È meglio scegliere sigarette “leggere”? Pipa e sigaro fanno meno male?

È meglio scegliere sigarette “leggere”? Pipa e sigaro fanno meno male?

Il termine “leggere” (o light, o mild, o low tar) riferito alle sigarette è fuorviante, perché la differenza con quelle normali, in termini di effetti sulla salute, è irrilevante. L’idea che facciano meno male spinge invece a fumarne di più e soprattutto riduce le probabilità che il fumatore decida di smettere. Inoltre, diversi studi scientifici hanno dimostrato che chi utilizza le cosiddette sigarette “leggere” fa boccate più lunghe e profonde. Di conseguenza, il dosaggio delle sostanze tossiche nel sangue non è in queste persone inferiore a quello che si ritrova nei fumatori di sigarette più “forti”, né il loro rischio di ammalarsi nel tempo appare ridotto. Per questo l’Unione Europea nel 2003, e la Food and Drug Administration americana nel 2010, hanno imposto di eliminare dalle confezioni le definizioni di “leggere” (mild,light o low tar) che potevano trarre in inganno il consumatore. Studi condotti dopo l’introduzione di questi provvedimenti, hanno tuttavia mostrato che, nonostante queste espressioni non fossero riportate esplicitamente sui pacchetti, il consumatore tende ingenuamente a pensare che i marchi “gold” o “silver”, o le confezioni con colori più chiari corrispondano a formulazioni meno dannose. In alcuni Paesi, come l’Australia, si sta quindi considerando l’ipotesi di una nuova legislazione che renda uniforme (e poco appetibile) l’aspetto delle confezioni.

Se le sigarette leggere non rappresentano una scorciatoia, neppure il sigaro e la pipa sono alternative più sicure, come molti erroneamente credono, anche se portano a inalare il fumo meno profondamente: ciò riduce leggermente il rischio di tumore al polmone rispetto a quello di chi fuma sigarette, ma le probabilità di sviluppare la malattia sono comunque molto più alte che non tra i non fumatori. Inoltre, fumare sigaro e pipa favorisce lo sviluppo di tumori della bocca, della gola, dell’esofago e di altri organi come il pancreas.

Che cosa si inala con il fumo di sigaretta? In che modo le sostanze contenute nel fumo favoriscono lo sviluppo dei tumori?

 

Ogni volta che si accende una sigaretta si introducono oltre 4.000 sostanze chimiche, almeno un’ottantina delle quali, secondo l’International Agency for Research into Cancer, sono anche cancerogene. Con ogni boccata si inala:

  1. monossido di carbonio, lo stesso gas responsabile degli avvelenamenti da gas di scarico delle auto e delle stufe, che riduce l’afflusso di sangue ai tessuti;
  2. nicotina, responsabile degli effetti sul cervello del fumo e quindi anche della dipendenza fisica;
  3. catrame, che contiene molte sostanze cancerogene come benzopirene e altri idrocarburi aromatici;
  4. acetone, come quello usato per togliere lo smalto dalle unghie;
  5. ammoniaca;
  6. arsenico;
  7. formaldeide;
  8. acido cianidrico;
  9. nitrosamine;
  10. sostanze radioattive e molte altre.

Si ritiene che i costituenti del fumo con maggiore potenziale cancerogeno siano l’1,3-butadiene, l’arsenico, il benzene e il cadmio. Il primo è meno potente di altre sostanze, ma è considerato il più importante perché presente nel fumo di sigaretta in grandi quantità; l’arsenico è particolarmente pericoloso anche perché tende ad accumularsi nell’organismo; il benzene è responsabile di una quota significativa (dal 10 al 50 per cento) delle leucemie provocate dal fumo; il cadmio introdotto fumando sigarette è in quantità tali da superare la capacità dell’organismo di neutralizzarne l’azione tossica.

Tra le sostanze radioattive è di particolare rilievo il polonio 210: una recente analisi del contenuto di polonio radioattivo in sigarette di diverse marche diffuse in Italia ha dimostrato che in un anno, in media, chi fuma circa un pacchetto al giorno corre lo stesso rischio biologico che se si sottoponesse a 25 radiografie del torace. Depositandosi nei polmoni, infatti, questa sostanza li espone ad altissime dosi di radiazioni ad alta energia che possono indurre mutazioni potenzialmente cancerogene nel DNA.

Come le radiazioni, anche molte sostanze chimiche contenute nel catrame di sigaretta danneggiano il DNA delle cellule, provocando mutazioni che possono spingere la cellula verso una crescita incontrollata. Il benzopirene, uno degli idrocarburi policiclici aromatici più studiati, tende per esempio a mettere fuori uso il gene che codifica per la proteina p53, uno dei meccanismi fondamentali per proteggere l’organismo dal cancro.

La miscela delle varie sostanze inalate con il fumo di sigaretta potenzia gli effetti negativi sull’organismo, rispetto a quelli che avrebbe ciascuna molecola presa singolarmente.. Un esempio di questo effetto sinergico si ha, per esempio, con il cromo che, agendo come una colla, fa aderire più saldamente gli idrocarburi al DNA, favorendo le mutazioni che questi possono provocare. Altri esempi sono l’arsenico e il nichel, che interferiscono con i normali meccanismi di riparazione del DNA, deputati a correggere gli errori a mano a mano che si verificano. In questo modo le interazioni fra le diverse sostanze amplificano i danni provocati sul materiale genetico.

Le sostanze cancerogene contenute nel fumo possono infine favorire lo sviluppo dei tumori in maniera indiretta: ostacolando i meccanismi di rimozione di altre tossine, per esempio distruggendo le ciglia delle cellule che rivestono le vie respiratorie, come fanno ammoniaca e acido cianidrico; o bloccando gli enzimi che le trasformano in sostanze meno pericolose, come fa il cadmio.

http://www.airc.it/prevenzione-tumore/fumo/tabagismo-smettere-fumare/

Tumori: papillomavirus legato a quelli della gola

 

(AGI) – New York, 3 dic. – Il papillomavirus, conosciuto perche’ tra i fattori che provocano il tumore della cervice, potrebbe essere legato anche a quelli delle corde vocali e della gola. Lo afferma uno studio della Chinese Academy of Medical Sciences pubblicato sul ‘Journal of Infectious Diseases’, basato sulle pubblicazioni precedenti nel campo. Lo studio ha combinato i dati di 55 ricerche degli ultimi 20 anni, trovando che in media il 28% delle persone con tumori della laringe e’ positiva al papillomavirus, anche se il tasso varia molto a seconda degli studi da zero al 79%. I ricercatori hanno anche confrontato 12 studi in cui erano messi a confronto tessuti cancerosi e non da un totale di 638 pazienti, scoprendo che quelli della gola hanno una probabilita’ 5,4 volte maggiore rispetto agli altri di essere positivi all’infezione da Hpv.
  (AGI) .
 

I rifiuti uccidono come l’Ilva: boom di tumori in Campania

NAPOLI – In Italia si muore per i veleni delle industrie, in Campania per quelli dei rifiuti. Lo spiegano gli scienziati che hanno seguito il progetto Sentieri, finanziato dal ministero della Salute, e hanno preparato il rapporto su 44 dei 57 Sin (Siti di interesse nazionale) da bonificare.

Lo stesso rapporto che ha portato all’inchiesta della magistratura sull’Ilva di Taranto e alla chiusura di alcuni reparti. In Campania sono stati messi sotto la lente d’ingrandimento solo 2 dei 5 sin presenti sul territorio. Dallo studio è restata esclusa, ad esempio l’area di Bagnoli. In tutto sono stati esaminati 88 Comuni nei quali abitano 776.544 persone, quasi un sesto della popolazione della Regione (5.834.056). 

In tutti e due i siti studiati, quello delle aree del litorale vesuviano (11 Comuni con 462.322 abitanti) e quello Litorale Domizio Flegreo e agro aversano (77 comuni con 141.793 abitanti) si registra un eccesso rispetto al paramentro medio di riferimento, per la mortalità generale, per tutti i tipi di tumore, per quelle dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente, dell’apparato genitourinario. Fatta base cento, gli sforamenti più significativi si registrano nel vesuviano per le malattie dell’apparato genitourinario (uomini 109, donne 128) e nella seconda area per l’apparato digerente (114 per uomini e donne). 

E, in riferimento all’area del litorale Vesuviano, si legge nel rapporto: «in singoli comuni sono stati osservati eccessi della mortalità per il tumore del polmone, dello stomaco e della vescica per gli uomini e del tumore del fegato per entrambi i generi». E anche nella zona Domizia si notano patologie in eccesso anche al di là di quelle misurate dallo studio Sentieri e richiamate nel rapporto. 

Si legge, infatti: per alcuni Comuni del Sin si notano «eccessi di mortalità per tumore epatico, della pleura, della laringe e per malattie circolatorie». I dati si riferiscono al periodo tra il 1995 e il 2002, ma, a quanto pare, la progressione continua: in Campania, diversamente da quanto si verifica anche nell’area Italsider di Taranto, ci si ammala sempre di più, come conferma anche la ricerca del 2006 ordinata dall’istituto superiore della Sanità. 

Non solo: nella tragedia dell’Italsider sono coinvolti 216.618 abitanti, meno di un terzo di quelli interessati nella nostra regione. La tragedia della Campania ha due origini: la presenza di amianto in alcuni siti industriali e gli sversamenti dei rifiuti tossici. Il primo dato viene confermato anche da un procedimento in corso: quello contro i vertici dell’ex Alfasud dove negli ultimi cinque anni si è notata la morte per mesotelioma (il tumore provocato dall’amianto) di dieci lavoratori. 

E nelle considerazioni conclusive per entrambi i siti campani i relatori sottolineano che le aree sono caratterizzate oltre che da numerose discariche, anche dalla presenza di siti di smaltimento illegale e di combustione dei rifiuti sia urbani sia pericolosi. Gli scienziati per entrambe le zone raccomandano studi per la valutazione dell’inquinamento ambientale presente nell’area. E raccomandano di prevedere «percorsi di comunicazione con gli stakeholder, compreso l’associazionismo presente sul territorio». Ma, nonostante il continuo peggioramento della situazione, ancora nulla è stato fatto. 

Eppure, scorrendo l’elenco dei siti altamente inquinati esaminati nello studio, ricorrono i nomi di tutte le aziende che hanno sversato per anni rifiuti tossici nel cosiddetto triangolo della morte, quello che comprende l’area a nord di Napoli e a Sud di Caserta, come ha raccontato il pentito Gaetano Vassallo. Un’altra conferma dello scempio è arrivata dalla relazione del perito Giovanni Balestri sulla Resit di Giugliano. 

Il geologo ha sottolineato che il deposito di veleni di ogni tipo nella discarica non a norma provocherà entro il 2064, in assenza di interventi efficaci, un vero e proprio disastro industriale. In Campania attraverso i rifiuti le imprese del Nord hanno esportato la morte.

http://www.ilmessaggero.it

A Martedì Salute si parla di tumori della laringe e del cavo orale

 

 

 
Alla Gam torna l’appuntamento
con gli esperti del settore
 
TORINO

Martedì 23 ottobre nell’ambito degli appuntamenti di Martedì Salute si terrà un incontro informativo sul tema “Tumori della laringe e del cavo orale: come evitarli, come curarli”.  

23 ottobre, ore 10.00 

 

Intervengono Andrea Cavalot (Direttore SC Otorinolaringoiatria, Ospedale S. Croce di Moncalieri) e Giancarlo Pecorari (Vice Direttore I Clinica ORL, Università degli Studi di Torino) 

 

I tumori laringei sono nella maggior parte dei casi legati al fumo, all’inquinamento ed ad alcune specifiche attività lavorative”, spiega il Dott Cavalot.  

“Le neoplasie del distretto cervico-facciale (rinofaringe, cavo orale, orofaringe, laringe ed ipofaringe) rappresentano in Europa il 5% di tutti i tumori solidi: il 10 % dei tumori maligni negli uomini e il 4% nelle donne. – afferma il Dott. Pecorari – Nell’ambito delle sedi che costituiscono il distretto cervico-cefalico, la laringe è la sede di comparsa più frequente del tumore (19%.8%) seguita dal cavo orale (8%) ed orofaringe (3.1%). Purtroppo, i tumori del cavo orale e dell’orofaringe sono gravati da un’alta percentuale di decessi. L’elevata mortalità è, in parte, conseguenza di una diagnosi tardiva nonostante la sede sia facilmente esplorabile ed abbia un’alta valenza funzionale (fonazione e deglutizione). Pare quindi chiaro che una diagnosi precoce permetta di effettuare trattamenti terapeutici conservativi con minori sequele sia dal punto di vista estetico che funzionale”. 

 

Martedì 23 ottobre ore 10  

Galleria d’Arte Moderna, corso Galileo Ferraris, 30 Torino  

info e prenotazioni – segreteria organizzativa 011/6604284 –www.educazioneprevenzionesalute.it  

Amianto: il peggio deve ancora venire (picco tumori tra il 2015 e il 2020)

Eternite

Il Ministero della Salute ha comunicato che in Italia devono essere smaltite ancora trentadue milioni di tonnellate di amianto. Sono infatti trentaquattromila i luoghi rubricati come pericolosi, a seguito dell’ultima mappatura sul nostro Paese.

I dati sono stati illustrati nel corso di un incontro tenutosi a Casale Monferrato. All’iniziativa hanno partecipato il Ministro del Lavoro insieme ad alcuni rappresentanti del Ministero della Salute e dell’Ambiente.

 

La significativa presenza dell’amianto è dovuta al fatto che, tra 1945 e il 1992, in tutto il mondo occidentale sono state impiegate ingenti quantità di tale materiale per la realizzazione di vari tipi di costruzioni, per via della sua resistenza al calore e per le note proprietà anti incendio. Inoltre è solo dal 1992 che in Italia è vietato l’impiego di Eternit [1].

Come ha evidenziato il Ministro Balduzzi, quella dell’amianto è “un’emergenza nazionale”. I dati sono allarmanti: ancora mille persone all’anno si ammalano di tumore ai polmoni per l’esposizione alla polveri prodotte dall’Eternit.

 

Le fibre di absesto, infatti, possono permanere nell’organismo anche per oltre trent’anni. Per questo, alcune previsioni profetizzano che il picco delle malattie e delle morti correlate all’impiego di amianto si avrà tra il 2015 ed il 2020.

 

 

[1] L.  n. 257 del 1992.

 

 

La foto del presente articolo è un’opera artistica di Dantemanuele De Santis, DS Photostudio, ©. Ogni riproduzione riservata.

 


 

“La Legge per Tutti” è un portale che spiega e traduce, in gergo non tecnico, la legge e le ultime sentenze, affinché ogni cittadino possa comprenderle. I contenuti di queste pagine sono liberamente utilizzabili, purché venga riportato anche il link e il nome dell’autore).Sito amministrato dallo Studio Legale Avv. Angelo Greco (www.avvangelogreco.it). Nell’ambito del diritto civile, svolge consulenza alle imprese, diritto della rete e diritto d’autore, diritto dei consumatori, privacy, procedure espropriative.”

SANITÀ L’ospedale assume due labrador «Fiutano i tumori prima dei test» Addestrati a identificare le cellule malate in campioni di urine. Dalla Gran Bretagna a Trento, usati come supporto

MILANO – «Ho un cane come dottore». Lucy e Glenn non si offendono. Sono i primi «medici a quattro zampe» a lavorare in Italia. Due labrador addestrati nel Regno Unito sbarcati in Trentino, a Pergine Valsugana. «Laboratori d’analisi» viventi, dai nasi che non sbagliano un colpo. Fiutano i tumori prima anche dei test scientifici. Non solo. Sono attenti anche al calo di zucchero nel sangue di diabetici di tipo 1 (senza alcun test sul sangue) e possono diagnosticare il raro morbo di Addison (ghiandole surrenali in tilt) o la narcolessia. E chissà quant’altro. E come i loro «colleghi» che fiutano droghe o esplosivi, sembrano non sbagliare un colpo. Con un vantaggio economico non indifferente per i servizi sanitari in rosso. Gli inglesi sono stati i primi ad approfittarne, studiando scientificamente le doti di questi nasi da laboratorio e cominciando ad utilizzare questi «doc» scodinzolanti dopo una sorta di laurea-addestramento.

 

I LABRADOR – La nera Lucy ha sei anni, è una veterana e stupisce gli italiani invitati per metterla alla prova. Glenn è un cucciolone di 18 mesi, sta completando il suo addestramento proprio a Pergine Valsugana dove entrambi i cani sono ospitati. Lucy è il primario e Glenn lo specializzando. Lucy è capace di diagnosticare carcinomi alla vescica, prostata, polmoni e reni. Glenn sta imparando. La sperimentazione è curata dal Medical Detection Dogs Italia (Mdd), una onlus che si occupa di ricerca medica con l’utilizzo dei cani in svariati ambiti, da quello della ricerca delle cellule tumorali nelle urine a quello «d’allarme» per un pericoloso calo di zucchero nei diabetici di tipo 1. Il loro lavoro è di supporto a medici e laboratoristi, nei casi dubbi oppure quando i pazienti rivelano dei sintomi che le analisi non confermano. Spiega Diego Pintarelli, presidente della onlus: «In Inghilterra dove da anni si svolge questa attività è stato dimostrato come riescano a individuare cellule tumorali soprattutto negli stadi precoci della malattia».

L’OPERAZIONE – Lucy si «esibisce» in una sala appositamente allestita nella residenza sanitaria assistenziale di Pergine. È il suo nuovo ambulatorio. Dei supporti in alluminio contengono urine congelate e appositamente trattate in modo da rilasciare alcune particelle volatili attraverso delle aperture. Lucy annusa con attenta professionalità, due volte nei casi dubbi, tutti i campioni e si siede (o si sdraia) solo di fronte a quello in cui fiuta la malattia, le cellule malate. Quando il campione è negativo il labrador resta in piedi e fissa insistentemente il conduttore. Si cambiano i campioni e Lucy riparte con le analisi. L’attendibilità di questi cani supera il 90% in tumori agli stadi iniziali. E si sono rivelati utili anche per scoprire l’innalzamento o l’abbassamento improvviso di alcuni valori nel sangue – commenta il medico inglese Claire Guest -. Sono più di 15 anni che facciamo ricerca e addestriamo cani per questo scopo e forse la conclusione più importante è che se le cellule tumorali hanno un odore allora anche virus o batteri ne hanno uno e quindi possono essere individuati dagli amici a quattro zampe».

OLFATTO PREZIOSO – I dati pubblicati in uno studio della rivista scientifica British Medical Journal nel 2006 indicavano addirittura il 98% di attendibilità. Il primo caso riconosciuto è del 1989: un dalmata, dopo aver ostinatamente annusato per mesi un neo sulla gamba della padrona, ha permesso che se ne riconoscesse la natura maligna. Il caso descritto sulla rivistaLancet ha aperto la strada alla validazione scientifica dell’olfatto dei cani. Che supera di centomila volte quello umano. E i tessuti cancerosi, a causa del loro particolare metabolismo (che produce idrocarburi ed elevate concentrazioni di composti azotati), hanno un odore particolare che si manifesta precocemente anche nel fiato e nelle urine dei pazienti. I cani, con gli oltre 250 milioni di sensori olfattivi del loro naso, possono per esempio individuare un cancro al polmone quando non è ancora diagnosticabile.

BUONA SANITÀ Tumori, tutto quello che si può fare per impedire e correggere gli errori


Oncologi, chirurghi e infermieri possono sbagliare: se ne parla troppo poco. E anche i malati possono contribuire

MILANO – «Ho lavorato in ospedale come medico specialista di malattie infettive per 40 anni e non sono mai stato consapevole di quanto siano frequenti gli errori medici fino a quando non sono diventato anch’io un paziente perché mi è stato diagnosticato un tumore alla gola». A Chicago, durante la sessione dedicata agli errori in oncologia in programma nell’ultimo convegno della Società americana di oncologia clinica (Asco), Itzhak Brook, del Dipartimento di pediatria della Gerorgetown University School of Medicine di Washington DC, racconta la sua storia. «Il mio piccolo carcinoma dell’ipofaringe è stato asportato chirurgicamente e poi ho fatto radioterapia, ma dopo 20 mesi ho avuto una recidiva al seno pirifome (che è parte della laringe, ndr) e nonostante tre tentativi fatti con il laser i chirurghi non sono riusciti a rimuoverla completamente». Brook è poi stato sottoposto a faringo-laringectomìa radicale, intervento chirurgico di resezione che interessa faringe e laringe, e a successiva ricostruzione, che hanno risolto completamente il problema. In tutto è stato seguito in tre grandi centri ospedalieri e, sebbene sia grato e soddisfatto delle cure ricevute, ammette di aver imparato sulla sua pelle che «uno sbaglio è sempre dietro l’angolo, molto più frequente di quanto si possa immaginare».

 

I MALATI – Secondo le statistiche presentate durante l’incontro, gli errori possono interessare fino al 40 per cento dei pazienti che si sottopongono a chirurgia e possono essere fonte di complicanze fino al 18 per cento dei casi. E fra le conseguenze bisogna poi aggiungere l’aumento del costo delle spese mediche (in Italia a carico del Servizio sanitario nazionale), il possibile prolungamento della degenza in ospedale e la possibilità di cause legali. Nel suo intervento all’Asco Itzhak Brook ha elencato una serie di suggerimenti utili per prevenire un possibile errore: «Scegliere un centro che ha esperienza nella malattia di cui si soffre è già un buon punto di partenza – ha detto -, ma anche il paziente può e deve fare la sua parte: informarsi e non esitare a chiedere informazioni è molto utile, così come domandare un secondo parere se si deve prendere una decisione importante. Bisogna anche imparare a palesare a medici e infermieri le proprie necessità e a chiedere loro aiuto per risolvere eventuali problemi».

PARLARE E ORGANIZZARSI – Quanto ai medici, Brook si schiera decisamente fra le fila di quanti sostengono la necessità di migliorare la comunicazione e l’utilità di ammettere apertamente con il malato se si sbaglia. «Spiegare onestamente e con chiarezza a pazienti e familiari cosa è andato storto è fondamentale, perché se l’errore mina la fiducia verso il clinico, sentirlo ammettere le proprie responsabilità è un ottimo inizio per ricostruire un rapporto di stima» conferma Antonella Surobone, oncologa e docente alla New York University Medical School. E se la relazione medico-paziente è stata impostata bene fin dall’inizio, se si è discusso apertamente durante tutto l’iter terapeutico (da un’esaustiva spiegazione al momento della diagnosi fino alla condivisione delle scelte sui trattamenti, con un consenso davvero consapevole e informato), anche affrontare un errore è un po’ meno complicato. «Il confronto con malati e familiari in caso di sbagli li rassicura del fatto che il medico e l’ospedale stanno prendendo la cosa seriamente e che si sta facendo il possibile per impedire che la cosa si ripeta – aggiunge Surbone, che è leader del Comitato educativo dell’Asco -. Mentre evitare la discussione serve solo ad accrescere ansia, rabbia e frustrazione, il che aumenta sia le probabilità di un contenzioso legale, sia il rischio di maggiore danno per il paziente se non si interviene subito per correggere l’errore o mitigarne le conseguenze».

ONCOLOGI – Anche per l’organizzazione ospedaliera o del Sistema sanitario ignorare gli errori clinici (chirurgici, medici o infermieristici) è scorretto, perché non aiuta a modificare il la programmazione del lavoro in modo tale da prevenirli. «Non bisogna poi trascurare le difficoltà psicologiche a cui vanno incontro gli oncologi che, oltre a temere le conseguenze legali e l’imbarazzo nei confronti di interessati e colleghi, speso si trovano a fare i conti con i propri sensi di colpa, angoscia e vergogna – prosegue l’esperta -. Chiedere scusa, potersi spiegare con pazienti e familiari, affrontare l’accaduto chiaramente è utile a tutti, compreso l’oncologo che può così ricominciare a instaurare un rapporto con il proprio assistito. Certo, questo è un campo dove resta ancora molto lavoro da fare: serve un’adeguata preparazione a oncologi, chirurghi e infermieri per prepararli in questo tipo di comunicazione e servono maggiori dati, statistiche, studi per migliorare l’organizzazione dei reparti in modo da impedire più errori possibile. Ma dalla prima sessione sul tema che avevamo organizzato all’Asco nel 2006 e dal primo studio pubblicato abbiamo mosso già diversi passi nella giusta direzione».

Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)

http://www.corriere.it/

IL CASO Neoplasie e malformazioni emergenza anche a Brindisi L’allarme degli esperti e ricercatori delle università di Bari e Lecce e del Cnr

Non solo Taranto. Un eccesso di neoplasie alla pleura nei maschi e di tumori alla laringe nelle donne residenti a Brindisi, una prevalenza di tumori polmonari tra le donne di Ceglie Messapica e di Torchiarolo, le malformazioni congenite nei neonati, un aumento dei livelli di inquinanti nell’aria. Ne hanno parlato ieri dinanzi alla commissione Ambiente della Regione, esperti e ricercatori delle università di Bari e Lecce e del Cnr.

Una settimana fa era stato ascoltato il primario del reparto di radioterapia dell’ospedale Perrino di Brindisi, Maurizio Portaluri, che è anche il responsabile dell’associazione Medicina democratica e che già aveva fornito elementi per nulla rassicuranti.

Ai consiglieri della commissione Ambiente sono stati presentati dati precisi sulle percentuali di tumori nel territorio brindisino e di malformazioni neonatali, soprattutto di tipo cardiaco. E’ emerso che in presenza di venti da est e da sudest, nel centro del capoluogo, si incrementano le concentrazioni di biossido di zolfo. Concentrazioni che, secondo gli studiosi, provengono dal porto e dalla zona industriale e si osservano significativi effetti sulla salute della popolazione. Nell’occhio del ciclone finisce pure la centrale a carbone di Cerano. Sempre secondo gli studiosi è necessario completare il quadro delle conoscenze prima di dare il via a qualsiasi progetto di risanamento.

http://bari.repubblica.it/cronaca/2012/10/04/news/brindisi-43823398/

DAY HOSPITAL /1. Cominciamo dall’otorinolaringoiatra

di Andrea Brivio

LECCO – Inauguriamo con questa prima puntata di “Day Hospital”,  il viaggio di Lecco Notizie all’interno dell’Ospedale Manzoni che ci porterà a conoscere, ogni venerdì, tutti i reparti e il personale medico della struttura ospedaliera lecchese, per scoprire, insieme ai nostri lettori, la realtà sanitaria del nostro territorio.

L’approfondimento prende il via dal reparto di Otorinolaringoiatria: il suo nome, oltre a risultare un vero e proprio scioglilingua per i non addetti ai lavori, nasconde in sé una vasta attività chirurgica, che spazia dai trattamenti medici delle patologie di naso, orecchio e collo, a più complesse operazioni oncologiche per tumori alle vie respiratorie ed alla tiroide.

A farci da guida nel nostro primo tour al Manzoni è il primario dell’Unità Operativa di Otorinolaringoiatria di Lecco e Merate, il Dottor Renato Piantanida, 55enne medico di Gallarate.

Da oltre un decennio a capo del struttura medica lecchese, il Dottor Piantanida ha eseguito oltre otto mila interventi tra l’ospedale di Lecco e quello di Circolo di Varese, dove ha lavorato per circa 15 anni prima di giungere al Manzoni. Vice presidente della Società Italiana di Otorinolaringoiatria Pediatrica, è autore e co-autore di oltre novanta pubblicazioni scientifiche, oltre ad essere stato relatore in ben 120 congressi nazionali ed internazionali, inoltre dal 2004 è delegato italiano all’Unione Europea Medici Specialisti.
Ad accompagnarlo nell’attività del reparto ci sono i Dottori Paolo Lovotti, Sergio Valentini, Sebastiano Mininni, Matteo Giovari e le Dottoresse Eleonora Casati e Ida Fuoco.

Il direttore ha conosciuto i cambiamenti affrontati dalla struttura, che da reparto indipendente è confluito nel 2009 in un’area di degenza comune, quella della Chirurgia, a seguito della riorganizzazione in campo sanitario dettata dalla Regione.

Al di la della novità organizzativa, ci sono peculiarità dell’unità operativa che non sono cambiate nel tempo, tra queste le operazioni alle adenoidi e alle tonsille, che tuttora si confermano i trattamenti più richiesti dagli utenti: “Nonostante gli anni passino, la chirurgia otorinolaringoiatria pediatrica resta quella più frequente. Sicuramente c’è stata una limitazione significativa degli interventi, una riduzione di circa un quarto a livello mondiale nell’arco di 20 anni. Ciò non di meno, ci sono delle situazioni oggi ben definite dalle linee guida del ministero nelle quali la procedura chirurgica resta la soluzione più opportuna e queste sono ancora numerose”, spiega il Dottor Piantanida. Solo nei primi cinque mesi del 2012, tra il Manzoni e il Mandic, sono già state eseguite 80 operazioni alle tonsille e alle adenoidi, per una media di mille interventi l’anno.

Il punto di forza dell’otorinolaringoiatria lecchese è però rappresentato dalla Chirurgia Oncologica, che si avvale della collaborazione di radioterapista e oncologo medico per visite ai pazienti, diagnosi e trattamenti post-operatori collegiali. “E’ sicuramente un’offerta che non esiste ovunque – preosegue il Primario – e che qui è attiva dal 2000; un servizio per il quale siamo molto orgogliosi”.

I tumori più diffusi sono quelli delle prime vie respiratorie: cavo orale, bocca, laringe, faringe; un capitolo a parte sono i tumori della tiroide, questi ultimi in aumento vertiginoso; l’anno scorso sono stati compiuti circa 80 interventi, nel 2000 solo quattro”. Nonostante l’allarmante evoluzione del fenomeno, le neoplasie della tiroide riescono ad essere sconfitte con maggiore frequenza rispetto a quelle delle mucose: “Esiste una distinzione notevole tra l’andamento delle due tipologie di tumore – evidenzia Piantanida – in particolare, nei tumori alle prime vie respiratorie la sopravvivenza complessiva si aggira tra il 50 e 70%; i tumori della tiroide invece, se trattati bene chirurgicamente e con il complemento della medicina nucleare, possono raggiungere sopravvivenze del’80-90%. In ogni caso, tali soglie sono ben superiori ad altri tipi di tumori come al polmone e al pancreas, dove i numeri sono ben più drastici”.

Le cause di tali mali vanno ricercati nell’abuso di fumo e alcool, per quanto riguarda le vie respiratorie; ancora incerte nel caso della tiroide, una malattia trasversale che colpisce i bambini quanto soggetti adulti e anziani:

“A lungo si è studiato il legame tra la malattia e l’esposizione alle radiazioni, per questo si ci aspettava una pesante ricaduta con la disgrazia di Chernobyl; i numeri, in quel caso, sono aumentati ma non con l’intensità prospettata. Non c’è, per fortuna, questo tipo di accostamento sicuro, che è risultato più visibile nell’ambito territoriale dell’Ucraina e della Bielorussia; in realtà, l’aumento della malattia c’è stato in tutto il mondo, negli Stati Uniti come in Cina, ma non è possibile rilegarlo a quell’avvenimento. La connessione sicura con il fenomeno era legata alla popolazione degli anni ’50 – evidenzia il dottore – quando l’uso delle radiazioni in campo medico non seguiva norme protezionistiche rigorose quanto quelle odierne. Ciò rimane nei libri come retaggio storico, ma non è più attuale e ad oggi non è possibile affermare con certezza questa relazione”.

L’unità di Otorinolaringoiatria non si occupa solo di patologie curate attraverso la chirurgia, bensì anche di fratture al naso ed altri tipi traumi o patologie che non asseriscono necessariamente in una procedura chirurgica. Tra le principali attrezzature utilizzate per le visite agli utenti, gioca un ruolo fondamentale il fibrolaringoscopio, attrezzato nella sala dell’otomicroscopia e fibroendoscopia, che permette di evidenziare eventuali lesioni della laringe.

Il reparto lecchese offre un ulteriore servizio mirato, grazie alla scelta di mantenere attiva la figura storica dell’audiovestibologo, soppressa in altre realtà ospedaliere: si tratta di un medico otorino specializzato nei disturbi dell’equilibrio e dell’udito, impiegato in particolare nelle prove di adattamento delle protesi acustiche. Un settore in evoluzione con oltre 6 mila visite di audiovestibologia nello scorso anno e 172 prescrizioni di protesi uditive (queste ultime in aumento di 72 unità rispetto al 2010).

Inoltre, da circa otto anni, l’ospedale attua lo screening audiologico universale sui neonati, valutando, attraverso appositi macchinari, la funzionalità uditiva del soggetto. “Questo permette di intercettare in tempi molto precoci le sordità congenite nel piccolo. Procedere tempestivamente alla protesizzazione evita che il bambino diventi sordomuto”. Il servizio è offerto sia al Manzoni che al Mandic così, ad esclusione dei nati in cliniche private, può coprire tutti i bambini concepiti in Provincia di Lecco.

Complessivamente, lo scorso anno, l’unità di Otorinolaringoiatria ha eseguito circa 15 mila prestazioni ambulatoriali a Lecco e 7500 a Merate; mille le operazioni chirurgiche per un totale di 1200 ricoveri ospedalieri. Non pochi i pazienti che hanno deciso di omaggiare i medici del reparto per il loro operato, inviando biglietti di ringraziamento ora affissi in reparto. Non nasconde la soddisfazione il dottor Piantanida: “Lavoriamo per questo – ammette – Siamo orgogliosi di poter offrire e gestire in maniera autonoma un servizio completo all’utente quale non è costretto a cercare in altri presidi ospedalieri ciò che invece può trovare nella nostra struttura. Oltretutto, l’integrazione con l’ospedale di Merate ha permesso di ridurre sensibilmente i tempi di attesa, per cui una patologia minore viene operata entro tre mesi, con una priorità maggiore di 30 giorni per tumori o gravi situazioni nel bambino”.