3 novembre 1942 – Seconda guerra mondiale: fine della seconda battaglia di El Alamein; le forze italo-tedesche comandate da Erwin Rommel sono costrette alla ritirata durante la notte

Seconda battaglia di El Alamein

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Seconda Battaglia di El Alamein
Parte della seconda guerra mondiale
Bundesarchiv Bild 101I-783-0104-38, Nordafrika, italienische Panzer M13-40.jpg
Carri italiani M13/40 in movimento nel deserto
Data: 23 ottobre5 novembre 1942
Luogo: El Alamein, Egitto
Esito: Decisiva vittoria alleata
Schieramenti
War Ensign of Germany 1938-1945.svg Germania
Flag of Italy (1861-1946) crowned.svg Italia
Flag of the United Kingdom.svg Regno Unito
Commonwealth
Flag of Australia.svg Australia
Flag of New Zealand.svg Nuova Zelanda
British Raj Red Ensign.svg India
Flag of South Africa 1928-1994.svg Sud Africa
Flag of Free France 1940-1944.svg Francia libera
Hellenic Kingdom Flag 1935.svg Grecia
Comandanti
Ugo Cavallero
Albert Kesselring
Erwin Rommel
Harold Alexander
Bernard Montgomery
Effettivi
116.000 uomini[1];
547 carri armati[2]
195.000 uomini[3];
1.029 carri armati[4]
Perdite
30.543 tra morti, feriti, prigionieri e dispersi[5];
circa 500 carri armati[6];
84 aerei[7]
13.560 tra morti, feriti e dispersi[8];
tra i 332[9] e i 500 carri armati;
97 aerei[10]
Fronte del Mediterraneo (1941-45)
Guerra Greco-ItalianaJugoslaviaGreciaCretaNord AfricaItalia
Nord Africa (1940-1943)
CompassGiarabubTobrukBrevityBattleaxeCrusaderGazalaBir Hakeim1a AlameinAlam HalfaAgreement2a AlameinTorchPasso KasserinePugilistEl Guettar

La Seconda battaglia di El Alamein si svolse tra il 23 ottobre e il 3 novembre 1942, durante la seconda guerra mondiale. A seguito della Prima battaglia di El Alamein, che aveva bloccato l’avanzata delle forze dell’Asse comandate dal generale Erwin Rommel, il generale britannico Bernard Montgomery prese il comando dell’Ottava Armata britannica, fino ad allora comandata dal generale Neil Ritchie e, dopo il suo esonero, direttamente dal comandante in capo dello scacchiere Medio Oriente generale Claude Auchinleck, nell’agosto 1942. Il successo britannico in questa battaglia segnò il punto di svolta nella Campagna del Nord Africa, che si concluderà nel maggio 1943 con la resa delle forze dell’Asse in Tunisia.

Fanti italiani nel nord africa durante la battaglia di El Alamein


La situazione

Sul campoNel luglio del 1942 l’Armata corazzata italo-tedesca comandata del feldmaresciallo Rommel, costituita dalla Panzerarmee Afrika tedesca (ridenominazione del Deutsches Afrika Korps) e da due corpi d’armata italiani dei quali uno di fanteria ed uno meccanizzato, dopo aver costretto la guarnigione di Tobruk (forte di 33000 uomini) alla capitolazione era penetrata profondamente in Egitto, con l’obiettivo di troncare la vitale linea di rifornimenti britannica del Canale di Suez ed occupare i campi petroliferi del Medio Oriente[11]. In netta inferiorità numerica, indebolito da una catena di approvvigionamento troppo allungata e dalla mancanza di rinforzi, e consapevole dei massicci rinforzi britannici in arrivo, Rommel decise di colpire mentre il rafforzamento delle truppe britanniche non era ancora completato, indirizzando alle truppe il seguente proclama:

Indice

[]

« Soldati dell’Armata corazzata d’Africa, dobbiamo ora annientare l’avversario. Noi non ci fermeremo prima di aver schiacciato le ultime unità dell’VIII Armata britannica. Nei prossimi giorni vi domanderò il grande sforzo finale[12]»

Ma l’attacco del 30 agosto 1942 ad Alam Halfa fallì, e in attesa del contrattacco dell’Ottava Armata di Montgomery, l’Afrika Korps si trincerò.

Tra il 13 ed il 14 settembre, gli Alleati avevano tentato l’operazione Agreement, volta a scompaginare il sistema di rifornimenti dell’Asse, che si era però risolto in un clamoroso fallimento con forti perdite per le forze alleate. Le forze alleate persero varie navi, tra cui l’incrociatore Coventry ed i caccia Sikh e Zulu della classe Tribal a causa dell’efficace tiro delle batterie costiere italiane, e degli attachi aerei sempre italiani[13]. Anche i reparti a terra furono contrastati e ridotti al silenzio dalle truppe presenti, in particolare dai marò presenti nella base di Tobruk.

Nei comandi

Le vicende sul campo furono condizionate pesantemente dai rapporti all’interno dei comandi dell’Asse e degli Alleati.

Asse

La divisa del feldmaresciallo Erwin Rommel durante la Campagna d’Africa della II guerra mondiale esposta al museo della Battaglia di El Alamein

Nell’Asse, esistevano pessimi rapporti tra Rommel ed il Comando Supremo Italiano, ed in particolare con i marescialli Cavallero, Capo di Stato Maggiore generale, e Bastico, governatore della Libia (da Rommel soprannominato Bombastico)[14] ai quali rimproverava inettitudine e scarsa volontà di avvicinarsi al fronte (in pratica vigliaccheria); per contro da questi a Rommel veniva addebitata una frequente incapacità di coordinarsi con le altre forze, alle quali attribuiva le colpe dei suoi insuccessi. A lungo infatti vennero attribuite agli italiani, ed in particolare a presunti traditori presenti nella Regia Marina, le fughe di notizie che portarono a numerosi affondamenti nei convogli dei rifornimenti, che in realtà erano frutto delle intercettazioni di Ultra sulle comunicazioni tra l’addetto militare tedesco a Roma, generale Enno von Rintelen e l’OKW[15]. Con Delease, la delegazione del Comando Supremo in Africa Settentrionale, comandata dal generale Curio Barbasetti di Prun, i rapporti erano distanti; in effetti l’unico italiano stimato da Rommel era il generale Enea Navarini, che aveva sostituito il generale Gastone Gambara alla testa del XXI corpo d’armata fino a poco prima dell’avanzata verso El Alamein[16].

Inoltre anche tra Rommel e Kesselring, comandante tedesco della Wehrmacht per il settore sud (OKS – Ober Kommando Süden), esisteva un pessimo rapporto personale, in quanto Rommel riteneva che questi stesse usurpando le sue funzioni[17]. Quest’ultimo, invece, era preoccupato dello scarso controllo esercitato da Rommel durante la battaglia, come personalmente verificato durante un combattimento nei pressi di Ain el Gazala, nel quale lo stesso Kesselring aveva temporaneamente sostituito il generale Crüwell al comando dell’Afrikakorps, constatando come fosse impossibile raggiungere Rommel da parte dele unità impegnate per ottenere rapidamente ordini operativi[18].

Alleati

Il generale Montgomery con il suo tipico basco

Per quanto riguarda gli Alleati, Montgomery manteneva un rapporto distante con i suoi subordinati, dai quali non accettava neanche gli inviti a pranzo; a questo proposito, durante una visita ufficiale di Churchill, si ritirò nella sua roulotte a pasteggiare con un sandwich nonostante gli fosse stato riservato un posto alla tavolata. Anche con Churchill esisteva un rapporto problematico, tanto che questi disse di lui “come generale, Montgomery è formidabile, come uomo, insopportabile”[19]. In seguito agli insuccessi riportati, il comando in capo dell’area del Medio Oriente era stato rimaneggiato con l’esonero del generale Auchinleck e l’arrivo di Alexander; il comandante dell’VIII armata, generale Neil Ritchie, era stato esonerato già dopo la caduta di Tobruk ed il 15 agosto Montgomery era subentrato[20]. Anche la situazione politica inglese era precaria, con la Camera dei Comuni che il 25 luglio aveva votato una mozione di sfiducia verso il primo ministro Winston Churchill, mentre i dominion britannici, in particolare Australia e Nuova Zelanda, chiedevano conto di come le loro truppe venivano impiegate[21]. In alcuni casi i rapporti con i subordinati non inglesi erano molto tesi, tanto che, dopo che le sue unità vennero sottoposte per errore ad un mitragliamento da parte della RAF, il generale Pienaar, boero e comandante della 1a divisione sudafricana, scrisse a Montgomery:

« Questo pomeriggio i vostri aerei si sono accaniti contro di noi per ore ed ore, malgrado le nostre disperate segnalazioni. È una vergogna! Sappia, caro signore, che quarantadue anni or sono mio padre combatteva furiosamente nel Transvaal contro voialtri inglesi della malora, e che i sentimenti della mia famiglia non sono affatto cambiati. Posso capire perfettamente, nello stesso spirito, che il programma della RAF comprenda l’annientamento delle truppe sudafricane! Fatemi sapere dunque se Rommel è mio amico o mio nemico e se devo mettere in azione la mia contraerea contro di voi![22] »

Il terreno

Mappa della costa, riferita ad un periodo posteriore a quello della battaglia; si noti che la ferrovia non termina a El Alamein ma prosegue per Marsa Matruh ed oltre.

Il luogo della battaglia, El Alamein, fu prescelto dagli inglesi per le caratteristiche naturali che si prestavano ottimamente ad una difesa. A circa 60 km dalla costa, e dalla località posta sul mare, si trova la depressione di Qattara, avvallamento con un diametro di circa 300 km la cui profondità raggiunge diverse decine di metri dal livello del mare ed è impraticabile ai mezzi meccanici[23]. Questo eliminava la possibilità di azioni avvolgenti da parte dell’ACIT (Armata Corazzata Italo Tedesca). La località ospitava all’epoca una stazione della linea ferroviaria che collegava la costa fino a Marsa Matruh con Alessandria d’Egitto, permettendo un agevole flusso di rifornimenti alle forze impegnate. Esistevano notevoli campi minati posati in precedenza e rinforzati nel periodo immediatamente precedente. A metà strada dalla costa si erge la cresta di Ruweisat che domina il deserto circostante ed è uno dei pochi rilievi naturali della zona, la qual cosa la rende punto cruciale per il controllo del campo di battaglia; infatti pesanti combattimenti si svolsero già durante la prima battaglia di El Alamein per il suo possesso. Auchinleck l’aveva resa uno dei fulcri del sistema difensivo inglese. Altri rilievi presenti sono la cresta di Miteriya e la collina Kidney. A sud, dove erano schierate in prima linea le divisioni Folgore e Pavia, al limite della depressione di Qattara, si trova la più piccola depressione di Munassib.

L’operazione Lightfoot

24 ottobre 1942: truppe del Commonwealth britannico all’attacco tra la polvere del deserto.

Il 23 settembre 1942, veniva ricevuto a Londra il seguente messaggio proveniente dal Cairo:

« 23 settembre 1942 – Comandante in capo Medio Oriente a Primo Ministro e Capo di Stato Maggiore imperiale. ZIP »

La parola ZIP, del cui significato erano a conoscenza il solo Churchill ed Alan Brooke, capo di stato maggiore imperiale, oltre al generale Alexander, era il nome in codice dell’inizio dell’offensiva britannica. Il nome ricordava onomatopeicamente il suono della cerniera lampo dei piloti quando veniva chiusa ed era stato scelto dallo stesso Churchill[24]. La parola ZIP fu utilizzata allo stesso scopo anche in occasione di altre operazioni angloamericane. Dopo sei settimane di continui rifornimenti di uomini e materiali l’Ottava Armata britannica era pronta a colpire; scattava l’Operazione Lightfoot: 200 000 uomini e 1 000 carri armati (ma i numeri variano secondo le fonti) di modello recente, tra cui 270 Sherman americani, guidati da Montgomery si mossero contro i 100 000 uomini e circa 490 carri, 211 tedeschi (di cui 38 Panzer IV dell’Afrika Korps) e 279 italiani di tipo M14/41 e 35 semoventi 75/18 [25]; il tutto secondo il solo modo di combattere concepito e sempre perseguito da Montgomery: quello di una preparazione meticolosa di ogni operazione, dove la velocità veniva spesso sacrificata alla eliminazione dei rischi; in effetti, in quel momento gli Alleati avevano il domino dei cieli dovuto alla enorme differenza numerica di velivoli (1 000 caccia e bombardieri moderni, in rapporto di tre a uno rispetto all’Asse), alla vicinanza alle loro principali basi aeree egiziane e alla pressoché illimitata disponibilità di rifornimenti e carburante. Inoltre non dovevano preoccuparsi della minaccia navale della Regia Marina la quale spesso non riusciva neanche a scortare i convogli dei rifornimenti necessari alle truppe o addirittura vi rinunciava.

Rommel ad El Alamein

Infatti, delle 6000 tonnellate di carburante promesse il 18 agosto dal Comando Supremo italiano, in particolare dal maresciallo Cavallero[26], non ne erano arrivate che 1000, con buona parte di esso persa nell’affondamento della petroliera Panuco (1650 t) e di un’altra, la Sanandrea (con un carico di 2.411 t di benzina), affondata addirittura all’imbocco del porto di Tobruk[27]. Anche la Luftwaffe venne meno all’impegno, preso con Rommel, di consegnare 500 tonnellate di carburante al giorno, e così, al 2 settembre, le truppe tedesche disponevano di una sola giornata di rifornimenti[28]. Ma gli inglesi, che si avvalevano delle informazioni decrittate da Ultra per conoscere i movimenti italiani, decrittando le comunicazioni tra l’ambasciata tedesca a Roma e l’OKW a Berlino, affondarono il 27 ottobre la cisterna Proserpina e poco dopo il trasporto Tergestea; più avanti sarebbe toccato alle cisterne Luisiana e Portofino (quest’ultima con 2.200 t di benzina)[29]. Questo rese la mobilità delle truppe italo-tedesche alla vigilia della battaglia assai limitata, di fatto inesistente in uno scenario come quello desertico. Non tutte le fonti concordano però con questa analisi; nell’opera “Le operazioni in Africa Settentrionale Vol. III El Alamein” (in bibliografia), edito dal Centro Studi dell’Esercito Italiano, le perdite dei convogli nel mese di ottobre vengono stimate al 20% per i rifornimenti e al 22% per il carburante, cosa che implica quindi come la sconfitta non possa essere attribuita del tutto alla mancanza di mobilità.

Lo stato di salute di Rommel, già malato, peggiorò al punto di richiederne il ritorno in Germania, e il comando dell’Afrika Korps passò il 22 settembre al generale Georg Stumme, un esperto di truppe corazzate; comunque, prima di rientrare, Rommel passò per Roma a riferire della precaria situazione delle truppe impegnate nel deserto, ma senza risultati di maggiore impegno; disse poi:

« Mi ripetevano continuamente “ve la caverete.” La fiducia manifestata era lusinghiera, ma un rifornimento soddisfacente mi sarebbe servito di più[30].  »

Alla data del 15 ottobre, il confronto di forze era quindi di 150.000 uomini per l’VIII armata contro i 96.000 dell’ACIT, dei quali 24.000 tedeschi. Gli aerei e le navi di base a Malta, che non era stata neutralizzata come previsto dall’operazione C3 perché gli aerei necessari a questa ultima eranno stati trattenuti in Africa proprio da Rommel per appoggiare l’offensiva, falcidiavano sistematicamente del 50% i convogli di rifornimenti italiani[31]. In effetti, a causa del rinvio dell’attacco a Malta (poi definitivamente annullato), due reparti d’elite, la divisione paracadutisti Folgore e la brigata paracadutisti tedesca Ramcke, verranno inviati a rinforzare l’armata italo-tedesca. La Folgore era una unità molto addestrata e disciplinata, priva di qualunque mezzo di trasporto e dotata per quanto riguarda l’artiglieria solo di cannoni anticarro da 47mm. La brigata tedesca, reduce dall’aviosbarco di Creta e classificata come 1ª Fallschirmjägerbrigade dalla Luftwaffe, alla quale apparteneva come tutte le unità paracadutiste germaniche, prendeva il nome dal suo comandante (soprannominato sorriso d’acciaio perché aveva una dentiera di quel metallo, avendo perso i denti in un lancio); anch’essa non era motorizzata e si basava molto su quanto riusciva a reperire sul campo, di solito a spese dell’avversario; il suo simbolo era un aquilone con una R al centro[32].

Forze in campo

Mezzi del 39. Panzerjägerabteilung (parte del Kampfgruppe “Gräf”, della 21ª Panzer Division) dell’Afrika Korps in movimento.

Di seguito sono elencati gli ordini di battaglia dell’Armata Corazzata Italo-Tedesca[33] e dell’Ottava Armata britannica[34][35]:

Asse

  • Armata Corazzata Italo-Tedesca – comandante generale Georg Stumme; capo di stato maggiore: tenente colonnello Westphal – aggiornato al 23 ottobre 1942
    • Deutsche Afrika Korps (generale Von Thoma)
    • X Corpo d’Armata italiano (gen. Enrico Frattini ad interim dopo la morte del generale Ferrari Orsi durante una ispezione alle linee[37], poi sostituito dal gen. Nebbia [38])
      • 17ª Divisione di Fanteria “Pavia” (gen. Nazareno Scattaglia)
      • 27ª Divisione di Fanteria “Brescia” (gen. Brunetto Brunetti)
      • 185ª Divisione Paracadutisti “Folgore”(gen. Enrico Frattini)
      • 9° Reggimento Bersaglieri (su due battaglioni autotrasportati XXVIII e LVII) [39]
      • XLIX gruppo di artiglieria pesante campale da 105/28
      • CXLVII gruppo di artiglieria pesante campale da 149/28
      • XXXI battaglione guastatori d’Africa (comandato dal maggiore Paolo Caccia Dominioni)
      • X battaglione genio artieri
      • X battaglione collegamenti
    • XX Corpo d’Armata Motocorazzato italiano (gen. De Stefanis)
    • XXI Corpo d’Armata italiano (gen. Gloria, poi sostituito da Navarini rientrato dall’Italia il giorno successivo all’arrivo di Rommel)
      • 25ª Divisione di Fanteria “Bologna” (gen. Gloria)
      • 102ª Divisione di Fanteria “Trento” (gen. Masina)
    • Supporti d’armata tra cui:
      • 19ª Divisione Flak (gen. Burckhardt)
      • Comando artiglieria 104
      • 288° Panzergrenadierregiment
      • 580° gruppo esplorante
      • Divisione Corazzata Giovani Fascisti (gen. Di Nisio); in realtà questa unità rimase a presidiare l’oasi di Siwa, e non partecipò ai combattimenti[40]

Tra queste unità, la 164ª leichte Afrika Division era arrivata in Africa nel marzo 1942; la divisione di fanteria italiana Pistoia, appena inviata in Africa, non venne schierata da Rommel a causa della sua inesistente preparazione[41].

Alleati

El Alamein 1942: Carri britannici muovono verso la linea di combattimento per ingaggiare i blindati tedeschi dopo che la fanteria ha liberato dei varchi nei campi minati nemici

Il maggior generale Dan Pienaar, comandante della 1ª divisione sudafricana, nel 1942

  • VIII Armata britannica (generale Montgomery); capo di stato maggiore brig. gen. Francis de Guingand
    • X Corpo d’Armata britannico (generale Herbert Lumsden)
      • 1ª Divisione Corazzata britannica (gen. Briggs) su
        • II brigata corazzata
        • VII brigata motorizzata
      • 8ª Divisione Corazzata britannica (non utilizzata in battaglia)(gen. Gairdner) su solo quartier generale e alcune truppe divisionali.
      • 10ª Divisione Corazzata britannica (gen. Gatehouse)
        • VIII brigata corazzata,
        • VIII brigata corazzata,
        • CXXXIII brigata di fanteria (motorizzata)
    • XIII Corpo d’Armata britannico (generale Brian Horrocks)
      • 7ª Divisione Corazzata britannica (gen. Harding)
        • IV brigata corazzata leggera
        • XXII brigata corazzata
        • I brigata della Francia Libera (generale Pierre Koenig)
      • 44ª Divisione di Fanteria britannica (gen. Hughes) su:
        • CXXXII brigata di fanteria inglese
        • CXXXII brigata di fanteria inglese
      • 50ª Divisione di Fanteria britannica (gen. Nichols) su:
        • LIX brigata di fanteria inglese
        • CL brigata di fanteria inglese
        • 2ª Brigata Francia Libera (aggregata alla 50ª Divisione di Fanteria)
        • 1ª Brigata di fanteria Greca (aggregata alla 50ª Divisione di Fanteria)
    • XXX Corpo d’Armata britannico (generale sir Oliver Leese)
        • XXIII Brigata corazzata
      • 1ª Divisione di Fanteria sudafricana (generale Pienaar)
        • I brigata di fanteria sudafricana
        • II brigata di fanteria sudafricana
        • III brigata di fanteria sudafricana
      • 2ª Divisione di Fanteria neozelandese (generale Freyberg)
        • V brigata di fanteria neozelandese
        • VI brigata di fanteria neozelandese
        • IX brigata corazzata inglese
      • 4ª Divisione di Fanteria indiana (gen. Tuker)
        • V brigata di fanteria indiana
        • VII brigata di fanteria indiana
        • CLI brigata di fanteria indiana
      • 9ª Divisione di Fanteria australiana (generale Morshead)
        • XX brigata di fanteria australiana
        • XXIV brigata di fanteria australiana
        • XXVI brigata di fanteria australiana
      • 51ª Divisone di Fanteria britannica Highland (gen. Wimberley)
        • CLII brigata di fanteria
        • CLIII brigata di fanteria
        • CLIV brigata di fanteria

Il piano britannico

Carri britannici Matilda in azione.

Le forze dell’Asse erano trincerate lungo due linee, chiamate dagli Alleati Linea Oxalic e Linea Pierson. davanti ad esse giacevano mezzo milione di mine, anticarro, antiuomo e a trappola, che costituivano i cosiddetti Giardini del Diavolo, in particolare nella parte meridionale dello schieramento, dove più debole era la consistenza numerica delle forze dell’Asse. Rommel il 23 settembre aveva dettagliatamente rilasciato al generale Stumme le istruzioni in base alle quali la difesa sarebbe stata organizzata su una serie continua di cinte difensive; avanti ad esse si sarebbe piazzata una compagnia per ogni battaglione di fanteria, ed alle spalle le postazioni difensive principali. Scaglionate in profondità le artiglierie pesanti ed anticarro, in particolare i cannoni antiaerei da 88mm che erano particolarmente efficaci contro i carri pesanti alleati. Il 3% delle mine era costituito da mine antiuomo, che se attivate schizzavano verso l’alto seminando una rosata di palline d’acciaio a 360°. In totale, le forze dell’Asse seminarono 249.849 mine anticarro e 14.509 antiuomo, alle quali si univano quelle contenute nei campi già predisposti dagli inglesi ed ora nella zona sotto il controllo dell’Asse, per un totale di 445.000 mine[42].

Con l’Operazione Lightfoot, Montgomery sperava di ritagliare due corridoi lungo i campi minati dell’Asse, a nord, lungo i quali sarebbe passato per sconfiggere l’armata italo-tedesca. Nel primo di questi, la 1ª Divisione corazzata britannica doveva aprirsi un varco di dieci Km di larghezza a partire dalla mattinata del 24 ottobre nel settore di Kidney Ridge, ed aspettare dopo aver interrato gli scafi dei carri il contrattacco italo-tedesco. Attacchi diversivi a sud compiuti dalla 7ª Divisione corazzata britannica appoggiata dalla 44ª Divisione di fanteria britannica (nel settore della Folgore e della Pavia) avrebbero impedito al resto delle forze dell’Asse di muoversi verso nord[43]. Montgomery si attendeva una battaglia di dodici giorni in tre fasi: “Irruzione, combattimento corpo a corpo e rotta finale del nemico“.

I britannici misero in atto una serie di diversivi nei mesi precedenti la battaglia per sviare il comando dell’Asse, non solo a riguardo del punto dell’attacco ma anche sui tempi in cui sarebbe avvenuto. Questa operazione aveva come nome in codice Operazione Bertram. Venne fabbricato, pezzo per pezzo, un falso oleodotto, la cui costruzione indusse Rommel a pensare che un attacco sarebbe arrivato molto più tardi di quanto non avvenne in realtà, all’inizio di novembre, e molto più a sud tra la cresta di Ruweisat e la depressione di El Qattara. Si arrivò a cancellare le tracce dei veicoli sulla sabbia per nascondere i loro spostamenti e diffondere via radio false informazioni a beneficio del nemico su una frequenza riservata[44]. Per aumentare l’illusione, finti carri armati costruiti con sagome di compensato attaccate a delle jeep vennero dislocati a sud. Al contrario, i carri per la battaglia, posizionati a nord, erano camuffati come camion da trasporto, piazzando sopra di essi delle sovrastrutture in compensato. In realtà il trucco del mascheramento era stato usato con successo da Rommel durante le fasi precedenti dell’avanzata, in più di una circostanza, come ad esempio durante la Battaglia di al Gazala.

La battaglia

Evoluzione della battaglia
(1/16)

Dispiegamento delle forze il 23 ottobre 1942

La battaglia iniziò alle 21:00 del 23 ottobre con un sostenuto sbarramento di artiglieria: l’obiettivo iniziale era la Linea Oxalic, che i mezzi corazzati avrebbero dovuto superare per puntare verso la Linea Pierson. Ad ogni modo i campi minati non erano ancora stati completamente ripuliti quando l’assalto iniziò.

Il primo giorno, la forzatura del corridoio a nord si fermò a tre chilometri dalla Linea Pierson, mentre più a sud i progressi furono più consistenti, ma si fermarono sulla Cresta di Miteirya.

Il 24 ottobre, il comandante dell’Asse, generale Georg Stumme (Rommel era in licenza per malattia in Austria), morì per un attacco di cuore e il generale von Thoma prese il comando, mentre a Rommel fu ordinato di tornare in Africa, dove arrivò il 25 ottobre.

Gli alleati furono costretti ad abbandonare l’attacco verso sud respinto dagli italiani. Montgomery diresse tutte le sue forze in un attacco verso nord: questo andò a buon fine nella notte tra il 25 e il 26. L’immediato contrattacco di Rommel invece fallì. Gli Alleati avevano perso 6.200 uomini contro i 2.500 dell’Asse, ma mentre Rommel aveva solo 370 carri armati pronti all’azione, Montgomery ne aveva ancora più di 900.

Un M13/40 in Africa Settentrionale nel 1942

Montgomery sentì che l’offensiva stava perdendo la sua spinta e decise di riorganizzarsi. Ci furono una serie di piccole azioni ma, per il 29 ottobre, la linea dell’Asse era ancora intatta. Montgomery era ancora fiducioso e preparò le sue forze per l’Operazione Supercharge. Le infinite operazioni di disturbo e il logorio causato dalle forze aeree alleate avevano ridotto la forza effettiva dei carri di Rommel a 102 unità.

La seconda offensiva massiccia degli alleati si svolse lungo la costa, inizialmente per catturare il rilievo di Tel el Aqqaqir. L’attacco iniziò il 2 novembre 1942. Al 3 novembre, Rommel era rimasto con solo 35 carri armati operativi; nonostante riuscisse a contenere l’avanzata britannica, la pressione sulle sue truppe rese necessaria la ritirata. Lo stesso giorno il Feldmaresciallo ricevette da Adolf Hitler un ordine di “Vittoria o morte” che fermò la ritirata; ma la pressione alleata era troppo grande e le forze italo-tedesche dovettero cedere nella notte tra il 3 e il 4 novembre.

Ciò nondimeno, molte unità offrirono una caparbia resistenza, come i paracadutisti della Folgore, che si batterono eroicamente per giorni e giorni subendo gravi perdite ed infliggendone al nemico anche di maggiori. Combatterono i corazzati britannici con mezzi di fortuna, quali bottiglie incendiarie e cariche di dinamite, avendo solo oltre a queste pochi cannoni anticarro da 47/32 con poche munizioni. Esaurite anche queste risorse, i paracadutisti si nascosero in buche scavate nel terreno e attaccarono mine anticarro ai mezzi britannici in movimento (i resti della Folgore si arrenderanno solo il 6 novembre e dopo aver distrutto le proprie armi rese inutili dall’esaurimento delle munizioni); non meno egregiamente si comportò la Divisione corazzata Ariete, della quale celebre è il messaggio finale (che però viene da alcuni messo in dubbio) ricevuto dal Comando d’Armata: «Carri nemici irrompono spalle Ariete. Con ciò Ariete circondata. Carri Ariete combattono». Di questo messaggio esiste un’altra versione, altrettanto plausibile, dal Comandante della Divisione al Comando d’Armata «Ci rimangono tre carri, contrattacchiamo». Alla fine del combattimento, non uno dei carri era funzionante, ma gli Inglesi pagarono un prezzo altissimo, in uomini e mezzi.

Anche le unità tedesche combatterono ai limiti delle loro possibilità ma, avendo le divisioni di fanteria una propria dotazione di mezzi di trasporto, diversamente dalle divisioni italiane, riuscirono a sganciarsi; inoltre la brigata paracadutisti Ramcke, appiedata ed a ranghi ridotti dagli estenuanti combattimenti, riuscì ad assaltare un convoglio britannico ed a procurarsi così i mezzi necessari per lo sganciamento.

Il 4 novembre le forze dell’Asse, non più in grado di opporre resistenza organizzata, iniziarono il ripiegamento; per le divisioni di fanteria italiane, non motorizzate, era preclusa ogni via di fuga ed oltre 30 000 soldati si dovettero arrendere. Molti di più riuscirono però a ripiegare, sia per le capacità tattiche di Rommel, che per l’estrema prudenza di Montgomery, che non voleva cadere vittima di una delle brillanti invenzioni delle quali il suo avversario si era mostrato più volte capace. Probabilmente Rommel sarebbe riuscito a salvare molti più uomini se Hitler non lo avesse dapprima obbligato a resistere sul posto “fino all’ultimo uomo” su una linea di resistenza leggermente arretrata e solo in un secondo tempo gli avesse concesso la libertà di sganciarsi.

Winston Churchill riassunse la battaglia, il 10 novembre 1942, con la famosa frase: «Ora, questa non è la fine, non è nemmeno l’inizio della fine. Ma è forse la fine dell’inizio».

La battaglia fu il più grande trionfo di Montgomery, e gli valse il nome di “Lord Montgomery Visconte di Alamein” quando venne fatto Pari d’Inghilterra. Il successo del suo piano portò Montgomery a preferire la superiorità schiacciante in tutte le successive battaglie, dandogli la reputazione di essere eccessivamente cauto.

Con l’Operazione Torch, che si svolse in Marocco alla fine di novembre, la Battaglia di El Alamein segnò la fine della minaccia portata dalle forze dell’Asse in Nord Africa.

Testimonianze

Il sacrario militare italiano di El Alamein

La presenza italiana è ricordata dal grande Sacrario Militare di El Alamein, a Quota 33 sulla litoranea per Alessandria, che raccoglie i resti di oltre 5.200 soldati italiani e 232 ascari libici[45].

La progettazione del sacrario, la ricerca e raccolta dei resti dei caduti anche di altra nazionalità fu opera dell’allora Maggiore Paolo Caccia Dominioni con l’aiuto del suo assistente caporale Renato Chiodini e si svolse a partire da 1948 per più di dieci anni. Su questa quota avvenne uno dei tanti episodi delle due battaglie, il sacrificio del LII Gruppo Cannoni da 152/37 che il 10 luglio 1942 si oppose agli australiani della 9ª Divisione.

Targa commemorativa che delimita il punto di massima avanzata dell’esercito italiano.

Inoltre poco lontano un’iscrizione, fatta dai bersaglieri del 7º Reggimento il 1º luglio 1942 su un cippo ai margini della strada litoranea a 111 chilometri da Alessandria d’Egitto, riporta una nota frase che ricorda migliaia di italiani caduti in una guerra spesso condotta senza gli adeguati mezzi: «Mancò la fortuna, non il valore».

Anche gli Alleati eressero i loro cimiteri nella zona della battaglia, con monumenti che ricordassero l’evento.

Molte opere cinematografiche sono state dedicate negli anni alla battaglia in forma più o meno romanzata. Tra queste, i film italiani La_battaglia di El Alamein , Uccidete Rommel e El Alamein – La linea del fuoco, queste ultime due dedicate più ad una analisi introspettiva dei personaggi coinvolti che alla ricostruzione storica della battaglia in se, pur se con una forte base storica.

Note

  1. ^ Buffetaut, p. 95
  2. ^ 249 tedeschi e 298 italiani. Quelli germanici erano così distribuiti: 31 Panzer II, 85 Panzer III, 88 Panzer III, 388 Panzer IV e 7 carri del comando. Quelli italiani invece erano 278 Fiat M13/40 e 20 carri leggeri. Ulteriori 23 carri armati tedeschi, che durante la battaglia erano in riparazione, non sono stati inseriti nel contaggio totale
  3. ^ Playfair, p. 30
  4. ^ Playfair, p. 9
  5. ^ Barr, p.404
  6. ^ Il 4 novembre i tedeschi avevano persolo solo 36 carri, contro i circa 139 italiani. I restanti mezzi corazzati della penisola furono abbandonati al termine della battaglia e conquistati dalla 7° Divisione armata britannica
  7. ^ 64 e 20 italiani
  8. ^ I britannici ebbero il 58% delle perdite, gli australiani il 22%, i neozelandesi il 10%, i sudafricani il 6%, gli indiani l’1% e il resto degli Alleati il 3%
  9. ^ Barr, p.404
  10. ^ Playfair – Pag. 78 77 britannici e 20 statunitensi
  11. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. Cap. II – Continuare o consolidare, pag. 43 e successive
  12. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. pag. 24
  13. ^ Casualty Lists of the Royal Navy and Dominion Navies, World War 2. consultato il 3 agosto 2009 La lista delle perdite della Royal Navy per giorno ed operazione su Naval-history.net
  14. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 66
  15. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 161
  16. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 88
  17. ^ David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. PistaVolpe pag. 186
  18. ^ David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. PistaVolpe pag. 186
  19. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 161
  20. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. Cap. III – Churchill al fronte, pag. 64 e successive
  21. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. Cap. I – La caduta di Tobruk, pag. 26
  22. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 142
  23. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. pag. 83
  24. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto Cap. IX – ZIP, pagg. 151-153.
  25. ^ Mario Montanari, Le operazioni in Africa Settentrionale – Vol. III Pag. 706, Ufficio Storico dell’Esercito, Roma, 2006.
  26. ^ David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. PistaVolpe Cap. XV – Il crinale, pag. 218
  27. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto Cap. VI – La battaglia di Alam el Halfa, pag. 123
  28. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto Cap. VI – La battaglia di Alam el Halfa, pag. 123
  29. ^ David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. PistaVolpe Cap. XVI – “Se non dovessi tornare”, pag. 232
  30. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto Vigilia d’armi, pag. 143
  31. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto Vigilia d’armi, pag. 147
  32. ^ Luftwaffenjäger-Brigade 1 or Fallschirmjäger-Ramcke Brigade. consultato il 14 ago 2009
  33. ^ Mario Montanari, Le operazioni in Africa Settentrionale – Vol. III, (pag. 680 – 683)
  34. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pagg. 191 e succ.
  35. ^ * Ian Stanley Playfair; F.C. Molony, T.P. Flynn, The Mediterranean and Middle East, Volume IV: The Destruction of the Axis Forces in Africa – History of the Second World War United Kingdom Military Series, (in inglese) Uckfield, UK, Naval & Military Press, 2004. Pagg. 7-8
  36. ^ Luftwaffenjäger-Brigade 1 or Fallschirmjäger-Ramcke Brigade. consultato il 14 ago 2009
  37. ^ http://www.esercito.difesa.it/root/storia/elal_divX.asp El Alamein – Lo schieramento italiano – Il X Corpo d’Armata
  38. ^ Montanari, pag. 673
  39. ^ http://www.esercito.difesa.it/root/storia/elal_divX.asp El Alamein – Lo schieramento italiano – Il X Corpo d’Armata
  40. ^ Arrigo Petacco, L’armata del deserto, pag. 216
  41. ^ David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. PistaVolpe Cap. XIV – Preludio ad El Alamein, pag. 213
  42. ^ La pista della volpe pag. 225
  43. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. pag. 164
  44. ^ E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. pag. 142
  45. ^ ANPdI (Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia – I reduci)>

Bibliografia

Libri [modifica]

  • David Irving, La pista della volpe, (in italiano) Milano, Mondadori, 1978. Irving
  • E. Krieg, La guerra nel deserto – vol. 2 – La battaglia di El Alamein, (in italiano) Ginevra, Edizioni di Crémille, 1969. GuerraDeserto
  • Paolo Caccia Dominioni, Alamein 1932-1962, (in italiano) Milano, 1962. Alamein
  • Paolo Caccia Dominioni, Le 300 ore a Nord di Qattara, (in italiano) Milano, Longanesi & C, 1972. Alamein
  • Arrigo Petacco, L’armata nel deserto, (in italiano) Milano, Mondadori, 2001. Petacco
  • Ian Stanley Playfair; F.C. Molony, T.P. Flynn, The Mediterranean and Middle East, Volume IV: The Destruction of the Axis Forces in Africa – History of the Second World War United Kingdom Military Series, (in inglese) Uckfield, UK, Naval & Military Press, 2004.
  • Yves Buffetaut, Operation Supercharge-La seconde bataille d’El Alamein, (in francese) Histoire Et Collections, 1995.
  • Mario Montanari, Le operazioni in Africa Settentrionale Vol. III El Alamein, (in italiano) Roma, Ufficio Storico dell’Esercito, 2006.

Pubblicazioni e articoli di rilevanza

Voci correlate

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3 novembre 1942 – Seconda guerra mondiale: fine della seconda battaglia di El Alamein; le forze italo-tedesche comandate da Erwin Rommel sono costrette alla ritirata durante la notteultima modifica: 2009-11-03T08:38:00+01:00da admin
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