Testo e commento del Canto XXVIII dell’Inferno (versi 22-63)

Testo e commento del Canto XXVIII dell’Inferno (versi 22-63)-Maometto e Alì

Già veggia, per mezzul perdere o lulla,
com’io vidi un, così non si pertugia,
rotto dal mento infin dove si trulla. 24

Tra le gambe pendevan le minugia;
la corata pareva e ’l tristo sacco
che merda fa di quel che si trangugia. 27

Mentre che tutto in lui veder m'attacco,
guardommi e con le man s'aperse il petto,
dicendo: "Or vedi com'io mi dilacco! 30

vedi come storpiato è Mäometto!
Dinanzi a me sen va piangendo Alì,
fesso nel volto dal mento al ciuffetto. 33

E tutti li altri che tu vedi qui,
seminator di scandalo e di scisma
fuor vivi, e però son fessi così. 36

Un diavolo è qua dietro che n’accisma
sì crudelmente, al taglio de la spada
rimettendo ciascun di questa risma, 39

quand’avem volta la dolente strada;
però che le ferite son richiuse
prima ch’altri dinanzi li rivada. 42

Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse,
forse per indugiar d’ire a la pena
ch’è giudicata in su le tue accuse?". 45

"Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena",
rispuose ’l mio maestro, "a tormentarl
o;
ma per dar lui esperïenza piena, 48

a me, che morto son, convien menarlo
per lo ’nferno qua giù di giro in giro;
e quest’è ver così com’io ti parlo". 51

Più fuor di cento che, quando l’udiro,
s’arrestaron nel fosso a riguardarmi
per maraviglia, oblïando il martiro. 54

"Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi,
tu che forse vedra’ il sole in breve,
s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, 57

sì di vivanda, che stretta di neve
non rechi la vittoria al Noarese,
ch’altrimenti acquistar non saria leve". 60

Poi che l’un piè per girsene sospese,
Mäometto mi disse esta parola;
indi a partirsi in terra lo distese. 63

A questo punto Dante inizia a descrivere i singoli dannati. Il primo dove gli cade l’attenzione è aperto al centro, come le botti che hanno rotta le assi delle basi, mezzule o lulla, e Dante si dilunga con disprezzo e con un linguaggio più trito possibile a descrivere la miseria di un dannato verso il quale non vuole suscitare la minima idea di compassione. Il peccatore è aperto dal mento fin dove si trulla (dove si “scoreggia”, il sedere) e tra le gambe gli pendono le interiora, la corata e lo stomaco, indicato con la più volgare delle perifrasi “‘l tristo sacco / che merda fa di quel che si trangugia”. Egli si apre il petto quasi per creare compassione in Dante, ma lo sdegno di Dante si riflette in tutta la melliflua meschinità delle parole che gli fa dire: (parafrasi) “Guarda come mi scoscio (dilacco)! Guarda com’è storpiato Maometto! Davanti a me se ne va anche ʿAlī, ferito sul volto dal mento ai capelli (il ciuffetto)”

Priamo della Quercia, illustrazione del Canto XVIII
Dante sicuramente conosceva poco e male l’islamismo e il suo fondatore (che non creò uno scisma in sé, perché non convertì cristiani, ma pagani) e attribuisce ad ʿAlī la fine dello scisma (per quanto Dante potesse essere a conoscenza della divisione tra sunniti e sciiti), infatti le ferite dei due sono complementari e indicano la prosecuzione nell’opera dell’uno in quella dell’altro. Il contrappasso è chiaro e viene spiegato da Maometto e più avanti da Bertrand de Born: come essi divisero le genti adesso il loro corpo è diviso da diavoli armati di spada, che rinnovano le loro mutilazioni ogni volta che si rimarginano ad ogni giro della bolgia.

Il dannato chiede poi chi sia Dante, se sia un dannato che indugia ad arrivare al luogo della sua pena, e Virgilio risponde per lui: “Né morte ‘l giunse ancor, né colpa ‘l mena” cioè, non è né morto né dannato, ma con la sua guida deve avere un’”esperienza piena” dell’Inferno girone per girone, e ciò è la verità quanto lo è il fatto di parlare ora.

All’udire che Dante era vivo tutta la bolgia si arresta a guardare Dante stupita, obliando il martiro. Maometto resta con un piede sospeso tra un passo e l’altro (immagine poco riuscita di Dante, secondo molti critici, che forse però è segnalata per ridicolizzare ulteriormente il dannato) e si appresta a fare una raccomandazione a Fra’ Dolcino, che Dante la riporti quando torna su nel mondo. Non ci sono ragioni per cui Maometto avrebbe dovuto preoccuparsi per un eretico del nord Italia, se non l’esigenza di Dante di citare una persona ancora viva nel 1300 tra i dannati di questa bolgia. Maometto dice: (parafrasi) “Di’ a Fra Dolcin che si armi di vettovaglie, se non vuole raggiungermi presto, che sarà bloccato nella neve. Se non lo fa recherà una facile vittoria al vescovo di Novara, vittoria che altrimenti sarebbe tutt’altro che facile”. Per inciso Fra’ Dolcino è l’unico eretico “vero” citato nell’Inferno (nella bolgia degli eretici sono invece citati solo epicurei, atei). Solo dopo aver parlato Maometto può nuovamente appoggiare il piede e ripartire.

[bibl] Inferno – Canto ventottesimo, //it.wikipedia.org/w/index.php?title=Inferno_-_Canto_ventottesimo&oldid=40069361