L’ERBA HA VOGLIA DI VITA

Copertina_libro

C’è un libro (L’ erba ha voglia di vita) che racconta in maniera puntigliosa la vita di fabbrica in quegli 50 e 60. L’ha scritto Gabriele Bortolozzo, ex-operaio del petrolchimico, morto nel ’95 in un incidente stradale. Lui, lavorando per anni alla raccolta dati e testimonianze, è l’uomo che ha messo le basi per il processo che si sta celebrando a Mestre, quello sulla strage di operai avvelenati dal cloruro di vinile. Bortolozzo racconta quando alla Sicedison ogni operaio era un numero e le comunicazioni erano indirizzate, per esempio “al Sig. 919”. Di quando entrare in fabbrica e trovare il cartellino da timbrare (“la pagella”) segno di guai in arrivo.

Il venerdì di “La Repubblica“, 10 luglio 1998


L’aula del tribunale è affollata…va a ruba soprattutto il libro “L’erba ha voglia di vita” di Gabriele Bortolozzo.

Il Corriere della Sera“, 15 novembre 1997

Gabrile Bortolozzo

Gabriele Bortolozzo nasce a Campalto-Venezia il 29-9-1934. E’ entrato al Petrolchimico il 16/01/1956. E’ andato in pensione nel 1990. E’ stato obiettore di coscienza alle lavorazioni chimiche riconosciute cancerogene. Ha lavorato col gruppo di SMOG E DINTORNI dal tempi della fondazione fino ai primi anni ‘80. Ha collaborato con le riviste AAM Terra Nuova, Tam Tarn Verde, Tera e Aqua. Nel 1982 è stato tra i fondatori della cooperativa Tra Terra e Acqua, per il recupero ad uso civile dei forti della Terraferma e del territorio veneziano. Ha aderito al Movimento Consumatori fin dai primi tempi, con fattiva partecipazione all’attività. Ha organizzato gite in bicicletta sul territorio veneto col Gruppo Ciclobotanico e poi, dal 1988, col gruppo Amici della Bici di Mogliano Veneto (ora Amici di Gabriele Bortolozzo). Dal 1990 al 1994 è stato di supporto al gruppo provinciale Verde tenendo i contatti con i gruppi ambientalistici come Greenpeace e Medicina Democratica. E’ stato il referente locale di Medicina Democratica dal 1985 in poi, organizzando iniziative, sottoscrivendo decine di esposti e denunce e collaborando come autore di diversi dossier su problemi ecologici. Ha collaborato col gruppo di controinformazione sulla chimica Coorlach e col sindacato autonomo ALCA dal 1988 al 1994. Ha presentato numerose denuncie alla Magistratura su temi ambientali ed è stato l’iniziatore della campagna contro lo scarico in Adriatico dei fanghi Montedison. Ha sollevato, per primo in Italia, il problema dello stoccaggio, spedizione all’estero, smaltimento e occultamento dei fusti tossici e nocivi. Nel 1994 ha pubblicato su Medicina Democratica un dettagliato dossier sulle morti e malattie da CVM al Petrolchimico di Porto Marghera. Nello stesso anno ha presentato un esposto al PM Casson, il quale ha dato il via alle indagini che hanno portato al processo contro i dirigenti Montedison ed Enichem. E’ deceduto il 12-9-1995 a Mogliano Veneto-TV, in seguito ad incidente stradale.

MORTALITÀ DA CVM E PVC A PORTO MARGHERA

 

Rapporto scritto da Gabriele Bortolozzo)

Il cloruro di vinile monomero (cvm) è una sostanza chimica riconosciuta cancerogena dall’Organizzazione mondiale della sanità (Onu) e dalla Cee (direttiva 83/467), mentre c’è il fondato sospetto, da parte di un settore della scienza medica, che lo sia anche il polivinilcloruro (pvc).

La polimerizzazione è il processo chimico che trasforma, con modeste aggiunte di additivi per dare le caratteristiche volute al prodotto finito, tutto il cvm in pvc.

Il pvc è una materia plastica di vasto uso e di variegate applicazioni pratiche nella moderna società dei consumi.

Che il cvm fosse cancerogeno i lavoratori addetti al settore sono venuti a saperlo nel 1973, ma c’è il fondato sospetto che già da molti anni la realtà venisse nascosta per i grossi interessi economici che le materie plastiche, in una fase di estrema espansione commerciale, rivestivano. A livello mondiale, sono stati i medici dell’Urss che per primi, a fine degli anni quaranta, hanno cominciato a parlare della nocività del cvm.

Nei luoghi di lavoro, a Porto Marghera come altrove, si operava in mezzo a nuvole di cvm, gas incolore e inodore, leggermente dolciastro ad una certa concentrazione e dagli effetti apparentemente etilici. Inoltre, i lavoratori erano esposti alla polvere di pvc, ancor più deleteria quella prodotta con la polimerizzazione in emulsione, per la bassa granulometria che la rendeva estremamente volatile.

Come da varie fonti bibliografiche, la forma acuta di malattia da esposizione a vapori di cvm nell’uomo è caratterizzata da malessere generale, stordimento, cefalea, nausea, astenia, vomito e brividi. Se l’esposizione ad alte concentrazioni si prolunga compaiono perdita di coscienza, disturbi cardiaci e respiratori che possono condurre a morte. L’intossicazione cronica è quella che più facilmente si osserva in lavoratori professionalmente esposti a cvm, caratterizzata da alterazioni del sistema nervoso centrale e periferico, da disturbi angioneurotici, dello scheletro, della cute, dell’apparato digerente e del sistema emopoietico. I disturbi nervosi sono i primi a manifestarsi, con vertigini, sensazioni di formicolio agli arti, pesantezza alle gambe, insonnia, diminuzione della memoria. I nervi periferici possono essere interessati da un processo di fibrosi, con ispessimento sclero-ialino del perinervio, atrofia e degenerazione delle neurofibrille. In alcuni lavoratori, che spesso durante i mesi invernali soffrono di freddo alle mani e geloni, può instaurarsi una sindrome di Raynaud, preceduta da prurito, sensazioni di freddo, mani esangui, bianche, formicolii, crampi e parestesie. Successivamente si manifestano disturbi vasomotori, con crisi di pallore o accessi ischemici alle dita delle mani. Lo strato epidermico può presentarsi iperplastico, con zone di ipercheratosi; il derma presenta una sclerosi distrofica diffusa della zona papillare fino agli strati profondi. Sono contemporaneamente presenti lesioni ossee delle dita, caratterizzate dalla comparsa di zone di osteolisi alle falangi distali ed interessamento delle articolazioni interfalangee. Negli esposti al cvm si può instaurare una alterazione del metabolismo proteico, infine un’epatite cronica, con epatomegalia ed alterazioni degli indici di funzionalità epatica (Suciu e coll. Med Lav, 58, 261-271, 1967).

Il prof. Giovanbattista Bartolucci, di Medicina del lavoro dell’università di Padova, che ha seguito l’indagine epidemiologica del 1975 tra gli addetti al cvm di Porto Marghera e che è stato medico legale in alcune vertenze giudiziarie per il riconoscimento di malattia professionale da cvm, sostiene che “in definitiva il cvm presenta una pluripotenzialità tossica, e la malattia si può manifestare in maniera più o meno completa in rapporto a livelli e durata dell’esposizione. Ma è sicuramente la scoperta della capacità oncogena del cloruro di vinile che ha polarizzato l’attenzione su questo monomero”.

In una monografia del 1987 della Iarc (International Agency for Research on Cancer) di Lione, dell’Organizzazione mondiale della sanità (Onu), il più importante organismo scientifico internazionale che promuove ed esamina criticamente gli studi sui cancerogeni umani, viene riportato quanto segue: “Il cloruro di vinile è stato associato con tumori al fegato, cervello, polmone e sistema emopoietico. Un largo numero di studi epidemiologici e di case-reports ha confermato l’associazione causale tra cvm e angiosarcoma del fegato. Numerosi studi confermano anche che l’esposizione al cvm causa altre forme di cancro, come ad esempio, carcinoma epatocellulare, tumori al cervello, tumori polmonari, e tumori maligni del sistema linfatico ed emopoietico”.

Il cvm provoca quindi uno specifico tumore, l’angiosarcoma epatico; il cvm, e il pvc, hanno anche un’alta incidenza di tumore ai polmoni, laringe e cervello. Sintetizzando, la tossicità del cvm si manifesta nei seguenti quadri morbosi:

  • acrosteosi: rarefazione del tessuto osseo in corrispondenza delle falangi delle dita;

  • piastrinopenia: diminuzione nel sangue del numero delle piastrine, elementi deputati alla coagulazione del sangue;

  • alterazioni epatiche: fibrosi, ipertensione portale, alterazioni degli indici di funzionalità epatica, ecc;

  • microangiopatia periferica, con sintomatologia del tipo malattia di Raynaud (mano fredda).

Il pvc non è innocuo come vogliono far credere le industrie produttrici, con dibattiti sostenuti dai sindacati, con campagne propagandistiche svolte nelle scuole. Quando si parla di materiali plastici in pvc bisogna sempre far riferimento ai costi umani e sociali che provoca la sua produzione, lavorazione e, successivamente, incenerimento, con emissione di diossina.

Da ricerche svolte da un gruppo di lavoro dell’università di Cagliari (Enrico Dessy e altri – 1980), “il pvc non si comporta come un materiale inerte, bensì come una sostanza biologicamente attiva che esplica un’azione nociva sui tessuti…”, arrivando “in tempi lunghi, all’insorgenza di neoplasie mesenchimali maligne nelle sedi di impianto addirittura di tumori maligni diversi in vari distretti organici”.

Il 16 giugno 1989, al convegno “Ambiente di lavoro e salute”, patrocinato dalla regione Veneto e Uls 16, il responsabile dell’infermeria del Petrolchimico di Porto Marghera, Salvatore Giudice, dichiarò che la mortalità e i tumori tra gli addetti al cvm della fabbrica erano inferiori all’attesa, prendendo come riferimento sia la media nazionale che quella regionale. La stessa tesi appare poi nel volume “Ambiente di lavoro e salute”, del 1990, nel capitolo “Sorveglianza sanitaria dei lavoratori esposti a cvm – L’esperienza del servizio sanitario Montedipe di Marghera”, steso dai medici Salvatore Giudice, Alberto Salvador e Oscar Nardelotto.

Alla fine del 1989 l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) di Lione, dell’Organizzazione mondiale della sanità, eseguì uno studio sui 12.706 addetti al cvm-pvc di 19 impianti localizzati in quattro paesi europei: Inghilterra, Italia, Norvegia e Svezia. L’Italia dichiarò una mortalità del 5,29%, la Norvegia il 23,92%, la Svezia il 9,47% e l’Inghilterra il 16,2%.

R.Pirastu e collaboratori, in “La medicina del lavoro”, del 1991, su Porto Marghera dichiararono: “La mortalità per tutti i tumori è inferiore alle attese. Si osservano due casi di tumore epatico rispetto ad un valore atteso nazionale di 1,1 e regionale di 1,3…”.

Il “Notiziario Ist. Super. Sanità”, del 1992, riporta che a Porto Marghera, tra gli addetti al cvm e pvc, sono 26 (ventisei) i casi di “tutti i tumori”, su 1535 osservati.

La drammatica realtà vissuta dai lavoratori addetti alla filiera del cvm e pvc di Porto Marghera, ben diversa da quella “ufficiale”, ha creato i presupposti per una ricerca pubblicata nel n. 92/93 di “Medicina Democratica”.

L’infermeria del Petrolchimico di Porto Marghera, diventato un centro medico, sia sotto Montedison che Enichem non ha mai svolto un ruolo di reale e obiettivo controllo e informazione della salute dei lavoratori della fabbrica, e tantomeno ha svolto la dovuta prevenzione. In un documento datato 17/8/’82, il direttore del “Servizio di igiene e medicina del lavoro”, Usl di Marghera, Corrado Clini, dopo essersi posto la sconvolgente domanda “E’ possibile una epidemia ‘occulta’ di tumori nell’area di Marghera?”, affermava: “Le questioni relative alla protezione della salute all’interno del Petrolchimico sono da anni gestite in modo contraddittorio e spesso confuso, perché con troppa disinvoltura ed in troppe occasioni le parti sociali e gli stessi enti pubblici hanno accettato che la salute dei lavoratori potesse essere oggetto di trattativa politica e sindacale”. Nello stesso documento Clini sostenne di essere venuto a conoscenza di “segnalazioni” di una significativa “diffusione” “di forme tumorali a carico di lavoratori per i quali risulta positivo il rapporto tra esposizione pregressa e rischio ambientale di oncogenesi e manifestazione della malattia”, e “che il rischio di oncogenesi nell’area di Marghera è sicuramente rilevante: infatti nei diversi cicli produttivi sono presenti, anche in grandi quantità, almeno 8 tra le 18 sostanze chimiche riconosciute cancerogene dallo Iarc della Organizzazione mondiale della Sanità, e almeno 6 tra quelle riconosciute sospette” e che, in questo ambito, il Petrolchimico “costituisce la massima concentrazione di rischio nell’area industriale di Porto Marghera, con caratteristiche produttive che in particolare enfatizzano il rischio di oncogenesi per la quantità e la qualità delle sostanze chimiche impiegate”.

La ricerca di Medicina Democratica svolta a Porto Marghera ha riguardato tre gruppi di lavoratori del Petrolchimico, addetti rispettivamente alla polimerizzazione del cvm in emulsione, polimerizzazione del cvm in sospensione e insaccaggio del pvc. Per gli insaccatori si è voluto stendere una lista a parte perché dipendenti di imprese d’appalto, sotto le vesti di cooperative. I lavoratori delle imprese addetti all’insacco di resina pvc, dopo l’indagine epidemiologica del 1975, sono stati “esclusi dalle normativa perché non compresi nella zona sorvegliata”, come dichiarato da Medicina del lavoro – Uls 12 – di Marghera, nonostante vi sia una legge che obbliga le aziende a tenere un registro degli esposti in applicazione del dpr 962 (Gu 6/1/1983). Invece bisogna affermare con fermezza che quei lavoratori hanno sempre operato nel ciclo e nella zona produttiva del pvc, tra l’altro a volte impiegati all’essiccamento e autoclavi, luoghi di produzione del pvc; ci sono testimonianze che lo possono confermare. Purtroppo i lavoratori delle imprese d’appalto sono sempre stati oco tutelati dal sindacato, costretti a lavorare al limite della sicurezza.

I tre gruppi di addetti oggetto della ricerca di Medicina Democratica erano composti da 424 lavoratori su un totale di 1782. Erano i settori lavorativi dei quali si avevano notizie e dati esaurienti per una indagine il più approfondita possibile.

Dalla ricerca emerge:

  • tutti gli addetti colpiti da angiosarcoma erano stati esposti, prevalentemente, al cvm;

  • tra gli addetti all’insacco, esposti al pvc e al cvm, è prevalso il tumore alla laringe e ai polmoni;

  • tutti i colpiti da tumore alla laringe erano stati addetti all’insaccaggio del pvc.

Il periodico di comunicazione interna “Enichem notizie – Marghera” del settembre 1994, a pag. 4 pubblica “alcune precisazioni” sul cvm, con un vecchio prospetto dell’Istituto superiore di sanità, periodo di osservazione 1956-1985, nel quale appare che i deceduti di tumore al fegato a Porto Marghera sono stati due, su 1658 soggetti, senza, però, precisare che di quei due casi uno si riferisce al 1971 (Ennio Simonetto) e l’altro al 1973 (Augusto Agnoletto).

La ricerca svolta da Medicina Democratica ha confermato quanto già risultava a livello internazionale: la mortalità da esposizione al cvm si manifesta a lungo termine, fino ad arrivare ad una latenza di 20-30 anni e oltre. Il fattore regressivo da esposizione al cvm, per giustificare la mortalità tra gli addetti, come sostengono le aziende, i sindacati e Medicina del lavoro di Marghera, non ha valore assoluto.

Nell’indagine epidemiologica del 1975, promossa dalla Fulc e svolta da Medicina del lavoro dell’univerita di Padova, numerosi lavoratori ebbero le seguenti “conclusioni diagnostiche”: “Alterazione della funzionalità epatica nella cui genesi ha giocato un ruolo importante la esposizione a cloruro di vinile. Opportuno evitare la esposizione a cloruro di vinile”. L’esplicito invito di allontanamento dall’esposizione di una sostanza chimica cancerogena, per non aggravare ulteriormente la salute del lavoratore, venne ignorato dalla Fulc, dal servizio medico di fabbrica, da Medicina del lavoro di Marghera e dall’azienda Montedison. Tra le decine di lavoratori che nel 1975 ebbero quella sconvolgente “conclusione diagnostica” la quasi totalità ha finito di vivere precocemente a causa del cvm. La portata di questa realtà si spera emerga dall’indagine in corso della magistratura sulla mortalità da cvm e pvc a Porto Marghera.

Attualmente, 1995, al Petrolchimico di Porto Marghera si producono ogni anno 240mila tonnellate di cvm e 160mila tonnellate di pvc (polimerizzazione in sospensione). Il rimanente cvm, 80mila tonnellate, viene destinato alla spedizione.

Certamente le condizioni di lavoro in fabbrica sono migliorate, per merito delle lotte operaie, ma si continua a morire per cause direttamente collegate al cvm e pvc. Una diffusa paura serpeggia, ormai da vent’anni, tra le centinaia di lavoratori di Porto Marghera che lavorano o hanno lavorato il cvm e il pvc; a distanze quasi regolari, in relazione al “tempo di latenza”, arriva e si diffonde la notizia: un altro lavoratore è morto di angiosarcoma.