IN MOLTE PELLICOLE È PRESENTE LA MALATTIA, MA SENZA APPROFONDIMENTO

IN MOLTE PELLICOLE È PRESENTE LA MALATTIA, MA SENZA APPROFONDIMENTO

Volete saperne di più sul cancro?
Non andate al cinema

I film non dicono la verità sulle possibilità di diagnosi e di cura che oggi la medicina mette a disposizione dei pazienti

Clint Eastwood nel film «Gran Torino»Clint Eastwood nel film «Gran Torino»

MILANO – Clint Eastwood, il Walt Kowalski del film Gran Torino (quello in cui lui, reduce dalla guerra di Corea, anziano e malato, prima disprezza, poi finisce per difendere dai teppisti i suoi vicini di casa, asiatici di etnia Hmong) tossiva tanto e probabilmente aveva un tumore al polmone. Non muore per quello, ma perché viene ucciso dai delinquenti della banda. Gran Torino (il titolo è il nome dell’automobile Ford che Walt custodiva gelosamente in garage), uscito nel 2008 non è né il primo né l’ultimo film dove il cancro assume un qualche ruolo, anche da comprimario.

 

«GRAN TORINO» – Di tumori, nei film degli ultimi anni, si parla sempre di più. A partire da La gatta sul tetto che scotta(pellicola del 1958 dove un padre ammalato di tumore si confronta con il figlio alcolizzato) e ancora prima con il Diario di un curato di campagna (che è affetto da un tumore allo stomaco: e siamo nel 1951) per arrivare non solo a Gran Torino, ma a molte altre opere cinematografiche che hanno via via analizzato diversi aspetti legati al mondo dell’oncologia e dei malati. Erin Brockovich (il titolo italiano è: Forte come la verità, del 2000) è una segretaria di uno studio legale che indaga su una compagnia sospettata di avere contaminato le falde acquifere di una cittadina americana, provocando tumori ai residenti e fa emergere l’aspetto epidemiologico della malattia e le sue cause ambientali. Lo stesso fanno l’avvocato Michael Clayton nell’omonimo film del 2007 e la pellicola Le ultime 56 oredell’italiano Claudio Fragasso sui linfomi dei militari e l’uranio impoverito della guerra di Balcani. Poi ci sono le implicazioni economiche delle cure che emergono nel film L’uomo della pioggia (1997) di Francis Ford Coppola.

 

Una scena del film «La prima cosa bella»Una scena del film «La prima cosa bella»

A VIENNA – E ancora: Wit and dying young (1999) parla di cancro all’ovaio e del problema dei trattamenti, mentre Le invasioni barbariche (canadese del 2003), L’eternità e un giorno(Mia aioniotita kai mia mera, titolo originale greco, 1998) e La prima cosa bella (italiano del 2010) affrontano il tema dell’assistenza ai malati terminali. “Oncomovies: cancer in cinema” sarà oggetto di una relazione al prossimo congresso della European Society of Medical Oncology (Esmo) che si terrà a Vienna nei prossimi giorni. «Oggi il cinema si occupa di alcuni aspetti legati ai tumori che erano totalmente assenti in passato – commenta Luciano De Fiore dell’Università La Sapienza di Roma che ha condotto uno studio su questo tema –. Il cancro non è un soggetto facile da rappresentare, ma il fatto che se ne parli in qualche film permette di far conoscere meglio al pubblico questa malattia e le sue implicazioni».

 

PROVE SCIENTIFICHE – Purtroppo però l’immagine che emerge dai film non rappresenta la realtà scientifica dei giorni nostri. Troppo spesso il cinema vede il cancro come un elemento della trama che serve a drammatizzare la situazione e provoca, nella maggior parte delle situazioni, la morte dei protagonisti che ne sono affetti. Invece, le possibilità di sopravvivenza dei pazienti, grazie alle cure oggi disponibili, non sono mai rappresentate sul grande schermo. «Non si parla mai nei film – commenta De Fiore – delle opportunità che la medicina offre oggi ai pazienti. E raramente la sopravvivenza dei malati viene attribuita ai trattamenti ora disponibili. Fortunatamente nella vita reale le cose sono ben diverse».

IL SENO SNOBBATO – De Fiore a altri ricercatori hanno preso in esame 82 film dove si parla di tumore e hanno analizzato, fra i personaggi, 40 donne e 35 uomini affetti dalla malattia. In 21 film il tipo di tumore non era dichiarato. I sintomi erano menzionati nel 72 per cento delle pellicole, mentre il riferimento a test diagnostici compariva nel 65 per cento dei casi. La terapia più citata risultava essere la chemioterapia, seguita dai trattamenti antidolorifici. Non solo: Hollywood non sembra focalizzarsi sui big killer (a eccezione del cancro al polmone), ma preferisce parlare di leucemie, linfomi e neoplasie al cervello (il cancro al seno è quasi sempre snobbato). Nonostante tutte queste considerazioni, però, i ricercatori ritengono che usare il grande schermo per raccontare storie sul cancro possa avere un impatto positivo sia sui pazienti che sui medici. «Può servire – commenta De Fiore – ad aumentare l’attenzione al problema e a capire il valore delle nuove terapie. Non solo: può aiutare gli oncologi a prendere in considerazione alcuni problemi che a volte trascurano. Per esempio: le conseguenze che la malattia può avere sulla sessualità, il rapporto medico-paziente, gli effetti delle terapie. E, perché no, il significato della vita e della morte». Del resto La Bohemeraccontava un dramma della medicina di altri tempi: la tubercolosi. Che oggi è controllabile con i farmaci.

Adriana Bazzi
abazzi@corriere.it