‘Un sapore di ruggine e ossa’: quando la speranza nasce da una tragica fatalità

Titolo: La locandina del film
Fonte: BIM Distribution

La pellicola di Jacques Audiard, acclamata a Cannes, è ispirata ai racconti di Craig Davidson e insegna, senza buonismo e luoghi comuni, l’importanza della maturità e dell’accettazione

Anni fa Carlo Verdone nel suo ‘Perdiamoci divista’ parlando con una Asia Argento che interpretava una disabile tutta pepe, faceva notare come un’invalidità potesse innescare sensi di colpa nelle persone, banalmente definite, “sane”. È partendo da questo ragionamento, ma riuscendo a toccare innumerevoli altre temi sociali e numerose sfaccettature dell’animo umano, che si sviluppa ‘Un sapore di ruggine e ossa’ l’ultimo film di Jacques Audiard, già regista de ‘Il Profeta’, basato sulla raccolta di racconti ‘Ruggine e ossa’ (Rust and Bone) di Craig Davidson. Una pellicola che ha entusiasmato la platea dell’ultimo Festival di Cannes.

La storia è quella di Ali, ex pugile e promessadella lotta libera, gigante dall’animo di ragazzino, che si ritrova solo con Sam, il figlio di 5 anni che conosce appena. Gli è stato affidato perché la madre è finita in carcere per spaccio di droga e perché usava proprio il bimbo come corriere tra l’Olanda e il Belgio. Senza fissa dimora, senza soldi, senza amici, Ali decide di trovare rifugio presso sua sorella ad Antibes, nel Sud della Francia. I due sono ospitati dalla donna, che fa la cassiera, con un marito costretto a fare il trasportatore in nero per sbarcare il lunario. Mentre lei si occupa del bambino Ali trova lavoro presso un’agenzia di security e una sera mentre fra il buttafuori un locale notturno, dopo una rissa incontra Stéphanie. Lui la riaccompagna a casa e le lascia il suo numero di telefono. Non hanno niente in comune. Lui è povero e rozzo, di suo ha solo la prestanza fisica e fondamentalmente un cuore d’oro, lei è bella, sicura di sé e addestra orche a Marineland. Dopo quella notte sembra che questi due mondi non saranno più costretti ad incontrarsi.

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Ali continua i suoi lavori precari stringendo amicizia col losco Martial che lo porta nel mondodegli incontri di lotta clandestini, Stéphanie, invece, ha un tragico incidente sul lavoro in seguito al quale perde entrambe le gambe. Sola, depressa, lasciata all’autocommiserazione si riavvicina alla persona più improbabile di tutti, quel rozzo buttafuori dall’animo delicato. Tra i due inizia un rapporto prima d’amicizia, poi di sesso e infine d’amore che li porterà non solo ad una maturazione mentale e spirituale ma anche ad un grande senso di accettazione. Ali diventerà Uomo a tutti gli effetti, non più incosciente ragazzone buono solo a dare pugni e a rimorchiare in discoteca, Stéphanie riuscirà ad accettare la sua nuova situazione capendo che non è cambiato nulla e che lei è e sarà sempre una donna a tutti gli effetti.


[Fonte: BIM Distribuzione]

Col questo nuovo film, Jacques Audiard propone un insegnamento a superare le barrieresenza buonismo, senza luoghi comuni, senza paura di mostrare lati di paesi civili e moderni come Francia e Belgio che portano dentro di loro ancora dei semi d’intolleranza e provincialismo. Quando Ali porta Stéphanie sulla spiaggia e le chiede “Vuoi fare il bagno?” lei gli risponde a metà tra il basito e lo scocciato “Ma ti rendi conto di cosa hai detto?!” e lui candidamente controbatte “Capisco è perché non hai il costume, ma neanche io ce l’ho, ma lo faccio lo stesso”. Ali non vede la sedia a rotelle, non vede la disabilità come una vergogna o qualcosa che deve essere compatita in maniera politicamente corretta. Il bagno nudo di Stéphanie rappresenta così una catarsi, una liberazione, un’uscita dallo stato larvale. Di contro si oppone la scena in discoteca in cui un avventore cerca di rimorchiare Stéphanie ma appena vede le protesi dice “Scusami, non sapevo” suscitando in lei una reazione violenta. Un’altra scena che il regista usa per criticare la società dei consumi è quando sul treno Ali cerca tra i sedili e la spazzatura del cibo per sfamare il figlio e ne trova tanto, comprese bottiglie d’acqua ancora chiuse e cestini da viaggio intonsi, dimostrando quanto nell’opulento, o creduto tale, Occidente c’è gente che fa la fame e altra che si permette di buttare il cibo. Anche la situazione dei lavoratori dipendenti negli anni della crisi vengono mostrati dal regista con un realismo unico. 

Audiard usa la fotografia delicata e intensa per trasmettere emozioni reali, scene prive didialogo ma così forti da arrivare sino all’anima dello spettatore. Per quanto riguarda il cast abbiamo una superlativa Marion Cottilard, che col glauco dei suoi occhi profondi affascina noi spettatori ci rende partecipi del suo dramma, anche le scene di nudo non sono mai volgari anzi di una delicatezza che a tratti sfiora quasi la pudicizia; Matthias Schoenaerts rientra perfettamente in Ali questa figura possente ma dall’animo essenziale quasi bambinesco, un gigante dai piedi d’argilla e dal cuore di zucchero che non si rende conto, data la sua spontaneità, del peso delle proprie azioni, un personaggio fisico e al contempo spirituale. 

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‘Gli Equilibristi’: “Mantenere la propria famiglia, la propria dignità, ma non se stesso”

Il film presentata alla Mostra di Venezia è uno spaccato reale e crudo sulla situazione dei padri separati. Un viaggio nella dimensione dei nuovi poveri. De Matteo: “Questo è il conto presentato dopo anni di falso benessere in cui ci hanno fatto cullare”

Vito Tripi – 21/09/2012
 
Fonte: ©Marta Spedaletti e Laura Lo Faro

 

Un film che, più di ogni altro mostra la realtàdelle famiglie italiane negli anni della crisi non solo economica, ma anche e soprattutto dei rapporti interni al nucleo. Uno spaccato sui genitori separati e monoreddito, che oramai vivono sotto la soglia della povertà e, nonostante questo, devono continuare a provvedere alla propria famiglia. Protagonista di questa pellicola, che ha il sapore del reportage e che qualcuno, non a torto, ha avvicinato a ‘Umberto D’ e ‘Ladri di biciclette’, è Giulio, che ha il volto di un magistrale Valerio Mastandrea, impiegato del Comune con 1.200 euro mensili che si trova a dover mantenere se stesso e la moglie che vive con i due figli. La situazione si fa di mese in mese sempre meno sostenibile, e per non intaccare dignità e orgoglio con mancati pagamenti, a rimetterci è la sua qualità della vita che scende sempre di più fino ai limiti della tolleranza.

Presentato alla 69ma Mostra del Cinema diVenezia, nella sezione Orizzonti, il film ‘Gli equilibristi’ di Ivano De Matteo è un film che mostra la disintegrazione del nucleo familiare, la fine delle certezze ma soprattutto delle illusioni. De Matteo apre gli occhi dello spettatore italiano su una realtà fin troppo cruda ma fin troppo vicina a ciascuno di noi. Si potrebbe definire un film dalla prospettiva maschile, visto che il protagonista viene buttato fuori di casa dalla moglie perché adultero, ma in realtà si tratta di una visione globale che potrebbe riguardare tutti.

“Questo film era in cantiere dal 2007 – ha raccontato il regista in un incontro con la stampa neigiorni scorsi – e vuol essere un film ideologico. Ho voluto mostrare la realtà dei nuovi poveri, che sono ben diversi dall’immagine che si è avuta per anni dei clochard, o quella più attuale degli immigrati”. “Si tratta di persone normalissime, dall’aria tranquilla, magari ben vestite, che però mangiano alla mensa della Caritas e sono costrette a dormire in macchina. Questo è il conto, purtroppo, che c’è presentato dopo gli anni di falso benessere in cui ci hanno fatto cullare”. “Ormai – ha continuato De Matteo – il confine tra i due mondi, quello della luce fatto benessere, e quello d’ombra, in cui si aggirano i disperati, non sono più così distanti sono quasi speculari e paritetici, l’uno può diventare l’altro in frazione di secondo”.

‘GLI EQUILIBRISTI’ BACKSTAGE


Una pellicola oltremodo toccante in cui il regista ha ammesso di aver inserito molti aspettibiografici, la cui sceneggiatura è stata scritta a quattro mani con la sua compagna di vita Valentina Ferlan e con il figlio Lupo che interpreta il figlio del protagonista del film. “Se per due anni sto fermo non pagando il mutuo – ha ironizzato De Matteo – mi trasferisco con tutta la famiglia a casa di mia madre e viviamo con la sua pensione di reversibilità. Quindi mi troverò una famiglia-stato anziché uno stato-famiglia come dovrebbe essere”. Oltre a questo il personaggio di Giulio in parte è ricalcato e in parte è omaggio ad un suo amico che era un poeta di strada.

“Per questo film la domanda più stupida che mi è stata fatta – ha raccontato ValerioMastandrea – è ‘Chi è Giulio’ che vuol dire delegare completamente l’analisi di un personaggio e di un film. Invece la domanda più interessante, ma anche la più difficile, che mi è stata fatta più volte è stata ‘E allora che si fa? Cosa possiamo fare per sopravvivere?'”. “Nel finale della pellicola si cerca di dare una risposta, forse un po’ estrema, ma anche idealista e romantica. Probabilmente – ha concluso l’attore romano – perché ormai ci è rimasto solo questo attaccarci a questa spiritualità rispetto alla sopravvivenza non è colpa nostra ma è il simbolo dell’epoca in cui viviamo”.

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