Per 31 anni operaio all’Ilva: “Un inferno dantesco. I sindacati? Con Riva sono spariti”

 Dal quotidiano on-line affaritaliani.it

 

Per 31 anni operaio all’Ilva: “Un inferno dantesco. I sindacati? Con Riva sono spariti”

Martedì, 21 agosto 2012 –

 

di Lorenzo Lamperti

Clini e il governo stanno facendo allarmismo. Cercano di metterci l’uno contro l’altro ma non attacca. Taranto non si beve più le loro bugie”. Francesco Maresca ha lavorato per 31 anni all’Ilva di Taranto, reparto parchi minerali. Insieme ad altri ex operai in pensione e a un tecnico di Legambiente sta lavorando a un documento (“Produrre acciaio pulito è possibile”) e racconta la sua esperienza in azienda ad Affaritaliani.it: “Non è vero che un altoforno si riaccende in otto mesi. Bastano tre settimane. Non inquinare è possibile, ma ci vuole la volontà a spendere soldi. I milioni di Ferrante e del governo? Una barzelletta. Se non si investe lo Stato espropri”.

Forte la critica ai sindacati: “Nel periodo della gestione pubblica era forte. Quando c’erano problemi per la sicurezza non si andava a lavorare. Con i Riva invece è stato lasciato tutto in mano all’azienda e nessuno ha avuto più il coraggio di dire niente”. Sulla salute: “Non è mai stato fatto niente per tutelarla. Là dentro è un macello, quando si fanno le colate è un inferno“. E sulle istituzioni: “Siamo delusi da tutti, daVendola al governo. Fanno accordi, sono tutti contenti e poi cade tutto neldimenticatoio“.

Francesco Maresca, il ministro Passera ha detto che se si chiude l’area a caldo chiude tutto lo stabilimento. E’ davvero così?

L’argomento viene usato politicamente dai ministri che si esercitano a parlare dell’Ilva. Chiudendo l’area a caldo ci sarebbe bisogno di comprare acciaio altrove, e non credo che il patron Riva ne abbia l’intenzione. Per questo tecnicamente è vero: se si chiude l’area a caldo chiude l’Ilva. Ma solo perché l’azienda non vuole comprare altrove.

Il governo sostiene che far ripartire l’altoforno sia un’operazione molto lunga che richiede anche otto mesi. Addirittura si paventa l’ipotesi che sia una cosa “infattibile”. E’ davvero così?

No, sono sicuro che per riattivare un altoforno ci vogliano circa tre settimane. Bisogna considerare il problema dell’abbassamento delle temperature, è ovvio: se si spegnesse di colpo togliendo per intero il calore si spacca tutto. Se la temperatura viene abbassata gradualmente, invece, l’altoforno potrebbe ripartire in breve tempo.

Quindi è possibile risanare e tornare a produrre. Il limite a questa operazione è solo il costo per l’azienda, dunque?

Eh certo. Non si tratta solo di spendere per ammodernare e limitare le emissioni inquinanti ma anche di perdere produttività.

Non si potrebbe produrre “a moduli”, spegnendo per esempio un altoforno per volta e continuare a produrre con gli altri (l’Ilva ne ha cinque, ndr)?

Sì, questo è fattibile e di fatto avviene già. Quando un altoforno finisce la propria campagna si opera in questo modo. Ma il problema non sono solo gli altoforni. Il problema vero sta nelle cokerie, nell’agglomerato e nei parchi minerali.

Come si potrebbe intervenire su questi settori?

Insieme ad altri ex dipendenti e una ricercatrice che si occupa di temi di lavoro ho scoperto che esistono tecnologie in funzione da diversi anni che si chiamano Corex e Finex. Un sistema che saltando il processo di sinterizzazione abbatte drasticamente l’emissione di inquinanti. Si parla addirittura del 70 e dell’80%. Adottando questo sistema si risolverebbe il problema delle cokerie e dell’agglomerato. Resterebbe la questione dei parchi minerali.

Quindi produrre acciaio pulito è possibile?

Stiamo lavorando a una proposta organica per diversificare la produzione e far sì che questo sistema sia adottato in diversi stabilimenti. Perché non si dovrebbe produrre anche a Novi Ligure o a Genova? Si potrebbe ridurre il peso su Taranto, che attualmente produce con quattro altoforni dieci milioni di tonnellate di acciaio e, se si riutilizzasse anche il quinto altoforno, si arriverebbe a dodici tonnellate e mezzo.

Come se ne esce da questa vicenda?

Alla situazione attuale se ne esce male. Se i finanziamenti sono quelli di cui si è parlato finora stiamo freschi. Tra qualche settimana siamo a punto e a capo.

Non sono abbastanza dunque i 146 milioni di cui parla Ferrante?

Macché, e nemmeno i 336 del governo. Sono una barzelletta, con queste cifre non si combina niente.

E’ vero che dall’alto, anche dal governo, si sta cercando di mettere l’una contro l’altra due parti di Taranto, gli operai che difendono il loro posto di lavoro e chi invece vorrebbe vedere tutelata la propria salute?

Su questo ci si può mettere la firma. Stanno riproponendo vecchi schemi, vecchi modi di mettere calunnie in giro per screditare quelli più in vista. E’ una tecnica ormai consolidata che su chi conosce come funzionano queste cose non fa nessun effetto. Ma per i tanti giovani dell’Ilva che non hanno mai fatto politica o sindacato il rischio si fa più alto.

A proposito di sindacato, come giudica il suo operato?

Avrei preferito non dover rispondere a questa domanda. C’è da tener conto che tra Fiom, Fim e Uilm ci sono stati spesso contrasti e posizioni divergenti. Ricordo quando qualche anno fa licenziarono i due delegati della Fiom. Addirittura una parte del sindacato non solo non si schierò a favore dei due sindacati ma cercò di togliere l’acqua da sotto la barca isolandoli. La colpa dei due delegati? Fermare una siviera che faceva acqua e che poteva comportare gravi rischi per la sicurezza. Sulla questione dell’ambiente però non ci sono state differenze: Fim, Fiom e Uilm hanno tutti firmato gli accordi di programma che si sono succeduti nel corso degli anni. Si stanno differenziando più sulla vicenda dei magistrati che sul contenuto delle cose.

Parlando di magistratura, la città è davvero schierata con il gip Todisco?

Su questo non c’è dubbio, anche se secondo me stare in modo così pernicioso sulla Todisco non le fa bene. Lei sta solo facendo il suo lavoro, farne un santino del gip provoca danni soprattutto a lei.

Da molte parti si dice che il governo stia facendo pressione sulla magistratura. Lei è d’accordo?

Direi che per questo parlano le frasi dei ministri riportate anche dai giornali. Basta leggerle… Clini e il governo stanno facendo allarmismo perché hanno paura di perdere una così grossa produzione di acciaio. Ma su una parte della città le loro sparate non attecchiscono più. Anzi, in molti che erano dalla parte dell’azienda vedendo le falsità che vengono dette passano dall’altra parte.

Lei ha lavorato per 31 anni all’Ilva e ha visto sia la gestione pubblica sia la gestione privata. Nella tesi difensiva si dice che i morti e le malattie sono stati causati dalla gestione dello Stato e non da quella di Riva. Il Riesame però smentisce questa ricostruzione. Qual è la verità?

Le malattie che provoca il siderurgico si possono sviluppare in 3 o 4 anni come quelle asmatiche ma quelle tumorali sono di lungo periodo. Hanno uno sviluppo tra i 20 e i 30 anni. Oggi cominciamo a vedere che muoiono sempre più operai in pensione.

Sta dicendo che i veri effetti della produzione dei Riva si vedrà solo tra qualche anno?

Purtroppo sì. E la sensazione è molto negativa, perché non è mai stato fatto nulla per tutelare ambiente e salute. Anni fa, dopo che Sebastio gli ordinò di aumentare le ore di cottura del coke, Riva si rifiutò. Uno dei problemi delle cokerie, infatti, sono le ore di cottura: non producono solo benzoapirene, ci sono anche gli idrocarburi. Meno ore di cottura ci sono e più porcherie le cokerie buttano fuori. Basterebbe imporre di alzare le ore di cottura per ridimensionare le emissioni inquinanti.

Poi però ci sono anche le emissioni diffuse…

Quando scaricano il coke è un macello. La situazione diventa da inferno dantesco.

Lei lavorava nell’area dei parchi minerali, quindi una di quelle a rischio. I lavoratori non chiedevano mai all’azienda conto dei rischi che si correvano? E cosa vi veniva risposto?

Nel periodo della gestione pubblica e dei primissimi anni della gestione Riva c’era ancora la vecchia classe operaia. Quando le cose non funzionavano non si andava a lavorare. Finché non si metteva a posto non si lavorava. Molto spesso abbiamo bloccato i lavori dove c’era l’amianto. Si doveva litigare con i capi perché dicevano che non era amianto. Poi si chiamavano i tecnici, si facevano le analisi e veniva fuori che era amianto. Con i nuovi, i giovani hanno avuto vita più facile. Il sindacato ha lasciato fare all’azienda e con tutta la storia dei contratti di formazione e la paura che non fossero rinnovati nessuno ha avuto più il coraggio di dire niente.

Il Riesame, citando il caso della presunta “mazzetta” al professor Liberti, scrive che le pressioni dell’Ilva è una politica aziendale. Anche tra gli operai c’era questa sensazione?

Ma certo, figuriamoci. Un’azienda del genere quando si trova in difficoltà unge le ruote per farle girare. Sarebbe sciocco credere il contrario.

Il governatore Vendola ha fatto dell’ambiente una propria bandiera. Come giudica il suo operato sulla vicenda Ilva?

Noi siamo delusi da tutte le istituzioni locali. Ogni volta che c’è un accordo sono tutti soddisfatti ma mai una volta che si vada a verificare che gli accordi siano messi in atto. Nel 2005, per esempio, erano stati stanziati 55 milioni per bonificare i Tamburi. Poi però sono stati usati altrove. I politici sono sempre tutti contenti, ma alla fine non c’è mai nessun risultato. Vendola ha fatto qualcosa per la diossina, ma il problema sono i controlli. Non li puoi fare tre volte all’anno perché poi quello che succede negli intervalli di tempo non lo puoi sapere. E intanto intorno all’Ilva la città cade a pezzi…

Ferrante può portare i cambiamenti che servono?

Finora non vedo molti elementi positivi, però staremo a vedere e cercheremo di conoscerlo un po’ meglio. Teniamo conto che Ferrante, come tutti quelli che vanno mandati avanti dai proprietari effettivi, fanno quello che gli viene detto dall’alto.

La storia rischia di chiudersi come le altre volte? Un accordo di facciata che faccia contenti tutti e poi non cambia nulla?

Il potere gioca sul tempo. Se il movimento di protesta che si è creato non dovesse raggiungere qualche risultato in breve tempo tutto cadrà di nuovo nel dimenticatoio. Taranto è una città disgraziata che vive di sobbalzi. Adesso c’è un sobbalzo: speriamo che duri, perché poi quando arriva la disillusione è un problema. Ora c’è una parte di città che è più attenta. Bisogna insistere su questa e non perdere lo slancio, altrimenti sarà stato di nuovo tutto inutile.

E’ possibile che Riva lasci Taranto?

Secondo me non la lascerà mai. Non gli conviene, l’azienda va bene e produce profitto anche in un momento di crisi come questo. Il problema sono i soldi necessari ad ambientalizzare. Se Riva non li vuole mettere, lo Stato faccia l’esproprio dello stabilimento e si ritorni alla gestione pubblica.

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