I segreti di Linus

Charlie Brown in Italia

di ENRICO REGAZZONI

<B>I segreti di Linus<br>Charlie Brown in Italia</B>

Una copertina di Linus

DISEGNARE topi. Nella multiforme attività di Giovanni Gandini – indimenticabile padre della rivista Linus, scomparso nel febbraio del 2006 – questa era un’occupazione non marginale (aggettivo che gli avrebbe strappato un sorriso). Topi fantastici e rarefatti, tenuti a malapena insieme da un filo di matita. Topi ironici, malinconici e affettuosi (non a caso, fra i necrologi apparsi sul Corriere, all’indomani della sua morte, ce n’era uno che diceva: “Tutti i topi del mondo piangono e ringraziano…”). E tale attitudine, come del resto ogni altra, era per lui anche un’occasione per entrare e uscire di scena, mascherarsi e smascherarsi, contrastare gli anni che passano, corteggiare l’aspetto giocoso della vita.

Da un lato era capace di illustrare con i suoi topi l’edizione di un suo libro (come Caffè Milano, raccolta di pezzi dell’omonima rubrica da lui tenuta sui quotidiani milanesi, edita nel 1987 da Scheiwiller), firmando i disegni con lo pseudonimo di Carlo Staminski; dall’altro, non esitava ad autodenunciarsi con una specie di biglietto da visita che recitava: “Si eseguono topi su ordinazione: per nozze, onomastici, pensierini, amore, sarcasmo, ringraziamento, protesta, affetto, scuse, nascite, nonni, stanza dei bambini, merendine, inviti, fidanzamenti, sport, promozioni, moda, portafortuna…”.

Bene, ora la bozza di questo biglietto da visita è traslocata insieme ai relativi topi e a tutto l’archivio di Gandini (nove scatoloni e sei cartelle di materiale grafico, più 33 scatole di volumi) all’Università Statale di Milano. Al Centro Apice, per l’esattezza, che si è dato il meritorio compito di conservare, organizzare e valorizzare “quei fondi archivistici e bibliografici che per rarità e completezza possano servire alla storia dell’editoria libraria e periodica” (sono stati già acquisiti, fra gli altri, il Fondo Scheiwiller, la Collezione ‘900 Sergio Reggi e le Riviste illustrate del Fondo Marengo). Tutto Gandini all’università, insomma, dove “tutto” significa una mole cartacea davvero impressionante: la sua corrispondenza con gli editori e quella personale, gli scritti pubblicati e quelli inediti, la rassegna stampa e le tesi su di lui, il materiale preparatorio per le riviste Linus e Giornalone, i libri societari, i progetti in fase di definizione, la raccolta rilegata di Topolino 1946-1947, il catalogo incompleto delle figurine Liebig.Più, naturalmente, la sua biblioteca, fantastica cascata di fumetti e libri per bambini, periodici da lui diretti, libri e periodici della Milano Libri (la casa editrice da lui fondata insieme alla moglie Annamaria nel 1963), stamponi e patinate di ogni genere. Non basta. A dar corpo a questa “gandineide” concorrono altri due elementi: il primo è il progetto di un libro (che al momento si intitola “Viaggio nel mondo di Giovanni”) che due studiosi milanesi, Alessandro Beretta e Alberto Saibene, stanno allestendo alacremente e che cercherà di organizzare in modo leggibile i due principali filoni della sua vulcanica attività, quello pubblicistico e quello progettuale; il secondo è l’idea di una mostra, Gandini & Friends, che attualmente sta cercando casa (la Triennale?) e nella quale il regista Giancarlo Soldi e il grafico Salvatore Gregorietti (che progettò la veste di Linus, nel 1965) intendono mettere in scena quella bella Milano degli anni Sessanta, nella quale bere un bicchiere al bar Giamaica era un pretesto per assemblare idee e non solo rimpianti, e dove Gandini non faticò a trovare eccezionali collaboratori (quali Franco Cavallone e Ranieri Carano) per importare il mondo dei Peanuts di Schulz, né stentò più che tanto a far sedere su un divano Umberto Eco, Elio Vittorini e Oreste Del Buono per il dibattito su “Charlie Brown e i fumetti” che tenne a battesimo il primo numero di Linus.

Ma, tornando al Fondo Gandini della Statale, la voglia di spulciare tra le carte è tanto irresistibile quanto sconsiderata, e non solo per la quantità del materiale ma anche per il numero dei personaggi nei quali Giovanni si atomizzò in vita, nel chiaro intento di risultare imprendibile. Quale Gandini inseguire? Il progettista o il corsivista? Lo scrittore di favole o il collezionista? Il poeta o l’estensore di esilaranti lettere?
Saltando gli anni eroici di Linus (già a lungo battuti), verrebbe da mettersi sulle tracce de Il Giornalone, bellissimo esperimento (anche grafico!) del 1972, che visse un solo anno perché ebbe il torto di arrivare troppo presto, e radunò un gruppo di amici davvero notevoli, da Emilio Tadini a Sandro Somaré, da Roland Topor a Frank Dickens, da Bob Blechman a Ralph Steadman. Ma si vorrebbe anche sbirciare fra le bozze di riviste pensate e mai apparse, come Fax, Gnac & Patac, Il fumo… O rileggersi i suoi libri, da L’orso buco a Piccoli gialli. O giocare a uno dei suoi pazzi giochi, come quel Waterloo!! che restituisce a Napoleone la possibilità di vincere.

Infine, com’è naturale, la mano si ferma su una delle numerose buste che contengono quella “corrispondenza personale e con gli editori” nella quale Gandini profuse, se non la parte migliore di sé, quella più felicemente trasgressiva. Autore instancabile di lettere inventate che impreziosivano la posta del suo Linus, Giovanni non smise mai di affidare alle missive, con esibita ingenuità, il carico delle sue attese, delle sue proteste, del suo divertimento. Scrivere era il suo modo di bussare, e scrisse un po’a tutti: a Sergio Tofano, per esempio, invitandolo a far rivivere il suo Bonaventura su Il Giornalone (Tofano, garbatamente, rifiutò); o a Cesare Zavattini, per sollecitare i suoi suggerimenti; o ancora a Leonardo Sciascia, per contestargli l’esclusiva di critica sulle cose di Sicilia (e Sciascia gli rispose imputandogli, a sua volta, “un fondo di antipatia per i siciliani”); perfino a Monica Vitti, per ringraziarla di aver detto in tv che apprezzava Charlie Brown. E poi ci sono le lettere a Charles M. Schulz, per informarlo senza trionfalismi del successo italiano dei suoi Peanuts. E quelle inviate con risentimento ai giornali che continuavano ad attribuire la paternità di Linus a quel gruppo di nomi illustri che lui aveva chiamato a collaborare.

Di fatto è un bene che le tracce di un’intelligenza così evasiva siano ora richiuse dentro un contenitore pubblico e consultabile, qual è un archivio universitario. Forse lui storcerebbe il naso.
Epigono di un dandismo intellettuale che da Oscar Wilde ad Antonio Delfini ha amato spendere la sue ricchezze nella vita, anziché nelle opere, Giovanni Gandini restò fedele al suo autoritratto affrontando i paradossi imposti dallo stile. Fino all’ultimo, quegli anni senza voce (era stato laringectomizzato nel 1997) che tappezzò di bigliettini incredibili, una stagione solo apparentemente muta della quale ha dato conto in Un milione di copie, libro apparso da Archinto quando lui non c’era già più.

“Non è triste l’indifferenza di esserci o non esserci”, scrive in uno dei 516 pensieri del libro. “E’ triste sentire quanto manchino idee, humus, sapore nella conversazione. Mi manco molto”. E sembra l’abisso. Ma poi lo vedi, in quel filmato girato da Soldi per Giovanni Minoli nel 2002 sulla storia del fumetto: non parla, è vero, si aggira nello storico cortile di via Spiga (dov’era la redazione di Linus) e ha un’aria fragile e impaziente, ma non triste. Nel battito degli occhi, nelle dita che si muovono svelte, c’è intatta la sua ironia. Ed è come se fosse l’ultimo protagonista del suo vero sogno, quello di un fumetto per grandi.