I cellulari? Solo il 23% degli italiani li usa per telefonare

Con il boom degli smartphone, un utente su tre preferisce attività social su Facebook, Twitter e Instagram o chattare su Whatsapp. In declino gli sms

 

 

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smartphone ap 367Sms in crisi, per la prima volta le chat superano i messaggini

Lo scorso anno gli utenti iscritti alle chat hanno inviato 19 miliardi di messaggi, contro i 17,6 sms. Il sorpasso è certamente dipeso dalla grande diffusione di smartphone

C’erano una volta i telefoni cellulari che servivano per telefonare e – al massimo – mandare e ricevere “messaggini” sms. Oggi infatti meno di un italiano su tre (per la precisione il 23%) usa il telefonino per effetturare chiamate. Complice la sempre maggiore diffusione degli smartphone, un terzo degli utenti dichiara di usare il cellulare principalmente perattività social su Facebook, Twitter, Instagram e via dicendo. C’è poi un 26,4% che lo utilizza per chattare su Whatsapp, mentre solo il 9,7% si limita all’invio di sms.

Sono i numeri che emergono da un sondaggio realizzato da Kingston Technology per far luce come sia cambiato negli ultimi anni l’utilizzo dei “telefonini”. Chissà se Martin Cooper, ingegnere americano di Motorola, quel 3 aprile del 1973, mentre entrava nella storia con la prima chiamata effettuata da un portatile da 1,5kg, si era immaginato che 6 lustri dopo la sua invenzione avrebbe avuto questo tipo di evoluzione. Non a caso, se un tempo lo smarrimento più temuto era quello del portafogli (oggi lo è ancora per il 26,3%), oggi la maggior parte (32,9%) dichiara che la perdita più scioccante sarebbe proprio quella dello smartphone. Al secondo posto troviamo la perdita di un dente (19,7%) e solo al quarto le chiavi (11,8%).

Del resto lo smartphone può rispondere alle esigenze più disparate: tra le loro varie funzioni, vengono sfruttati dal 21,1% per distrarre i figli durante una cena al ristorante, evitando fastidiose scorribande tra i tavoli. Per contro, in alcuni casi possono alimentare le preoccupazioni di chi teme che possano svelare scappatelle e tradimenti: sebbene il 57,9% dichiari di non aver nulla da nascondere (o forse non è completamente sicuro della forma anonima del questionario), il 22,4% ammette, per evitare di essere colto in flagrante, di non lasciare mai il telefono incustodito; il 10,5% invece, mette al riparo le proprie attività telefoniche da occhi indiscreti inserendo un codice d’accesso al telefono.

A sottolineare come in pochi anni il boom degli smartphone abbia cambiato la vita a tanti italiani è il fatto che, solo cinque anni fa, il 41,3% degli intervistati riteneva impensabile che il cellulare avrebbe sostituito il navigatore satellitare, mentre il 26,7% non avrebbe mai pensato di poter identificare lecanzoni trasmesse dalla radio semplicemente aprendo un’app. E se la fotocamera integrata ha da tempo stravolto l’abitudine di scattare foto solo in vacanza, il 13,3% non si sarebbe immaginato di poterle ritoccare o arricchire con effetti speciali direttamente dal dispositivo mobile. In attesa di scoprire quali rivoluzionarie funzioni ci riserveranno i modelli del prossimo futuro: arriverà davvero il telefonino in grado di fare il caffè?

(Affaritaliani.it)

La crisi riscopre le riparazioni. Dagli abiti agli elettrodomestici è boom degli ‘aggiusta-tutto’

Un business “anticiclico” che cresce quando i consumi sono in crisi e sta trasformando i consumatori in riparatori. E qualcuno ne fa una teoria

riparazioni

Gli italiani consumano meno e riparano di più. La crisi sta cambiando le abitudini delle famiglie e rilanciando mestieri che sembravano scomparsi: gliaggiusta-tutto. E’ il classico business “anticiclico” che esplode quando la produzione e il commercio sono in contrazione. Si mette la toppa alla giacca, si ripara il vecchio frigorifero invece che comprarne uno nuovo. I consumatori diventano – più per necessità che per scelta – riutilizzatori.

Dagli abiti agli elettrodomestici, dai mobili aicellulari, i negozi e i laboratori che offronoriparazioni fanno affari d’oro. E anche per gli “aggiustatori” tradizionali – meccanici, carrozzieri ecc. – si registrano aumenti di attività.

Una virtù ritrovata

Un settore in cui il recupero è esploso, ad esempio, è quello delle sartorie. Giuliano Andreucci, responsabile di Zyp, una catena di negozi di riparazioni di abiti sparsi soprattutto a Roma e provincia, ha dichiarato a Repubblica: “Ultimamente il nostro fatturato è in aumento e naturalmente si adatta alle caratteristiche dei diversi quartieri”. Nelle zone della Roma povera, come il Quadraro, “si riparano i cappotti della nonna”, a Prati “si fa l’orlo ai capi pret-à-porter”. Insomma c’è un marketing anche per i rammendi.

Un cambio di mentalità che è evidente anche nel settore degli elettrodomestici. Lorenzo Bellachioma, fondatore dell’Associazione riparatori elettrodomestici (Are), spiega sempre a Repubblicache “i clienti sono disposti a spendere molto più di prima per aggiustare il vecchio frigorifero. Oggi si ripara di più anche accettando di spendere 250 euro per un elettrodomestico che ne vale 400“.

Si può crescere consumando meno?

Ma c’è anche chi di recupero parla da tempi non sospetti (ben prima della crisi) per motivi che hanno a che fare più con la sostenibilità ambientale che col risparmio. Sono i teorici delle “3 R“, ovvero:
 Riduci i consumi: compra solo quello che usi davvero, rinuncia al superfluo.
 Riusa (nel nostro caso, Ripara): allunga la vita del prodotto riparandolo e adattandolo.
 Ricicla: tutto ciò che compri prima o poi diventerà rifiuto, utilizza la raccolta differenziata.

Anche se in periodo di crisi la parola d’ordine più diffusa è “aumentare i consumi”, non tutti la pensano così. I sostenitori della decrescita felice, per esempio. Partono da un presupposto fondamentale: in un mondo finito non è possibile una crescita infinita. La crisi che stiamo attraversando lo dimostra: è impossibile spingere i consumi oltre un certo livello. E teorizzano una cambiamento che ha delrivoluzionario: spostarsi progressivamente dal campo degli scambi mercantili a quello degli scambi non mercantili. Che vuol dire usare come moneta di scambio non solo il denaro ma anche il tempo, la competenza personale, l’autoproduzione. A qualcuno può sembrare un sogno da vecchi hippy ma ha il sostegno di economisti e intellettuali che cercano l’alternativa a un modello di sviluppo ormai “alla frutta”. (A.D.M.)

fonte

Cellulari e tumori al cervello, nel dubbio meglio essere cauti

 

 

telefonini cellulari rischio tumore cervello

Il verdetto dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) in base al quale i telefonini possono causare il cancro, ha riaperto il dibattito sul rischio che si può correre a causa delle onde elettromagnetiche. Un argomento su cui la comunità scientifica è spaccata in due tanto che i due principali studi sull’argomento sono arrivati a risultati pressoché opposti. Per cercare di capire meglio quali siano i rischi e le eventuali precauzioni e per capire l’importanza della posizione Oms, Dica33 ha intervistato Roberto Romizi, presidente di Isde Italia, l’Associazione medici per l’ambiente.

 

 

Dottor Romizi che ruolo ha la posizione dell’Oms sul rischio cancro da telefoni cellulari?
Un ruolo di grande importanza, basti pensare che in un recente bollettino Iarc, che è l’Agenzia che si occupa di ricerca sul cancro, non si poneva neanche la possibilità del rischio. Ora invece l’Organizzazione mondiale della Sanità, solitamente molto cauta, include i telefonini nella categoria dei carcinogeni di tipo 2B, quello del possibile rapporto di causalità, che diventa probabile nel 2A e certo nel gruppo 1. Da questa posizione derivano una serie di inviti alla prudenza e di misure pragmatiche nell’utilizzo dei telefonini.

 

Come si è arrivati a questo punto?
Non è stato casuale naturalmente. Determinante è stata l’osservazione che negli ultimi due-tre anni i tumori cerebrali sono stati quasi 250 mila nel mondo. Due terzi di questi sono gliomi, i peggiori in assoluto ed è la stessa Iarc che evidenzia un aumentato rischio del 40% di glioma per chi ha utilizzato telefoni cellulari per 30 minuti al giorno per almeno dieci anni. Il dato poi può essere esteso agli inquinanti ambientali, che hanno un ruolo nell’aumento del rischio. Oltre alle posizioni istituzionali poi anche la scienza ha dato risposte interessanti in questo senso.

 

A che cosa si riferisce?
Allo studio svedese Hardell che ha evidenziato un aumento statisticamente significativo di rischio di tumore cerebrale per l’utilizzo di cellulari e cordless, per i quali il dato è addirittura superiore, per un tempo di almeno dieci anni. Un rischio maggiore per giovani e adolescenti e l’Italia è al primo posto per numero di cellulari per persona, con un dato tra le 5 e le 10 volte superiore al resto dell’Occidente.

 

Peraltro esistono studi che sono andati nella direzione opposta?
Si, lo studio Interphone che è finito dopo anni senza rilevare alcun legame tra cellulari e tumori al cervello. Ma si tratta di uno studio in cui ha avuto un ruolo importante l’industria telefonica e con osservazioni su un periodo di tempo troppo breve per dare risultati significativi.

 

In Italia come è stata recepita l’indicazione dell’Oms?
Per ora molto poco, ma forse è presto. Di sicuro la notizia è stata molto raccolta dai media, ma il fatto che si parli di un “possibile” rischio cancro non vincola a interventi normativi.

 

Veniamo alle precauzioni, quali devono essere?
Sono sufficienti misure semplici come l’uso di sms, auricolari e vivavoce per ridurre l’esposizione del cervello. Poi altri accorgimenti potrebbero essere quelli di limitare il tempo al’apparecchio o di cambiare l’orecchio di ascolto nonché di tenerlo il più possibile carico, per limitare la potenza delle iniezioni sull’apparato auricolare. Infine in luoghi chiusi meglio utilizzare l’apparecchio fisso.

 

 

Come associazione che tipo di raccomandazioni date?
Ormai è uno strumento utilizzatissimo ed è impensabile tornare indietro, però sarebbero auspicabili interventi anche a livello governativo o normativo in particolare per tutelare i più piccoli, che sono i più esposti. Per esempio non è pensabile che bambini sotto i dieci anni di età dispongano di un cellulare e porre dei limiti per legge potrebbe essere opportuno e rappresentare anche un’occasione di riflessione, anche per quei genitori, e sono la maggior parte, per i quali la priorità e avere i figli sempre sotto controllo. La presa di posizione dell’Oms è significativa di un aumento dei casi importante e da non sottovalutare.

Marco Malagutti

http://www.dica33.it/cont/interviste/1106/1700/cellulari-tumori-cervello-dubbio-meglio-essere-cauti.asp

I cellulari del futuro saranno fatti con gli anacardi La società tecnologica giapponese Nec ha sviluppato una plastica eco-compatibile composta al 70% da un mix di cellulosa e di cardanolo.

 

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TECNOLOGIA

ip4Ma quanto è “green” l’iPhone 4?

Considerato come il telefono più ecosostenibile della sua categoria, l’iPhone 4 presenta realmente alcune caratteristiche “green”. Vediamole nel dettaglio.

In un futuro non lontano i telefoni cellularisaranno fatti con i gusci di anacardi. La società tecnologica giapponese Nec ha dichiarato di aver sviluppato una plastica eco-compatibilecomposta al 70% da un mix di cellulosa e dicardanolo, un distillato del succo estratto dal guscio della nocciolina a forma di mezzaluna più amata dal popolo degli aperitivi.

L’azienda giapponese sottolinea che questa nuova bio-plastica presenta un enorme vantaggio rispetto alla maggior parte dei materiali “verdi”: la sua produzione non richiede l’utilizzo di vegetali commestibili, come cereali o foraggio. La cellulosa infatti viene estratta da molte piante, in genere dascarti agricoli, ed è una risorsa abbondante e le stesse caratteristiche valgono per il cardanolo.

Nello sviluppo del nuovo materiale, Nec sta cercando di superare limiti che spesso accomunano le bio-plastiche: il trattamento della cellulosa con additivi derivati dal petrolio, l’utilizzo di una risorsa limitata come l’olio di ricino nel corso del processo produttivo e la breve durata, accompagnata da una scarsa resistenza all’acqua e al calore.

Il debutto commerciale non avverrà prima di tre anni, ma la società giapponese intende raggiungere una produzione di massa in modo da renderla utilizzabile per fabbricare non solo telefonini ma anche molti altri prodotti elettronici.