VITTIME DELLO SFRUTTAMENTO

Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro

Morti sul lavoro, morti bianche, infortuni mortali nel 2013

Sono documentati 17 lavoratori morti per infortuni sui luoghi di lavoro dall’inizio dell’anno e 25 (stima minima) se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere

 

22 gennaio

Nel 2012 sono morti 1180 lavoratori (stima minima) di cui 624 SUI LUOGHI DI LAVORO ( tutti documentati). Si arriva a superare il numero totale di oltre 1180 vittime se si aggiungono i lavoratori deceduti in itinere e sulle strade che sono considerati (giustamente), per le normative vigenti, morti per infortuni sul lavoro a tutti gli effetti. L’Osservatorio considera “morti sul lavoro” tutte le persone che perdono la vita mentre svolgono un’attività lavorativa, indipendentemente dalla loro posizione assicurativa e dalla loro età. Molte vittime non hanno nessuna assicurazione e muoiono lavorando in “nero”ed intere categorie non sono considerate morti sul lavoro.Praticamente sono morti sul lavoro invisibili. Vedrete quante di queste morti, come gli anni scorsi, spariranno dalle statistiche ufficiali quando ci sarà il resoconto del 2012, che è sempre intorno a -20% rispetto ai rilevamenti dell’osservatorio.

Non sono segnalati a carico delle province i lavoratori morti sul lavoro che utilizzano un mezzo di trasporto e i lavoratori deceduti in autostrada: agenti di commercio, autisti, camionisti, ecc.. e lavoratori che muoiono nel percorso casa-lavoro / lavoro-casa. La strada può essere considerata una parentesi che accomuna i lavoratori di tutti i settori e che risente più di tutti gli altri della fretta, della fatica, dei lunghi percorsi, dello stress e dei turni pesanti in orari in cui occorrerebbe dormire, tutti gli anni sono percentualmente dal 50 al 55% di tutti i morti sul lavoro. Purtroppo è impossibile sapere quanti sono i lavoratori pendolari sud-centro nord, centro-nord sud, soprattutto edili meridionali che muoiono sulle strade percorrendo diverse centinaia di km nel tragitto casa-lavoro, lavoro-casa. Queste vittime sfuggono anche alle nostre rilevazioni, come del resto sfuggono tanti altri lavoratori, soprattutto in nero o in grigio che muoiono sulle strade. Tutte queste morti sono genericamente classificate come “morti per incidenti stradali”

 

LA MORTE ACCOMPAGNA TUTTI I GIORNI I LAVORATORI CHE VANNO A LAVORARE IN VECCHI CAPANNONI

LA MORTE ACCOMPAGNA TUTTI I GIORNI GLI OPERAI E GLI IMPIEGATI QUANDO ENTRANO NELLE VECCHIE FABBRICHE CHE NON SONO RISTRUTTURATE CON LE NORMATIVE ANTISISMICHE DEL 2005

Dopo il terremoto in Emilia risulta evidente che milioni di lavoratori rischiano di rimanere uccisi sotto capannoni obsoleti costruiti prima delle normative antisismiche. Fabbriche che possono venire giù come castelli di sabbia in caso di nuovi terremoti. Si sta facendo qualcosa per mettere in sicurezza questi luoghi di lavoro? E lo Stato che misure sta mettendo in campo per farli rendere conformi alle norme anti sismiche? Io credo che tutto stia finendo nel dimenticatoio. Se forti scosse capiteranno durante il giorno e non di notte come nel terremoto in Emilia, ci sarà una strage di lavoratori che sotto i tetti di quelle fabbriche ci lavorano

http://www.comitatodifesasalutessg.com/2013/01/22/vittime-dello-sfruttamento/

Esposizione amianto, datore responsabile anche se la malattia si manifesta dopo 40 anni

Cassazione, riconosciuto nesso di causalità tra inalazione amianto e malattia, anche se manifestatasi dopo 40 anni. Le misure di protezione erano le stesse anche negli anni ’60


amianto

Il datore di lavoro è responsabile della morte per inalazioni di amianto del dipendente anche se la malattia si è manifestata dopo quarant’anni dall’esposizione.

Non usa mezzi termini la quarta sezione penale della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 24997 del 21 giugno 2012, ha condannato per omicidio colposo due imprenditori che avevano consentito a un loro operaio, che lavorava quotidianamente a contatto con l’eternit, di non usare la mascherina protettiva.

E a nulla è valsa la tesi della difesa, volta a mettere in discussione il nesso di causalità diretto tra l’attività lavorativa dell’operaio e la malattia, dal momento che la prima era avvenuta nel 1965 e la malattia si era manifestata solo nel 2004.

Secondo la Suprema Corte, nella valutazione della sussistenza del nesso di causalità, quando la ricerca della legge di copertura debba attingere al sapere scientifico, la funzione strumentale e probatoria (integrativa delle conoscenze giudiziali) di quest’ultimo impone al giudice di valutare dialetticamente le specifiche opinioni degli esperti e di ponderare la scelta ricostruttiva della causalità ancorandola ai concreti elementi scientifici raccolti.

Pertanto, al non aver provveduto a eliminare, o almeno a ridurre, l’esposizione quotidiana al materiale tossico consegue l’assunzione del rischio del tutto prevedibile dell’insorgere di una malattia gravemente lesiva della salute dei lavoratori addetti.

La Corte precisa inoltre che, anche se in seguito sono state conosciute altre conseguenze di particolare lesività, non v’è ragione di escludere il rapporto di causalità con l’evento e il requisito della prevedibilità dell’evento medesimo. E non v’è ragione di escluderlo, in particolare, perché le misure di prevenzione da adottare per evitare l’insorgenza della malattia conosciuta erano identiche (fino all’approvazione della L. 27 marzo 1992 n. 257 che ha vietato in assoluto l’uso dell’amianto) a quelle richieste per eliminare o ridurre gli altri rischi, anche non conosciuti.

Conseguenza obiettiva di tutto ciò, a parere dei giudici ermellini, è l’affermazione che la mancata adozione di “quelle” misure di protezione ha cagionato l’evento. Ma non solo. Sotto il profilo soggettivo, è possibile per la Suprema Corte affermare che l’evento era prevedibile perché erano conosciute conseguenze potenzialmente letali della mancata adozione di quelle misure.

Qui il testo integrale della sentenza n. 24997 del 21 giugno 2012

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