13 Aprile 1990 – Unione Sovietica, in linea con la Perestrojka, Mikhail Gorbaciov ammette la verità sul massacro di Katyn

Massacro di Katyń

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Coordinate54°46′N 31°47′E

Massacro di Katyń. Foto pubblicata dalla propaganda tedesca durante la seconda guerra mondiale

Il massacro della foresta di Katyń, noto anche più semplicemente come Massacro di Katyń, avvenne durante la seconda guerra mondiale e comportò l’esecuzione di massa, da parte dei sovietici, di soldati e civili polacchi. L’espressione si riferì inizialmente al massacro dei soli ufficiali polacchi detenuti del campo di prigionia di Kozielsk, che avvenne appunto nella foresta di Katyń, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk. Attualmente l’espressione denota invece l’uccisione di 21.857 cittadini polacchi[1]: i prigionieri di guerra dei campi di Kozielsk, Starobielsk e Ostashkov e i detenuti delle prigioni della Bielorussia eUcraina occidentali, fatti uccidere su ordine di Stalin nella foresta di Katyń e nelle prigioni di Kalinin (Tver), Kharkov e di altre città sovietiche.

Molti polacchi erano stati fatti prigionieri a seguito dell’invasione e sconfitta della Polonia da parte di tedeschi e sovietici nel settembre 1939. Vennero internati in diversi campi di detenzione, tra cui i più noti sono OstashkovKozielskStarobielsk. Kozielsk e Starobielsk vennero usati principalmente per gli ufficiali, mentre Ostashkov conteneva principalmente guide, gendarmi, poliziotti e secondini. Contrariamente ad una credenza diffusa, solo 8.000 dei circa 15.000 prigionieri di guerra di questi campi erano ufficiali.

L’eccidio di Katyń fa riflettere perché da esso emergono aspetti della dittatura staliniana che è stato a lungo imbarazzante riconoscere, vale a dire il carattere fortemente repressivo e le tendenze imperialistiche. Il massacro rispondeva ad una logica ben precisa di ulteriore indebolimento della Polonia appena asservita. Infatti, poiché il sistema di coscrizione polacco prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva, il massacro doveva servire ad eliminare una parte cospicua della classe dirigente nazionale. Va inoltre ricordato che Stalin contestualmente ordinò la deportazione in SiberiaKazakhstan delle famiglie degli ufficiali polacchi (bambini compresi), eliminando in tal modo anche la generazione successiva. Tale eliminazione venne concordata e portata avanti di comune accordo con la Germania Nazista ed i dettagli discussi in riunioni tra i due alleati. Tutto ciò nel quadro di una spartizione della Polonia tra Germania nazista ed URSS, due potenze che rappresentavano due sistemi culturali ed ideologici opposti ed antitetici, ma che, per circa 2 anni e fino al giugno 1941, furono legate dal Patto Molotov-Ribbentrop, che stabiliva la non aggressione reciproca e la spartizione della Polonia e dei Paesi Baltici.
Il 5 marzo 1940, secondo un’informativa preparata da Lavrentij Beria (capo della polizia segreta sovietica) direttamente per Stalin, alcuni membri del politburo deiSoviet – StalinVyacheslav MolotovKliment VorošilovAnastas Mikojan[2], e Beria stesso – firmarono un ordine di esecuzione degli attivisti “nazionalisti e controrivoluzionari” detenuti nei campi e nelle prigioni delle parti occupate di Ucraina e Bielorussia.

Cerimonia per la commemorazione delle vittime delmassacro di Katyń. Varsavia, 10 novembre 2007

La scoperta del massacro nel 1943 causò l’immediata rottura delle relazioni diplomatiche tra il governo polacco in esilio a Londrae l’Unione Sovietica. L’URSS negò le accuse fino al 1990, quando riconobbe nell’NKVD la responsabile del massacro e della suacopertura.


I preparativi sovietici

In questo documento Berija suggerisce a Stalin l’esecuzione degli ufficiali polacchi.

Appena due giorni dopo l’invasione della Polonia, il 19 settembre 1939, il Commissario di Primo Grado della Sicurezza di Stato (il Ministro per gli Affari Interni), Lavrentij Berija riunì il Consiglio dell’NKVD per i prigionieri di guerra e gli internati (presieduto dal Capitano della Sicurezza dello Stato, Pyotr K. Soprunenko) ordinando l’apertura dei campi di detenzione per i prigionieri polacchi. Questi erano i campi di: Jukhnovo (stazione ferroviaria di Babynino), Yuzhe (Talitsy), Kozielsk, KozelshchynaOranki, Ostashkov (Isola Stolbnyi, sul Lago Seliger, vicino a Ostashkov), Putyvli (stazione ferroviaria di Tetkino), Starobielsk, Vologod (stazione ferroviaria di Zaenikevo) e Gryazovets.

Nel periodo dal 3 aprile al 19 maggio 1940 circa 22.000 prigionieri di guerra vennero assassinati: circa 6.000 provenivano dal campo di Ostaszków, circa 4.000 da Starobielsk, circa 4.500 da Kozielsk e circa 7.000 dalle parti occidentali di Ucraina e Bielorussia.

Solo 395 prigionieri vennero salvati dal massacro. Furono portati al campo di Yukhnov e quindi a Gryazovets.

La dinamica del massacro

I prigionieri di Kozielsk vennero eliminati in un luogo prescelto appositamente per le uccisioni di massa situato nella contea di Smolensk, chiamato foresta di Katyń, che diede poi il nome all’intero massacro; quelli provenienti da Starobielsk vennero uccisi nella prigione dell’NKVD di Kharkov e i loro resti vennero sepolti nei pressi di Pyatikhatki; gli ufficiali di polizia di Ostashkov vennero uccisi nella prigione dell’NKVD di Kalinin (Tver) e sepolti a Miednoje.

La propaganda sovietica mostra l’occupazione congiunta russo-tedesca della Polonia come liberazione dei contadini dal giogo degli aristocratici. Su questo cartello, in lingua ucraina, due contadini miserabili guardano un ufficiale in divisa da parata dell’esercito polacco colpito da un soldato dell’Armata rossa.

Informazioni dettagliate sulle esecuzioni di Kalinin vennero fornite da Dmitrii S. Tokarev, ex capo del consiglio del distretto dell’NKVD di Kalinin. Secondo Tokarev le uccisioni iniziarono la sera e finirono all’alba. Il primo trasporto, il 4 aprile, contava ben 390 persone e i giustizieri ebbero difficoltà ad eseguire il loro compito nell’arco di una sola notte. Il trasporto successivo non superava invece le 250 persone. Le esecuzioni vennero compiute con pistole tipo Walther PPK fornite da Mosca.

Il metodo con cui vennero eseguite era stato studiato nel dettaglio. Inizialmente venivano verificati i dati anagrafici del condannato, poi questi veniva ammanettato e portato in una cella isolata. Dopo essere stato fatto entrare nella cella, veniva immediatamente ucciso con un colpo alla nuca. Il colpo di pistola veniva mascherato tramite l’azionamento di macchine rumorose (probabilmente ventilatori). Il corpo veniva quindi trasferito all’aperto passando da una porta posteriore e poi veniva caricato su uno dei sei camion appositamente predisposti per il trasporto. A questo punto toccava alla vittima seguente. Questa procedura venne ripetuta ogni notte, ad eccezione della festa del primo maggio.

Nei pressi di Smolensk la procedura era diversa: i prigionieri venivano portati alle fosse con le mani legate dietro la schiena e uccisi con un colpo di pistola alla nuca.

La scoperta

Poco dopo l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica del giugno 1941, il governo polacco (in esilio a Londra) e il governo sovietico conclusero un accordo contro la Germania; venne costituito un Corpo d’Armata polacco in territorio sovietico per combattere i nazisti. Quando i generali Władysław Anders e Sikorski iniziarono ad organizzare l’armata, richiesero informazioni sugli ufficiali polacchi che credevano internati in territorio sovietico. Anders e Sikorski incontrarono Stalin e gli chiesero espressamente che ne era della loro sorte. Ma Stalin diede loro risposte evasive, aggiungendo che alcuni di loro potevano essere fuggiti in Manciuria.

Il vero destino dei prigionieri scomparsi rimase un mistero fino all’aprile del 1943, quando la Wehrmacht su indicazione di alcuni abitanti del luogo scoprì le fosse comuni di oltre 4.000 ufficiali polacchi nella foresta nei pressi di Katyń. Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich, vide in questa scoperta un eccellente strumento per inserire un cuneo tra Polonia, Alleati occidentali ed Unione Sovietica. Il 13 aprile Radio Berlino annunciò al mondo il ritrovamento: «È stata trovata una grossa fossa, lunga 28 metri e ampia 16, riempita con dodici strati di corpi di ufficiali polacchi, per un totale di circa 3.000. Essi indossavano l’uniforme militare completa, e mentre molti di loro avevano le mani legate, tutti avevano ferite sulla parte posteriore del collo causata da colpi di pistola. L’identificazione dei corpi non comporterà grandi difficoltà grazie alle proprietà mummificanti del terreno e al fatto che i Bolscevichi hanno lasciato sui corpi i documenti di identità delle vittime. È già stato accertato che tra gli uccisi c’è il generale Smorawinski di Lublino.»

Gli Alleati sapevano già che i nazisti avevano trovato le fosse comuni, avendo captato le loro trasmissioni radio, decifrate nella base inglese di Bletchley Park. Il governo sovietico negò le accuse tedesche e sostenne che i polacchi, prigionieri di guerra, erano stati impiegati in opere di costruzione ad ovest di Smolensk e successivamente catturati e giustiziati dalle unità tedesche nell’agosto 1941. Sia le investigazioni tedesche che quelle successive della Croce Rossa sui cadaveri di Katyń produssero prove evidenti che il massacro si era verificato all’inizio del 1940, in un periodo in cui l’area era ancora sotto il controllo sovietico. Si deve osservare, tuttavia, il rinvenimento di proiettili tedeschi nel corpo degli ufficiali polacchi.

In seguito alla richiesta ufficiale di investigare in merito alle responsabilità del massacro, inviata alla Croce Rossa Internazionale dal Generale Władysław Sikorski, il26 aprile 1943 Radio Mosca annunciò la decisione russa di rompere le relazioni diplomatiche con il governo polacco in esilio a Londra.[3] Stalin rispose presentando le «Prove infondate del massacro di Katyń», usandole poi come pretesto per ritirare il riconoscimento al governo Sikorski, accusarlo di collaborare con la Germania nazista e avviare una campagna per far riconoscere agli Alleati occidentali il governo fantoccio guidato da Wanda Wasilewska.

Tentativi d’insabbiamento

La Germania nazista utilizzò il massacro di Katyń come argomento di propaganda contro l’Unione Sovietica. Joseph Goebbels scrisse nel suo diario: «I commentatori esteri si meravigliano della straordinaria astuzia con la quale siamo stati in grado di convertire l’incidente di Katyń in una questione altamente politica». I tedeschi riuscirono a screditare il governo sovietico agli occhi del mondo e per breve tempo sollevarono lo spettro del «mostro comunista» che porta la distruzione nei territori della civiltà occidentale; inoltre avevano forgiato contro il suo volere il generale Sikorski, in uno strumento che poteva minacciare di sfaldare l’alleanza tra gli Alleati occidentali e l’Unione Sovietica.
Per gli Alleati occidentali il massacro di Katyń e la crisi polacco-sovietica iniziavano a minacciare l’alleanza strategica con l’URSS in un momento in cui l’importanza dei polacchi per gli Alleati, essenziale nei primi anni di guerra, iniziava a svanire con l’entrata nel conflitto dei colossi militari e industriali di USA e URSS. Il primo ministro britannico Winston Churchill ed il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt erano sempre più divisi tra i loro impegni verso l’alleato polacco, la ferma posizione di Sikorski e le domande (spesso rasentanti il ricatto politico) di Stalin e dei suoi diplomatici, la cui politica era chiara nei commenti dell’ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Maisky, che disse a Churchill che il destino della Polonia era segnato dall’essere «una nazione di 20 milioni di persone confinante con una di 200 milioni». L’improvvisa scomparsa del generale Sikorski, l’unico che aveva mantenuto una presa di posizione senza compromessi sulla questione, evitò la minaccia di una spaccatura tra gli Alleati occidentali.

Nel gennaio 1944, avendo riconquistato la zona di Katyń, i sovietici istituirono una compiacente “Commissione speciale per la determinazione e investigazione dell’uccisione di prigionieri di guerra polacchi da parte degli invasori fascisti tedeschi nella foresta di Katyń”, guidata dal Presidente dell’Accademia di Scienza Medica dell’URSS Nikolai Burdenko, che riesumò nuovamente i corpi e giunse alla «conclusione» che le uccisioni erano state eseguite dagli occupanti tedeschi.

In privato il primo ministro britannico Winston Churchill espresse l’opinione che le atrocità erano state probabilmente compiute dai sovietici. Secondo una nota del Conte Raczynski, Churchill ammise il 15 aprile, durante una conversazione con il Generale Sikorski: «Ahimè, le rivelazioni tedesche sono probabilmente vere. I bolscevichi possono essere molto crudeli». Comunque allo stesso tempo, il 24 aprile, Churchill rassicurò i russi: «Dobbiamo sicuramente opporci vigorosamente a qualsiasi “investigazione” da parte della Croce Rossa Internazionale o di qualsiasi altro organo in qualsiasi territorio durante l’occupazione tedesca. Tali investigazioni sarebbero una frode e le loro conclusioni ottenute per mezzo del terrorismo».

Nel 1944 il presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt incaricò il capitano George Earle, suo emissario speciale nei Balcani, di raccogliere informazioni su Katyń. Earle svolse l’incarico usando contatti in Bulgaria e in Romania. Anche Earle concluse che l’Unione Sovietica era colpevole. Dopo consultazioni con Elmer Davis, il direttore dell'”Ufficio di informazione di guerra”, Roosevelt rigettò tali conclusioni, dicendosi convinto della responsabilità nazista, e ordinò la soppressione del rapporto di Earle. Quando Earle richiese formalmente il permesso di pubblicare le sue scoperte, il presidente gli diede ordine scritto di desistere dal suo intento. Earle venne riassegnato e trascorse il resto della guerra nelle Samoa Americane.

Nel 1946, il pubblico ministero capo sovietico al processo di Norimberga cercò di accusare la Germania per le uccisioni di Katyń, dichiarando che: «Uno dei più importanti atti criminali del quale i principali criminali di guerra sono responsabili erano le esecuzioni di massa di prigionieri di guerra polacchi uccisi nella foresta di Katyń, nei pressi di Smolensk da parte degli invasori tedeschi», ma, pur potendo disporre di “testimoni oculari” che “avevano visto” i tedeschi compiere il massacro, tutti adeguatamente preparati dall’ NKVD, fece cadere la questione dopo che Stati UnitiRegno Unito si rifiutarono di appoggiarlo e gli avvocati tedeschi misero in piedi una difesa imbarazzante. Katyń non è menzionata in nessuna delle sentenze di Norimberga.
Nel 1951-1952, una indagine del Congresso statunitense concluse che i polacchi erano stati uccisi dai sovietici. Ma, siccome l’Unione Sovietica era tra i Paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, aveva beneficiato dell’amnistia concessa alle potenze vincitrici del conflitto [4].

Durante gli anni della guerra fredda, le autorità comuniste polacche occultarono la questione in accordo con la propaganda sovietica, censurando deliberatamente qualsiasi fonte che potesse fare qualche luce sul crimine sovietico. La verità non fu nota pubblicamente fino alla caduta del comunismo nel 1989.

Monumento in ricordo delmassacro di Hatýn[5]

Per coprire il massacro di Katyń, il Cremlino enfatizzò il massacro di Hatýn, una località bielorussa 60 km a nord di Minsk, dove nel 1943 venne compiuta una strage di militari russi. Sui manuali di storia sovietici venne raccontato solo l’eccidio di Hatyn, la cui colpa veniva attribuita all’esercito nazista occupante. Per decenni le autorità, le scolaresche, gli stranieri in visita furono condotti a Hatyn per apprendere tutti i particolari della barbarie germanica.

Il depistaggio andò avanti per decenni, fino a quando nel 1993 il grande scrittore bielorusso Vasil Bychau denunciò pubblicamente alla radio che il massacro di Hatyn veniva strumentalizzato, tanto più che con ogni probabilità la strage fu compiuta non dai nazisti tedeschi, ma dagli ucraini, loro alleati.

La questione della responsabilità rimase controversa ad ovest così come oltre la cortina di ferro. Ad esempio, nel Regno Unito alla fine degli anni settanta, progetti per un memoriale delle vittime che recava come data il 1940 (piuttosto che il 1941) vennero condannati come provocatori nel clima politico della guerra fredda.

La verità è rivelata

Nel 1989 studiosi sovietici rivelarono che Stalin aveva effettivamente ordinato il massacro, e nell’ottobre 1990 Mikhail Gorbachevporse le scuse ufficiali del suo paese alla Polonia, confermando che la NKVD aveva giustiziato i prigionieri e aggiungendo l’esistenza di altri due luoghi di sepoltura simili a quello di Katyn: Mednoje e Pyatikhatki. Il leader sovietico, però, sostenne che i documenti cruciali, tra cui l’ordine di fucilare 25 mila polacchi senza neppure avanzare contro di loro un capo di imputazione, non si sapeva dove fossero. Si può affermare che la vicenda può dirsi conclusa solo con la presidenza di Boris Eltsin.
Nel 1992 alcuni funzionari russi rilasciarono documenti top secret del «Plico sigillato n. 1». Tra questi vi era la proposta del marzo 1940 di Lavrentij Beria, di passare per le armi 25.700 polacchi dei campi di Kozelsk, Ostashkov e Starobels e di alcune prigioni della Bielorussia e dell’Ucraina occidentali, con la firma (tra gli altri) di Stalin; estratti dell’ordine del Politburo del 5 marzo 1940; e una nota di Aleksandr ShelepinNikita Khrushchev del 3 marzo 1959, con informazioni sull’esecuzione di 21.857 polacchi e con la proposta di distruggere i loro archivi personali.

Le investigazioni che accusano delle uccisioni lo stato tedesco piuttosto che quello sovietico, sono state usate per screditare il Processo di Norimberga nel suo complesso, spesso in supporto al  ;Negazionismo dell’Olocausto” href=”http://it.wikipedia.org/wiki/Negazionismo_dell%27Olocausto”>negazionismo dell’Olocausto, o per mettere in discussione la legittimità e/o la saggezza di usare la legge penale per proibire la revisione dell’Olocausto. Si deve notare che esistono alcuni studiosi che negano la colpevolezza sovietica, dichiarano falsi i documenti declassificati e cercano di dimostrare che i polacchi vennero uccisi dai tedeschi nel 1941 (nonostante dalle autopsie sia evidente la differenza di un anno in un cadavere, e i cadaveri portassero uniformi invernali, mentre i tedeschi invasero l’Urss in estate).

Durante la visita in Russia di Aleksander Kwasniewski, nel settembre del 2004, funzionari russi annunciarono la volontà di trasferire tutte le informazioni sul massacro di Katyń alle autorità polacche non appena fossero state declassificate. Nel marzo 2005 le autorità russe hanno posto fine ad una investigazione durata un decennio. Il pubblico ministero militare capo russo Alexander Savenkov ha dichiarato che il massacro non fu un genocidio, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità e che «Non esistono assolutamente le basi per parlarne in termini giuridici». Nonostante le dichiarazioni fatte in precedenza, 116 dei 183 volumi di documenti raccolti durante l’investigazione russa, così come la decisione di porvi fine, sono stati coperti da segreto.

A causa di ciò l’Istituto nazionale per il ricordo polacco ha deciso di avviare una sua indagine. Un gruppo di magistrati guidati da Leon Kieres ha dichiarato che cercherà di individuare i nomi di coloro che ordinarono ed eseguirono le uccisioni. Inoltre, il 22 marzo 2005, il Sejm (parlamento) polacco ha approvato all’unanimità un atto con il quale si richiede che sugli archivi russi venga tolto il segreto. Il Sejm ha inoltre richiesto alla Russia di classificare il massacro di Katyń come genocidio.

Note

  1. ^ Fonte: Rivista, “Eserciti nella Storia”, n°22 Marzo-Aprile 2004, Delta Editrice, Parma
  2. ^ Vedere le firme sul frontespizio del documento riprodotto in questa pagina
  3. ^ Daily Express, n.13.387 del 27 aprile 1943
  4. ^ Sandro Fontana, Le grandi menzogne della storia contemporanea, Edizioni Ares, 2009.
  5. ^ Fertilio Dario, Il trucco di Hatýn, depistaggio del Cremlino, Corriere della Sera 22 marzo 2006 pag. 39: “Hatýn, quasi omonima della russa Katyn, doveva servire a nascondere la strage commessa laggiù dagli uomini di Stalin. Parlando delle «fosse di Hatýn», il Kgb mirava a confondere le idee, facendo sì che l’ eccidio venisse associato non ai comunisti, ma ai nazisti. Il trucco, benché rozzo in apparenza, funzionò a meraviglia per decenni.”

Bibliografia

Voci correlate

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Collegamenti esterni

9 Marzo 1967 – Svetlana Alliluyeva, figlia di Josif Stalin, chiede asilo agli Stati Uniti

Svetlana Josifovna Allilueva

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Joseph Stalin with daughter Svetlana, 1935.jpg

Svetlana e suo padre nel 1935

Svetlana Allilueva, o Allilujeva, nata Svetlana Josifovna Stalina, in russo Светлана Иосифовна Сталина (Mosca28 febbraio 1926), è una scrittrice russa naturalizzata statunitense, figlia di Josif Stalin e della sua seconda moglie Nadežda Allilueva.

Nel 1966, tredici anni dopo la morte di suo padre, quando il processo di destalinizzazione dell’Unione Sovietica è stato avviato già da molto, Svetlana Allilueva decide di fuggire dal suo Paese, e di trasferirsi negli Stati Uniti, a New York.

Nel 1967 pubblica il libro Twenty Letters to a Friend, (Venti lettere a un amico), per la casa editrice Harper & Row. Il libro riporta le memorie della figlia del dittatore che per vent’anni resse i destini dell’URSS e del mondo.

Tre anni dopo, nel 1970, a Mosca le autorità annunciano di averla privata della nazionalità sovietica.

Come molti figli di alti ufficiali della nomenclatura, Svetlana fu cresciuta da una balia e vide i suoi genitori solo in saltuarie occasioni. Sua madre, Nadežda Allilueva, seconda moglie di Stalin, morì il 9 novembre del 1932, quando Svetlana aveva solo sei anni.

Secondo le fonti ufficiali, la morte di Nadežda avvenne a causa di una peritonite acuta, risultato di un’ulcera vermiforme; varie altre teorie sono state elaborate, quali il suicidio, o l’omicidio su ordine di Stalin, o ad opera di Stalin stesso.

Svetlana si innamorò a sedici anni di un regista ebreo, tale Aleksej Kapler, allora quarantenne. Ma Stalin non era assolutamente d’accordo con questa storia d’amore. Così, successivamente, Kapler fu internato nel gulag di Vorkuta, in Siberia. Risulta forse chiaro come questo processo risultasse una farsa, solo per evitare che la storia d’amore dei due sfociasse in un matrimonio “scomodo”.

A 17 anni si innamorò di un compagno dell’Università di MoscaGrigori Morozov, anch’egli ebreo. Il padre seppur risentito permise alla coppia di sposarsi, anche se giurò di non incontrare mai lo sposo. Dopo la nascita di un figlio, Joseph, nel 1945, la coppia divorziò nel 1947.

Il secondo marito di Svetlana era uno stretto collaboratore di Stalin, Jurij Ždanov (figlio del suo braccio destro, Andrej Ždanov). Si sposarono nel1949, ed ebbero una figlia, Ekaterina, nel 1950, ma anche questo matrimonio si dissolse poco dopo.

Dopo la morte del padre nel 1953, Svetlana adottò il cognome da nubile della madre e lavorò come insegnante e traduttrice a Mosca. Nel 1963incontrò un comunista indiano in visita nella capitale sovietica, Brajesh Singh. Egli fece ritorno a Mosca nel 1965, per lavorare come traduttore, ma ai due non venne permesso sposarsi. Singh morì nel 1966 e a Svetlana venne concesso di viaggiare in India per riportare le ceneri alla famiglia, in modo da poterle versare nel Gange. Svetlana restò in India per due mesi e si immerse nei costumi locali.

Il 6 marzo 1967, dopo aver prima visitato l’ambasciata sovietica di Nuova Delhi, la Allilueva si recò all’ambasciata statunitense e fece formale richiesta di asilo politico all’ambasciatore Chester Bowles. L’asilo le fu concesso. Comunque, a causa di preoccupazioni che il governo indiano potesse soffrire per via di ostilità da parte dell’Unione Sovietica, venne fatto in modo che lasciasse immediatamente il paese per la Svizzera, viaRoma. Rimase in Svizzera per sei settimane, prima di proseguire per gli Stati Uniti.

Al suo arrivo nell’aprile 1967, la Allilueva tenne una conferenza stampa in cui denunciò il regime del padre e il governo sovietico. La sua intenzione di pubblicare l’autobiografico Twenty Letters To A Friend, nel cinquantesimo anniversario della Rivoluzione Sovietica, provocò rabbia in URSS, e il governo minacciò di pubblicare una versione non autorizzata; la pubblicazione in Occidente venne quindi anticipata, e quel particolare caso diplomatico venne disinnescato.

A causa dell’alto profilo della defezione di Svetlana Allilueva, della sua schiettezza, delle sue connessioni in quanto figlia di Stalin, ecc., l’Unione Sovietica chiese e ottenne dagli Stati Uniti, nel dicembre 1967, un’assicurazione che i futuri disertori sarebbero stati ascoltati da funzionari sovietici prima che gli venisse concesso l’asilo.

Nel 1970 la Allilueva rispose ad un invito della vedova di Frank Lloyd WrightOlgivanna Wright, a visitare Taliesin WestScottsdale (Arizona). Come descrisse nell’autobiografico Faraway Music, Olgivanna credeva nel misticismo e si era convinta che Svetlana fosse una sostituta spirituale della figlia Svetlana, che aveva sposato il capo apprendista di Wright, William Wesley Peters, ed era morta in un incidente stradale un anno prima. Incredibilmente, la Allilueva si recò in Arizona, accettò di sposare Peters nel giro di qualche settimana, si spostò con la Taliesin Fellowship tra Scottsdale e Spring Green (Wisconsin), e adottò il nome di Lana Peters. La coppia ebbe una figlia, Olga. Per sua stessa ammissione la Allilueva mantenne rispetto e affetto per Wes Peters, ma il loro matrimonio di dissolse a causa della pressione dell’influenza della vedova Wright.

Nel 1982 si trasferì con la figlia a Cambridge, in Inghilterra, e nel 1984 ritornò in Unione Sovietica, dove lei e la figlia ottennero la cittadinanza e si stabilirono a Tbilisi. Nel 1986 la Allilueva ritornò negli Stati Uniti, e successivamente a Bristol negli anni novanta. Attualmente vive in una casa di riposo nel Wisconsin.

Libri di Svetlana Allilueva

  • Twenty letters to a friend (autobiografia, pubblicata a Londra nel 1967, scritta nel 1963)
  • Only one year (New York, 1969)
  • Faraway music (India, 1984, Mosca, 1992)

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6 Marzo 1951 – Inizia il processo a Ethel e Julius Rosenberg

Caso Rosenberg

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Ethel e Julius Rosenberg

Il caso Rosenberg fu una vicenda che, negli anni della Guerra fredda e in pieno maccartismo, coinvolse i coniugi Julius ed Ethel Rosenberg e colpì profondamente l’opinione pubblica mondiale quando i due vennero processati, giudicati colpevoli e condannati a morte come spie dell’Unione Sovietica.

Specificamente, i coniugi Rosenberg furono accusati di cospirazione attraverso lo spionaggio e incriminati per aver passato ad agenti sovietici dei segreti sulle armi nucleari.

L’indagine che li portò alla sedia elettrica nel penitenziario di Sing Sing dello Stato di New York il 19 giugno 1953 aveva preso l’avvio poco più di due anni prima dalla scoperta di testi sospetti battuti amacchina da Ethel Greenglass, coniugata in Rosenberg, nell’ufficio della società di shipping dove lavorava come segretaria.

Seguirono dapprima la denuncia, il 6 marzo 1951, e quindi l’arresto, il 29 marzo sempre del 1951.

L’accuratezza delle imputazioni è rimasta sempre controversa sebbene decenni dopo la declassificazione delle decifrazioni delle comunicazioni sovietiche da parte del Progetto Venona abbia indicato che Julius Rosenberg era effettivamente coinvolto nello spionaggio.

In loro nome è stato istituito nel 1990 il “Rosenberg Fund for Child”, un fondo con attualmente oltre diecimila associati che si occupa dell’assistenza e del recupero dei figli dei perseguitati per attivismo politico.

Il medesimo anno in cui i due coniugi furono giustiziati, il pittore italiano Renato Guttuso immortalò i loro volti in un disegno a matita su carta che intitolò semplicemente Julius ed Ethel Rosenberg.

Il cantante Bob Dylan nel 1983 compose per loro una canzone, “Julius and Ethel”, che però non fu inclusa nell’album in uscita quell’anno né pubblicata ufficialmente.

Il caso Rosenberg è anche il tema della canzone dei Metallica “The Shortest Straw”, dall’album …And Justice for All.

13 Gennaio 1953-In Unione Sovietica si dà avvio al Complotto dei Dottori, il più grande affaire antisemita della nazione

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Complotto dei Medici

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Il Complotto dei Medici (o l’Affare dei Medici) fu un caso giudiziario montato ad arte a carico di medici dell’Unione Sovietica, accusati di aver attentato alla vita di diversi leader sovietici. I primi arresti vennero effettuati nell’ottobre del 1952, ma la vicenda si chiuse bruscamente con l’agonia e la morte di Stalin nei primi giorni del marzo 1953.

L’affare prese le mosse da una lettera inviata dalla dottoressa Lidja Timašuk, cardiologa dell’Ospedale del Cremlino, che aveva appena visitatoAndrej Ždanov, vittima di un malore mentre era in vacanza. La diagnosi della Timašuk era di parere opposto a quella di altri specialisti che avevano visitato Ždanov, il quale morì pochi giorni dopo. La cosa rimase sostanzialmente segreta fino all’ottobre 1952, quando Stalin ordinò l’arresto di molte personalità eminenti in ambito medico, fra cui diversi specialisti operanti al Cremlino, compreso il direttore stesso dell’Ospedale del Cremlino, Egorov, ed il suo stesso medico curante, Vinogradov. Solo a questo punto, venne portata la lettera della Timašuk come prova a carico dei medici, colpevoli di aver attentato alla salute delle alte cariche dello stato.[1]

La presunta organizzazione del complotto coinvolgeva moltissime persone di origine ebraica, e si inquadra pertanto nella volontà di Stalin di ravvivare l’antisemitismo nel paese.[2] Con il proseguire della campagna di stampa, si cominciarono a confondere genericamente tutti i complotti di supposta origine ebraica, mischiandoli a vicende di spionaggio con protagonisti i paesi occidentali.[3]

Le false confessioni che dovevano servire a coinvolgere altri medici furono estorte con la tortura, e fornivano la prova della presenza di un complotto organizzato per “assassinare dirigenti del partito, dello stato e dell’esercito, attraverso metodi di cura notoriamente errati”. [4]

Scopo secondario della campagna era probabilmente anche mettere sotto accusa l’apparato di sicurezza nazionale, nelle persone di L.P. Berijaed V.S. Abakumov, accusando gli organi di sicurezza di scarsa vigilanza. [5]

Campagna di stampa

Le prime notizie dell’arresto dei medici e i dettagli del “complotto” comparvero sulla Pravda del 13 gennaio 1953 in un articolo dal titolo “Sotto la maschera dei professori-dottori: Spie e assassini infami”.[6] L’articolo non era firmato, ma esistono forti sospetti che alla sua redazione partecipò Stalin in prima persona. La settimana successiva, la dottoressa Timašuk venne insignita dell’Ordine di Lenin, mentre proseguiva la campagna di stampa, e nel paese si faceva strada l’ostilità della popolazione nei confronti dei medici di origine ebraica.[7] Altri articoli successivi, come quello del 31 gennaio 1953, collegavano i presunti delitti dei medici ebrei in Russia ad altre operazioni per colpire rappresentanti dei governi comunisti, come il processo simile svoltosi a Praga. La stampa faceva anche circolare sospetti di collegamenti con servizi segreti occidentali, in particolare britannici.[8]

L’ultimo articolo nella stampa ufficiale, che menziona il complotto dei medici ed il collegamento a vicende di spionaggio internazionale, comparve il 1. marzo 1953. Nel frattempo era cominciata l’agonia di Stalin, che sarebbe poi morto il 5 marzo, ed i responsabili del partito avevano dato indicazione di cessare la campagna antisemita, anche se non si può escudere che lo stesso Stalin avesse preparato una sorta di marcia indietro o rallentamento della campagna stessa. [9]

Note

  1. ^ Medvedev e Medvedev, “Stalin sconosciuto”, pagg. 30-32
  2. ^ Heller e Nekrič, “Storia dell’URSS”, pag. 578
  3. ^ Medvedev e Medvedev, op.cit., pag. 33
  4. ^ Heller e Nekrič, op.cit., pag. 580
  5. ^ Conquest, “Stalin”, pagg. 344-345
  6. ^ Conquest, op.cit., pag.343
  7. ^ Heller e Nekrič, op.cit., pag. 580
  8. ^ Feo, “Stalin”, pag.286
  9. ^ Medvedev e Medvedev, op.cit., pag. 33-34

Bibliografia

  • Robert Conquest. “Stalin. La Rivoluzione, il Terrore, la Guerra”. Milano, Mondadori, 2002. ISBN 88-04-51329-2.
  • Angela Feo. “Stalin. Figlio della Rivoluzione, Padre della Dittatura”. Milano, Alpha Test, 2005. ISBN 88-483-0573-3.
  • Mihail Heller e Aleksandr Nekrič. “Storia dell’URSS”. Milano, Bompiani, 2001. ISBN 88-452-4799-6.
  • Roj A. Medvedev e Žores A. Medvedev. “Stalin sconosciuto”. Milano, Feltrinelli, 2006. ISBN 88-07-17120-1.

1979 – L’Unione Sovietica invade l’Afghanistan per appoggiare il governo filo-sovietico della nazione.

Invasione sovietica dell’Afghanistan
Parte della Guerra fredda
Evstafiev-afghan-apc-passes-russian.jpg
Truppe sovietiche in Afghanistan. Foto di Mikhail Evstafiev
Data: 24 dicembre 1979 – 2 febbraio 1989
Luogo: Afghanistan
Esito: Ritirata sovietica
Casus belli: Intervento sovietico a sostegno della fazione del PDPA facente capo a Karmal contro la fazione di Amin
Schieramenti
AfghanFlag1980.png Afghanistan
Flag of the Soviet Union.svg Unione Sovietica
Mujaheddin
con il supporto di:
Flag of the United States.svg Stati Uniti
Flag of the United Kingdom.svg Regno Unito
Flag of Pakistan (bordered).svg Pakistan
Flag of Iran.svg Iran(non provato ufficialmente)
Flag of Saudi Arabia.svg Arabia Saudita
Flag of the People's Republic of China.svg Repubblica Popolare Cinese(non provato ufficialmente)
Comandanti
Flag of the Soviet Union.svg Boris Gromov
Flag of the Soviet Union.svg Pavel Grachev
Flag of the Soviet Union.svg Valentin Varennikov
Abdul Haq
Jalaluddin Haqqani
Gulbuddin Hekmatyar
Mohammed Khalis
Ismail Khan
Ahmad Shah Massoud
Abdul Ali Mazari
Sibghatullah Mojaddedi
Effettivi
Afghanistan: 329.000 (1986)
Unione Sovietica: 80.000-104.000 alla volta, 620.000 uomini in totale
45.000 (1983), 159.000 (1986)
Perdite
Unione Sovietica: 13.833 morti e 53.753 feriti 1.500.000 morti