epoca, Sergio Cortopassi, che portò la solidarietà della città, espressa anche da numerose telefonate in caserma, contro quello che definì “un atto di teppismo”.[9]