Metodo Stamina, sospesa la sperimentazione

 

 

 

Ministro in conferenza stampa“Questa è una conferenza che non avrei mai voluto fare; mi sarebbe piaciuto molto che questa vicenda avesse avuto un epilogo diverso, ma il metodo Stamina non ha i requisiti per la sperimentazione”.

Con queste parole il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin apre la conferenza stampa del 10 ottobre 2013 e comunica la presa d’atto che blocca la sperimentazione delle cellule staminali mesenchimali, a seguito dei pareri del Comitato scientifico e dell’avvocatura di Stato.

“Spero che ci sia rispetto del rigore e della serietà con i quali tante persone hanno lavorato sulla possibilità di queste sperimentazioni senza alcun pregiudizio” – prosegue il Ministro – “Ringrazio il Parlamento per l’attenzione che ha posto su questa vicenda, in primo luogo umana, ma dobbiamo avere rispetto del metodo scientifico, che si pone sempre a tutela della salute delle persone”.

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Stamina, il ministro blocca sperimentazione: “Secondo gli esperti è un rischio per i malati”

Provvedimento di “presa d’atto” di Lorenzin, che dà attuazione a quanto suggerito dal comitato scientifico. Quattro i punti critici evidenziati dagli scienziati riguardo al metodo. L’ideatore: “È il ministro ad essere pericoloso per i malati, proseguirò all’estero”.

di MICHELE BOCCI

Stamina, il ministro blocca sperimentazione: "Secondo gli esperti è un rischio per i malati" Il ministro Lorenzin (ansa) ROMA – La sperimentazione del metodo Stamina “non può essere regolarmente proseguita”. Il ministero della Salute blocca il discusso sistema inventato dal professore di psicologia Davide Vannoni. Con un provvedimento di “presa d’atto” decide di seguire quanto suggerito dal comitato scientifico nominato per valutare la metodica e dall’Avvocatura dello Stato, che era stata interpellata a fine settembre. Dura la reazione delle associazioni che difendono i malati gravissimi: “Denunceremo Lorenzin e Letta alla corte dell’Aja per crimini contro l’umanità”.

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Il ministro della Salute, rendendo noto il parere negativo arrivato dal comitato di esperti, ha spiegato che “la sperimentazione del metodo Stamina non può essere proseguita perché il metodo è pericoloso per la salute dei pazienti”. “Sarei stata felice – ha detto Lorenzin – se la vicenda avesse avuto un epilogo diverso per tantissime famiglie che si sono affidate in questi anni a una cura che evidentemente non c’è”. Il ministro ha poi precisato che per quanto riguarda i malati in cura agli Spedali di Brescia bisognerà aspettare il giudizio del Tar della Lombardia, previsto per novembre.

Davide Vannoni, ideatore del metodo e presidente di Stamina Foundation, difende la sua ricerca: “Non è il metodo Stamina ad essere pericoloso per i malati, bensì il ministro Lorenzin e chi sta gestendo così male questa situazione, a fronte di una legge votata dal Parlamento che stabilisce l’avvio della sperimentazione”. Ma Vannoni ha annunciato che continuerà a lavorare sul metodo, per cui è disposto ad andare all’estero: “L’obiettivo – ha detto – è attuare la sperimentazione fuori dall’Italia, possibilmente in Usa”.

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I MOTIVI DELLO STOP – Sono quattro i punti critici segnalati dagli scienziati che hanno convinto il ministero a non andare avanti con la sperimentazione che era stata autorizzata dal Parlamento. Sono riassunti nel parere inviato dall’Avvocatura dello Stato al ministro Beatrice Lorenzin. Il primo è la “inadeguata descrizione del metodo” dovuta all’assenza della spiegazione del differenziamento delle cellule. Poi c’è una “insufficiente definizione del prodotto”, visto che le cellule da iniettare non sono descritte in maniera corretta e che non vengono dimostrate le loro proprietà biologiche. “In difetto di questa caratteristica e dei controlli di qualità, vi è un problema sia di efficacia del trattamento, per la difficoltà di riprodurre il metodo, sia di sicurezza”.

Il terzo elemento sono i “potenziali rischi” per i pazienti. In particolare, per quanto concerne l’uso di cellule allogeniche, per “mancanza di un piano di identificazione, screening e testing dei donatori, con conseguente esclusione della verifica del rischio di malattie da agenti trasmissibili”. Infine, quarto punto, si parla di “altri rischi di fenomeni di sensibilizzazione anche gravi (ad esempio encefalomielite) che sono dovuti anche al fatto che il protocollo prevede somministrazioni ripetute.

Per come è svolta la metodica, dunque, “vi è il rischio di iniezione di materiale osseo a livello del sistema nervoso”. Il parere negativo del comitato scientifico, si conclude, è quindi fondato “sia sulla mancanza di originalità del metodo, sia sull’assenza di requisiti scientifici e di sicurezza”.

Il ministero della Salute aveva chiesto all’Avvocatura di risolvere il rebus davanti al quale si era trovato: da una parte, infatti, la legge chiedeva l’avvio della sperimentazione sul metodo Stamina, stanziando già tre milioni di euro; dall’altra, il parere del comitato scientifico suggeriva invece che non si dovesse andare avanti con la ricerca. Inoltre, il ministero chiedeva se fosse necessario interpellare nuovamente l’Aifa sul tema.

La risposta dell’Avvocatura entra anche, come visto, nell’ambito delle critiche poste dai tecnici. La conclusione è che l’Aifa non deve essere più coinvolta e che la sperimentazione si può considerare iniziata con la nomina del comitato, che con le sue osservazioni però può portare alla chiusura immediata dello studio scientifico. “Così stando le cose – scrive l’Avvocatura dello Stato – si ritiene che il ministero possa emettere un provvedimento con il quale, come già rilevato, prenda atto del parere negativo del comitato, faccia proprie le considerazioni e conclusioni del comitato e disponga che, ‘allo stato’, non si può procedere oltre alla sperimentazione già avviata”. Il ministero ha così preso atto dell’indicazione e deciso, con un provvedimento dirigenziale, che lo studio pubblico sul metodo Stamina non debba proseguire.

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Cancro e cellule staminali

Di staminali, le cellule che rinnovano e mantengono tutti i tessuti del corpo, si sente parlare da alcuni anni come della panacea per tutti i mali. Da quando sono state per la prima volta isolate in embrioni umani, nel 1998, è stato un fiorire di ricerche e aspettative sulle potenzialità di queste cellule che, da indifferenziate, possono dare vita a tutti i tessuti dell’organismo e poi rinnovarli di continuo quando l’organismo è adulto, rigenerando il sangue, la pelle, i capelli, le unghie… Le scoperte sulle staminali, e le tecniche per studiarle, hanno dato corpo anche a un’ipotesi che da tempo era stata formulata, senza che però si fossero trovati fatti concreti a sostenerla: che il motore che fornisce benzina allo sviluppo dei tumori, alla loro terribile capacità di resistere ai tarmaci e di ripresentarsi a distanza di tempo sia alimentato proprio da cellule staminali.

Negli ultimi due o tré anni diversi gruppi di ricerca, anche in Italia, hanno trovato le prime prove convincenti di questa ipotesi che cambia il modo di guardare alla biologia del cancro e l’approccio alle possibili terapie.
L’intuizione che all’origine del cancro ci siano cellule con caratteristiche particolari è vecchia di almeno un secolo. «Le staminali sono capaci di auto rinnovarsi multipotenti, immortali, molto resistenti ad agenti chimici e fisici: tutte caratteristiche possedute anche dalle cellule dei tumori» osserva Maria Grazia Daidone, responsabile dell’unità operativa di ricerca traslazionale all’Istituto nazionale dei tumori di Milano, che l’anno scorso è riuscita a isolare e coltivare in vitro staminali di tumore della mammella. Già a metà dell’800 i patologi avevano notato la somiglianzà delle cellule dei tumori e dei tessuti embrionali, quasi che alcuni tumori potessero derivare da un residuo di tessuti embrionari che conservavano anche nell’organismo adulto una capacità proliferativa esagerata e fuori controllo.
«Si è anche osservato che il tumore non è una proliferazione totalmente aberrante e incontrollata, ma rispetta un programma di sviluppo, sia pure deragliato» spiega Pierpaolo Di Fiore, direttore scientifico dell’Ifom (Istituto Pire di oncologia molecolare) e docente di patologia all’Università di Milano. Come un organo completo, si è pensato che anche il tumore potesse derivare da staminali.

Nello studio del cancro hanno sempre convissuto due teorie contrastanti. Secondo una, tutte le cellule del tumore sono uguali, con la stessa capacità di proliferare e generare altra massa tumorale; secondo l’altra, solo una piccola percentuale di cellule maligne è in grado di alimentare la crescita e lo sviluppo del cancro: le staminali. Le altre sarebbero il risultato della proliferazione ma incapaci di sostenerla. La prima prova dell’esistenza di staminali nel cancro è venuta dalle leucemie, più facili da studiare. Nel 1997 ricercatori canadesi dimostrarono che solo pochissime cellule leucemiche, una su 1 milione, inoculate in topi immuno-compromessi riuscivano a generare il tumore. I progressi sono arrivati grazie ad apparecchiature per isolare e coltivare le cellule staminali, sia dagli organi sia dai tumori; agli anticorpi che consentono di riconoscere le proteine sulla superficie delle cellule; allo sviluppo di animali geneticamente modificati in cui fare esperimenti di trapianto delle cellule tumorali.
Le cellule staminali tumorali, infatti, presentano marcatori e funzioni in parte simili alle staminalinormali. Solo ora si comincia a caratterizzarne le proteine di superficie e, grazie a questo, a isolarle. Da un paio di anni sono arrivate le prime dimostrazioni che pure i tumori solidi, i più diffusi, potrebbero originarsi da staminali deviate. Il gruppo di MichaelClarke dell’Università del Michigan ad Ann Arbor ha stabilito che la maggioranza delle cellule estratte di tumore della mammella è incapace di generare altri tumori; solo una su 100, all’incirca, di quelle isolate in base alla presenza di alcuni antigeni di superficie, è in grado di proliferare e riformare la malattia quando viene impiantata nei topi. Lo stesso è stato dimostrato per alcuni tumori del cervello, per il melanoma e i tumori della prostata.
Se, come sembra, all’origine del cancro ci sono cellule staminali, si potrebbe capire perché finora si sono dimostrate inefficaci le armi usate per combatterlo. Quando una staminale si divide, generando due cellule, una conserva le caratteristiche di staminale, e rimane a riposo pur conservando la sua capacità di dividersi, l’altra va incontro a un processo molto rapido di proliferazione e maturazione, che però si esaurisce nel giro di poco. «Si può ipotizzare che il grosso della massa di un tumore sia costituito da cellule ormai arrivate alla fine del ciclo proliferativo. Poche cellule staminali, invece, pur rimanendo a riposo, sarebbero in grado di alimentare la crescita del tumore. Il guaio è che i farmaci oggi a disposizione colpiscono soprattutto le cellule che si dividono molto rapidamente, mentre risparmiano le staminali, che si dividono raramente ma mantengono all’infinito la capacità di alimentare la massa tumorale. «Le staminali, fra l’altro, sono molto resistenti e probabilmente hanno meccanismi con cui riescono a pompare fuori dalla membrana cellulare i farmaci chemioterapici» aggiunge Daidone.

Con questa nuova concezione, nella ricerca di base sulla biologia del cancro si punta ora a scoprire bersagli molecolari specifici delle cellule staminali tumorali. All’Hom il gruppo di Di Fiore studia il gene Notch, uno dei marcatori individuati nelle staminali del tumore del seno. Gli anticorpi diretti contro questa molecola presente sia sulle cellule staminali normali sia su quelle di tumore della mammella provocano una riduzione della crescita del tumore. In sperimentazione, in fasi ancora precoci, ci sono tarmaci che inibiscono questo gene.

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