Blitz contro gli anarchici. Maroni annuncia nuove misure

Il ministro: ha ragione Di Pietro, serve una legge “Reale bis”. Operazioni di polizia in tutta Italia: fermi e perquisizioni

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IL BLITZ 

indignati 110Controlli a Milano

Perquisizioni e controlli in tutta Italia per individuare i responsabili delle violenze

Roma, 17 ott. (TMNews) -Una legge “Reale bis” per prevenire le violenze di piazza. A chiederla sarà domani il ministro dell’Interno Roberto Maroni nel corso del suo intervento al Senato sugli scontri di sabato scorso a Roma durante la manifestazione degli “indignati”. “Per una volta sono d’accordo con Antonio Di Pietro che oggi ha detto che servono nuove norme preventive”, ha detto Maroni, “una legge Reale bis: esattamente quello che voglio dire domani annunciando in Senato la proposta per nuove misure legislative che possano consentire alle forze dell’ordine di prevenire più efficacemente le violenze come quelle avvenute sabato scorso a Roma”. Intanto perquisizioni e controlli nei confronti di presunti appartenenti all’area anarco-insurrezionalista sono state condotte in tutta Italia per individuare i responsabili delle violenze di Roma. I 12 arrestati a Roma intanto rischiano dai 3 ai 15 anni di carcere con l’accusa di resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale. E sulla gestione della piazza il sindacato di polizia accusa il governo: “La zona rossa è stata una scelta politica non tecnica”.

A Firenze sono stati fermati e denunciati sei presunti anarco-insurrezionalisti, che erano a bordo di un furgone che rientrava da Roma. Sul mezzo sono state trovate maschere antigas e materiale utilizzato probabilmente durante gli scontri di sabato. 

Intanto emergono particolari sui responsabili  degli scontri. Black bloc addestrati in Val di Susa con i No Tav, mazze e bombe carta nascoste lungo il percorso: è quello che scrive oggi il Corriere della Sera che indaga sulla preparazione degli scontri che sabato hanno devastato il centro di Roma e messo fine alla manifestazione pacifica degli Indignati. Su Repubblica, intervista a un black bloc descritto come un precario di trent’anni, che parla “come uno che è in guerra” ma “la guerra l’hanno dichiarata loro”: “abbiamo fatto il master in Grecia: per un anno, una volta al mese” sono andati in traghetto ad Atene a addestrarsi, “e i compagni ateniesi ci hanno fatto capire che la guerriglia urbana è un’arte in cui vince l’organizzazione” e “non è finita”.

E dopo gli scontri e le devastazioni continua la polemica tra gli schieramenti politici. Il ministro degli Interni Roberto Maroni, che riferirà in Senato martedì, ha parlato di “rischio concreto che ci scappasse il morto” e ha promesso “punizioni esemplari” per i responsabili. Stessi toni da parte del ministro della Difesa Ignazio La Russa che ha affermato che “qualcuno cercava il morto”. L’opposizione invece ha abbozzato un attacco al titolare del Viminale che nel giorno degli scontri si trovava a casa sua a Varese e da lì ha seguito gli eventi.

LE PERQUISIZIONI IN TUTTA ITALIA
Perquisizioni “mirate” nell’area anarco-insurrezionalista da parte della Digos in tutta Italia. A Roma dopo le devastazioni nella capitale, sabato scorso, riferiscono fonti investigative, si tratta di interventi “chirurgici” su persone già note alle forze dell’ordine. 

Sono sei le perquisizioni svolte a Milano nei confronti di altrettanti appartenenti principalmente all’area anarchica ma anche a quella antagonista. Nell’abitazione di un giovane pare che i carabinieri abbiano trovato una bomboletta di spray urticante, mentre la polizia ha sequestrato una fionda.  In provincia di Brescia nella prime ore della mattinata, la questura ha effettuato una perquisizione nei confronti di un soggetto “che ha consentito di acquisire vario materiale, tuttora al vaglio degli investigatori”.

Anche a Napoli e provincia gli agenti della Digos stanno effettuando controlli in diverse abitazioni di persone ritenute vicine all’area antagonista alla ricerca di armi, oggetti contundenti e materiale esplodente. Controlli sono stati effettuati anche a Palermo in casa di due giovani che però non hanno dato esiti.

I VIOLENTI ADDESTRATI DAI NO TAV
Tornando al gruppo di “blocchi violenti” che ha causato gli scontri si tratta di “giovanissimi ma guidati da una precisa regia” secondo il Corsera che usa le fonti della polizia e dei carabinieri che tentano di ricostruire i nomi e l’organizzazione dei 500 violenti di Roma (gli arresti sono stati solo una decina). La maggioranza, scrive Fiorenza Sarzanini, è arrivata nella capitale sabato mattina; molti di loro “si sono addestrati con i No Tav in Val di Susa”. I loro comportamenti sono studiati con filmati e testimonianze. Punto secondo, il materiale degli assalti: lungo il percorso della manifestazione erano state sistemate buste bianche di plastica che indicavano dove si trovano le mazze e le bombe carte da utilizzare contro le forze dell’ordine e sulle vetrine sfasciate. Ma negli zaini c’erano anche fionde, biglie e sassi. Punto terzo, l’uso di Internet: i giovani violenti si tengono in contatto via web.

Insomma secondo l’articolo una battaglia preparata con cura da giorni. C’erano, si prosegue, almeno due blocchi di violenti: uno all’interno del corteo, l’altro ha puntato direttamente su piazza San Giovanni, teorica meta della manifestazione (che si è sciolta molto prima, senza festa nè interventi dal palco preparato) e luogo invece dei peggiori scontri.

La media dei ragazzi coinvolti ha fra i 17 e i 25 anni. Manovrati forse dai più anziani con il progetto d far fallire la manifestazione pacifica, sottolinea il giornale. E l’ordine impartito dal questore Tagliente vieta di intervenire all’interno del corteo per non mettere a rischio l’incolumità dei manifestanti.

SCONTRO POLITICO
Sul fronte politico l’opposizione ha attaccato il governo alludendo alla necessità di un cambio di esecutivo, vista come chiave per risollevare il quadro anche sociale del Paese. “Maroni si assuma le sue responsabilità”, è stato sottolineato dall’Idv. Per Roberto Menia del Fli i responsabili sono entrambi: “Maroni e La Russa”. “I violenti girano per l’Italia indisturbati, il governo spieghi”, ha chiesto il Pd che con il segretario Pierluigi Bersani ha sottolineato il rischio che alcuni “provocatori vogliono farci fare la fine della Grecia”, per impedirlo “dobbiamo rimettere in cammino la dignità dell’Italia”.

Da parte sua, il Pdl ha affondato il coltello nella vicinanza tra la piazza e la sinistra. Per il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, “le violenze sono alimentate da cattivi maestri”. Il suo omologo alla Camera Fabrizio Cicchitto ha contestato le affermazioni di chi – come Nichi Vendola – ha sostenuto che ci sono stati “due cortei, uno dei black bloc e uno pacifico”. Invece, “c’è stato un solo corteo – ha detto Cicchitto – da cui entravano e uscivano i violenti e gli organizzatori hanno chiuso gli occhi”.

http://notizie.virgilio.it/cronaca/contro-politico-incidenti-roma-maroni.html

Sanità, i malati di tumore costretti al “privato”

Polverini Zingarettidi Raffaele Gambari

Ecco a cosa può portare il blocco del turn over del personale nella sanità laziale: che un malato di tumore, quindi con una patologia grave, come segnala il sindacato autonomo Fials Confasl, quando viene dimesso da uno dei centri di eccellenza in oncologia della sanità romana, l’Istituto Idi ricerca e di cura Regina Elena, dove è in cura assistenziale, rischia di dover pagare di tasca propria esami, come una tac o un’ecografia e analisi complementari, per rispettare il calendario dei controlli programmatici, ricorrendo a centri privati perché ormai le liste di attesa nella sanità pubblica sono infiniti.

Questo, sempre secondo il sindacato, a seguito dei tagli imposti per il rientro dal deficit nella sanità laziale. Le conseguenze sui malati e sul loro diritto ad essere curati a costi e con tempi normali li illustra ad Affaritaliani.it il segretario regionale del Lazio della Fials Confsal Gianni Romano, che così risponde anche alle segnalazioni arrivate al centralino della sua organizzazione da malati che hanno chiesto spiegazioni sul rispetto dei protocolli per la cura delle malattie tumorali. .

Romano, cosa sta succedendo all’Ifo Regina Elena; il blocco delle assunzioni sta tagliando l’eccellenza pubblica come sostiene il suo sindacato?
“E’ davvero il caso di dire che con il blocco del turn over messo in campo dal commissario ad acta per la sanità Renata Polverini si impoveriscono le eccellenze cliniche del Lazio. Diventa desolante per l’Istituto di ricerca e di cura Regina Elena, polo oncologico del centro-sud d’Italia , che i pazienti in continuità assistenziale possano agognare di sottoporsi a degli esami, come un’ecografia o una tac e per eseguire queste particolari ricerche devono rivolgersi ad altri presidi sanitari. Il motivo? la pressante richiesta di malati provenienti anche da altre Regioni e il recente pensionamento di alcuni radiologi ha limitato e saturato la possibilità degli Ifo di effettuare le indagini complementari in regime di prenotazione tramite il Recup. In pratica a meno che il paziente non sia ricoverato o segua terapie in day hospital, all’Ifo come in altri poli di riconosciuta eccellenza, diventa difficoltoso fare lo screening , che comprende ad esempio la tac total body, 2 o 3 volte l’anno come prescritto dai protocolli di assistenza”.

Insomma, questo problema delle liste di attesa, da tempo sollevato dal suo sindacato, sta creando disagi pesanti per i cittadini e cosa sta provocando nel personale della sanità? 
“È sconfortante per il personale che presta servizio in un polo oncologico di eccellenza dire agli assistiti che l’esame complementare devono andare a farlo altrove e così non riuscire a garantire una continuità diagnostica più immediata e agevole. Già, ma altrove cosa dovrebbe significare se, per esempio anche al San Giovanni Addolorata le liste di attesa sono praticamente “chiuse” quanto al Policlinico è impossibile prendere un appuntamento tramite il Recup. Per chi se lo può permettere una via di uscita è quella di mettere mano al portafoglio. Il paziente allora potrebbe rivolgersi all’intra-moenia a pagamento, oppure ad un centro diagnostico non convenzionato. Qui una tac total body con mezzo di contrasto sta sui 650 euro, un’ecografia completa del tronco, dal collo alla pelvi, oltre i 300, in questo caso gli esami si possono fare in circa 15 giorni. E contando che un paziente in cura per queste patologie gode, si fa per dire, dell’esenzione dal ticket. Tuttavia, c’è da aggiungere che non è un vezzo che i pazienti in cura all’Ifo vogliano fare la Tac in sede ma è perché il macchinario è di ultimissima generazione e gli operatori sono degli eccellenti professionisti”.

Cosa chiedete allora di fare al presidente della giunta regionale Renata Polverini?
“Su queste segnalazioni pervenute alla nostra organizzazione invitiamo la presidente Polverini a dare chiarimenti dettagliati . Non basta che decreti l’abbattimento delle liste di attesa con la campagna “Mi state a cuore”. I cittadini si aspettano che alla propaganda seguano atti concreti. Come ad esempio quello di incaricare lo specialista di prenotare direttamente, dove e quando l’assistito deve eseguire le indagini complementari previste dai protocolli internazionali per il fallow up oncologico. Solo in questo modo si potrà avere la certezza che venga rispettato il calendario dei controlli programmatici e nello stesso tempo evitare ai pazienti il disagio della ricerca di un centro diagnostico dove fare gli esami senza intoppi burocratici”.

17 maggio 1972 – Milano, il commissario capo della questura Luigi Calabresi viene assassinato in un agguato mentre esce di casa

 


Luigi Calabresi

(cognome, nome e professione) Luigi Calabresi, commissario di P.S., vice responsabile della squadra politica della Questura di Milano.
(luogo e date di nascita) Roma, 14 novembre 1937
(luogo e date dell’attentato) Milano, 17 maggio 1972
(luogo e date di morte) Milano, 17 maggio 1972
(descrizione attentato) Il 17 maggio 1972, alle 9,15 del mattino il commissario Calabresi viene uccido con dei colpi di pistola sparategli alle spalle mentre sta aprendo la sua auto parcheggiata di fronte la sua abitazione in Largo Cherubini. Lascia la moglie Gemma, due figli ed un terzo nasce pochi mesi dopo la sua morte.
(biografia) Studia al Liceo  Classico e si laurea in giurisprudenza con una laurea sulla mafia.
Nel 1965 supera il concorso per vice commissario di Pubblica Sicurezza.
In Questura si occupa della sinistra extraparlamentare: indaga sulla strage di Piazza Fontana. Riceve critiche assai dure nei confronti del suo operato da parte di Lotta Continua e soprattutto per il suo presunto coinvolgimento nella morte di Giuseppe Pinelli, caduto dalla finestra della Questura di Milano durante un interrogatorio nel 1969.
Tre anni dopo la sua morte una sentenza del Tribunale di Milano dichiara Luigi Calabresi innocente per la morte dell’anarchico Pinelli.
(rivendicazione, autori)
(stato processuale) Nel 1988, l’ex militante di Lotta Continua Leonardo Marino confessa di aver partecipato all’assassinio del Commissario Calabresi e nel 1997 con sentenza definitiva vengono condannati anche Ovidio Bompressi, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani.

6 Maggio 1527 – I Lanzichenecchi, truppe tedesche al servizio di Carlo V d’Asburgo saccheggiano Roma; alcuni considerano questa data la fine del Rinascimento.

Sacco di Roma (1527)

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il sacco di Roma avvenne nel 1527 ad opera delle truppe dei lanzichenecchi al soldo dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo.


Le premesse

Francesco I

Carlo V cinque anni dopo (1532)

La vicenda si inquadra nella più ampia cornice dei conflitti per la supremazia in Europa, tra gli Asburgo e i Valois, ovverosia traFrancesco I di ValoisRe di FranciaCarlo V d’Asburgo,Imperatore del Sacro Romano Impero nonché Re di Spagna. Più precisamente si inserisce nel secondo conflitto che vide impegnati i due sovrani dal 1526 al 1529. Secondo una visuale più ampia viene anche ricordato come una crociata luteranacontro la Roma papalina.

Il primo conflitto si era concluso con la sconfitta di Francesco I aPavia e la sottoscrizione del Trattato di Madrid, avvenuta nel mese di gennaio del 1526, a seguito della quale il sovrano francese dovette rinunciare, tra l’altro, ad ogni suo diritto sull’Italia e restituire la Borgogna agli Asburgo.

Nel maggio successivo, però, papa Clemente VII (al secolo Giulio de’ Medici), sfruttando l’insoddisfazione del Valois per aver dovuto sottoscrivere un trattato contenente clausole estremamente mortificanti per la Francia, si rese promotore di una Lega anti-imperiale, la cosiddetta Santa Lega di Cognac.

In sostanza papa Clemente aveva condiviso il risentimento del re di Francia, poiché vi era il timore più che giustificato, in base a ciò che nei secoli precedenti gli Imperatori del Sacro Romano Impero avevano fatto o tentato, che il sovrano asburgico, una volta impossessatosi dell’Italia settentrionale ed avendo già nelle sue mani l’intera Italia meridionale come eredità spagnola, potesse essere indotto ad unificare tutti gli Stati della penisola sotto un unico scettro, a danno dello Stato Pontificio, che rischiava, in tal modo, di scomparire completamente.

La Lega era composta oltre che dal Papa e dal Re di Francia, anche dal Ducato di MilanoRepubblica di VeneziaRepubblica di Genova oltre che dalla Firenze dei Medici.

L’Imperatore tentò di riconquistare l’alleanza con il Pontefice, intenzionato a controllare momentaneamente l’Italia settentrionale; ma non avendo avuto successo, decise di intervenire militarmente. Non essendo, però, in grado di procedere di persona, a causa di impegni sia sul fronte interno contro i luterani che su quello esterno contro l’Impero Ottomano che premeva alle porte orientali dell’Impero, fece in modo di scatenare contro lo stato pontificio la potente famiglia romana dei Colonna, da sempre nemica giurata della famiglia Medici.

La rivolta dei Colonna produsse i suoi effetti. Il cardinale Pompeo Colonna sguinzagliò nella città pontificia i suoi soldati che la saccheggiarono. Clemente VII, assediato a Roma fu costretto a chiedere aiuto all’Imperatore con la promessa di cedere in cambio la propria alleanza ai danni del Re di Francia, rompendo la Lega Santa. Pompeo Colonna si ritirò con calma a Napoli. Clemente VII, una volta libero di poter decidere per il meglio dello stato pontificio, non mantenne il patto stipulato comunque sotto ricatto, e chiamò in suo aiuto l’unica forza che poteva seriamente difenderlo, proprio Francesco I.

A questo punto l’Imperatore dispose l’intervento armato contro lo Stato Pontificio (che nella città di Roma era allora rappresentato dal reggente Governatore Giovan Girolamo de’ Rossi, nominato proprio in quell’anno) mediante l’invio di un contingente di lanzichenecchi, al comando del duca Carlo di Borbone connestabile di Francia, uno dei più grandi condottieri francesi, inviso al re Francesco. Le truppe sul campo, erano comunque comandate dal generale Georg Von Frundsberg, il quale non poté portare a compimento la missione in quanto, colpito da improvviso grave malore, dovette rientrare precipitosamente in Germania, lasciando nelle mani del Borbone anche il comando sul campo.

L’evento [modifica]

la stanza da bagno di Clemente VII inSant’Angelo

Lanzichenecchi in parata
(circa 1530)

Lanzichenecchi in battaglia
(Hans Holbein)

I Lanzichenecchi lasciarono Trento il 12 novembre 1526, riuscirono ad unirsi agli Spagnoli provenienti da Milano e alla fine di novembre le truppe imperiali attraversarono il Po. Pochi giorni prima, a Governolo (MN) venne ferito gravemente Giovanni dalle Bande Nere, il quale era l’unico capitano della lega anti-imperiale a contrastarne la discesa.

Il Conestabile di Borbone partì da Arezzo il 20 aprile 1527, alla testa di 35.000 soldati spagnoli, tedeschi e italiani, approfittando delle precarie situazioni in cui si trovavano i veneziani ed i loro alleati a causa dell’insurrezione di Firenze contro i Medici.
Le truppe a difesa di Roma erano poco numerose (non più di cinquemila), ma avevano dalla loro parte le solide mura e l’artiglieria, di cui gli assedianti erano sprovvisti.
Borbone doveva prendere la città in fretta, per evitare di essere intrappolato a sua volta dall’esercito della Lega. Il 6 maggio gli Imperiali cominciarono l’attacco: il Borbone venne colpito a morte da Benvenuto Cellini (secondo l’autobiografia dello stesso), ma questo fatto diede ancor più forza al suo esercito, che espugnò le mura entrando in città.

Papa Clemente VII si rifugiò nell’imprendibile Castel Sant’Angelo. Il 5 giugno, dopo aver accettato il pagamento di una forte somma per il ritiro degli occupanti, si arrese e fu imprigionato in un palazzo del quartiere Prati in attesa che versasse il pattuito. La resa del Papa era però uno stratagemma per uscire da Castel Sant’Angelo e, grazie agli accordi segretamente presi, fuggire dalla città eterna alla prima occasione. Il 7 dicembre una trentina di cavalieri e un forte reparto di archibugeri agli ordini di Luigi Gonzaga “Rodomonte”, assaltarono il palazzo liberando Clemente VII che venne travestito da ortolano per superare le mura della città e, poi, scortato aOrvieto.

Avendo saccheggiato il saccheggiabile e perduta la possibilità di ottenere il riscatto, nonché decimati dalla peste e dalle diserzioni, gli Imperiali si ritirarono da Roma tra il 16 ed il 18 febbraio 1528.

Il sacco causò danni incalcolabili sul patrimonio artistico della città. Anche i lavori nella fabbrica di san Pietro si interruppero e ripresero solo nel 1534 con il pontificato di Paolo III:

« Tutte le cose sacre, i sacramenti e le reliquie de’ santi, delle quali erano piene tutte le chiese, spogliate de’ loro ornamenti, erano gittate per terra; aggiugnendovi la barbarie tedesca infiniti vilipendi. E quello che avanzò alla preda de’ soldati (che furno le cose più vili) tolseno poi i villani de’ Colonnesi, che venneno dentro. Pure il cardinale Colonna, che arrivò (credo) il dí seguente, salvò molte donne fuggite in casa sua. Ed era fama che, tra denari oro argento e gioie, fusse asceso il sacco a più di uno milione di ducati, ma che di taglie avessino cavata ancora quantità molto maggiore. »

Oltre alla forte somma per il ritiro degli occupanti,il Papa a garanzia dovette consegnare come statichi M.Giovanni Maria del Monte arcivescovo Sipontino; M.Onofrio Bartolini arcivescovo di Pisa; M.Antonio Pucci vescovo di Pistoia: M.Giovanni Matteo Ghiberti vescovo di Verona.Ragguaglio del Sacco di Roma del 1527 di Jacopo Buonaparte di S.Miniato, testimone oculare.<gs>

Effetti sulla popolazione di Roma

Al tempo del “Sacco”, la città di Roma era al culmine della sua decadenza. Dal milione di abitanti dell’Età imperiale, la popolazione si era ridotta a 50.000 residenti, prevalentemente composti da colonie provenienti da varie città italiane, a maggioranza fiorentina.

Una tale esigua popolazione era difesa da un esercito raffazzonato di circa 4.000 uomini e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice.

Le secolari carenze manutentive all’antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria. L’improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti.

Alla fine di quell’anno tremendo, la cittadinanza di Roma fu ridotta quasi alla metà dalle circa 20.000 morti causate dalle violenze o dalle malattie.

Cause dello scempio

Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi ad un saccheggio così efferato e per così lungo tempo, cioè per circa un anno, risiedono, soprattutto, nell’acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa.

Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per “cinquine”. Quando però il comandante delle truppe non disponeva di danaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto “sacco” della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione.

Nel caso specifico, i francesi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo.

Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda ad una avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per la soldataglia abbandonarsi al saccheggio per un così lungo tempo.

Voci correlate

 

Collegamenti esterni

21 Aprile 753 a.C. – Secondo la leggenda, Romolo e Remo fondano la città di Roma (Natale di Roma)

Natale di Roma

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Il Natale di Roma, conosciuto anche con il nome di Romaia, è una festività laica legata alla fondazione della città di Roma, festeggiata il 21 aprile,[1]. Secondo la leggenda, narrata anche daVarroneRomolo avrebbe infatti fondato la città di Roma il 21 aprile del 753 a.C. La fissazione al 21 aprile, riportata da Varrone, si deve ai calcoli astrologici del suo amico Lucio Taruzio.[1]

Natale di Roma

Festa
Data 21 aprile
Celebrata in bandiera Italia
Avvenimento celebrato Fondazione di Roma
Data d’istituzione 1922; abolita nel 1945tranne che nel comune di Roma
Chiamata anche Romaia

Con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, a causa della calata dei Barbari, Roma subì periodi molti bui della sua storia. Anche se sede papale, e forse proprio per questo risparmiata (si pensi all’episodio di papa Leone Magno che incontrò e dissuase Attila dall’attaccare la città), essa vide sparire moltissimi dei suoi usi, costumi e delle sue tradizioni.

Alcune di queste furono recuperate dagli umanisti, ma fu con l’avvento dell’epopea risorgimentale che il Natale di Roma fu ripristinato come “tradizione”. I più rivoluzionari tra i mazziniani, i garibaldini ed alcuni liberali, festeggiarono l’evento, ad esempio, nella primavera del 1849, quando Roma, da poco Repubblica libera che aveva addirittura rovesciato il potere temporale del Papa, lottava per la sopravvivenza. Si racconta di un pasto ai Fori con brindisi per la fondazione dell’Urbe da parte di Romolo e la rifondazione (liberazione) da parte dei rivoluzionari stessi. Sturbinetti tenne uno dei discorsi più accorati.

Da questa data in poi derivava la cronologia romana, definita infatti con la locuzione latina Ab Urbe condita, ovvero “dalla fondazione della Città”. La ricorrenza del Natale di Roma è tuttora festeggiata con rappresentazioni in costume, eventi culturali e manifestazioni ludiche.

In epoca fascista, a partire dal 1924, il 21 aprile era festa nazionale, e si festeggiava in tale occasione anche la Festa dei lavoratori, che sostituì quella del 1 maggio. Tale consuetudine fu abolita nel 1945, e la festività restò solo nel Comune di Roma.