Amianto killer alla Breda, contributi negati a 19 operai

Amianto killer alla Breda, contributi negati a 19 operai

La decisione dell’Inail

 

Alla Breda Fucine ci sono stati più di cento morti per malattie derivanti dall’amianto: ex operai ma anche alcuni familiari, soprattutto le mogli che lavavano le tute dei mariti
di Laura Lana

 
Le proteste dei "Bredini" (Spf)

Le proteste dei “Bredini” (Spf)

di Laura Lana

Sesto San Giovanni, 15 maggio 2013 – A due mesi di distanza, gli ex bredini si trovano ancora al punto di partenza. Ancora una volta saranno sotto la sede regionale dell’Inail a manifestare contro il mancato riconoscimento dei contributi previdenziali per gli ultimi ex lavoratori della Breda Fucine che hanno subìto l’esposizione all’amianto. Per tutta la mattina il «Comitato per la difesa della salute nei luoghi di lavoro e nel territorio» sarà in strada a Milano con una «forte e rumorosa protesta».

«Faremo sentire forte la nostra voce e la nostra presenza anche con forme di lotta eclatanti – annuncia il portavoce Michele Michelino -. Alla Breda Fucine ci sono stati più di cento morti per malattie derivanti dall’amianto: ex operai ma anche alcuni familiari, soprattutto le mogli che lavavano le tute dei mariti». Eppure solo a pochissimi ex lavoratori è stata riconosciuta la malattia professionale e l’esposizione alla fibra killer. «Ad altri che lavoravano nella stessa fabbrica, nello stesso capannone, con la stessa mansione a un metro di distanza l’uno dall’altro, come i saldatori, e che erano divisi solo da una riga gialla che delimitava il reparto, l’Inail continua a negare la certificazione di esposizione all’amianto». Una battaglia fatta di metri lineari di documentazione prodotta e inviata all’Inail e di sentenze già passate in giudicato contro l’Inps che riconoscono l’esposizione al materiale.

«Dopo mesi di proteste e di trattative, in cui l’Inail si era dichiarata disponibile a risolvere il contenzioso sui benefici previdenziali per le ultime 19 ex tute blu, è arrivata la risposta negativa», commenta amareggiato Michelino. Per l’ente, le «sentenze prodotte non sono confortate da atti a valenza probatoria (rilevazioni, indagini ambientali, fatture di acquisto)». «Eppure i diversi processi attivati hanno evidenziato proprio quelle che per l’Inail sono mancanze, riconoscendo le ragioni dei lavoratori», rimarca il portavoce del comitato sestese. Che non si arrende e promette di continuare in quella che è «una battaglia di civiltà, per ristabilire un po’ di equità, portando avanti diritti fino a oggi negati». Chi è stato esposto all’amianto, oltre a rischiare la contrazione di patologie correlate, deve anche fare i conti con un’aspettativa di vita minore di circa dieci anni rispetto al resto della popolazione. Proprio per questo, la legge prevedeva sorveglianza sanitaria gratuita e un «risarcimento»: i benefici previdenziali che permettevano di andare in pensione un po’ prima.

«L’Inail è l’ente che deve riconoscere e indennizzare le malattie professionali derivanti dall’amianto – ricorda Michelino -. È stato stimato che l’ammontare delle disponibilità liquide parcheggiate nella tesoreria di Stato dall’ente sia di 17 miliardi di euro. Il nostro comitato, insieme a tutte le associazioni delle vittime, da anni chiede di istituire un organismo terzo, che possa certificare il danno e le malattie professionali».

laura.lana@ilgiorno.net

Inps nega accompagnamento, la 56enne è morta da cinque mesi

Michelina Bruschetta, ferma su una sedia a rotelle dopo un tumore aveva fatto domanda di pensione d’invalidità all’Inps. La risposta, negativa, è arrivata mercoledì, a 5 mesi dalla morte della donna

SStoria paradossale quella di Michelina Bruschetta, 56 anni, alla quale l’Inps ha negato la pensione di invalidità a cinque mesi dalla morte.

Qualche anno Michelina, ex parrucchiera di Silea conosciutissima a Treviso, era stata colpita da una particolare forma di tumore, causato dalle polveri di amianto contenute, un tempo, in alcuni prodotti di parrucchieria.

La serie di chemioterapie alla quale si era sottoposta avevano debilitato Michelina al punto da costringerla su una sedia a rotelle. Grazie all’assistenza del suo legale, la donna era riuscita a ottenere le agevolazioni previste dall’Inail per le malattie professionali e, in seguito, aveva deciso di chiedere anche la pensione di invalidità.

A marzo scorso Michelina si era sottoposta alla visita della commissione medica ed era rimasta in attesa. Cinque mesi fa, però, l’ex parrucchiera si è spenta, prima che arrivasse la risposta dall’Inps.

Esito arrivato solo mercoledì e, paradossalmente, negativo: per l’Inps Michelina non meritava l’accompagnatoria perché non era affetta da una patologia invalidante.

trevisotoday.it

Incidenti in bici: l’Inail non rimborsa se su pista ciclabile

Per ottenere l’indennizzo è necessario che l’incidente non avvenga in percorsi protetti e che l’uso della bici sia dovuto a insufficienza di mezzi pubblici e a una distanza casa-lavoro non percorribile a piedi. Il rimborso viene effettuato anche nei casi di bike sharing

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La mobilità sta cambiando, è sotto gli occhi di tutti. A partire dalle pedonalizzazioni – sempre più frequenti – passando per la chiusura al traffico dei centri delle città, come nel caso di Area C a Milano, il tema della sostenibilità degli spostamenti sta diventando sempre più rilevante.

E le persone hanno cominciato ad adattare i loro stili di vita a queste nuove norme. L’uso delle biciclette, ad esempio, è aumentato in città e la conseguenza è stata un innalzamento delle richieste di indennizzo all’Inail per incidenti occorsi in strada.

In materia, l’Inail si è espresso abbastanza chiaramente lo scorso novembre con il provvedimento Infortunio in itinere – utilizzo del mezzo privato (bicicletta): «la valutazione sul carattere “necessitato” dell’uso di tale mezzo di locomozione, per assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto e per la non percorribilità a piedi del tragitto, considerata la distanza tra l’abitazione ed il luogo di lavoro, costituisca discrimine ai fini dell’indennizzabilità soltanto quando l’evento lesivo si verifichi nel percorrere una strada aperta al traffico di veicoli a motore e non invece quando tale evento si verifichi su pista ciclabile o zona interdetta al traffico».

Tradotto: un infortunio in bicicletta che avvenga durante il percorso casa-lavoro di un individuo è indennizzabile solo se avviene su “una strada aperta al traffico di veicoli a motore” e non su “piste ciclabili o zone interdette al traffico”.

Inoltre, si può chiedere un rimborso solo se il lavoratore è stato costretto a utilizzare la bicicletta per mancanza di altri mezzi di trasporto (inclusi quelli pubblici) e se la distanza che lo separa dall’ufficio non sia percorribile a piedi.

Per quanto riguarda la particolarità del bike sharing, l’Istituto si è espresso sostenendo che non c’è differenza sulla proprietà della bicicletta, considerando che “l’appartenenza del veicolo è secondaria rispetto alla possibile indennizzabilità dell’infortunio” (art. 12 D.Lgs. n.38/2000) e che la bici in affitto non può essere considerata come un “mezzo pubblico”. Pertanto, la regolamentazione è da considerarsi valida anche per il bike sharing.

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MORTI SUL LAVORO E DI LAVORO.

Nel mese di marzo 2011 l’Inail ha reso noto i dati sui morti sul lavoro. Dai dati risulta che nel 2010 ci sono state 980 vittime, e che la soglia scende sotto le mille unità l’anno. Gli “incidenti” si attestano a quota 775mila: 15mila in meno rispetto all’anno precedente (-1,9%). I dati sarebbero frutto di “elaborazioni condotte attraverso criteri statistici previsionali sulla base di dati amministrativi rilevati dagli archivi gestionali dell’ente che tuttavia hanno ancora un carattere ufficioso”.Intanto dall’inizio dell’anno ad ora (secondo Associazione art. 21) per lavoro ci sono stati 255 morti, 6.378 invalidi e 255.144 infortuni.

Anche prendendo per buoni i dati INAIL, non c’è affatto da esserne soddisfatti.