La nostra Italia-Martirano Lombardo III parte Il costume calabrese

Il costume calabrese

pacchianeLa più antica documentazione che si ha sul costume calabrese è data da un’opera pubblicata in Spagna nel sec. XVI intitolata “Trages de Italia”, nella quale, sotto un relativo disegno, si legge la didascalia: “Los Calabreses usan una capa de pario de pano negro y un gorro de pario o’ seda segun la estacion…” Il costume calabrese acquista notorietà, nel senso che lo si viene a conoscere fuori dai confini della regione, da quando il francese Depreez, sul finire degli anni 1770, disegna per l’Abate di Saint Non paesaggi visitati con figure di contadini e gentiluomini, di campagnole e di cittadine; piccole immagini che costituiscono una documentazione basilare. Successivamente in seguito al terribile terremoto del 1783, la documentazione si arricchirà delle incisioni di artisti provenienti da ogni parte d’Europa, giunti in Calabria per osservare in quale grave prostrazione era stata ridotta una terra, fino a meno di un decennio prima del viaggio dal Depreez che la descriveva ricca di prodotti della terra e della capacità degli uomini ed ancora famosa per la vivace bellezza delle donne orgogliose dei loro altrettanto vivaci costumi. (…)

Nell’Ottocento, con l’occupazione francese, si hanno le prime distinzioni dell’abbigliamento tipico del calabrese, per gli uomini dal classico copricapo conico il “cervone” in panno nero e nastri pendenti di vaio colore, la giacca di velluto corta, i pantaloni di velluto stretti sotto il ginocchio, le calze di lana e le scarpe di cuoio allacciate sino al ginocchio, e per le donne dall’ampia camicia, dallo stretto corpetto e dalla larga gonna stretta in vita. Il copricapo appare poi in tutte le stampe che raffigurano i noti briganti che infestavano tutta la Calabria dal Pollino alla Sila, dalle Serre all’Aspromonte, ma era considerato anche segno distintivo di ribellione del calabrese verso gli stranieri occupanti. Era stato adottato anche dagli uomini delle comunità albanesi, come gran parte del costume maschile, come dimostrano le foto del periodo fine ‘800 e inizi ‘900.

Fonte:
www.arbitalia.it 
da “Brevi considerazioni sul costume delle donne arbëreshe”, di Maria Frega.

La pacchiana

pacchiana IolandaCol termine “pacchiana” deve intendersi non solo la contadina, ma in genere la donna di modeste condizioni (moglie di un commerciante o artigiano) in contrapposto alla signora, che veste secondo la moda di Napoli. Col passare del tempo, nei piccoli paesi si sviluppa il gusto di perfezionare e rendere prezioso un abito fino ad allora poco ricco. La varietà e la bellezza del costume femminile in Calabria si distingue nel costume di Nicastro, che consiste in un panno rosso intorno alla vita e sopra una gonna lunga con ricca plissettatura e, raccolta e legata dietro, in modo da formare una coda. Il costume tradizionale maschile può dirsi quasi totalmente scomparso (salvo alcuni elementi, conservatasi specie presso i pastori), esso ha rappresentato per secoli uno dei tratti più caratteristici dell’ambiente popolare calabrese, anche attraverso l’iconografia del famoso “brigante”.

pacchiana VeronicaAlla fine del secolo scorso, questo vestito, si era fedelmente conservato tanto che Caterina Pigorini Beri (In Calabria, 1892) lo descrisse minuziosamente: “Il giubbetto corto, tagliato militarmente…. e con le mostre e i risvolti con una certa pretesa guerresca e i bottoni lucidi, sovrasta ad una specie di panciotto rigidamente abbottonato, fin dove cominciano i calzoni, tenuti sù da una larga cinghia di cuoio affibbiata, o da una sciarpa rossa e scozzese a larghe righe a colori vivaci…. ecc.”. Nella prima Mostra provinciale d’arte popolare tenutasi a Cosenza nel 1937 tale costume figurava esposto nella sua completezza, compreso il cappello specialissimo a cono “coperto di vellutini fino al vertice, i quali ricadono in abbondanti fiocchi sulle falde, e, perché troppo stretto sulla testa, è raccomandato ad un laccio legato sotto il mento”.

La tradizione martiranese è inverosimilmente concentrata anche e soprattutto nel vestito tipico femminile, la pacchiana. I vari pezzi che compongono l’abito hanno una simbologia molto eloquente sia nei colori adottati, sia nella scelta e lavorazione della stoffa utilizzata. Tutto il vestito, in ogni sua parte, era come una carta d’identità; era un’allegoria dello stato sociale della donna che lo indossava. Il vestito martiranese veniva indossato per la maggior parte dalle popolane che diversificavano l’accostamento delle stoffe in funzione del contesto in cui lo indossavano. Il tipico vestito può essere riassunto attraverso la descrizione di sette pezzi caratterizzanti: “a cammisa janca longa”, una camicia di tela equivalente all’attuale sottoveste; “u cursè”, corsetto munito di stecche rigide; “u pannu” (rosso se sposata, nero se vedova, marrone se signorina), che lascia intravedere dall’orlo “a cammisa”; “a cammigetta” (camicetta di cotone, ma se elegante è di pizzo o velluto);“a gunnedda” (gonna riccia o plissettata, nera se vedova); “u mantisinu” (grembiule di tibet, se elegante è di seta) che ricopre la “gunnedda”. Quest’ultima veniva portata in modo da formare posteriormente una grossa coda; la parte anteriore veniva raccolta all’altezza della vita e ripiegata all’indietro con un nodo che ne formava la coda: “a gunnedda s’abaza e forma a cuda”. In fine “u mannile”, striscia di stoffa che ricopriva la testa scendendo lungo il dorso fino alla vita.

Ricerca effettuata da Giovanni Lanzo
Altre foto su Virgilio.

Si ringrazia il consigliere Angelo Isabella e le giovani modelle Iolanda e Veronica.

http://www.martiranolombardo.info

La nostra Italia-Martirano Lombardo II parte

Del viaggio in Calabria di Giacomo Casanova

casanovaIl valore di un’opera, sosteneva il poeta Paul Valéry, sta tanto nell’autore quanto nel lettore. E in Giacomo Casanova era connaturato il dono di quel certo gusto nel descrivere i fatti della vita che coglie in modo immediato, abbaglia, oserei dire, il lettore, coinvolgendolo, divertendolo, suscitandone l’interesse misto a curiosità. C’è chi ha visto in Casanova il precursore del moderno giornalismo per il fatto che riesce a rendere qualunque notizia, qualunque evento facilmente digeribile, per cui poco importa della rispondenza o meno, dei fatti narrati, alla realtà! La sua fortuna di scrittore fu perciò immensa grazie anche a quei “lettori comuni”, come vengono definiti per distinguerli dai casanovisti veri, da Salvatore di Giacomo, “che non si prenderanno mai la pena di controllare la veridicità d’una narrazione, i cui passi più acconci ai loro ozii della campagna, ai loro viaggi in un comodo scompartimento di prima classe, alle loro attese impazienti in una stanza d’albergo parranno appunto quelli che hanno fatto e fanno tenere le “Memorie casanoviane” solamente per uno di quei libri quasi afrodisiaci che ogni commesso viaggiatore può ben collocare tra i campionari, in fondo alla sua valigia. Che importa a costoro se Casanova abbia mentito, oppur se abbia detto la verità?”

Per fortuna i tempi sono cambiati, le innovazioni tecnologiche hanno sovvertito abitudini, usanze, costumi, anche se alcuni luoghi comuni, non adeguatamente rivisitati e ripuliti, imprigionano, ingiustamente, la nostra mente! E’ diventato luogo comune, nel senso di rigida prigione delle nostre menti anche il brevissimo soggiorno di Giacomo Casanova a Martirano del lontano settembre 1743.

Confesso che allorchè il nome, bellissimo ed a me tanto caro, di “Martirano” riesce, da solo, quasi in modo automatico, ad evocare ancora, quasi eco lontana ed insopprimibile, le ingiurie balorde di quell’avventuriero, “narratore di talento, a volte noioso spesso bugiardo”, come lo definisce Carlo Carlino, provo tantissimo fastidio ed un intimo, possente dolore per l’estrema leggerezza con cui certi apprezzamenti sono stati dettati, diffusi e sono rimasti così, inalterati nel tempo, quasi “simbolo” della Calabria intiera e del mio paese in particolare!

Il secolo XVIII fu un secolo di cambiamenti, sfortunato per la Calabria, coi suoi tremendi terremoti, la peste, però non dimentichiamo che l’eco dei telai di Catanzaro, grazie ai gelseti superstiti, risuonava ancora per gran parte dell’Europa, fornendo gli ornamenti per le più belle chiese; e poi, non sono mai mancati e non mancavano affatto, neanche nel ‘700, gli uomini di cultura!

Tornando a noi, le memorie dettate dal Casanova, ormai ultrasettantenne, consunto dai vizi e dalle malattie veneree, in Boemia, nel castello di Dux (oggi Duchcov) coinvolgono altre persone che, alla luce di una rivisitazone più attenta degli eventi, “potrebbero” essere del tutto estranee ai fatti. Salvatore Di Giacomo, allievo del nostro Vincenzo Padula, da buon casanovista, in un articolo apparso su “Nuova Antologia di lettere scienze ed arti” nel lontano 1922 si chiedeva se si potesse trattare di errori di Casanova, “sbagli del primo lettore e ripulitore del suo manoscritto, o non piuttosto errori voluti e confusioni premeditate?”

Per la descrizione ufficiale dell’arterosclerosi bisogna aspettare un grande clinico di Strasburgo, Lobstein, che, per primo, nel 1833 citò l’alterazione vascolare nel suo trattato di anatomia patologica, però la malattia aveva mietuto già le sue vittime ai tempi del nostro avventuriero! Vediamo come sarebbero andate le cose.

Giacomo Casanova nacque a Venezia il 2 aprile 1725 da Gaetano (anche se si dice che il padre naturale fosse il nobile Michele Grimani) e Giovanna Farussi, detta Zanetta. Gaetano e Giovanna sono gente di teatro, sempre in giro, per motivi di lavoro, per l’Europa; pertanto affidano il piccolo Giacomo alle cure della nonna materna.

Arriviamo al 1743, lo scrittore appena diciottenne, con al suo attivo qualche avventura galante, completamente squattrinato e pieno di debiti, svogliatissimo negli studi, viene richiamato da Padova, a Venezia, dalla nonna la quale, volendo avviare il nipotino alla carriera ecclesiastica, lo affida alle cure di un sacerdote, Tosello, di San Samuele. Anche la madre, però, dalla corte di Augusto III di Varsavia, si sarebbe prodigata a preparare un degno avvenire allo scapestrato figliolo.

In una lettera, si legge nelle Memorie, ella si rivolgeva a Giacomino informandolo che aveva conosciuto un dotto frate dell’ordine dei Minimi, calabrese che si sarebbe preso cura di lui a patto che Zanetta gli avesse procurato la nomina di vescovo in Calabria. L’attrice si sarebbe rivolta alla regina Elisabetta Maria Giuseppina, madre di Amalia Wolburg, moglie di Carlo di Borbone, la quale, a sua volta, avrebbe scomodato il Pontefice, Benedetto XIV.

La cosa era fatta, Bernardino de Bernardis, le savant moine, minime, Calabrais, citato nella lettera di Giovanna fu nominato vescovo di Martirano. Fu così che il giovane Casanova, già tonsurato, dottore in utroque, con una non certo brillante esperienza di predicatore sarebbe stato nominato segretario particolare del vescovo De Bernardis a Martirano. “Basta con la vanità, diceva a se stesso, d’ora innanzi baderò solo a cose grandi e concrete”.

Poi ricordando quel soggiorno, molto breve in verità, continua: “Partimmo in compagnia di due preti che dovevano recarsi a Cosenza e insieme percorremmo le centocinquanta miglia che ci separavano dalla Capitale della Calabria in ventidue ore. Quindi, l’indomani stesso del mio arrivo, presi un calesse per recarmi a Martirano. Durante il viaggio contemplavo il famoso Mare Ausonium …… Vedevo soltanto miseria……..e gli stessi pochi abitanti in cui m’imbattevo mi facevano vergognare di appartenere al genere umano…….Mi resi conto allora che i Romani non avevano torto di chiamarli bruti invece di Bruzi………… Trovai il vescovo Bernardo de Bernardis intento a scrivere, seduto a una misera tavola. M’inginocchiai davanti a lui, ma invece di benedirmi si alzò, mi sollevò e mi abbracciò stretto……Gli chiesi se aveva dei buoni libri, della gente colta da frequentare qualche persona distinta con cui passare piacevolmente un paio d’ore. Mi confidò sorridendo che in tutta la diocesi non c’era nessuno che potesse vantarsi di sapere scrivere bene e tanto meno che avesse un po’ di gusto o una qualche idea di cosa fosse la buona letteratura……”

Mi permetto, a questo punto, di interrompere il racconto di Casanova per richiamare l’attenzione su qualche punto che non mi convince completamente. Non mi dilungo sull’epidemia di peste, i provvedimenti di ”spurgo”, adottati per evitare il contagio, che avrebbero comunque impedito al segretario di raggiungere il suo vescovo. In ogni caso, per arrivare a Martirano da Cosenza, a quel tempi, la strada, se così si può chiamare il sentiero appena visibile tra la vegetazione fitta che, per buona parte costeggiava il fiume Savuto, percorsa per di più su un calesse, cosa improbabile, e percorribile solo di giorno, se non consentiva in alcun modo di far volgere il pensiero al Mare Ausonium, peraltro ben lontano e poco visibile da essa, avrebbe dovuto fornire al nostro illustre narratore il primissimo motivo di denigrazione.

Un viaggio attraverso quel sentiero appena accennato tra i fusti secolari di boschi fittissimi, percorribile a piedi o con bestie da soma, rigorosamente di giorno, sentiero che per gran parte seguiva la corrente del fiume Savuto, pieno di pericoli, è cosa che difficilmente abbandona il ricordo di qualunque mortale abbia vissuto simile esperienza. A Jean Claud Richel di Saint-Non, a Dumas, a Swinburne, che stava perdendo tra le acque del Savuto un suo domestico, un siffatto viaggio lasciò un ricordo profondo.

Un secolo e mezzo dopo, nel funesto settembre del 1905, fu proprio “quel sentiero mulattiero aspro ed in qualche punto anche pericoloso”, è Cesare Nava che parla, a scoraggiare i soccorritori e a ritardarne l’opera! Come mai Giacomo Casanova non accenna minimamente alle difficoltà del viaggio da Cosenza a Martirano? Come mai non ne rivela la durata? E poi, permettete, una Cattedrale bella, maestosa e grande come quella di Martirano, che si ergeva tra tanta miseria e che il terribile terremoto, cui accennavo, del 1905 distrusse completamente, non sarebbe dovuta sfuggire all’attenzione di un visitatore della portata del segretario del Vescovo!

Invece, ironia del destino, appunto nella Chiesa Madre, “il giorno dopo, continua l’illustre segretario, il vescovo celebrò la messa pontificale e potei vedere tutto il clero, tutte le donne e tutti gli uomini che riempivano la cattedrale. Fu allora che presi la mia decisione e mi sentii fortunato di poterla prendere. Quelle che avevo davanti erano un branco di bestie che mi guardavano scandalizzate per il mio aspetto esteriore. Le donne poi erano di una bruttezza spaventosa……..non appena fummo soli dissi chiaro e tondo a monsignore che non mi sentivo la vocazione di finire martire, nel giro di pochi mesi, in quel luogo……Anzi venga via anche lei!….La proposta lo fece ridere per il resto della giornata, ma se avesse accettato, non sarebbe morto di lì a due anni nel fiore dell’età…”

Mi scuso ancora col Signor Giacomo per l’ulteriore interruzione, ma voglio ricordarGli che Padre Russo riferisce che il succitato Monsignore morì, a Martirano, dopo 14 anni di lodevole governo, il 18 giugno 1758.

“ Così”, prosegue il Casanova, compiangendo il povero vescovo che vi rimaneva, “sessanta ore dopo esserci arrivato, lasciai Martorano. L’arcivescovo di Cosenza, uomo intelligente e ricco, volle ospitarmi in casa sua. A tavola, feci con slancio le lodi del vescovo di Martorano, ma criticai spietatamente la sua diocesi e poi tutta la Calabria, con tanto mordente che l’arcivescovo fu costretto a riderne con tutti i suoi ospiti……..Partii dopo tre giorni di permanenza….feci tutto il viaggio con cinque figuri che avevano l’aria di essere corsari o ladri di professione. …….ritenni prudente dormire sempre con addosso i pantaloni: precauzione necessaria più che per proteggere il denaro, per proteggere qualcosa d’altro, in un paese dalle tendenze tutt’altro che raccomandabili come quello. Arrivai a Napoli il 16 settembre 1743……”

Quante se ne fanno, quante parole, a cervello non ancora avviato, si dicono pur di strappare un sorriso! Quale confusione! Le reminiscenze dei Classici, il mare Ausonium e forse gli “amores insanes caprini” hanno condizionato tantissimo la costruzione del racconto d’un viaggio che forse non è mai stato realizzato!

Interpelliamo Padre Francesco Russo, lo studioso della Chiesa sulla cui oculatezza e rigore storico non credo ci sia da ridire; ecco cosa scrive ne “La diocesi di Nicastro” elencando i vescovi della diocesi di Martirano, arrivato al quarantacinquesimo: “ 1743-1758. Bernardino de Bernardis, da Fuscaldo, dei Minimi di S. Francesco di Paola. Nacque il 27 maggio 1699 da Giovanbattista e da Teodora Ferrari. Entrato nell’Ordine dei Minimi e recatosi a Roma divenne Lettore Giubilato e Reggente dello Studio di S. Francesco di Paola ai Monti, Esaminatore sinodale del clero romano e teologo del Card. Annibale Albani. Si distinse anche come valente oratore a Venezia e nelle principali città d’Italia.

Dal 1739 al 1743 fu teologo del re di Polonia, Segretario della Regina e Luogotenente Generale del Principe Palatino di Wratislavia. Ma non fu mai a capo della Diocesi di Varsavia, come erroneamente afferma il Lattari. Il 16 dicembre del 1473 da Benedetto XIV fu promosso Vescovo di Martirano e consacrato dallo stesso Papa il 22 dello stesso mese. Avendo avuto nel frattempo alcuni incarichi, pervenne in Diocesi solo il 28 ottobre 1744……Dopo 14 anni di lodevole governo stava per essere promosso alla sede vescovile di Rossano; ma fu prevenuto dalla morte il 18 giugno 1758…” Agl’inizi del secolo XX, “casanovista convinto”, Salvatore di Giacomo raggiunge, a Fuscaldo, due discendenti diretti del vescovo di Martirano, Battista ed Eugenio de Bernardis, “piccoli proprietari, in quel piccolo paese.”

Il primo dei due, tutto preso da problemi inerenti l’attività agricola, non si fece pregare allorchè gli furono “coraggiosamente” richieste le ventitrè lettere, ancora conservate nella sua abitazione, appartenute all’illustre antenato. Di queste, ventuno erano state indirizzate da Bernardino al fratello maggiore Saverio Domenico nel periodo che va dal 1721 al 1744, una era stata spedita al Vescovo da un avvocato, Saverio Lupinacci, ed un’altra indirizzataGli a Napoli dal Cardinale Paolucci il 26 marzo 1744.

Dalla prima lettera, datata 5 aprile 1721, apprendiamo che il de Bernardis si trovava a Venezia, ma…. Casanova, all’epoca, non era ancora nato! In quella del 28 luglio 1739, il futuro vescovo di Martirano fa sapere al fratello che il giorno 8 dell’ “entrante mese”, ovvero di agosto 1739, sarebbe partito, da Roma, per la Polonia, facendo una breve sosta a Venezia. Il Cardinale Camerlengo Albani, continua, mi ha onorato con la patente di suo teologo, e mi accompagna con lettere di raccomandazione a quella Corte dove à del gran maneggio. Egli presentemente tiene qui in sua casa il Principe Reale figlio di S.M. (il diciassettenne Federico Cristiano, figlio di Federigo Augusto, re di Polonia) , e così potete considerare la benemerenza che à con quella Corte….” A questo punto, vista la considerazione in cui era tenuto Annibale Albani, mi chiedo se può rispondere a verità quanto la Zanetta nella lettera, peraltro mai ritrovata, avrebbe comunicato al caro figliolo!

L’ultima lettera da Varsavia reca la data del 13 febbraio 1742. Ritroviamo il nostro Bernardino a Venezia, da dove, il 31 agosto 1743, ovvero circa una settimana dopo aver cominciato a risentire “il caldo italiano”, comunica al fratello che deve fermarsi a Napoli, tra l’altro, per consegnare un regalo della Imperatrice Guglielmina Amalia all’augustissima nipote Maria Amalia, moglie di Carlo III, nelle sue proprie mani.

Fu forse in quel periodo che il diciottenne Casanova s’inginocchiò, accompagnato dall’abate Grimani, davanti al de Bernardis? Però, anche qui c’è qualche “imprecisione”, nel 1743 Bernardo aveva quarantaquattro anni e non dieci di meno, come asserisce il Casanova e poi quel bel monaco non portava ancora “sa croix” di vescovo. Infine, come si evince dalla corrispondenza col fratello, don Bernardino si fermò ancora per qualche mese a Venezia, mentre Casanova asserisce che già il sei settembre 1743 il “monsignore” sarebbe partito per Martirano.

Il 5 novembre, come si desume da un’altra lettera, don Bernardino è a Roma, ma non è stato ancora consacrato vescovo. Il 3 dicembre 1743 comunica a Domenico di essere stato esaminato in presenza di Benedetto XIV, il quale lo interrogò e lo lodò pubblicamente…” La consacrazione avverrà probabilmente o il giorno di San Tomaso o domenica 22 corrente. Il 31 dicembre, dopo avere informato il fratallo che sarebbe partito per Napoli verso la fine di gennaio, il neo vescovo così continua: “ Sua Eccellenza il signor Duca di Sales, primo ministro della maestà del nostro Re, mi ha risposto con infinita cortesia e mi ha assicurato che sarò ben ricevuto dal Re a riguardo della Maestà del Re di Polonia che mi ha raccomandato al Papa perché io fossi provvisto del vescovado di Martirano….”

Nel passaggio di stato monaco-vescovo operarono “catalizzatori” ben più possenti di Zanetta! Quattordici giorni dopo il vescovo de Bernardis comunica al fratello che, dopo un periodo di permanenza piuttosto lungo a Roma e poi a Napoli, “….Venendo a Martirano condurrò meco un cappellano, un cameriere, due servitori, e a Napoli mi provvederò d’un buon cuoco che saprà farmi da mangiare…” Come si vede, non accenna, nel modo più assoluto ad un segretario del Vescovo.

La permanenza di Bernardino a Napoli si protrasse per varie motivazioni, non ultime la consegna del dono alla Regina e l’exequatur che il Re concesse il 28 febbraio 1744. Ricordando quanto dice Padre Russo, Monsignor Bernardino si insediò a Martirano il 28 ottobre 1744.

Molti, dunque, in accordo anche con quanto dice Giacomo Roberto Musì nel suo saggio su Casanova in Calabria del 1998, sono i dubbi che restano circa i veri rapporti, ammesso che ci siano stati, tra Casanova, Zanetta e de Bernardis ed il viaggio di Casanova in Calabria. Ma, si potrebbe obiettare, perché proprio Martirano? Perché Monsignor de Bernardis? Molte sono le crepe, le imprecisioni, le date che non coincidono, tante le persone estranee ai fatti!

Giacomo Casanova probabilmente non è mai stato a Martirano, però dobbiamo ammettere che ha saputo ben architettare e rendere digeribile ai lettori il suo racconto realizzato utilizzando vari elementi, di varia provenienza che ritornavano mano mano alla sua mente. Noialtri italiani, quando ci troviamo fuori dall’Italia ci riconosciamo in modo del tutto naturale ed inspiegabile. Zanetta sarà stata attratta dal “beau moine” o forse, siamo nel secolo XVIII, più dalle sue prediche, dalla sua facilità di linguaggio. Non le fu difficile, in Polonia, dove probabilmente frequentavano i medesimi ambienti, raccogliere informazioni sul monaco, o conoscerlo di persona e soddisfare il suo naturale senso di curiosità, avrà saputo, forse per bocca dello stesso Bernardino, della sua nomina a vescovo, della sua destinazione e, probabilmente, sono mie umili, non condivisibili supposizioni, avrà invitato il figliolo a presentarsi al de Bernardis per conoscerlo, al suo rientro, a Venezia.

I due si saranno incontrati, sempre a Venezia, il futuro pastore avrà informato il Casanova circa le condizioni del suo gregge e le difficoltà che avrebbe incontrato nella sua Calabria, cose tutte ben note, il Pacichelli, nel medesimo periodo, pur ricordando l’antico splendore, riconosce lo stato di decadenza di Martirano nel ‘700.

Tutti questi elementi, le sue reminiscenze dei classici latini e greci, magistralmente mescolati, conditi con un pizzico di storia, filtrati attraverso una fantasia ancora fervida che purtroppo, non tenne conto dell’esattezza delle date, della giusta collocazione e successione degli eventi.

Un conflitto tra fantasia e memoria da cui si evince che, forse, Casanova non ha mai messo piede a Martirano!

Da martiranese, io vorrei, molto indegnamente, unire la mia voce a quella del grande Franco Berardelli, martiranese, che nel suo articolo “La Calabria nel giudizio di un avventuriero del settecento” così dice: “Ed ora difendo la mia Martirano, la vetusta e gloriosa Mamerto, ove i miei morti riposano…..”

Gaspare Caputo

fonte

La nostra Italia-Martirano Lombardo I parte

Profilo storico geografico e sociale di Martirano Lombardo

veduta panoramica di Martirano LombardoQuesto centro abitato é sorto dopo che il terremoto dell’8 settembre 1905, con una violenza dell’XI° grado della scala Mercalli aveva devastato l’antica Martirano, paese dalla storia bimillenaria che taluni hanno identificato con la gloriosa Mamerto di cui parla Strabone, Livio e Plutarco. Il bilancio dell’evento sismico fu abbastanza pesante anche se non della portata spaventosa di quello subito nel marzo del 1638 quando si ebbero ben 517 vittime; si contarono 17 morti, molti feriti, numerose famiglie senzatetto, parte del paese ridotto ad un cumulo di macerie o di ruderi pericolanti. Crollarono o si resero inagibili anche alcuni edifici simbolo del paese tra cui la cattedrale costruita al tempo dei Normanni per volere di Roberto detto il Guiscardo, e l’antico palazzo vescovile. Sul luogo del disastro accorsero autoritá civili e militari di ogni parte d’Italia che organizzarono i primi soccorsi alla cittadinanza sinistrata ed in preda al panico. A distanza di pochi giorni Martirano ebbe la visita del cardinale Gennaro Portanova ( arcivescovo di Reggio Calbria ) e quella del re d’Italia Vittorio Emanuele III°, di cui si conserva ancora una storica foto. Considerato il susseguirsi di questi tragici eventi il consiglio comunale pro-tempore, presieduto da don Lorenzo de’ Medici, “deliberó la soppressione del paese stabilendo che il nuovo abitato sorgesse nella contrada Piano dell’Orvi presso le falde del monte Molinara”; cosí leggesi in una pregiata ricerca effettuata dal prof. Francesco Rocca pubblicata dalla Temese editrice nel 1989 dal titolo “Martirano Lombardo storia di una cittá nuova”.

Fu su questa premessa che il comitato milanese di Soccorso, presieduto dal senatore Ettore Ponti e costituito da autorevoli personalitá del mondo politico e tecnico della Lombardia, con grande spirito di solidarietá e di patriottismo e con una consistente donazione di fondi avvió la progettazione e la costruzione del nuovo centro urbano che poi in omaggio e per gratitudine alla generosa terra lombarda fu battezzato Martirano Lombardo.

Attingendo sempre alla predetta pubblicazione sappiamo che l’impresa Perucchetti, su progetti e piano regolatore redatti dagli ingegneri milanesi Mario Fiazza, Augusto Broggi e Cesare Nava, che curó anche l’andamento tecnico ed amministrativo dei lavori, giá ai primi di ottobre del 1907, in tempi evidentemente molto rapidi, aveva costruito n. 47 case da due famiglie, n 10 da otto famiglie e n 2 da sedici famiglie e “quindi in complesso abitazioni per 206 famiglie giusta il programma prefissato dal Comitato milanese” oltre ad un asilo infantile ed un ospedale a due corsie e servizi finanziato dal comune di Busto Arsizio.

La data d’inaugurazione del nuovo paese oggi “ridente sul pendio”, come canta il poeta martiranese Franco Berardelli, fu immortalata in una pergamena, firmata dalle Autorità presenti tra cui il ministro Lacava, opera del prof. Guido Tirozzo dell’ Istituto tecnico di Catanzaro che cosí recita: áLa vetusta Martirano, abbattuta dal terremoto dell’8 settembre 1905, riedificata qui da un Comitato milanese, inaugurata solennemente oggi 23 ottobre 1907, risorge alla fede d’Italia ed alla fratellanza dei popoliá.

La tipologia delle case del nuovo abitato si uniformó ai criteri prestabiliti in un apposito piano regolatore che prevedeva una “muratura in pietrame rinforzata da una ossatura di legno e da catene di ferro” e inoltre l’uniforme collocazione dei fabbricati lungo linee simmetriche, a congrua distanza tra loro, dotati ciascuno di un comodo giardino e per quanto riguarda la tecnica di costruzione dei medesimi il piano s’ispiró ai criteri antisismici vigenti nel tempo.

Costruito il nuovo agglomerato urbano molto rimase da fare per dotarlo di quelle strutture e di quei servizi che caratterizzano oggi l’assetto urbanistico di questa graziosa cittadina. Il trasferimento della sede municipale in Martirano Lombardo e la conseguente retrocessione di Martirano a frazione avvenne in seguito ad un atto deliberativo, superiormente approvato, del 29 maggio 1929 del commissario per la straordinaria amministrazione del Comune cav. Antonio Vecchio originario di Ioppolo.

Fu questo un evento certamente doloroso che suscitó sentimenti di frustrazione e di rancore tra la popolazione della vecchia Martirano che esplosero nella notte del 17 novembre 1929 quando da ignoti furono dati alle fiamme atti, registri e suppellettili di notevole valore giuridico e storico esistenti nella sede del Comune. Questi furono i precedenti che alla base di continui dissidi ed antagonismi, turbarono per quasi mezzo secolo la vita dei due paesi fino a quando Martirano, con legge 13 dicembre 1956, n 1348 del Parlamento italiano, non fu eretta a comune autonomo appagando cosí una legittima aspettativa della sua cittadinanza.

Rimase aperto il problema della divisione territoriale, di cui si occuparono succesivamente, ma in maniera sempre controversa, il Consiglio comunale, l’ufficio tecnico erariale, il genio civile, il Consiglio provinciale ed infine il Consiglio di stato su ricorso dei cittadini di Martirano Lombardo. Questo Comune ha una estensione di 1984 ettari con una popolazione di 1500 abitanti; il suo territorio, che a sud tocca il monte Mancuso e a nord il fiume Savuto é costituito, salvo pochi tratti pianeggianti, di colline e declivi che dolcemente digradano a valle a forma di anfiteatro. In gran parte il territorio é coperto da boschi che rendono particolarmente suggestivo il paesaggio. Le sue acque sono salutari, particolarmente rinomata quella della fonte del “Burrone”, l’aria balsamica anche per la presenza di numerosi giardini e di viali che ornano le strade del centro abitato.

A Martirano Lombardo vengono riconosciute delle buone prospettive turistiche grazie al notevole patrimonio recettivo, di cui dispone, ai suoi soddisfacenti servizi, ai facili collegamenti col mare, con le montagne (Mancuso, Sila, Reventino) e coi paesi vicini ed infine per quella pace bucolica che si racchiude fra la terra quasi sempre ammantata di verde ed il suo cielo trasparente che é forse il piú grande dono di un paese montano per i ritmi frenetici e stressanti della vita odierna.

Chi visita Martirano Lombardo non puó non ammirare alcuni edifici nobiliari ricchi di ricordi, la fine architettura delle sue case mentre una visita d’obbligo merita la chiesa del sacro cuore di Gesú edificata ai tempi dell’amministrazione Michele Berardelli con l’utilizzo di maestranze locali ed aperta al culto nel 1937. In essa si possono osservare con interesse la grande statua in legno che occupa la parte centrale dell’abside donata dalla nobil donna Serafina Berardelli, la statua dell’Assunta, dono di donna Eleonora Nigro moglie di Sebastiano Berardelli primo podestá di Martirano Lombardo. L’ampio soffitto é dominato dai dipinti di ottimo effetto stilistico ed espressivo eseguiti a cura e spese dell’ing. Alessandro de’ Medici. Un quadro d’autore di notevole pregio artistico trovasi esposto sulla parete della navata destra della chiesa raffigurante un Cristo trionfante mentre di pregevole fattura si presenta ai fedeli l’altare centrale, opera recente dello scultore nicastrese Maurizio Carnevali. Una passeggiata riposante e suggestiva viene offerta dal viale dei Tigli con la sua spaziosa terrazza e la sua lussureggiante vegetazione.

Anche le nostre contrade rappresentano interessanti itinerari turistici, mentre una menzione particolare merita la frazione Pietrebianche con le sue casette linde emergenti dai colli, con la sua caratteristica piazzetta circolare da cui, con una piacevole escursione, é facile raggiungere localitá Bombarda ove, a cura del corpo forestale dello stato, é stata creata un’area attrezzata di notevole interesse turistico e sportivo.

Ma al di sopra di ogni cosa a chi giunge e soggiorna a Martirano Lombardo non possono sfuggire la bontà e l’ospitalità dei suoi abitanti che hanno saputo conservare il valore delle loro migliori tradizioni ed “il calore dei piú profondi sentimenti umani forse per una innata voglia di amare e di essere amati”.

Vincenzo Scalese

http://www.martiranolombardo.info/storia.asp

continua