Milano, allarme smog: 60 persone al giorno vengono ricoverate per inquinamento

Che Milano sia una delle città con dei grandi picchi di smog lo sapevamo già. Gli ospedali vengono sempre presi d’assalto perché più di 60 persone al giorno, nella capitale lombarda, vengono ricoverate per malattie da inquinamento.

Alle volte si sottovalutano le malattie che possono essere prese per via dell’inquinamento dell’aria. La broncopneumopatia rappresenta la terza causa di mortalità in Italia e il 50 % delle morti avviene per cause respiratorie. Secondo quando si apprende dall’Istituto Superiore di Sanità, il tumore al polmone e’ al secondo posto tra gli uomini e al terzo tra le donne tra i tumori più frequenti. 

Sembra che nel 2010 in Italia ci saranno ben  oltre 30mila nuovi casi. Attualmente prendendo visione di alcune statistiche dell’Organizzazione mondiale della sanità si evince che nel mondo le persone che sono colpite dall’asma oscillano tra i 100 e i 150 milioni. Le morti associate alla malattia sono circa 180mila ogni anno. Motivo per cui si è deciso di aiutare tutti i cittadini a vivere meglio la propria città. 

Il Centro Diagnostico Italiano (Cdi) di Milano mercoledì 7 aprile dalle ore 13 alle 18 attiverà una consulenza telefonica gratuita. A rispondere ad ogni domanda, ci sarà la dottoressa Cristina Balzarotti, pneumologo e coordinatore dello Smoking Check del Cdi, la quale indicherà semplici regole di vita che ci possono proteggere da queste patologie. Questa iniziativa del Cdi si svolgerà all’interno  della Giornata Mondiale della Salute, proclamata dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per il 7 aprile. 

Il tema della giornata quest’anno è il rapporto tra salute e vita in città. Inoltre, per chi vuole prendersi cura dei propri polmoni, il Centro Diagnostico Italiano di Milano offre un’arma in più: lo Smoking Check, un vero e proprio check-up del respiro dedicato ai fumatori ma non solo.

A Milano si cena in tram Viaggio tra le specialità italiane

Due vetture del 1920 sono state trasformate nelle officine Atm in veri e propri ristoranti dal gusto retrò. In servizio dal martedì alla domenica. I tre diversi menu (carne, pesce e vegetariano) sono opera di chef di fama internazionale e sono arricchiti anche da piatti della tradizione milanese

MILANO – L’appuntamento è per la sera, il 26 marzo 2010 alle 22.50 in piazza Castello a Milano. Da qui partirà un viaggio inedito: fra i sapori italiani e i luoghi più belli del capoluogo lombardo. A bordo del tram ristorante ATMosfera, infatti, ogni venerdì e sabato, sarà possibile essere guidati da sommelier professionisti nella degustazione dei migliori piatti e vini italiani, regione per regione. Un appuntamento con il gusto reso ancora più piacevole dal panorama: nel percorso di un’ora e mezza si potranno ammirare i luoghi simboli di Milano – dalla Scala al Duomo, dal Castello Sforzesco ai Navigli – comodamente seduti a bordo di due tram unici al mondo. ATMosfera1 e ATMosfera2 sono, infatti, due storiche vetture “Carelli” del 1928 trasformate dalle officine Atm in veri e propri ristoranti dal gusto retrò.

L’iniziativa delle degustazioni regionali, nata nell’ambito del progetto “Bella e buona Italia”, sarà incentrata, di volta in volta, su una regione differente. Il viaggio inizia dall’Emilia Romagna. Un calice di Bonarda accompagnerà, per questa prima serata, gnocco fritto con strolghino di culatello, spalla cruda dell’alta val di Parma, pancetta stagionata, salame stagionato Mariola e salame di maiale nero. Dopo il cotechino con crema di legumi, sarà la volta dei formaggi serviti con Primitivo di Manduria: parmigiano Reggiano delle Vacche Rosse stagionato, parmigiano Reggiano di Montagna da allevamento biologico e formaggio di Fossa proveniente da Sogliano al Rubicone.

Il nuovo progetto arricchisce l’offerta più classica della cena sul tram ristorante. Per la cena si parte sempre da piazza Castello, angolo via Beltrami, alle 20. Ma è possibile scegliere anche il pranzo, alle 13, prenotando l’intera vettura (ogni tram può ospitare 24 persone). Per partecipare alle degustazioni o cenare su ATMosfera è necessario prenotare al numero verde 800 808181, il lunedì dalle 9.00 alle 12.00 e dal martedì alla domenica dalle 11.00 alle 21.00. Per la degustazione il costo è di 40 € a persona, per la cena, invece, 65.

7 Marzo nasce Alessandro Manzoni, scrittore e poeta italiano († 1873)

Alessandro Manzoni

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

« Di libri, basta uno per volta, quando non è d’avanzo. »
(A. Manzoni)
Stemma del Regno d'Italia Parlamento Italiano
Senato del Regno d’Italia
Sen. Alessandro Francesco Tommaso Manzoni
Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez (1841), Pinacoteca di Brera, Milano

Ritratto di Alessandro Manzoni, Francesco Hayez (1841),Pinacoteca di BreraMilano


Luogo nascita Milano
Data nascita 7 marzo 1785
Luogo morte Milano
Data morte 22 maggio 1873
Professione Possidente
Data 29 febbraio 1860
Pagina istituzionale

Alessandro Manzoni (Milano7 marzo 1785 – Milano22 maggio 1873) è stato uno scrittorepoeta italiano.

È considerato uno dei maggiori romanzieri italiani di tutti i tempi, principalmente per il suo romanzo I promessi sposi, la sua opera più conosciuta e ancora oggi un caposaldo della letteratura italiana.

Biografia

Nasce a Milano il 7 marzo del 1785 da Giulia Beccaria e dal conte Pietro Manzoni (esponente della piccola nobiltà lecchese) figlio di Alessandro Valeriano pronipote del milanese Giacomo Maria Manzoni (morto il 10 Marzo 1642), e di Margherita di Fermo Porro. I suoi primi due anni di vita li trascorse nella cascina Costa diGalbiate, tenuto a balia da Caterina Panzeri. Questo fatto è attestato dalla targa che tuttora è affissa in questa cascina. In seguito alla separazione dei genitori (la madre dal 1793 convive con il colto e ricco Carlo Imbonati, prima in Inghilterra, poi in Francia, a Parigi), Alessandro Manzoni dal 1791 al 1801 viene educato in collegi religiosi, prima dal 1796 al 1798 presso il collegio Sant’Antonio dei padri SomaschiMerateLugano, poi presso iBarnabiti. Pur essendo insofferente di tale pedantesca educazione, della quale denunciò i limiti anche disciplinari, e pur venendo giudicato uno studente svogliato, egli, da tali studi deriva una buona formazione classica e un gusto letterario. A quindici anni sviluppa una sincera passione per la poesia e scrive due notevoli sonetti. Il nonno materno gli insegna a trarre dall’osservazione del reale conclusioni rigorose ed universali.

Il giovane Manzoni dal 1801 al 1805 vive con l’anziano don Pietro, dedica buona parte del suo tempo alle ragazze e al gioco d’azzardo, ma ha modo anche di frequentare l’ambiente illuministico dell’aristocrazia e dell’alta borghesia milanese. Il compiacimento neoclassico del tempo gli ispira le prime esperienze poetiche, modulate sull’opera di Vincenzo Monti, idolo letterario del momento. Ma, oltre questi, Manzoni si volge a Giuseppe Parini, portavoce degli ideali illuministici, nonché dell’esigenza di moralizzazione, e a Francesco Lomonaco, un esule napoletano. A questo periodo si devono Il trionfo della libertàAddaI quattro sermoni che recano l’impronta di Monti e di Parini, ma anche l’eco di Virgilio e di Orazio. Il metodo di scrittura e di poetare manzonesco di questo periodo è molto legato alla tradizione classica.

Nel 1805 raggiunge la madre nel quartiere di AuteuilParigi, dove passa due anni, partecipando al circolo letterario dei cosiddetti ideologifilosofi di scuola ottocentesca, tra i quali si fa molti amici, in particolare Claude Fauriel (il quale avrà una forte influenza sulla formazione del Manzoni; infatti Fauriel inculca ad Alessandro un grande interesse per la storia e gli fa capire che non deve scrivere seguendo modelli rigidi e fissi nel tempo, ma deve riuscire a esprimere sentimenti che gli permettano di scrivere in modo più “vero”, in maniera da “colpire” il cuore del lettore) e ha modo di apprendere le teorie volterriane. Alessandro si imbeve della cultura francese classicheggiante in arte, scettica e sensista in filosofia (i sensi sono alla base della conoscenza; l’illuminismo è la critica razionale della realtà; lotta al pregiudizio e alla tradizione derivata dall’autorità; i problemi religiosi non si basano sull’esperienza, ma sulla superstizione) ed assiste all’evoluzione del razionalismo verso posizioni romantiche.

Nel 1806-1807, mentre si trova ad Auteuil, appare per la prima volta in pubblico come poeta, con due pezzi, uno intitolato Urania, in quello stile neoclassico del quale poi lui stesso diventerà il più strenuo avversario; l’altro, invece, una elegia in versi liberi, sulla morte del conte Carlo Imbonati, dal quale, attraverso la madre, erediterà un patrimonio considerevole, compresa la villa di Brusuglio, diventata da allora sua principale residenza.

Per mezzo del Fauriel, Manzoni entra in contatto con l’estetica romantica tedesca, prima ancora che Madame de Staël la diffonde in Italia. Nel 1809, dopo la pubblicazione del suo poemetto Urania, Manzoni dichiara che non scriverà mai più versi simili, aderendo alla poetica romantica, secondo la quale la poesia non deve essere destinata ad una élite colta e raffinata, bensì deve essere di interesse generale ed interpretare le aspirazioni e le idee dei lettori. Manzoni è ormai sulla via del realismo romantico; tuttavia non accetterà mai la convinzione propria sia del romanticismo sia dell’amico Fauriel, che la poesia debba essere espressione ingenua dell’anima e quindi non rinuncerà mai al dominio intellettuale del sentimento ed a una controllata espressione formale, caratteristica di tutto il romanticismo italiano.

Monumento ad Alessandro Manzoni a Lecco. Sullo sfondo il monte Resegone.

Nel 1811 Manzoni, già anticlericale per reazione all’educazione ricevuta ed indifferente più che agnostico o ateo riguardo al problema religioso, si riavvicina alla Chiesa. Nel 1808, a Milano, lo scrittore aveva sposato la calvinistaEnrichetta Blondel (1791-1833), figlia di un banchiere ginevrino; il matrimonio si rivelò felice, coronato dalla nascita di 10 figli. Tornato a Parigi la frequentazione con il sacerdote Eustachio Degola, genovese, giansenista (che daSant’Agostino deriva l’interpretazione assolutistica del problema della predestinazione, della grazia e del libero arbitrio), porta i due coniugi l’una all’abiura del calvinismo e l’altro ad un riavvicinamento alla pratica religiosa cattolica (1810)[2].

Tale riconciliazione con il cattolicesimo è per lo scrittore il risultato di lunghe meditazioni; il suo atteggiamento, pur nella sua stretta ortodossia (cioè nell’esigenza di attenersi rigorosamente ai dettami della Chiesa), ha coloriture gianseniste che lo portano alla severa interpretazione della religione e della morale cattoliche. La riscoperta della fede fu per Manzoni la conseguenza logica e diretta del dissolversi, nei primi anni dell’800, del mito della ragione, concepita come perennemente valida e certa fonte di giudizio, donde la necessità di individuare un nuovo sicuro fondamento della moralità. Persa, quindi, la speranza di raggiungere la serenità per mezzo della ragione, la vita e la storia gli parvero romanticamente immerse in un vano, doloroso, inspiegabile disordine: per non abbandonarsi alla disperazione bisognava trovare un fine ultraterreno. Nel Manzoni, quindi, l’irrequietezza esistenziale si compone nella fede fervente conciliandola con la fermezza intellettuale.

La sua energia intellettuale nel tempo immediatamente successivo alla conversione fu impegnata nella composizione di cinque Inni SacriLa ResurrezioneIl nome di MariaIl NataleLa PassioneLa Pentecoste,ovvero una serie di liriche sulle principali festività liturgiche. Si dedicò inoltre ad un trattato,Osservazioni sulla morale cattolica, intrapreso sotto la guida religiosa di monsignor Luigi Tosi (cui il Degola aveva affidato la guida spirituale della famiglia Manzoni al loro ritorno in Italia), in riparazione alla sua iniziale lontananza dalla fede.

Importante nella evoluzione spirituale di Manzoni fu anche Antonio Rosmini, con cui strinse una profonda amicizia. Rosmini, sul letto di morte, avrà proprio il conforto di Manzoni, a cui lascerà il testamento spirituale: Adorare, Tacere e Godere.

Nel 1818 mise in vendita tutti i suoi possedimenti lecchesi, compresa la villa di famiglia del Caleotto dove aveva trascorso l’infanzia. Intendeva trasferirsi definitivamente in Francia e aveva messo in vendita anche la casa di via Morone a Milano, ma dovette aspettare un anno poiché le autorità austriache gli negarono il passaporto.

Nel settembre del 1819 Manzoni partì per Parigi, dove fu ospite per più d’un mese nella casa di Sophie de Condorcet. Insieme a lui undici persone: i genitori, cinque figli, nonna Giulia e tre domestici. Nella capitale francese il Manzoni frequenta lo storico Augustin Thierry (1795-1856) e il filosofo Victor Cousin (1792-1867), che tornerà con lui in Italia e sarà ospite a Brusuglio e a Milano.

Nel 1819 Manzoni pubblicò la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola, che generò una viva controversia perché violava coraggiosamente tutte le convenzioni classiche. Un articolo pubblicato su di una importante rivista letteraria lo criticò severamente; d’altronde fu addirittura Goethe che replicò in sua difesa, insieme al meno famoso critico ligure Trincheri da Pieve.

La morte di Napoleone nel 1821 ispirò a Manzoni il noto componimento lirico Il cinque maggio. Gli eventi politici di quell’anno, uniti alla carcerazione di molti suoi amici, pesarono molto sulla mente di Manzoni, ed il suo lavoro di quel periodo fu ispirato soprattutto dagli studi storici in cui cercò distrazione dopo essersi ritirato a Brusuglio.

Intanto, attorno all’episodio dell’Innominato, storicamente identificabile come Francesco Bernardino Visconti, iniziò a prendere forma il romanzo Fermo e Lucia, la versione originale de I Promessi sposi, che fu completato nel settembre 1822. Dopo la revisione da parte di amici tra il 1825 ed il 1827, esso fu pubblicato, un volume per anno, portando ad un tratto una grande fama letteraria all’autore.

Sempre nel 1822, Manzoni pubblicò la sua seconda tragedia, Adelchi, che tratta del rovesciamento da parte di Carlo Magno della dominazione longobarda in Italia, e che contiene molte velate allusioni all’occupazione austriaca; in particolare la figura di Ermengarda ricorda quella dell’amica d’infanzia Teresa Casati in Confalonieri, per la quale, nel 1830, comporrà l’epitaffio tombale presso lo storico Mausoleo Casati Stampa di Soncino in Muggiò (Milano).

In seguito Manzoni, per dare vita alla stesura finale del romanzo a livello formale e stilistico, si trasferì a Firenze nel 1827, così da entrare in contatto e “vivere” la lingua fiorentina delle persone colte, che rappresentava per l’autore l’unica lingua dell’Italia unita. L’11 dicembre 1827 fu eletto socio dell’Accademia della Crusca [3]. Rielaborò I promessi sposi dopo la “risciacquatura in Arno”[4] facendo uso dell’italiano nella forma fiorentina colta, e nel 1840 pubblicò questa riscrittura. Con ciò assumeva che quella era la prima vera opera frutto totale della lingua italiana. Dette alle stampe anche la Storia della colonna infame, un saggio che riprende e sviluppa il tema degli untori e della peste, che già tanta parte aveva avuto nel romanzo, del quale inizialmente costituiva un excursus storico.

Tomba di Alessandro Manzoni nel Cimitero Monumentale di Milano

Sul piano privato, la perdita della moglie nel 1833 fu seguita da quella di molti dei figli di Alessandro Manzoni tra cui la primogenita Giulia, già moglie di Massimo D’Azeglio, della madre e dell’amico Fauriel. Il 2 gennaio 1837 sposò la seconda moglie, Teresa Borri (11 Novembre 1799 – 23 Agosto 1861 ), vedova del conte Decio Stampa. Egli sopravvisse pure a quest’ultima, mentre dei nove figli nati dal primo matrimonio solo due morirono successivamente al padre.

Nel 1860 fu nominato senatore nel Primo Parlamento dell’Italia Unita: con questo incarico votò, nel 1864, a favore dello spostamento della capitale da Torino a Firenze fintanto che Roma non fosse stata liberata. Come presidente della commissione parlamentare sulla lingua scrisse, nel 1868, un breve trattato sulla lingua italiana: Dell’unità della lingua italiana e dei mezzi per diffonderla.

La morte del figlio maggiore, Pier Luigi, il 28 aprile 1873, fu il colpo finale che accelerò la fine di Manzoni, il quale, dopo aver battuto la testa su di uno scalino all’uscita dalla chiesa di San Fedele di Milano, morì dopo pochi istanti per una grave lesione al cranio nel 22 maggio, a Milano. Nella città ambrosiana si tenne il solenne funerale, nel Cimitero Monumentale, che vide una grandissima partecipazione e la presenza dei principi e di tutte le più alte autorità dello stato. Nel 1874, nell’anniversario della morte, Giuseppe Verdi compose la Messa di requiem per onorarne la memoria e ne diresse personalmente l’esecuzione nella chiesa di San Marco. Nel 1883, a dieci anni dalla morte, la sua tomba venne spostata nelFamedio del Cimitero Monumentale di Milano.

Le prime biografie di Manzoni furono scritte da Cesare Cantù (1885), Angelo de Gubernatis (1879), Arturo Graf (1898). Una parte delle lettere di Manzoni fu pubblicata da Giovanni Sforza (storico) nel 1882. L’ultimo ramo rimasto della famiglia di Alessandro è quello dei conti Manzoni di Lugo di Romagna. Il 28 giugno del 1872Manzoni fu nominato cittadino onorario di Roma [5].

Opere

Tra il 1816 e il 1822 scrisse inoltre due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1816) e Adelchi (1822), frutto di un’attenta riflessione teorica sul teatro e sul genere tragico in particolare. L’opera più completa e matura di Manzoni è però il romanzo I Promessi Sposi, scritto in una prima versione (con il titolo Fermo e Lucia) tra il 1821 e il 1823; poi profondamente modificato dal punto di vista della narrazione e pubblicato nel 1827; infine ancora rivisto, questa volta solo nella forma linguistica: nella ricerca di una lingua accessibile agli italiani di varia origine e cultura Manzoni scelse come modello il fiorentino parlato dai contemporanei. Questa versione definitiva fu pubblicata a dispense tra 1840 e il 1842.

 

Scrittore molto fecondo e versatile, Alessandro Manzoni iniziò negli anni giovanili con composizioni di ispirazione neoclassica. La conversione religiosa determinò una grande svolta anche nella sua attività letteraria. Tra il 1812 e il 1822 compose gli Inni sacri, cinque composizioni poetiche dedicate alle maggiori festività della Chiesa Cattolica: La ResurrezioneIl nome di MariaIl NataleLa Passione,La Pentecoste. Nel 1821 scrisse le cosiddette “odi civili”: Marzo 1821, dedicata alle insurrezioni anti-austriache di quell’anno, e Il Cinque Maggio, composta di getto all’annuncio della morte di Napoleone Bonaparte.

Va ricordata inoltre la produzione saggistica di Manzoni, articolata in scritti critici, morali, storici e linguistici.

5 Marzo 1876 – Esce il primo numero del quotidiano Corriere della Sera.

 

Corriere della Sera
Logo di Corriere della Sera

Prezzo 1,20 €
(giovedì e sabato 1,50 €)
Paese bandiera Italia
Lingua italiano
Periodicità quotidiano
Genere stampa nazionale
Formato Broadsheet[1]
Tiratura 733.274 (giugno 2009)
Diffusione 581.361 (giugno 2009)
Fondazione 5 marzo 1876
Inserti e allegati
  • Sette (giovedì)
  • Io Donna (sabato)
  • Corriere della Sera Style (mensile)
  • ViviMilano (mercoledì, solo nella zona milanese)
  • CorrierEconomia (lunedì)
Sede via Solferino, 28, Milano
Editore Rcs Quotidiani S.p.A.
Capitale sociale 40.000.000,00 €
Direttore Ferruccio De Bortoli
Condirettore Luciano Fontana
Vicedirettore Antonio MacalusoDaniele MancaGiangiacomo SchiaviBarbara Stefanelli
ISSN

1120-4982

 

 

Dalle origini al 1900

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eugenio Torelli Viollier.

Il Corriere della Sera nacque nel febbraio del 1876 quando Eugenio Torelli Viollier, direttore de La Lombardia, e Riccardo Pavesi, editore della medesima, decisero di fondare un nuovo giornale.

Il primo numero venne annunciato dagli strilloni in piazza della Scala domenica 5 marzo 1876, con la data del 5-6 marzo. Per il lancio venne scelta la prima domenica di Quaresima (tradizionalmente quel giorno i giornali milanesi non uscivano). Il Corriere sfruttò quindi l’assenza di concorrenza; però per non farsi inimicare l’ambiente, devolse in beneficenza il ricavato del primo numero.

La foliazione era di quattro pagine, stampate in 15 mila copie. Come sede del nuovo giornale fu scelto un luogo di prestigio, la centralissimaGalleria Vittorio Emanuele. Tutto il giornale era raccolto in due stanze ed era fatto da tre redattori (oltre al direttore) e da quattro operai. I tre collaboratori di Torelli Viollier erano suoi amici:

  • Raffaello Barbieraveneto, che aveva rinunciato al suo impiego al comune di Venezia per inseguire le sue velleità letterarie. Aveva conosciuto Torelli casualmente ad un pranzo pochi mesi prima della fondazione del giornale.
  • Ettore Teodori Buini originario di Livorno, colto, amico personale di Eugenio da dieci anni, poliglotta, definito “personaggio salgariano“, era il caporedattore.
  • Giacomo Raimondi, l’unico nato nella città dove si pubblicava il giornale, dal passato tumultuoso di volontario nel corso delle guerre risorgimentali. Di idee vagamente socialiste, già collaboratore del Sole, fondatore de l’Economista, collaboratore del Gazzettino Rosa, aveva lasciato quest’ultimo giornale per la scelta della testata di aderire all’Internazionale marxista. I quattro anni precedenti il suo approdo alCorriere erano stati di vera e propria indigenza.

Collaboravano al giornale anche la moglie del Buini, Vittoria Bonacina, che traduceva alcuni dei romanzi pubblicati sulle pagine del Corriere, e la stessa moglie di Torelli, Maria Antonietta Torriani, scrittrice di romanzi d’appendice con lo pseudonimo “marchesa Colombi”. Per le indispensabili corrispondenze da Roma si era offerto di collaborare gratuitamente Vincenzo Labanca, vecchio amico di Torelli Viollier. Per l’estero c’erano accordi con l’Agenzia Stefani e l’Havas.

L’amministratore del giornale era il fratello di Eugenio, Titta Torelli. Il giornale veniva fatto stampare da una tipografia esterna, che possedeva uno stanzone nei sotterranei della Galleria Vittorio Emanuele[4].

Dall’editoriale del nº 1 del «Corriere della Sera»: Al Pubblico

“Pubblico, vogliamo parlarci chiaro. In diciassette anni di regime libero tu hai imparato di molte cose. Oramai non ti lasci gabbare dalle frasi. Sai leggere fra le righe e conosci il valore delle gonfie dichiarazioni e delle declamazioni solenni d’altri tempi. La tua educazione politica è matura. L’arguzia, l’esprit ti affascina ancora, ma l’enfasi ti lascia freddo e la violenza ti dà fastidio. Vuoi che si dica pane al pane e non si faccia un trave d’una fessura. Sai che un fatto è un fatto ed una parola non è che una parola, e sai che in politica, più che nelle altre cose di questo mondo, dalla parola al fatto, come dice il proverbio, v’ha un gran tratto. Noi dunque lasciamo da parte la rettorica [sic] e veniamo a parlarti chiaro.
Non siamo conservatori. Un tempo non sarebbe stato politico, per un giornale, principiar così. Il Pungolo non osava confessarsi conservatore. Esprimeva il concetto chiuso in questa parola con una perifrasi. Ora dice apertamente: “Siamo moderati, siamo conservatori”. Anche noi siamo conservatori e moderati. Conservatori prima, moderati poi. Vogliamo conservare la Dinastia e lo Statuto; perché hanno dato all’Italia l’indipendenza, l’unità la libertà, l’ordine. In grazia loro si è veduto questo gran fatto: Roma emancipata da’ papi che la tennero durante undici secoli. […]
Siamo moderati, apparteniamo cioè al partito ch’ebbe per suo organizzatore il conte di Cavour e che ha avuto finora le preferenze degli elettori, e – per conseguenza – il potere.[…] L’Italia unificata, il potere temporale de’ papi abbattuto, l’esercito riorganizzato, le finanze prossime al pareggio: ecco l’opera del partito moderato.
Siamo moderati, il che non vuol dire che battiamo le mani a tutto ciò che fa il Governo. Signori radicali, venite tra noi, entrate ne’ nostri crocchi, ascoltate le nostre conversazioni. Che udite? Assai più censure che lodi. Non c’è occhi più acuti degli occhi degli amici nostri nel discernere i difetti della nostra macchina politica ed amministrativa; non c’è lingue [sic] più aspre, quando ci si mettono, nel deplorarli. […] Gli è che il partito moderato non è un partito immobile, non è un partito di sazi e dormienti. È un partito di movimento e di progresso.
Senonché, tenendo l’occhio alla teoria, non vogliamo perdere di vista la pratica e non vogliamo pascerci di parole, e sdegniamo i pregiudizii liberaleschi. E però ci accade di non voler decretare l’istruzione obbligatoria quando mancano le scuole ed i maestri; di non voler proscrivere l’insegnamento religioso se tale abolizione deve spopolare le scuole governative; di non voler il suffragio universale, se l’estensione del suffragio deve porci in balia delle plebi fanatiche delle campagne o delle plebi voltabili [sic] e nervose delle città. […]
[Conclusione] A’ giornali dello scandalo e della calunnia sostituiamo i giornali della discussione pacata ed arguta, della verità fedelmente esposta, degli studi geniali, delle grazie decenti, rialziamo i cuori e le menti, non ci accasciamo in un’inerte sonnolenza, manteniamoci svegli col pungolo dell’emulazione, e non ne dubitiamo, il Corriere della sera potrà farsi posto senza che della sua nascita abbiano a dolersi altri che gli avversari comuni”.

Nei giorni successivi le vendite del quotidiano si assestarono sulle 3 mila copie. Il prezzo di un numero era di 5 centesimi (un soldo) a Milano, 7 fuori città. Il giornale era così composto: la prima pagina ospitava l’articolo di fondo, la cronaca del fatto più rilevante e i commenti al fatto. La seconda era dedicata alla cronaca politica italiana e straniera. La terza pagina ospitava la cronaca milanese e le notizie telegrafiche. La quarta pagina era dedicata alla pubblicità. I caratteri venivano stampati in corpo 10. Il Corriere andava in macchina alle 14 per essere distribuito circa due ore dopo. Il quotidiano usciva con una doppia datazione (5-6 marzo, per esempio), poiché la lentezza dei trasporti faceva sì che spesso giungesse nelle altre regioni l’indomani[5].

Il 18 marzo 1876, tredici giorni dopo l’uscita del primo numero, avvenne una svolta nella storia del giornale: Riccardo Pavesi fu eletto al Parlamento. Nonostante appartenesse al partito dei moderati, decise di spostarsi a sinistra, cioè dalla parte che aveva vinto a livello nazionale. Quindi cambiò l’indirizzo politico de La Lombardia e cercò di persuadere Torelli Viollier a fare altrettanto al Corriere, ma gli venne opposto un netto rifiuto. Pavesi decise allora di uscire dal Corriere: il direttore rimase con suoi i tre redattori e quattro operai.

La fattura del Corriere, come di quasi tutti i giornali dell’epoca, era artigianale: la scrittura degli articoli, tranne che per le corrispondenze da Roma, era “fatta in casa”, non essendoci cronisti (li aveva solo Il Secolo). La maggior parte del lavoro era affidato alla penna ed alle forbici (per i dispacci “adattati”) di Torelli Viollier, con un ritmo d’aggiornamento di 2/3 giorni per le notizie interne e di 10/15 per l’informazione proveniente dall’estero[6]. Il giornale non aveva una tipografia propria (con i conseguenti problemi di gestione dell’autonomia del giornale) e limitava al massimo la pubblicazione di disegni ed incisioni, che invece erano frequenti sul concorrente Secolo.

La tiratura cominciò a salire decisamente nel 1878. Al principio dell’anno re Vittorio Emanuele II fu colto da un’improvvisa malattia che lo portò alla morte. Tutti i giornali italiani diedero ampio spazio all’avvenimento. Ma dopo la sua morte tornarono a pubblicare le solite notizie. Torelli Viollier invece continuò a trattare la notizia della morte del re per un’ulteriore settimana. Ciò fece aumentare le vendite da 3.000 a 5.600; le vendite salirono nel resto dell’anno fino a sfondare a dicembre quota 7.000 copie giornaliere.

Nel consueto articolo di fine anno, che Torelli Viollier pubblicava prima delle festività natalizie, il direttore del Corriere ringraziò i lettori e confermò il suo impegno a trattarli non come avventori […], ma come amici e soci in un’impresa comune, giacché come tali li consideriamo, e tali sono”[7].

Dagli anni Ottanta Milano iniziò ad essere investita da una rapida trasformazione economica e sociale. Un nuovo ceto di commercianti e industriali (di origine né patrizia né liberale) si affermò come nuova forza emergente. Il Corriere seppe intercettare questo nuovo pubblico e in pochi anni riuscì ad attirare la sua attenzione.

Nell’articolo di fine anno 1881 (Programma per l’anno 1882), Torelli annunciò il potenziamento dell’uso del telegrafo per la trasmissione dei pezzi dei corrispondenti, che fino ad allora si erano avvalsi prevalentemente del servizio postale. Il direttore voleva che anche le notizie dall’estero giungessero in tempi rapidi: nel 1882 inviò i primi corrispondenti all’estero del Corriere, nelle città di ParigiLondraVienna. Nel Programma per l’anno 1883 Torelli annunciò che non avrebbe più utilizzato i rendiconti dell’agenzia Stefani per quanto riguarda i lavori del Parlamento, ma avrebbe raccolto le notizie in proprio.

Nel 1883, grazie alla nuova rotativa (König & Bauer) capace di produrre 12.000 copie l’ora, il Corriere cominciò a stampare due edizioni al giorno. Il giornale uscì con un’edizione nel primo pomeriggio e una seconda in serata. Alla fine del 1885 il Corriere produceva quasi esclusivamente notizie in proprio. Torelli Viollier poteva affermare che ben di rado il Corriere stampa notizie ritagliate da altri fogli e le forbici della redazione, che sono il redattore capo di molti giornali, arruginiscono[8].

Dal 1883 al dicembre 1885 le vendite passarono da 14.000 a 30.000. Il Corriere vendeva il 58% delle copie in Lombardia, il 20% tra Piemonte edEmilia (seguendo le direttrici delle linee ferroviarie), il resto era distribuito in VenetoLiguriaToscana e in alcune città delle Marche e dell’Umbria. Nella città di Milano, il Corriere era il secondo quotidiano, davanti a La Perseveranza e dietro a Il Secolo. Ma, mentre Secolo aveva alle spalle il sostegno di una casa editrice (la Sonzogno)[9], il Corriere doveva contare solamente sulle proprie forze.

La forza del giornale stava nell’alleanza tra Torelli Viollier e il nuovo socio, l’industriale Benigno Crespi, il primo desideroso di fare un giornale moderno; il secondo attento ai bilanci ma anche sensibile ad effettuare investimenti, anche cospicui, per mantenere il giornale competitivo. L’ingresso di Crespi quale proprietario e finanziatore del Corriere aveva portato all’acquisto di una seconda macchina rotativa (che aveva permesso un miglioramento della fattura delle pagine e un aumento consistente delle copie stampate), all’incremento dei servizi telegrafici e all’assunzione di nuovi collaboratori, scelti da Torelli in completa indipendenza. I redattori del Corriere diventano sedici.

Corriere della Sera. Un manifesto pubblicitario diAdolf Hohenstein del 1898.

A partire dalla seconda metà degli anni ottanta le colonne del Corriere ospitarono stabilmente varie rubriche giornaliere, nate sperimentalmente negli anni precedenti. Le principali furono:

  • la rubrica letteraria, pubblicata di lunedì (nata nel 1879),
  • la Cronaca dalle grandi città, realizzata dagli inviati nelle principali città italiane (dal novembre 1883),
  • La Vita, consigli di igiene e di economica domestica (apparsa nel 1885),
  • La Legge, dove un esperto legale rispondeva ai lettori (nata nel 1886).

Il quotidiano continuava a pubblicare in ogni numero un romanzo d’appendice a puntate.
Le pagine a disposizione erano sempre quattro, di cui una (la quarta) dedicata in gran parte alla pubblicità.

Nel 1886 Torelli Viollier inventò la figura del “redattore viaggiante”, ovvero il cronista che sceglieva un itinerario e scriveva tutto quello che vedeva: fatti, persone, storie, ecc. Nello stesso anno per la prima volta le copie vendute del giornale sorpassarono le copie distribuite in abbonamento. Alla fine del decennio le vendite raggiunsero 60.000 copie, ponendo il Corriere tra i giornali più venduti del Nord Italia.

I nomi dei giornalisti che lavoravano al Corriere cominciarono ad essere noti: Paolo Bernasconi (inviato a Parigi), Dario Papa, Barattani, Barbiera, Mantegazza. Fa la sua prima comparsa il medico e criminologo Cesare Lombroso. I collaboratori fissi e saltuari erano circa 150. A partire dal 1888 il Corriere spostò la prima edizione all’alba ed arretrò la seconda edizione al pomeriggio, tradizionalmente letta dai lombardi dopo il lavoro. L’edizione mattutina serviva a far arrivare il giornale nelle regioni più lontane entro il giorno di pubblicazione.

Nel 1890 venne inaugurata la terza edizione, diversa e con notizie aggiornate. Era evidente lo sforzo del Corriere di fornire un prodotto completo al fine di conquistare sempre più larghe fette di mercato. A partire dagli anni novanta il Corriere offrì ai suoi lettori articoli di prima mano anche da luoghi diversi dalle capitali europee: si pensi ai corrispondenti di guerra inAfrica.

Nel 1896 Torelli Viollier assunse il venticinquenne Luigi Albertini come segretario di redazione, ruolo inesistente all’epoca in Italia e ritagliato su misura: Albertini mostrava già spiccate doti organizzative e conoscenze tecniche[10], mentre non aveva alle spalle una solida carriera giornalistica. Albertini si impose agli occhi dei colleghi per il piglio organizzativo e la capacità decisionale. Doti che espresse anche in occasione delle proteste di maggio del 1898: fu Albertini infatti a decidere di mandare tutto il personale in cerca di nuove notizie nelle strade di Milano.

Proprio i fatti di maggio segnarono una svolta nella direzione del quotidiano. La linea di Torelli Viollier venne messa in discussione finché il 1º giugno il fondatore decise di rassegnare le dimissioni da direttore politico. I proprietari installarono alla direzione Domenico Oliva di area conservatrice, editorialista e deputato. Luigi Albertini, ancora lontano dai vertici del Corriere, nel resto dell’anno viaggiò nelle principali capitali europee, per studiare la fattura dei più moderni quotidiani stranieri, accrescendo le proprie conoscenze tecniche.

16 dicembre 2004 – La Gazzetta dello Sport cambia il colore rosa in verde solo per un giorno, per promuovere l’uscita nelle sale del film Shrek 2

31 dicembre 2004

Shrek e un regalo da 120.000 euro

Con la Gazzetta verde abbiamo aiutato i bambini dell’ Istituto Tumori di Milano

La bella storia, cominciata giovedì 16 dicembre con l’ edizione della Gazzetta eccezionalmente verde, si è felicemente conclusa. Quel giorno, quando abbiamo comunicato ai lettori di aver accettato la proposta di Shrek2 e del suo distributore, United International Pictures, di cambiare colore (tornando, per un’ edizione soltanto, verde come la Gazzetta fu alla nascita nel 1896), spiegammo che una motivazione forte nell’ aderire a quella proposta era l’ operazione di solidarietà ad essa collegata. Una parte del ricavato sarebbe stata devoluta al reparto pediatrico dell’ Istituto dei Tumori di Milano, ai bambini del settimo piano del palazzo di via Venezian. Il nostro giornale svestiva per un giorno il rosa per promuovere un cartone animato che ha fatto divertire bambini di tutto il mondo, e nello stesso tempo voleva essere vicino a tanti bambini provati dalla malattia. Abbiamo promesso, abbiamo mantenuto. Con il sorriso di Shrek, l’ orco buono, abbiamo consegnato 120.000 euro. E’ venuta a trovarci in Gazzetta la dottoressa Franca Fossati Bellani, direttore dell’ Unità operativa di pediatria dell’ Istituto nazionale per lo studio e la cura dei tumori di Milano. A lei Antonio Di Rosa, direttore della Gazzetta dello Sport, ha consegnato ufficialmente la somma. E’ un gesto di affetto, un regalo di Natale che ci ha dato gioia e che sappiamo darà speranza. Non ci fermeremo. In questi giorni la tragedia del Sud Est asiatico scuote le coscienze di tutti. Lo sport nemmeno stavolta starà a guardare.

Fiera dell’Artigianato a Milano dal 5 al 13 dicembre 2009

Venerdì 12 Dicembre

un pomeriggio diverso dagli altri passati fra gli stand della Fiera dell’Artigianato a Milano,fra gli stand che rappresentavano tutta L’Italia,l’Europa e il resto del mondo,una bella maratona per poter vedere il più possibile con tanta cose belle da vedere e sopratutto da provare negli stand gastronomici i più visitati da me e chi era con me ma anche dalla maggior parte dei visitatori.Io ultima fiera che avvo visto era quella Campionaria ancora prima che nascesse quella del levante a Bari,dove c’era tutto il mondo che rappresentavano tutte le merceologie non come oggi che ci sono più fiere di settore.Che aggiungere che tornerò magari anche per altri settori anche per passare un pomeriggio serata diverso dagli altri.

24/01/2009 ASSEMBLEA STRAORDINARIA MILANO

24/01/2009 ASSEMBLEA STRAORDINARIA

A seguito delle dimissioni del Presidente e del Consiglio Nazionale avvenute durante il Consiglio Nazionale del 21.11.2008 è indetta l’Assemblea Straordinaria per sabato 24 Gennaio 2009 alle ore 9,30 presso la Parrocchia Angeli Custodi di Via Colletta, 21 – Milano

ORDINE DEL GIORNO
1. Elezione del Presidente Nazionale
2. Elezione dei Consiglieri Nazionali
3. Elezione del Collegio dei Revisori dei Conti
4. Elezione del Collegio dei Provibiri
5. Approvazione nuovo Statuto
6. Varie ed eventuali

Tutti i Soci, in regola con i pagamenti, sono invitati a partecipare.