12 ottobre 1492 – Cristoforo Colombo scopre l’ America

La scoperta  dell’America
A scoverta  d’America

Cristoforo Colombo nacque a Genova intorno al 1450. La data e il luogo di nascita (Terrarossa di Moconesi?) non sono certi in quanto all’epoca non si tenevano ancora registri delle nascite e delle morti, i quali furono ordinati dal Concilio di Trento intorno alla metà del 1500. Suoi genitori furono Domenico e Susanna Fontanarossa.

C. Colombo
Roma – Galleria Doria

Egli viveva in Portogallo dove aveva potuto fare grande esperienza di navigazione; ma, a differenza di altri navigatori, egli aveva coltivato molto anche gli studi di geografia e di fisica terrestre, sulle orme di un altro italiano, il Toscanelli.
Riprendendo la teoria, già conosciuta nell’antichità, della sfericità della terra, Colombo sosteneva la possibilità di raggiungere le terre orientali (Cina, Giappone, India) navigando sempre verso occidente nell’Atlantico, Non si credeva che tra le coste atlantiche dell’Europa e le terre d’Oriente ci fosse di mezzo un continente; né si credeva che la distanza fosse così grande, poiché si calcolava che la terra fosse assai più piccola. Tuttavia era sempre un viaggio che sembrava temerario, quello che voleva fare Colombo, spingendosi oltre lo stretto di Gibilterra (detto Colonne d’Ercole) che pareva segnare l’ultimo limite all’audacia umana. Per queste ragioni Colombo non trovava persona disposta a procurargli i mezzi necessari alla spedizione.
Finalmente la regina Isabella di Castiglia si lasciò conquistare dagli argomenti e dallo slancio di Cristoforo Colombo. Ella gli fornì un equipaggio di 87 uomini, in gran parte spagnoli, e 3 caravelle: la Santa Maria, l’ammiraglia, 230 tonnellate di stazza, lunga 30 metri e larga 9; la Pinta 75 t. di stazza, lunga 22 m. e larga 7; la Niña 60 t. di stazza, lunga 20 m. e larga 7.

IL VIAGGIO
3 agosto 1492 Già all’alba la spiaggia di Palos formicola di gente, venuta per l’ultimo saluto ai partenti. Grande è il pallore di Colombo quando si inoltra verso la spiaggia, circondato da tutte le autorità, dagli amici, dai marinai, dai Padri scesi dal convento a benedire il mare e le vele. La sua convinzione è incrollabile, la sua fede sicura.
Cristoforo Colombo s’imbarca sulla Santa Maria. In breve, le vele bianche al vento, la flottiglia si muove verso l’ignoto. Un grande evviva parte dalla folla stipata sulla riva, ma molti cuori ansiosi tremano di pena.

Il cielo è purissimo, il mare calmo. Una leggera e costante brezza spinge dolcemente i naviganti verso le Canarie, l’ultima delle terre note. Il 6 settembre la flottiglia lascia il porto della Gomera, dopo aver fatto nuova provvista d’acqua e di viveri, fino a riempirne ogni più piccolo spazio delle stive. Scomparendo all’orizzonte l’ultima terra conosciuta, i marinai si volgono al loro duce con facce sgomente e qualcuno non sa trattenere le lacrime, sembrandogli ormai staccato per sempre da ogni cosa vivente e avviato alla perdizione.
Dopo settanta giorni di viaggio, pieni di peripezie, di ansie e timori, appaiono ai naviganti i primi indizi di terra vicina. Nella notte fra l’11 e il 12 ottobre i segni si fanno più certi. Da quel momento nessuno può chiudere occhio. Solo sul cassero della Santa Maria, Colombo guarda diritto e immobile davanti a sé, scoperto il capo canuto e i capelli al vento. Egli non dubita d’aver raggiunto le Indie, d’esser presso alle meravigliose regioni descritte da Marco Polo.
I legni leggeri navigano con la velocità di dodici miglia all’ora, avvicinandosi nel buio alle sognate rive, come per sorprenderle nel sonno. Le miglia percorse erano già 2100 in settanta giorni. D’un tratto il suo sguardo che fora la notte, distingue nelle tenebre una luce che si muove all’orizzonte. Un indizio di vita dunque! Gli uomini trattengono il respiro e i minuti che volgono lenti nella calma notte, sembrano perfino crudeli. Alle 2 del mattino un cannone tuona sull’oceano dalla tolda della Pinta che, navigando in testa per scandagliare il mare, ha scorto la terra a circa due leghe di distanza.
«Terra, terra!».
Il grido tanto a lungo represso, si libera dai petti esultanti. Colombo cade in ginocchio; il suo pensiero si volge a Dio grande e lo ringrazia piangendo.
È il venerdì 12 ottobre 1492.
Era un’isola delle Bahama abitata da selvaggi, che Colombo chiamò San Salvador perché egli era orgoglioso di portare la fede cristiana in nuove terre. Le terre orientali erano state raggiunte; la spedizione aveva raggiunto il suo scopo. Colombo fu accolto in Spagna come un trionfatore. Le terre toccate da Colombo erano credute precisamente una propaggine dell’Asia: non proprio le Indie, ma terre che venivano prima delle Indie, per chi andava navigando verso occidente; cioè le Indie occidentali.
Però bisognava trovare un passaggio tra quelle isole toccate prima da Colombo, per giungere alle terre assai civili e progredite del Giappone e della Cina. A questo scopo furono diretti i tre successivi viaggi di Colombo, il quale andò esplorando l’America centrale e le coste superiori e meridionali, senza tuttavia trovare quel passaggio.
Si cominciò allora a sospettare che tutto fosse sbagliato nella sua impresa, cioè che quella non fosse una via attraverso la quale si potessero raggiungere le Indie. Per questo Colombo fu accusato e persino imprigionato. Liberato più tardi, egli morì nel maggio del 1506, abbandonato da tutti e forse anch’egli tormentato dal dubbio.
Soltanto più tardi si capì che le terre dove era sbarcato Colombo appartenevano a un altro continente, l’America, che prese il nome da Amerigo Vespucci che esplorò le coste del sud; dal nome di Colombo derivò soltanto quello di una piccola regione, la Columbia.

  • Un nuovo mondo Ecco una parte della relazione sul viaggio nelle Indie, presentata da Colombo ai sovrani di Spagna:
  • «Ho trovato moltissime isole, popolate di innumerevoli abitanti, e di tutte ho preso possesso in nome delle Vostre Maestà proclamandoLe padrone di queste terre e spiegandovi la bandiera reale, senza incontrare opposizioni… Tutte queste isole sono estremamente fertili; coperte di una lussureggiante vegetazione, con alberi di mille specie che quasi toccano il cielo. Alcuni erano in fiore, altri carichi di frutta. Gli usignoli ed altri piccoli uccelli di mille specie cantavano al mese di novembre quando io giunsi in questi paraggi. Il suolo contiene molte miniere di metallo e vi è una popolazione molto numerosa.
    Gli abitanti di queste isole non hanno né ferro, né acciaio, né armi, fuori che un a canna alla cui estremità vi è un piccolo pezzo di legno aguzzo. Credettero fermamente che io con le mie navi ed i miei uomini fossimo scesi dal cielo, e con questa credenza, essi mi ricevettero in tutti i luoghi».
  • La malattia di Colombo l’artrite reattiva
  • In una conferenza di clinicopatologia storica svoltasi alla scuola di medicina dell’università del Maryland a Baltimora (USA) all’inizio di maggio 2005, il reumatologo americano Frank Arnett svela la diagnosi della malattia che colpì Colombo quando aveva 41 anni. Si manifestò con un attacco lancinante durante una tempesta in mare, sulla via del ritorno dal primo dei 4 viaggi alla scoperta dell’America. Non era un attacco di gotta come si è creduto finora, ma il primo segno di artrite reattiva (una forma che si sviluppa in seguito a un’infezione), che anni dopo lo portò alla morte. Dopo un lungo studio di documenti storici, Arnett conclude che fu l’artrite reattiva a debilitare il fisico di Colombo e a causarne la morte nel 1506. I sintomi concordano: febbri alte, sangue dagli occhi, dolori atroci. Questa forma di artrite, spiega il professore, «è un’infiammazione delle giunture che si verifica varie settimane dopo un’infezione batterica intestinale o dopo aver preso un’infezione venerea». «Appare probabile che Colombo abbia preso l’artrite reattiva in seguito a un’intossicazione alimentare durante uno dei suoi lunghi viaggi, a causa delle cattive condizioni igieniche e all’impropria preparazione dei cibi.»
    Arnett esclude la diagnosi della gotta fatta all’epoca: «Colombo non incarna lo stereotipo dell’uomo di mare incline a consumare cibi pesanti e alcool, fattori che possono portare alla gotta». Il navigatore era descritto come una persona sobria e moderata nel mangiare e nel bere. Gli attacchi di gotta in genere durano 7-10 giorni e poi si risolvono completamente, mentre Colombo fu debilitato per mesi in molte occasioni, prima di essere costretto a letto. Colombo non guarì mai completamente dopo il primo attacco. L’artrite era intermittente, ma progressiva. Lo colpì soprattutto alle gambe, più che alle braccia e alle mani. Gli attacchi acuti scoppiavano spesso quando egli era esposto al freddo e all’umidità, durante i viaggi in mare. Quelli peggiori lo colpivano nei periodi di malnutrizione e insonnia cronica. Negli ultimi mesi di vita, le sue mani erano così doloranti che non poteva più scrivere.
    In Europa, la maggiore concentrazione della malattia si trova tra le popolazioni nordiche. Poiché Colombo era alto, aveva la pelle chiara e gli occhi azzurri, avrebbe potuto avere antenati nord-europei e aver ereditato il gene dell’artrite reattiva.