Roma – Ogni giorno 2.500 giovani vengono contagiati dal virus HIV. Mentre la diffusione dell’Aids e’ leggermente diminuita tra i giovani in genere, le giovani donne e le ragazze adolescenti si trovano di fronte a un rischio particolarmente elevato di infezione, a causa sia della loro vulnerabilita’ a livello biologico sia della disuguaglianza e dell’esclusione che patiscono a livello sociale. Per la prima volta, il rapporto ‘Opportunita’ nella crisi: Prevenire l’HIV dalla prima adolescenza alla giovane eta’ adulta’ presenta dei dati sui contagi da HIV tra i giovani e evidenzia i rischi che gli adolescenti affrontano nel passaggio all’eta’ adulta. Pubblicato da Unicef, Unaids, Unesco, Unfpa, Oil, Oms e Banca Mondiale, il rapporto individua i fattori che fanno aumentare il rischio di infezione, ma anche le opportunita’ di potenziare i servizi di protezione e di sfidare le pratiche sociali dannose. “Per molti giovani, il contagio da HIV e’ conseguenza di negligenze, esclusioni e violazioni che non si verificano all’insaputa di famiglie, comunita’ e leader politici e sociali. Questo rapporto esorta i leader a tutti i livelli a costruire una catena di prevenzione per mantenere informati, protetti e sani gli adolescenti e i giovani”, ha dichiarato il Direttore generale dell’Unicef Anthony Lake. “L’Unicef si e’ impegnato in questa causa. Dobbiamo proteggere il secondo decennio di vita, affinche’ il viaggio dall’infanzia all’eta’ adulta non venga deviato dall’HIV; un viaggio, tra l’altro, particolarmente carico di difficolta’ per le bambine e le giovani donne”. Secondo il rapporto, nel 2009 i giovani dai 15 ai 24 anni incidevano per il 41% dei nuovi contagi tra gli adulti sopra i 15 anni. Si stima che, in tutto il mondo, 5 milioni (da 4,3 milioni a 5,9 milioni) di giovani in quel gruppo di eta’ fossero sieropositivi nel 2009. Nel gruppo di eta’ compresa tra i 10 e i 19 anni, nuove stime parlano di 2 milioni (da 1,8 milioni a 2,4 milioni) di adolescenti sieropositivi. Questi adolescenti vivono per la maggior parte nell’Africa sub-sahariana e sono perlopiu’ di sesso femminile e inconsapevoli della loro condizione di sieropositivita’. A livello globale, le giovani donne costituiscono piu’ del 60% di tutti i giovani che convivono con l’HIV. Nell’Africa sub-sahariana, questa percentuale sale addirittura al 72% .
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Approvate le Linee di indirizzo per l’assistenza delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza
La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ha approvato il 5 maggio 2011 le Linee di indirizzo sugli stati vegetativi e di minima coscienza.
Il documento prevede la realizzazione di un sistema integrato ospedale-territorio per costruire un percorso di “dimissione protetta”, riducendo al minimo la permanenza nei reparti di rianimazione e intensivi e favorisca al più presto il trasferimento in ambienti più adeguati a fornire un’assistenza più attenta agli aspetti funzionali e riabilitativi del paziente e al benessere della propria famiglia.
“L’approvazione delle linee guida sugli stati vegetativi – dichiara il sottosegretario alla Salute, On. Eugenia Roccella – rappresenta il punto di arrivo di un lungo lavoro avviato sin dall’inizio di questo governo. Il documento recepisce infatti nella sostanza i risultati della Commissione di esperti sullo stato vegetativo e di minima coscienza, da me presieduto, e delle associazioni che hanno collaborato con il Ministero alla realizzazione del libro bianco”.
“Le linee guida – prosegue il sottosegretario – rappresentano un obiettivo importante per una società che sappia tutelare i più deboli e più fragili, capace di accogliere, come noi abbiamo fatto, l’appello delle famiglie che, con fatica e dedizione, assistono i propri cari in stato vegetativo, uomini e donne in condizioni di disabilità estrema. Il documento oggi approvato fornirà alle Regioni i giusti strumenti per affrontare il problema dell’appropriatezza del percorso assistenziale di questi disabili che, come ci insegna il Libro bianco, deve essere personalizzato e costruito sulle reali esigenze dei malati e delle loro famiglie. È per questo importante ottimizzare le risorse disponibili (come i fondi che già da due anni il governo ha vincolato agli obiettivi di piano) per implementare, per esempio, la rete di accoglienza specializzata puntando sulla riabilitazione poiché si tratta di malati che, sottoposti a determinati programmi, possono migliorare. E’ la prima volta che un atto istituzionale di alto profilo come le linee guida recepisce le istanze delle associazioni che in questo percorso sono state di fatto riconosciute, e continueranno ad esserlo, come interlocutori.”
Leggi le Linee di indirizzo
Data pubblicazione: 06 maggio 2011
Decreto sulla “salute dei cittadini”: ci hanno fregato
Sembrava ci fossero solo benefici nel decreto sugli inquinanti nell’aria, ma l’Italia ci ha messo del suo: liberi inquinanti cancerogeni nelle città fino al 2012
L’Europa propone agli stati membri una direttiva per migliorare la salute dei cittadini e la qualità dell’aria, il Governo Italiano la recepisce, ma facendo delle modifiche di suo pugno, contro la salute stessa degli italiani.
Si parlava giusto in uno scorso articolo deibenefici contenuti nel decreto 155/2010, con il quale si recepisce appunto la direttiva europea in materia di inquinamento dell’aria.
Ed in effetti, alcune note positive ci sono, per esempio le analisi delle polveri sottilissime, oltre che alle già conosciute PM10, e la maggior trasparenza nell’informare i cittadini sulla qualità dell’aria delle città.
Purtroppo la trasparenza tanto professata non ha caratterizzato l’approvazione di questo decreto, passato ai voti il 13 agosto nel totale silenzio, portando con sé alcune modifiche significative.
Su tutte c’è una modifica assolutamente dannosa per i cittadini: il via libera per altri 2 anni all’inquinante –cancerogeno, benzo(a)pirene. Nel decreto si sposta infatti a dicembre 2012 il termine entro cui le città con più di 150.000 abitanti dovranno diminuire obbligatoriamente leconcentrazioni di benzo(a)pirene nell’aria, portando questo inquinante cancerogeno sotto la soglia di 1 nanogrammo per metro cubo.
Per capirci, un superamento del valore di 1 nanogrammo a metro cubo significa esporre i polmoni ad un equivalente cancerogeno di oltre 750 sigarette/anno.
Due le preoccupazioni principali: primo, il benzo(a)pirene è un microinquinante classificato cancerogeno dall’Agenzia Internazionale per la ricerca sul cancro; secondo, con questo decreto vengono legalizzate tutte le infrazioni fino ad ora avvenute da parte di aziende e soggetti vari, e anzi, si proroga il termine fino alla fine del 2012.
Chi ci va di mezzo? Tutti i cittadini d’Italia, mentre alcune aziende continueranno ad arricchirsi producendo sulla pelle degli altri.
La modifica contenuta nel decreto è passata nel silenzio, ma ora sono attive due petizioni per fermare la presenza di questo inquinante nell’aria di tutte le città italiane: Legambiente e Peacelink hanno attivato due pagine dedicate a questa battaglia.
La proposta è quella di scrivere ai responsabili politici e alzare la voce per chiedere la modifica di questa assurda norma, sui siti indicati viene anche proposta una lettera-modello da inviare, in cui tra le altre cose si legge: “Il decreto legislativo 155/2010 aveva come finalità l’attuazione della direttiva 2008/50/CE allo scopo di avere “un’aria più pulita in Europa” (…). Le chiedo di intervenire perché leggi vengano fatte nell’interesse dei cittadini e non degli inquinatori. Le chiedo in buona sostanza di dare effettiva attuazione all’articolo 1 della Costituzione che al secondo comma sancisce: la sovranità appartiene al popolo“.
www.legambiente.it/petizioni.php?idPetizione=53
www.peacelink.it/ecologia/a/32471.html
L’acqua inquinata: un rischio per la salute, la potabilizzazione dell’acqua.
L’inquinamento delle falde acquifere ha trasformato un bene tanto prezioso e indispensabile alla vita in una fonte di rischio per la salute. Quanti di noi conoscono il bromodiclorometano, il bis2clorometiletere oppure il tetracloroetilene? Probabilmente pochi. Però, quasi tutti li abbiamo bevuti o li beviamo tuttora. In che modo? Semplicissimo, con l’acqua che esce dal rubinetto. E non è tutto, vi sono anche i cosiddetti metalli pesanti quali il piombo, il mercurio e il cadmio che pur non avendo alcuna funzione biologica tendono ad accumularsi nell’organismo con un’azione tossica anche a bassissime concentrazione.
Sta di fatto che il numero di composti chimici dispersi nell’ambiente, derivanti da attività umane, è elevatissimo. Anche se soltanto 90 mila sostanze chimiche sono utilizzate a scopo commerciale, tuttavia, gran parte dei prodotti intermedi o residui di reazioni chimiche raggiungono ugualmente il consumatore in modo indiretto. D’altro canto, per la maggior parte di essi, la persistenza nell’ambiente è relativamente breve, in quanto processi fisici e biochimici naturali provvedono alla loro degradazione a sostanze meno complesse e meno tossiche. Esistono comunque alcune categorie di composti di sintesi poco o nulla biodegradabili, poiché hanno una struttura chimica senza alcun riscontro in natura. Ne sono un esempio i composti organo clorurati, quali la trielina, il tetracloruro di carbonio e il cloroformio, che costituiscono senza dubbio una tra le più importanti famiglie di sostanze organiche a scarsa o nulla biodegradabilità, riscontrabili ormai nell’acqua potabile di ogni acquedotto, specie in quelli che attingono da pozzi scavati in aree industrializzate.
Passando ad altre sostanze che influenzano la potabilità dell’acqua, hanno una certa importanza i metalli pesanti, poiché sono altamente tossici ed esercitano un’azione lesiva nei confronti del cervello e di altri organi di vitale importanza. Inoltre è stato dimostrato attraverso studi sperimentali che mercurio, cadmio, rame, piombo e zinco provocano effetti tossici sul sistema immunitario facilitando così l’insorgenza di infezioni microbiche e virali, come pure lo sviluppo di cellule tumorali. Un altro gruppo di sostanze chimiche facilmente riscontrabili nell’acqua potabile è quello dei pesticidi, il cui nome è ormai entrato nel linguaggio comune, come l’atrazina, il bentazone e il molinate. Si conoscono ben 1500 principi attivi i quali sono prodotti più di 50.000 pesticidi.
La potabilizzazione dell’acqua
E che dire del processo di potabilizzazione dell’acqua mediante il cloro? È senz’altro il metodo più valido per la disinfezione delle acque, ma determina la formazione di nuovi composti organici clorurati, denominati trialometani (THM). Esistono molte prove a sostegno della validità del processo di clorazione delle acque per uso umano: se negli USA sono stati segnalati 59 casi di epidemie, con un totale di 16.000 soggetti colpiti per mancato trattamento di disinfezione delle acque, nei paesi del Terzo Mondo si sono verifìcati in questi ultimi anni ben 580 mila casi di colera e 1 miliardo e 600 milioni di casi di malattie diarroiche, con 3 milioni e 200 mila morti dovuti principalmente al consumo di acque sia sotterranee che superficiali non trattate. Tuttavia questa pratica così largamente usata è divenuta oggetto di maggiore attenzione agli inizi degli anni ’70, quando, da ricerche eseguite negli USA da parte dell’EPA (Environmental ProtectionAgency) con tecniche analitiche molto sensibili, si è osservata la presenza di sostanze tossiche nell’acqua potabile a seguito del processo di clorazione.
In particolar modo sono stati riscontrati oltre 80 derivati cloro organici, anche a concentrazioni elevate, nelle acque sottoposte a clorazione. Il cloro e l’ipoclorito reagiscono con gli acidi umici e fùlvici e con altri precursori, quali ad esempio l’acido piruvico e l’acido idrossibenzoico, presenti nelle acque da trattare per produrre principalmente i cosiddetti trialometani (THM), soprattutto cloroformio, dibromoclorometano e diclorobromometano sostanze chimiche indiziate come possibili mutageni e cancerogeni per l’uomo.
Sembrerebbe che la formazione dei THM sia direttamente proporzionale alla concentrazione di cloro e dipenda principalmente dalla qualità delle acque trattate. Non si pensi, comunque, che solo acque di qualità scadente conducano alla formazione di composti alogenati, anche le migliori acque, ad esempio quelle sorgive, contengono sostanze organiche disciolte che non derivano necessariamente da fenomeni di inquinamento. Nel nostro paese, indagini condotte dall’Istituto Superiore di Sanità e da diverse Amministrazioni Regionali su acquedotti trattati prevalentemente con cloro sotto forma di ipoclorito, hanno evidenziato elevate concentrazioni di derivati clororganici, soprattutto cloroformio, dibromoclorometano e diclorobromometano, sostanze considerate potenzialmente cancerogene da parte dell’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS). Come rendere potabile l’acqua senza generare nuove sostanze tossiche? Un’alternativa consisterebbe nel sostituire il cloro con altri prodotti che non promuovono la formazione di THM.
Uno di essi è il biossido di cloro, che ha dimostrato di possedere ottime proprietà disinfettanti. Inoltre tale prodotto risulta particolarmente efficace nella rimozione di ferro e manganese dalle acque e nell’eliminazione del cattivo sapore dovuto ai clorofenoli. Gli svantaggi dell’impiego del biossido di cloro sono da attribuirsi al fatto che esso ostacola il trasporto dell’ossigeno ai tessuti corporei. Un altro processo di potabilizzazione consiste nell’impiegare l’ozono (OJ, gas dall’altissimo potere ossidante, efficace nella disinfezione, avendo un’elevata azione battericida. La principale limitazione concernente l’uso di ozono è dovuta al fatto che questo agente ossidante induce la sintesi di nuovi composti organici di natura spesso ignota che possono essere anche tossici. E, inoltre, molto costoso e non garantisce il perdurare della sterilità dell’acqua, poiché si degrada rapidamente.
L’eliminazione di inquinanti microbiologici viene pure ottenuta mediante l’impiego di acqua ossigenata durante il trattamento di clorazione che consente una significativa riduzione nella formazione di composti organoalogenati. È stato anche proposto, come valida alternativa al cloro, l’utilizzo combinato di ozono acqua ossigenata, che esercita un’efficace azione sterilizzante senza produzione di THM ed altri sottoprodotti indesiderati Una tecnica più recente, ancora in fase sperimentale, si avvale invece di un semplice processo elettrolitico che scompone le sostanze chimiche presenti nell’acqua. Esistono poi i cosiddetti filtri ad uso domestico per il cui uso corretto è indispensabile conoscere le caratteristiche chimiche dell’acqua che si vuole trattare, e che necessitano comunque di controlli periodici.
Tuttavia, nonostante l’intensificarsi degli studi volti ad individuare un’alternativa al cloro, sembrerebbe che non esista sino ad ora un composto in grado di sostituirlo adeguatamente.
Il sistema di soccorso
In applicazione alla normativa nazionale, la fase dell’emergenza extraospedaliera del soccorso registra, dagli anni novanta ad oggi, una progressiva implementazione organizzativa fino a giungere all’attuale impianto strutturale del sistema, costituito dalle 103 Centrali Operative con il numero 118 attivo su tutto il territorio nazionale.
Il modello organizzativo del sistema dell’Emergenza sanitaria risulta articolato come segue:
- Sistema di allarme sanitario, dotato di numero telefonico di accesso breve ed universale “118”, in collegamento con le Centrali Operative alle quali fanno capo tutte le richieste telefoniche di urgenza ed emergenza. La centrale Operativa garantisce il coordinamento di tutti gli interventi nell’ambito territoriale di riferimento ed attiva la risposta ospedaliera 24 ore su 24.
- Sistema territoriale di soccorso, costituito dai mezzi di soccorso distribuiti sul territorio: Ambulanza di soccorso di base e di trasporto, Ambulanza di soccorso avanzato, Centro mobile di rianimazione, Eliambulanze.
- Rete di servizi e presidi, rappresentata da:
- Punti di primo intervento, fissi o mobili, organizzati per esigenze stagionali in località turistiche ed in occasioni di manifestazioni di massa, sportive, religiose, culturali nei quali è possibile:
- effettuare il primo intervento medico in caso di problemi minori
- stabilizzare il paziente in fase critica
- attivare il trasporto protetto presso l’ospedale più idoneo
- Pronto Soccorso Ospedalieri, che assicurano gli accertamenti diagnostici e gli eventuali interventi necessari per la soluzione del problema clinico presentato, oppure, nei casi più complessi, garantiscono gli interventi necessari alla stabilizzazione del paziente e l’eventuale trasporto ad un ospedale in grado di fornire prestazioni specializzate, sotto il coordinamento della Centrale Operativa;
- Dipartimenti di Emergenza-Urgenza Accettazione (DEA) rappresentano un’aggregazione funzionale di unità operative, adottano un codice comune di comportamento assistenziale, assicurano una risposta rapida e completa. I DEA afferiscono a due livelli di complessità, in base alle Unità operative che li compongono: DEA di I livello e DEA di II livello.
- http://www.salute.gov.it/ProntoSoccorso118/paginaInternaProntoSoccorso118.jsp?id=1049&lingua=italiano&menu=soccorso
- Punti di primo intervento, fissi o mobili, organizzati per esigenze stagionali in località turistiche ed in occasioni di manifestazioni di massa, sportive, religiose, culturali nei quali è possibile:
Come mantenersi sani sul lavoro: problemi del lavoro,incidenti sul lavoro.
II modo con cui si reagisce ai problemi del lavoro può essere determinante per la possibilità di sopravvivere e godersi il successo conseguito.
Il lavoro, e il modo di reagire ad esso, nonché le condizioni nelle quali si lavora influiscono notevolmente sulla salute. Non c’è alcun fattore che sia di per sé decisivo: per gli attori la durata prevista della vita è sensibilmente inferiore a quella media generale per gli agricoltori, ma” vi sono tanti attori che possono vivere molto più a lungo di molti agricoltori. La capacità di adattarsi al lavoro, il rischio di incidenti sul lavoro e le condizioni stesse del lavoro variano in modo notevole, ma sono pur sempre fattori determinanti di grande rilievo. L’individuo che lavora può correre dei rischi per mancanza di allenamento, fatica fìsica, tensione, noia, incidenti o per lungo contatto con sostanze pericolose.
Per svolgere un’azione efficace contro alcuni di questi pericoli si richiedono gli sforzi comuni dei datori di lavoro e dei sindacati: ma in parecchi casi i singoli lavoratori possono ragionevolmente cautelarsi per proteggere la propria salute. Chiunque abbia lavorato in una grande azienda commerciale o in un’industria ben sa con quanta rapidità i raffreddori o l’influenza possono dilagare fra il personale. Prendere un permesso per malattia quando occorre sarà un aiuto per tutti. Anche la bronchite può essere ricollegata a particolari attività o alle condizioni sociali che ad esse si accompagnano: direttori di banca e medici soffrono meno di bronchite degli uomini che sono addetti a lavori stradali. Anche lo star seduti a una scrivania o a un banco di lavoro per un’intera giornata causa dei disturbi: è vero che di solito a lavorare con il cervello ci si annoia meno che a lavorare con i muscoli, ma le lunghe ore di tensione mentale e la mancanza di attività fisica costituiscono pericoli potenziali. Tutti i lavoratori sedentari, impiegati o dirigenti, vanno soggetti alle affezioni coronariche assai più dei loro colleghi attivi fisicamente. Per quanto il fumare, l’alimentazione e la costituzione individuale abbiano una certa importanza, vi sono prove sufficientemente concrete che indicano nell’inattività fisica un fattore di importanza primaria.
Gli impiegati postali sono leggermente più inclini agli attacchi di cuore dei postini ( devono camminare ogni giorno per lunghi tratti per recapitare la posta: in questo caso l’elemento principale che favorisce la stato di salute è costituito dall’esercizio fisico. Se si è costretti a stare seduti tutto il giorno bisogna sforzarsi di supplire con attività fisiche all’aria aperta — magari con uno sport o occupandosi di giardinaggio — o cercando o occasione per muoversi durante il lavoro, esempio salendo a piedi ai piani superi anziché starsene in attesa dell’ascensore facendo visita a un collega nel suo ufficio piuttosto che chiamarlo al telefono. È anche importante il modo in cui vengono programmati i pasti: intanto non è davvero una bue idea quella di saltare il pasto per esigenze lavoro per poi cercare di ricuperare con pesante pasto serale. Piccoli pasti leggeri a intervalli regolari riducono la fatica e mantengono una costante efficienza del ritmo metabolico, riducendo la probabilità di avere delle calorie inutilizzate che vadano accumulandosi sotto forma di grasso. Chi lavora ha bisogno di mezzo litro di liquido al giorno inverno e all’incirca due litri in estate. Un altro criterio utile è quello delle interruzioni di lavoro: anche se non fanno parte ufficialmente della routine quotidiana, molti lavoratori le attuano dedicandosi a intervalli a compiti meno impegnativi. Condizioni disagiate di lavoro favoriscono inefficienza oltre a costituire una notevole possibilità di danno. L’illuminazione dovrebbe essere abbastanza forte per evitare di sforzare la vista, ma non abbagliante. Le macchine e il lavoro abituale dovranno essere disposti in modo da non indurre posizioni sbagliate del corpo: un sedile opportunamente studiato, per esempio, può proteggere i camionisti dagli effetti dannosi delle vibrazioni continuate. I chirurghi fanno uso di sostegni per l’avambraccio negli interventi prolungati e gli addetti alle macchine possono spesso trarre beneficio da analoghi accorgimenti. Ciascun lavoratore dovrebbe poter adattare i mobili normali d’ufficio. Per esempio, inclinando la superficie del tavolo di lavoro, facendo uso di un cuscino o di uno sgabellino per i piedi, qualsiasi cosa pur di evitare il mal di schiena e una difettosa circolazione del sangue nelle gambe. Le hostess delle linee aeree e le commesse dei negozi dovrebbero indossare calzamaglie aderenti di sostegno e sollevare i piedi appena possibile per ridurre il pericolo di vene varicose. Un lavoratore manuale può imparare il modo migliore per sollevare grossi pesi in modo che lo sforzo gravi sulle gambe, non sulla schiena.
La tensione mentale sul lavoro può essere più difficile sia da individuare che da fronteggiare; oltre alla sua responsabilità nelle malattie di cuore, lo stress può essere all’origine di infermità quali le indigestioni, la diarrea, le cefalee e, forse, anche le ulcere gastriche. Smentendo il mito dell’ulcera ritenuta infermità riservata ai dirigenti, questo male è diffuso in tutta la popolazione. Lo stress può anche favorire quelle condizioni di infermità semifisiche come l’alcolismo e alcune malattie mentali, quali l’ansietà e le forme depressive.
Considerati ai limiti estremi, i livelli di stress svolgono un ruolo notevole nelle previsioni di durata della vita. Attori, giornalisti e musicisti sono meno esposti dei minatori che corrono allo stesso tempo rischi di incidenti e di malattie polmonari; gli insegnanti vivono un po’ meno a lungo degli agricoltori, e i medici, che dovrebbero ben sapere come curarsi, riescono a superare i loro livelli di stress, per quanto indubbiamente elevati, e vivono più a lungo degli agricoltori. Non sono poche le persone che amano pensare che un lavoro può accrescere appieno la loro capacità; ma l’oltrepassare un certo limite fisico e mentale può dare origine a disturbi. Il concetto della indispensabilità è fra tutti il più pericoloso.
L’esercizio fisico, vacanze ben programmate e moderazione nel mangiare e nel bere aiutano a conservare una buona forma fisica e mentale: la possibilità di interessi spiccati al di fuori del lavoro sono il miglior antidoto al fascino ossessisivo di un lavoro. Indizi di ansietà o di depressione, respiro breve e stanchezza continua sono avvertimenti che inducono a evitare e modificare lo stato di stress: in questi casi si può trovare una soluzione spartendo con qualcun altro il carico di lavoro; un’altra si può avere rinunciando ad alcuni incarichi — magari chiedendo una ‘antipromozione’; un’alternativa più positiva si potrebbe tuttavia trovare riuscendo a farsi destinare a un corso di perfezionamento allo scopo di migliorare l’abilità personale. La noia, poi — sia che si tratti del dirigente insufficientemente utilizzato o della moglie lasciata sola a casa — può significare una ricerca dei modi per accrescere i compiti o per trovare attività sostitutive. Però anche la peggiore fra tutte le situazioni — quella cioè di dover riferire a diverse persone con settori di responsabilità mal definiti può essere migliorata con una richiesta di disposizioni precise o con una domanda di trasferimento.
Pericoli a lunga scadenza per la salute possono trarre origine dai materiali adoperati nel lavoro o dalle condizioni del lavoro stesso. I minatori e gli altri lavoratori che vivono in ambienti polverosi possono contrarre varie affezioni polmonari (pneumoconiosi) che limitano le facoltà respiratorie, mentre gli spazzacamini soffrivano di cancro allo scroto; molte sostanze chimiche infine sono velenose in special modo i composti del mercurio e del piombo — e provocano malattie specifiche. Un certo rischio può perfino essere presente nel maneggiare i solventi usati per i liquidi correttivi in dattilografia. Altri materiali, come il cloruro di vinile (composto in partenza per la produzione del cloruro di polivinile) e alcune forme di amianto, possono essere correlati al cancro; elevati livelli di rumorosità possono causare un grave stato di sordità.
Una volta ancora il problema di questi pericoli coinvolge sia gli imprenditori che i sindacati, gli scienziati e i legislatori. A volte si potranno adoperare sostanze chimiche meno pericolose, a volte si potranno trovare metodi di produzione più sicuri o adottare indumenti o attrezzature speciali. Ma il singolo lavoratore deve adottare alcune norme di sicurezza e attenersi ad esse: procurarsi un camice da lavoro pulito perché certi oli assorbiti possono provocare malattie della pelle e perfino forme cancerose; indossare sempre gli indumenti protettivi che vengono forniti; fare uso di maschere che filtrano l’aria e di cuffie auricolari quando siano rese necessario dalle condizioni ambientali. Ricade sul singolo individuo la responsabilità di rendersi conto sul lavoro dei rischi che corre la sua salute. Nessuna mansione può essere adempiuta perfettamente e nessun insieme di condizioni di lavoro è perfetto; tuttavia il buon senso dice che si dovrebbe ricavar piacere dal lavoro nel suo complesso e, soprattutto, sentirsi meglio per il fatto di eseguirlo.
Molti non si rendono conto che i loro muscoli sono tesi e l’aver male, il dolore, diventano parte del loro modo di vivere. Ma non è necessario che le cose stiano così: vi sono m semplici per rilassarsi, sia che si svolga un complicato lavoro di cucito sia che si debba guidare un automezzo per lunghe ore o si resti ingobbiti su una macchina da scrivere. Ecco alcuni esercizi che si possono fare senza neppure lasciare il posto di lavoro: l’espediente sta addirittura nell’alimentare la tensione nei muscoli coinvolti perché in tal modo risulta facilitato il successivo rilassamento.
Lo star sempre seduti in una stessa posizione anche se questa e corretta, può causare mal di schiena: afflosciatevi in avanti incurvando le spalle, poi raddrizzatevi e ripetete. Stando seduti diritti, ruotate le spalle con movimento rotatorio in avanti, una alla volta o assieme; proseguite così per almeno dieci secondi.
Stringete forte le cosce, indi rilassatevi. Sollevate fortemente le dita dei piedi. Ripetete questi due esercizi un certo numero di volte. I conducenti di automezzi possono compierli quando sono fermi ai semafori.
Piegate il capo all’indietro volgendo gli occhi al soffitto, rimanete così per due secondi, indi lasciate cadere la testa in avanti finché il mento tocchi tipetto. Tenere in mano a lungo un volante può causare una tensione. Stringete il pugno, sollevate il braccio e tendete il bicipite; rilassatevi e ripetete.
Il portale informa – Primo piano – Influenza, picco a fine gennaio. Le raccomandazioni del Ministero
Durante il periodo invernale decine di milioni di persone contraggono l’influenza, una malattia respiratoria virale facilmente trasmissibile per via aerea.
Quest’anno il picco di casi è previsto tra i mesi di gennaio e febbraio e saranno dai tre milioni e mezzo ai cinque milioni le persone che nel nostro Paese dovranno fare i conti con i sintomi influenzali.
Tuttavia si tratterà di una stagione influenzale senza particolari allarmi.
Gli esperti raccomandano di osservare le misure di igiene e protezione individuali, utili a prevenire la diffusione del virus influenzale, e di effettuare la vaccinazione, soprattutto ai pazienti a rischio di complicanze e alle persone non a rischio che svolgano attività di particolare valenza sociale.
Quest’anno il vaccino è efficace sia contro il virus A H1N1, sia conto il virus stagionale. Questa la composizione del vaccino:
- antigene analogo al ceppo A/California/7/2009 (H1N1), cosiddetto ceppo “Pandemico”;
- antigene analogo al A/Perth/16/2009 (H3N2);
- antigene analogo al ceppo B/Brisbane/60/2008.
L’offerta di vaccino alle categorie raccomandate è gratuita e attiva da parte delle Regioni e Province Autonome.
Altra raccomandazione: non usare gli antibiotici per curare l’influenza, in quanto il loro utilizzo non è solo inutile, ma anche potenzialmente nocivo. Infatti, oltre a risultare inattivi contro le infezioni di origine virale, se assunti in maniera indiscriminata, gli antibiotici possono contribuire a favorire la selezione di germi resistenti.
Essi costituiscono comunque un presidio molto importante in caso di complicanze batteriche, che possono verificarsi nel corso della malattia, soprattutto in soggetti predisposti, ma la loro prescrizione va sempre riservata al medico, in grado di indicare dosi e tempi corretti di assunzione.
Puoi trovare tutte le informazioni relative all’argomento nella Circolare del 29 luglio 2010.
Alcune massime curiose sull’”universo IIIIII salute” €
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Alcune massime curiose sull’”universo salute” parte II/III
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Alcune massime curiose sull’”universo salute” parte I/III
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