Hina Matsuri e hina ningyou – la festa del tre marzo per le bambine giapponesi

 

Il tre di marzo (terzo giorno del terzo mese) è il giorno della festività Hina (Hinamatsuri), la festa delle bambine. E’ un giorno per pregare per una buona crescita e tanta felicità alle giovani ragazze. Il giorno viene chiamato anche “Momo no sekku” (festa dei peschi) riferendosi alla stagione della fioritura dei peschi seguendo il vecchio calendario lunare. 
Il 5 di maggio (quinto giorno del quinto mese) viene poi festeggiato il “Kodomo no hi“, la festa dei bambini. Nonostante quest’ultima festa viene festeggiata con un giorno festivo, Il Hinamatsuri rimane invece un giorno lavorativo.

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il display a sette piani delle bambole Hina 
misure: 135 X 174 e 188 cm. di altezza prezzo: 1,575,000 Yen

Molte famiglie giapponesi con bambine in casa usano mettere in mostra delle speciali bambole chiamate “hina” (Hinaningyou). Solitamente disposte su cinque o sette piani (hinadan) coperti da un tappetino rosso chiamato Mousen, queste vedono in cima le bambole che raffigurano l’imperatore “Dairi” e l’imperatrice “Hina“. Ai loro lati si trovano due lampade chiamate bonbori
Il piano sottostante è riservato a tre cortigiane (sannin-kanjyo) seguite, un piano sotto, da cinque musicisti (gonin-bayashi) che suonano strumenti antichi. 
Due ministri di corte (Udaijin e Sadaijin) sono situati nel piano di sotto. Quello alla destra, Sadaijin (sinistra vedendo dalla parte dell’imperatore) è più anziano in quanto la sinistra veniva considerata superiore dalla corte imperiale. Sadaijin viene raffigurato con una lunga barba. A questi vengono offerti dei “Hishimochi” (vedi sotto). 
Infine vediamo i tre servi “Shi-Cho” situati sul piano più basso (nel caso di cinque piani). Sulla sinistra viene messa una pianta ornamentale chiamata “Ukon-no-Tachibana” (un alberello di mandaranci). Ukon significa la parte destra perché guardando da Dairi e Hina si trova sulla destra. Sulla destra invece una pianta ornamentale chiamata “Sakon-no-Sakura” (albero di ciliegio che però può essere sostituito con un albero di pesche). Sakon significa sinistra per la stessa ragione descritta prima.
Vengono infine anche posizionati piccoli oggetti di uso giornaliero usati dall’aristocrazia del periodo Heian come ad esempio uno specchio, cesto del cucito, oggetti per la cerimonia del tè (Sadou), un carretto chiamato Gissha. Le bambole sono ovviamente tutte vestite in abiti di corte del periodo Heian (794-1192).

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Dairi e Hina

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La coppia imperiale

L’usanza di disporre le bambole cominciò durante il periodo Heian e originariamente si pensava che possedessero la forza di fermare i cattivi spiriti. 
Il Himamatsuri prende le sue origini da un’antica usanza giapponese chiamata hina-nagashi (bambola galleggiante) in cui bambole di paglia venivano messe su una barca e lasciate nelle acque del fiume. Si pensava che le bambole, scendendo il fiume e arrivando al mare, portassero via con se problemi e cattivi spiriti. Questa usanza sembra aver avuto origine a sua volta da un’usanza cinese in cui i propri peccati e la sfortuna venivano trasferiti alle bambole che venivano poi abbandonate nel fiume. 
Il Shimogano jinja (che fa parte del tempio Kamo assieme al Kamigamo-jinja) a Kyoto celebra il “Nagashi-bina” (oppure “hina-okuri“) facendo galleggiare queste bambole nei fiumi Kamo e Takano e pregando per la sicurezza dei bambini. Al giorno d’oggi le barche vengono riportate indietro non appena gli spettatori se ne sono andati per evitare che le bambole finiscano nelle reti dei pescatori. Le bambole vengono poi bruciate al tempio. 
Al giorno d’oggi le bambole sono vestite con gli antichi vestiti di corte. Il costume dell’imperatrice è chiamato “Juuni-hitoe” (abito a 12 strati). Il juuni-hitoe viene tuttora usato durante le cerimonie di matrimonio della famiglia imperiale. L’attuale principessa Masako usò il juuni-hitoe al matrimonio con il principe ereditario nel 1993. Vestendo il juuni-hitoe i capelli vengono pettinati all’indietro nello stilesuberakashi e un ventaglio fatto con cipresso giapponese viene tenuto tra le mani. Come visto dagli esempi sopra, un set di bambole può essere veramente caro. Ho visto le bambole delle foto ai grandi magazzini di Takashimaya. Al giorno d’oggi i nonni o i genitori comprano un set alla propria bambina per il suo primo Hinamatsuri (hatsu-zekku) ma siccome molti giapponesi abitano in appartamenti veramente piccoli, una versione con la sola coppia imperiale è maggiormente popolare tra la gente. La superstizione dice che se le bambole non vengono messe da parte subito dopo il tre marzo, la bambina si sposerà tardi. 
La bevanda tradizionale è il amazake, un tipo di sake dolce e non alcolico derivato dal riso fermentato. Usato viene anche l’arare, dei cracker saporiti con salsa di soia. I Hishimochi (quelli offerti alle bambole raffiguranti i due ministri di corte) sono dei dolci speciali per il Hinamatsuri costituiti da tre strati colorati di mochi (verde in fondo, bianco al centro e rosa in cima). Alcuni affermano che il rosa (o rosso) significa l’allontanamento dei cattivi spiriti, il bianco sta per purezza e il verde per la buona salute. Altri invece affermano che i colori raffigurano uno scenario primaverile quando l’erba verde comincia a crescere sotto la neve mentre i fiori rosa dei peschi cominciano a fiorire.

Non poteva mancare una canzone per la festa delle bambole. Questa si chiama “Ureshii Himamatsuri” (felice Himamatsuri) di cui riporto la prima strofa:

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Facciamo luce con le lampade 
Facciamo fiorire i fiori di pesco 
I cinque musicisti di corte suonano il flauto e il tamburo 
Oggi è una bella Hinamatsuri.

 

Da Youtube.com la canzone Ureshi Hinamatsuri, veramente molto orecchiabile

 

 

17 Febbraio, la festa del gatto!

 

POTERE AI GATTI!

A MILANO PARTE L’ OTTAVA EDIZIONE DELLA RASSEGNA DI LETTERATURA FELINA

‘TUTTI MATTI PER I GATTI’
13 – 17 FEBBRAIO – LA LIBRERIA MURSIA

“Del potere e dei gatti” è il titolo dell’ottava edizione della rassegna felinamente letteraria “Tutti matti per i gatti” che si inaugura lunedì 13 febbraio alle 17,30 aLa Libreria Mursia (via Galvani, 24 – Milano): cinque giorni a base di libri, scrittori, letture e quadri per gli amanti dei mici (in Italia i gatti sono più di 8 milioni di cui quasi 1 milione nella sola Lombardia) in occasione della Festa del gatto che dal 1990 si celebra il 17 febbraio.

Quest’anno gli incontri ruoteranno attorno alla singolare relazione tra i potenti e i gatti, ma anche sul potere che i gatti hanno di migliorare la nostra vita quotidiana.

Dietro a molti potenti della Storia c’è stato o c’è un felino: dalla gatta d’angora di Augusto a Bastet della regina egizia Hatshepsut, da Cedric del conte di Southampton a Perruque di Richelieu a White Heather della regina Vittoria, passando ai felini che hanno accompagnato, consigliato e protetto intellettuali e rivoluzionari come Lenin e Rosa Luxemburg, o al consigliere con la coda di Churchill senza dimenticare il celebre Tabby, gatto amatissimo di Lincoln, per finire all’ormai celebre gatto di Benedetto XVI.

Anche sulla vita quotidiana delle persone comuni i gatti esercitano un potere straordinario, la loro presenza è un forte antidoto allo stress della vita quotidiana, un elemento di equilibrio e di serenità.

Declinato da tutti i possibili punti di vista il binomio potere e gatti sarà il filo conduttore della settimana del gatto che si inaugura con il vernissage della mostra di Franco Bruna:15 opere nelle quali l’acquafortista e illustratore torinese, ha espresso la sua creatività nel rapporto gatti e personaggi famosi e dove il protagonista è un gatto dalle sette vite che si trasforma a seconda dell’intellettuale, scrittore o artista al quale si accompagna: dai gatti tigrotti di Salgari al gatto moschettiere di Dumas; dal gatto pantera di Hemingway a quello pirata di Stevenson; dallo stregatto di Alice al gatto alpino di Quintino Sella; dal gatto marinaro di Susanna Agnelli a quello belle epoque di Gozzanofino al gatto sornione che gioca a scopa con Mario Soldati in un’osteria delle Langhe.

Come ormai da tradizione, per tutta la settimana nella Libreria Mursia sarà organizzata una raccolta benefica di cibo per i mici randagi di Mondo Gatto, l’associazione che collabora all’organizzazione della rassegna. Inoltre, si potranno consegnare in libreria le foto del proprio gatto per la pubblicazione sull’edizione 2013 del calendario e dell’agenda ‘I giorni dei gatti’.

Per informazioni: Ufficio stampa Mursia 02 67378502; 02 67378515

press@mursia.com; ufficiostampa2@mursia.com

www.mursia.com

LA STORIA DELLA FESTA

Il 17 Febbraio è il giorno dell’anno dedicato al più infedele degli animaletti da compagnia, il gatto. La giornata venne introdotta nel 1990 da un referendum proposto ai lettori della rivista “Tuttogatto”.

La giornalista ideatrice dell’iniziativa, Claudia Angeletti, chiese appunto ai lettori di indicare il giorno più consono da dedicare alla festa dei mici, e la risposta scelta fu appunto il 17 di Febbraio. Ecco le motivazioni :

  1. Febbraio dal punto di vista zodiacale è legato al segno dell’acquario, il segno dell’intuito, della libertà e dell’anticonformismo; caratteristiche tipiche dei gatti!
  2. Nel nord Europa il numero 17 ha un valore benefico, che significa anche “Vivere una vita sette volte”
  3. Se si scrive in numeri romani “ XVII ” e si fa l’anagramma si ottiene “VIXI” , parola latina che significa “HO VISSUTO”; e chi più di un gatto, titolare di 7 vite, può dire di aver vissuto?

Nel territorio le iniziative per festeggiare i felini crescono di anno in anno: mostre, fiere, mercatini, spettacoli, vengono promossi da città, associazioni ed enti al fine di festeggiare e sancire ancor di più l’amore che molti nutrono per il gatto.

Al di la del valore commerciale e speculativo di molte iniziative, è giusto dedicare una giornata ai felini, cercando magari di riflettere e impegnarsi a proteggere un animale che spesso subisce maltrattamenti o viene abbandonato dall’uomo stesso. 

FONTE

San Valentino 14 febbraio

 

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

 

    

 
San Valentino
San Valentino
 

Vescovo e martire

 
Nascita Interamna Nahars, 176
Morte Roma, 14 febbraio 273
Venerato da Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi
Santuario principale basilica di San Valentino (Terni)
Ricorrenza 14 febbraio
Attributi bastone pastorale, palma, bambino epilettico
Patrono di Terni e altri luoghi, amanti, innamorati, epilettici
Valentino
Vescovo della Chiesa cattolica
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titolo
Stemma di Valentino
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Nato Interamna Nahars 176
Ordinato
sacerdote
 
Consacrato
vescovo
 
Ruoli
ricoperti
Vescovo di Terni dal 197 al 273
Deceduto 273
 

San Valentino, detto anche san Valentino da Terni o san Valentino da Interamna (Interamna Nahars, ca. 176Roma, 14 febbraio 273), fu un vescovo e un martire cristiano. Venerato come santo dalla Chiesa cattolica, da quella ortodossa e successivamente dalla Chiesa anglicana, è considerato patrono degli innamorati.

La più antica notizia di S. Valentino è in un documento ufficiale della Chiesa dei secc.VVI dove compare il suo anniversario di morte. Ancora nel secolo VIII un altro documento ci narra alcuni particolari del martirio: la tortura, la decapitazione notturna, la sepoltura ad opera dei discepoli Proculo, Efebo e Apollonio, successivo martirio di questi e loro sepoltura.[1]

È tuttavia incerto se si tratti di un martire diverso dal presbitero che subì il martirio sotto Claudio il Gotico (quindi prima del 270, anno del decesso di questo imperatore), dato che anche questi fu sepolto nelle catacombe al II miglio della via Flaminia: con molta probabilità si tratta della stessa persona.[2]

 

Agiografia 

Nato in una famiglia patrizia, fu convertito al Cristianesimo e consacrato vescovo di Terni nel 197, a soli 21 anni.

Nell’anno 270 Valentino si trovava a Roma, giunto su invito dell’oratore greco e latino Cratone, per predicare il Vangelo e convertire i pagani.

Invitato dall’imperatore Claudio II il Gotico a sospendere la celebrazione religiosa e ad abiurare la propria fede, rifiutò di farlo, tentando anzi di convertire l’imperatore al Cristianesimo. Claudio II lo graziò dall’esecuzione capitale affidandolo a una nobile famiglia.

Valentino venne arrestato una seconda volta sotto Aureliano, succeduto a Claudio II. L’impero proseguiva nelle sue persecuzioni contro i cristiani e, poiché la popolarità di Valentino stava crescendo, i soldati romani lo catturarono e lo portarono fuori città lungo la via Flaminia per flagellarlo, temendo che la popolazione potesse insorgere in sua difesa. Fu decapitato il 14 febbraio 273, a 97 anni, per mano del soldato romano Furius Placidus, agli ordini dell’imperatore Aureliano.

Il culto 

È commemorato nel martirologio romano il 14 febbraio, giorno in cui veniva celebrata l’antica festa di Santa Febronia.

Le reliquie 

Reliquia di San Valentino nella Chiesa di Santa Maria in Cosmedin a Roma

Le sue spoglie furono sepolte sulla collina di Terni, al LXIII miglio della Via Flaminia, nei pressi di una necropoli.

Sul luogo sorse nel IV secolo una basilica nella quale attualmente sono custodite, racchiuse in una teca, le reliquie del santo: pare che esse siano state portate nella città dai tre discepoli del filosofo Cratone, Apollonio, Efebo e Procuro, convertiti dal futuro santo, e che per questo motivo siano stati martirizzati.[3]

Altre reliquie sono presenti anche nella cattedrale di Maria Assunta di Savona, nella chiesa medievale di San Valentino di Sadali in Sardegna, a Belvedere Marittimo in Calabria e nella chiesa Matrice di Vico del Gargano dove viene venerato come protettore della città e degli agrumeti.

  « Pinto no cuo, gosava san valentino »
   

[non chiaro]

In base ad altre fonti[4], altre reliquie di San Valentino si trovano a Ozieri, centro principale del Logudoro, a una cinquantina di chilometri da Sassari: le avrebbe portate, nel 1838, un frate benedettino nativo del luogo, che le avrebbe poi sepolte nella cinquecentesca chiesa dedicata ai santi Cosma e Damiano sul Colle dei Cappuccini. Un vasetto con il sangue di S.Valentino si trova anche nella teca di vetro contenente il teschio di Santa Giustina nella Chiesa di S.Martino a Torre d’Arese (PV).

Miracoli del santo 

San Valentino battezza Santa Lucilla, opera eseguita nel 1575 da Jacopo Bassano, oggi al Museo civico di Bassano del Grappa.

Sono molte le leggende entrate a far parte della cultura popolare, su episodi riguardanti la vita di san Valentino:

  • Una di esse narra che Valentino, graziato ed “affidato” ad una nobile famiglia, compì il miracolo di ridare la vista alla figlia cieca del suo “carceriere”: Valentino, quando stava per essere decapitato, teneramente legato alla giovane, la salutò con un messaggio d’addio che si chiudeva con le parole: «…dal tuo Valentino…».
  • Un’altra, di origine statunitense, narra come un giorno il vescovo, passeggiando, vide due giovani che stavano litigando ed andò loro incontro porgendo una rosa e invitandoli a tenerla unita nelle loro mani: i giovani si allontanarono riconciliati.[5] Un’altra versione di questa storia narra che il santo sia riuscito ad ispirare amore ai due giovani facendo volare intorno a loro numerose coppie di piccioni che si scambiavano dolci gesti d’affetto; da questo episodio si crede possa derivare anche la diffusione dell’espressione piccioncini.
  • Secondo un altro racconto, Valentino, già vescovo di Terni, unì in matrimonio la giovane cristiana Serapia e il centurione romano Sabino: l’unione era ostacolata dai genitori di lei ma, vinta la resistenza di questi, si scoprì che la giovane era gravemente malata. Il centurione chiamò Valentino al capezzale della giovane morente e gli chiese di non essere mai più separato dall’amata: il santo vescovo lo battezzò e quindi lo unì in matrimonio a Serapia, dopo di che morirono entrambi.[5]

La festa di San Valentino 

La festa di San Valentino ricorre annualmente il 14 febbraio ed oggi è conosciuta e festeggiata in tutto il mondo.

Tale tradizione fu diffusa dai benedettini, primi custodi della basilica dedicata al Santo in Terni, attraverso i loro monasteri prima in Italia e quindi in Francia ed in Inghilterra.[5] Molte tradizioni legate al santo sono riscontrabili nei paesi in cui egli è venerato come patrono.

La figura di Valentino come santo patrono degli innamorati viene tuttavia messa in discussione da taluni che la riconducono a quella di un altro sacerdote romano, anch’egli decapitato pressappoco negli stessi anni.[2]

Feste in Italia 

La città di Terni invoca san Valentino come principale patrono. In provincia di Verona il paese di Bussolengo lo invoca come Santo Patrono. Patrono del paese di Sadali, considerato protettore dei matrimoni, san Valentino, la cui chiesa fu forse edificata da monaci bizantini, viene qui ricordato non a febbraio, ma ad ottobre e la festa sarda dura tre giorni. Ed è anche Patrono del paese lucano d’Abriola.

A Quero si festeggia il santo benedicendo le arance e lanciandole da un pendio annesso all’Oratorio di San Valentino nell’omonima località.

A Padova, presso la Chiesa di Santa Maria dei Servi, si festeggia il Santo, con una celebrazione speciale dedicata ai bambini:la benedizione e la consegna delle chiavette, simbolo di protezione contro le malattie infantili e simbolo del’amore familiare.

In provincia di Vicenza è il santo patrono di Pozzoleone. In questo paese si svolge tuttora l’antica fiera di San Valentino, una delle fiere più grandi del Veneto; notizie certe di questa festa si trovano già dal 1517.

È patrono di Vico del Gargano, dove viene festeggiato il 14 febbraio con manifestazioni religiose e attività culturali. Caratteristico l’addobbo della statua e delle vie del paese con arance e alloro. Molto partecipata è la processione con la reliquia del santo che si tiene la mattina del 14 febbraio. Di particolare interesse è inoltre la fiera campionaria, con oltre 100 espositori e luna park, alla quale partecipano migliaia di persone che visitano anche nel caratteristico centro storico le bancarelle di prodotti artigianali e gastronomici.

 

Galleria d’immagini 

Note 

  1. ^ Sito web diocesi. diocesi.terni.it
  2. ^ a b Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, pp. 908-910
  3. ^ Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, p. 909
  4. ^ San Valentino, ad Ozieri. sanvalentinoadozieri.net
  5. ^ a b c Alfredo Cattabiani, Santi d’Italia, p.910

Bibliografia 

Altri progetti 

Collegamenti esterni 

Paolo Di Nella. Roma 09.02.1983

 

 
Roma 09.02.1983 – Negli anni Ottanta, il clima politico andava lentamente cambiando, l’ondata devastante della violenza di piazza degli anni Settanta andava sempre più esaurendosi. Le aggressioni, gli agguati e i pestaggi di diradarono anche se non scomparvero del tutto. Gianni Alemanno e Paolo Di Nella erano amici per la pelle. Si conobbero nel Fronte della Gioventù e iniziarono a far politica in una porzione di Roma che in quegli anni era ancora una marca di confine. Un grande spartiacque, il Trieste – Salario, fra la Roma rossa e la Roma nera. Gianni Alemanno era iscritto al Liceo Scientifico Righi, Paolo Di Nella, invece, era iscritto al Liceo Scientifico Avogadro fino al 1981, quando fu costretto a trasferirsi in un istituto privato a seguito di alcune minacce ricevute per la sua attività politica. Gianni Alemanno era Dirigente romano del Fronte, legato all’ala rautiana, Paolo Di Nella, venti anni, era radicale, antisistema, tradizionalista, antinuclearista, intransigente, molto più critico dell’amico. Portava gli occhiali da vista, con montatura d’acciaio a goccia, i capelli sorprendentemente lunghi e i baffi. Leggeva molto, ascoltava il rock identitario ed era appassionato per le canzoni di Massimo Morsello. Gianni Alemanno e Paolo Di Nella erano insieme quando nel giugno del 1979 fu ucciso Francesco Cecchin, e sempre insieme si erano ritrovati a Nusco, in Irpinia, dove Francesco fu sepolto, per un gesto simbolico. Intanto le identità, i linguaggi e i simboli stavano per trasformarsi. I primi anni del 1980, il Fronte della Gioventù non era più quello dei primi anni del 1970. Non era un’organizzazione granitica, assediata e chiusa in un ghetto. Era un’organizzazione che cambiava faccia e mutava la struttura organizzativa per articolarsi alla nuova realtà. Nacquero Fare Fronte e Fare Verde che raccolsero rispettivamente le organizzazioni studentesche e l’anima ecologista del Fronte. I nuovi missini cercarono di mettere in soffitta i labari e i gagliardetti della Repubblica Sociale Italiana per iniziare a recuperare molte delle parole d’ordine che provenivano da Terza Posizione. In quel Fronte trovò spazio anche Paolo Di Nella e la sua piccola e personale guerra santa. La riapertura di una villa abbandonata nel quartiere africano. Villa Chigi, era inaccessibile, degradata, un intreccio di sterpi e siringhe gettate dai tossici del quartiere. Per Paolo Di Nella, quell’impegno, divenne una bandiera e una battaglia personale. I manifesti lì disegnava con il pennello e la vernice nera sul retro di quelli già stampati, sul pavimento della sezione di via Somma campagna. Il 2 febbraio del 1983, Paolo Di Nella decise di iniziare l’affissione per le strade della città. L’invito era rivolto a tutti i giovani militanti della sezione. Molti decisero di non seguirlo, presi da cose più grandi e importanti, tranne, però, Daniela Bertani, venti anni. I due uscirono dalla sede del Fronte della Gioventù insieme, intorno alle nove di sera. Salirono sulla Fiat centoventisette e girarono per il quartiere Trieste – Salario. All’inizio tutto sembrava tranquillo. Iniziarono ad attaccare i primi manifesti proprio da Piazza Vescovio, dove era caduto Francesco Cecchin, per poi continuare sui muri abbandonati di Villa Chigi e dirigendosi verso viale Somalia. Un primo segnale sospetto arrivò in quel punto della serata. Due ragazzi su un ciclomotore fissarono i due missini costantemente. Ma arrivati all’incrocio tra viale Somalia e Piazza Gondar, Paolo Di Nella e Daniela Bertani, notarono altre due persone, dall’aspetto trasandato. Paolo Di Nella continuò a fare il suo lavoro, prima all’altezza del bar Motta, poi attraversando la strada e dirigendosi verso uno spartitraffico dove vi era un tabellone pubblicitario, mentre Daniela Bertani era in macchina ad aspettarlo. E lì che successe tutto. Davanti alla fermata dell’autobus trentotto, due giovani. Il primo indossava un piumino di colore rosso, il secondo, invece, azzurro. Mentre Paolo Di Nella era di spalle per mettere la colla sul tabellone, uno dei due, prese la rincorsa e lo colpi violentemente alla testa con un corpo contundente, fuggendo poi a piedi. Paolo Di Nella si piegò sulle gambe come se per un attimo fosse stata tolta la corrente dal suo generatore interno. Ma riuscì comunque a raggiungere la macchina. Dopo un po’ si fermarono nei pressi di una fontanella e mentre Paolo Di Nella si bagnava la testa, le sue mani erano sporche di sangue. La ferita proveniva dietro l’orecchio. A quel punto era necessario il trasporto in ospedale ma Paolo Di Nella rifiutò fermamente. Mentre Daniela Bertani lasciava l’amico davanti al portone di casa e riprendeva la strada per viale Libia, vide che tutti i manifesti che avevano attaccato erano stati strappati. Durante la notte, Paolo Di Nella, non riuscì a dormire. Si agitava. Prima andò in bagno per rinfrescarsi, poi girò per casa senza trovare pace. I genitori sentirono i rumori, si svegliarono e videro i vestiti macchiati di sangue. Solo in quel momento capirono che era successo qualcosa di grave. Già durante il trasporto in ambulanza, Paolo Di Nella, entrò in coma. Aveva un grosso ematoma interno. Ricoverato al Policlinico Umberto I fu operato d’urgenza. Rimosso l’ematoma, gli fu asportato quello che era rimasto dell’osso temporale, letteralmente frantumato. In realtà Paolo Di Nella fu colpito al di sopra dell’orecchio, nella zona posteriore del cranio. L’arteria meningea fu compromessa dalla frattura che si estese subito dopo il colpo ricevuto. Furono sei lunghi giorni di agonia, la sua vita era già compromessa, dal terzo giorno, Paolo Di Nella, sprofondò in coma di quinto grado e fu mantenuto in vita artificialmente. Per la prima volta, in questi giorni, arrivarono dei segnali importanti e diversi. Non più una comunità assediata che piangeva il proprio lutto, ma una parte politica che riceveva solidarietà un tempo nemmeno immaginabile. La visita del Sindaco della Capitale, Ugo Vetere, iscritto al Partito Comunista; il telegramma di solidarietà alla famiglia Di Nella da parte del Segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, e la visita in ospedale del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Al capezzale di un giovane fascista in agonia giunse il Presidente partigiano. Il 9 febbraio del 1983 alle ore venti il cuore di Paolo Di Nella smise di battere. Tre giorni dopo, il 12 febbraio, si svolsero i solenni funerali nella chiesa di San Saturnino. Oltre ai militanti e amici anche molti cittadini dalle più svariate idee politiche, come Marco Pannella. Quando il feretro arrivò a spalla fino al carro funebre, dalla bara fu tolta la bandiera tricolore, ma sotto vi era un’altra bandiera quella con la croce celtica del Fronte della Gioventù. Mentre la salma di Paolo Di Nella veniva tumulata al cimitero di Verano, circa trecento – quattrocento giovani missini giunsero sul posto dell’agguato. I partecipanti depositarono un mazzo di fiori davanti a un lungo striscione murale e dopo alcuni minuti di raccoglimento e una breve commemorazione, il corteo si sciolse senza alcun incidente. Il volantino di rivendicazione dell’agguato, firmato da Autonomia Operaia, fu ritrovato il 14 febbraio in una cabina telefonica di Piazza Gondar, a pochissimi metri dove Paolo Di Nella fu aggredito, dopo una telefonata al centotredici. Intanto la squadra politica della Digos iniziò le indagini proprio da alcuni informatori. Quest’ultimi dubitarono della deposizione di Daniela Bertani e la polizia decise di frugare nei tabulati delle intercettazioni. Ma gli inquirenti trovarono solo lacrime e dolore. Le indagini si concentrarono su due giovani dell’area di autonomia, Corrado Quarra e Luca Baldassarri. I sospetti non trovarono riscontro fino a quando, quindi giorni dopo la morte di Paolo Di Nella, il 24 febbraio, i due extraparlamentari di sinistra abbandonarono la città e gli inquirenti spiccarono due mandati di arresto con l’accusa di omicidio e latitanza. Corrado Quarra si nascose a Subiaco, un paesino vicino Roma, in casa di una zia. Quando la polizia arrivò con il mandato, Corrado Quarra, riuscì a fuggire dalla finestra. Ma la notte tra il primo e il 2 agosto del 1983, in Piazza Risorgimento, a Roma, fu fermato da un posto di blocco della polizia e portato in Questura. Una volta interrogato il sospettato, fu allestito un confronto all’americana. In causa, fu chiamata l’unica testimone oculare, Daniela Bertani, per l’identificazione di uno dei due aggressori. Al di là del vetro, quattro ragazzi, senza esitazione, Daniela Bertani, riuscì a individuare Corrado Quarra. In seguito alle intercettazioni, alla doppia fuga, alla latitanza e al riconoscimento della Bertani, il giudice Santacroce emise il mandato di cattura nei confronti di Corrado Quarra con l’accusa di tentato omicidio. Il 4 novembre del 1983 un nuovo colpo di scena. Daniela Bertani, per la seconda volta, si trovò davanti a uno specchio per il riconoscimento di Luca Baldassarri. Ma sbagliò, individuando una delle tre comparse. Infatti la controfigura di Luca Baldassarri non fu selezionata dagli inquirenti ma dalla difesa di Baldassarre. Allora anche il primo riconoscimento non doveva essere considerato valido. E cosi fu. Il 29 dicembre del 1983, il giudice istruttore Calabria, decise di mettere in libertà Corrado Quarra. A nulla servirono le proteste degli avvocati della famiglia Di Nella. Nell’aprile del 1986, a tre anni dalla morte di Paolo Di Nella, Corrado Quarra fu completamente prosciolto dall’accusa di omicidio. In quel periodo fu sottoposto solo all’obbligo della firma in commissariato senza essere più compiuta nessuna indagine su di lui. Finalmente, nell’ottobre del 2005, il sogno di Paolo Di Nella si realizzò. Villa Chigi, splendente e fiorita, fu restituita al quartiere per dare ossigeno alla città assediata dal traffico.

4 Febbraio 2004 – Nasce Facebook

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Facebook.svg Facebook
URL facebook.com
Tipo di sito Rete sociale
Registrazione Gratuita
Proprietario Facebook, Inc.
Creato da Mark Zuckerberg
Lancio 4 febbraio 2004
Fatturato Green Arrow Up.svg 550 milioni di dollari (nel 2009)

Green Arrow Up.svg 1.1 miliardi di dollari (stima 2010) [1]

Green Arrow Up.svg 3.7 miliardi di dollari (2011)[2]

Stato corrente del sito Attivo
Slogan Facebook ti aiuta a connetterti e rimanere in contatto con le persone della tua vita.

Facebook è un sito web di reti sociali, di proprietà di Facebook, Inc., ad accesso gratuito. È il secondo sito più visitato al mondo, preceduto solo da Google[3].

Il nome del sito si riferisce agli annuari con le foto di ogni singolo soggetto (facebook) che alcuni college e scuole preparatorie statunitensi pubblicano all’inizio dell’anno accademico e distribuiscono ai nuovi studenti ed al personale della facoltà come mezzo per conoscere le persone del campus.

Il 1 febbraio 2011 Facebook presenta alla SEC i documenti per l’offerta pubblica di vendita, e il conseguente collocamento in borsa previsto per il mese di maggio 2011. Secondo tali dati, al 31 dicembre 2011 il social network ha 845 milioni di utenti attivi, che si collegano al sito almeno una volta al mese.[2]

7 Gennaio 1978 Strage di Acca Larentia

 

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Strage di Acca Larentia
StrageAccalarenzia.jpg

folla radunata nel luogo dell’attentato, si può riconoscere Giorgio Almirante

 
Stato bandiera Italia
Luogo Roma
Obiettivo Giovani del Fronte della Gioventù (MSI)
Data 7 gennaio 1978
18:20
Tipo Agguato con armi da fuoco
Morti 3
Feriti 1
Responsabili Militanti terroristi di estrema sinistra; un carabiniere
Motivazione Omicidio a scopo politico; operazione di ordine pubblico

Strage di Acca Larentia è la denominazione giornalistica[1] del pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma alle 18.20 del 7 gennaio 1978, in cui furono uccisi tre giovani attivisti del Fronte della Gioventù. Due di loro erano appena usciti dalla sede del Movimento Sociale Italiano (MSI) di via Acca Larenzia, nel popolare quartiere Tuscolano, impegnati a pubblicizzare tramite volantinaggio un concerto del gruppo di musica alternativa di destra Amici del Vento. Il terzo venne ucciso qualche ora dopo, durante gli scontri scoppiati con le forze dell’ordine in seguito ad una spontanea manifestazione di protesta, organizzata davanti alla stessa sede dai militanti missini.

 

Agguato[

Appena usciti dalla sede, cinque giovani militanti di destra furono investiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco di 5 o 6 persone: uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, fu ucciso sul colpo; Vincenzo Segneri, seppur ferito ad un braccio, riuscì a rientrare nella sede del partito, dotata di porta blindata, assieme ad altri due: Maurizio Lupini e Giuseppe D’Audino, rimasti illesi.

L’ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta, studente diciottenne, pur essendo ferito, tentò di fuggire attraversando la scalinata situata al lato dell’ingresso della sezione ma, seguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena morendo in ambulanza durante il trasporto in ospedale.

Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell’agguato, una sgomenta folla, composta soprattutto da attivisti missini romani, si radunò sul luogo. Anche l’allora segretario nazionale del Fronte della Gioventù (FdG) Gianfranco Fini fu lievemente ferito da un lacrimogeno sparato dalla polizia[2] in seguito agli scontri che seguirono la protesta dei missini, giovani e non, accorsi da tutta Roma per protestare contro il duplice omicidio.

In seguito, per motivi ed in circostanze non chiare, scaturirono dei tafferugli che provocarono l’intervento delle forze dell’ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Le apparecchiature video di giornalisti RAI furono danneggiate. Si dice che tutto fosse cominciato poiché un giornalista, distrattamente (alcuni sostengono l’intenzionalità dell’atto), avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria.[3]

Per far fronte al tafferuglio creatosi, il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori sparò ad altezza d’uomo, centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus, a cui il cantautore Fabrizio Marzi dedicò nel 1979 la canzone “Giovinezza“. Il giovane morì dopo due giorni di agonia.

Alcuni mesi dopo l’accaduto, il padre di Ciavatta, portiere di uno stabile in Via Deruta 19, si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico [4] [5].

Rivendicazione[

Il raid fu rivendicato alcuni giorni dopo tramite una cassetta audio, fatta ritrovare accanto ad una pompa di benzina, in cui la voce contraffatta di un giovane, a nome dei Nuclei Armati di Contropotere territoriale, dichiarò:

  « Un nucleo armato, dopo un’accurata opera di controinformazione e controllo alla fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga. »
 
(Rivendicazione della strage di Acca Larenzia a nome dei “Nuclei Armati di Contropotere territoriale”)

Le indagini[

Vittime della strage di Acca Larentia

Per circa 10 anni le indagini non portarono a conclusioni: solo nel 1988 si scoprì che la mitraglietta Skorpion usata nell’azione fu la stessa usata in altri tre omicidi firmati dalle Brigate rosse, ossia quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e del senatore Roberto Ruffilli.

Furono accusati degli ex militanti di Lotta Continua: Mario Scrocca, Fulvio Turrini, Cesare Cavallari, Francesco de Martiis e Daniela Dolce.

Quest’ultima riuscì a non farsi catturare, rimanendo latitante, mentre Scrocca fu arrestato e si tolse la vita in cella il giorno dopo essere stato interrogato dai giudici.

Gli altri tre imputati, pur essendo arrestati, furono assolti in primo grado per insufficienza di prove.

L’arma impiegata nel 1978 scomparve negli anni in cui più forte fu l’attività dei brigatisti, ricomparendo a metà degli anni ottanta, nel periodo delle BR di Senzani[6], e più precisamente sette anni dopo[7], per venire poi usata anche per uccidere Lando Conti (10 febbraio 1986) e Ruffilli (16 aprile 1988).

L’agguato di Acca Larentia ha generato un’ulteriore recrudescenza nelle tensioni tra gli opposti estremismi e ha contribuito al mantenimento di quello stato di tensione che per molti anni ha accompagnato la storia della prima repubblica. Secondo Giorgio Galli è legittimo il dubbio che l’agguato sia stato “commissionato” ad elementi esterni al terrorismo politico, proprio con questa finalità.[6]

Il primo anniversario[

La vicenda ebbe un ulteriore strascico in occasione delle manifestazioni del primo anniversario. Il 10 gennaio 1979, infatti, scoppiarono di nuovo dei tumulti nel quartiere di Centocelle durante i quali l’agente di polizia in borghese Alessio Speranza sparò al diciassettenne Alberto Giaquinto, uccidendolo: successivamente l’agente fu prosciolto dall’accusa di omicidio.

Il trentesimo anniversario[

Il 7 gennaio 2008, come da tradizione, si è tenuta la fiaccolata in onore delle vittime della strage che da piazza San Giovanni attraversa la via Tuscolana fino al luogo della sparatoria, dove si ricordano i nomi dei tre ragazzi uccisi e si onora la memoria dei militanti di destra uccisi negli anni di piombo.

Dopo “30 anni di ingiustizia” (è l’espressione usata sui manifesti affissi nella capitale per pubblicizzare l’evento), il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha deciso di intitolare una strada romana alle tre vittime della strage,[8] così come in passato la giunta di Walter Veltroni aveva deciso di intitolare una strada a Paolo di Nella.[9]

Note[

  1. ^ L’accaduto non è stato qualificato come reato di strage: art. 422 Codice di Procedura Penale della Repubblica Italiana.
  2. ^ Andrea Colombo, “Storia Nera”, Cairo Editore, 2007
  3. ^ Il Tempo – Politica – Acca Larentia, strage senza colpevoli
  4. ^ 07 Gennaio 1978 – In ricordo di Francesco Ciavatta, Franco Bigonzetti e Stefano Recchioni atuttadestra.it
  5. ^ Morire di politica – Violenze e opposti estremismi nell’Italia degli anni ’70 Lastoriasiamonoi.it
  6. ^ a b Giorgio Galli, Piombo rosso. La storia completa della lotta armata dal 1970 a oggi, Baldini Castoldi Dalai, 2007.
  7. ^ omicidio Tarantelli, 27 marzo 1985
  8. ^ http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=86783&sez=HOME_ROMA
  9. ^ http://archiviostorico.corriere.it/2005/ottobre/13/Veltroni_una_via_ragazzo_destra_co_9_051013106.shtml

Bibliografia[

Voci correlate[

I re Magi

Storia dei Re MagiIl 6 Gennaio si celebra la festa dell’Epifania, che nella religione cattolica-cristiana coincide con l’adorazione dei Tre Re Magi presso la grotta di Betlemme, in cui si trovano la Vergine Maria, lo sposo Giuseppe e il piccolo Gesù Bambino.

La parola Epifania sta infatti a significare “manifestazione del Signore” , e nel tempo questa festività ha assunto anche una valenza missionaria, indicando la manifestazione di Dio fattosi carne al mondo pagano (rappresentato appunto dai Re Magi).

Ma i Re Magi sono personaggi leggendari, o sono esistiti in carne ed ossa? Secondo i racconti evangelici, dopo la nascita di Gesù (avvenuta a Betlemme al tempo di Erode), i Magi scorsero nel cielo la stella cometa che li avrebbe condotti presso la Grotta, e si misero in cammino.

Secondo la tradizione orientale, i tre Magi erano fratelli: Baldassarre (che regnava sul popolo degli Indiani), Melchiorre (che era Re dei Persiani), e infine Gaspare, il cui regno si estendeva agli Arabi. Il termine “mago”, però, non ha il significato che siamo soliti attribuirgli. In questo caso “Magoi” è una parola greca che indica i membri di una casta sacerdotale persiani, esperti di astrologia e astronomia. In pratica, si trattava di profondi conoscitori dei fenomeni celesti. L’astronomia era una disciplina studiata e approfondita soprattutto in paesi come la Mesopotamia e la Babilonia. Quindi la provenienza dei Re Magi potrebbe essere questa.

 

Alcuni studiosi si sono soffermati a considerare la “stella cometa” che fece da guida nel cammino, provando ad identificarla con la cometa di Halley o altre sovrapposizioni di pianeti. Forse non si trattò di una vera e propria stella, ma di una meteora speciale dalle caratteristiche eccezionali, che si mostrò nei cieli in quei tempi.

 

La tradizione religiosa ricorda che ognuno dei Tre Magi recava con sé un dono per Gesù Bambino: pare si trattasse di oro, incenso e mirra. Quest’ultima è una pianta medicinale che pare sia miracolosa.

 

Nelle rappresentazioni religiose i Re Magi vengono raffigurati ben vestiti, in sella ad un cammello, con mantelli preziosi. Stanno a raffigurare il mondo che viene ad adorare un bimbo che nasce nella povertà di una grotta. Il significato religioso è molto intenso, per questo si trasmette di generazione in generazione.

http://www.lintervista.it/re-magi/

La vera storia della befana

 

La Befana è una vecchia brutta e gobba, con il naso adunco e il mento aguzzo, vestita di stracci e coperta di fuliggine, perchè entra nelle case attraverso la cappa del camino.

Infatti la notte tra il 5 e il 6 gennaio, mentre tutti dormono infila doni e dolcetti nelle calze dei bambini appese al caminetto.

Ai bambini buoni lascia caramelle e dolcetti, a quelli cattivi lascia pezzi di carbone.

La Befana si festeggia nel giorno dell’Epifania, che di solito chiude le vacanze natalizie.

Il termine “Befana” deriva dal greco “Epifania” che significa “apparizione, manifestazione”.

Avvenne nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio che i Re Magi fecero visita a Gesù per offrirgli oro, incenso e mirra.

Anche la Befana apparve nei cieli, a cavallo della sua scopa, ad elargire doni o carbone, a seconda che i bambini siano stati buoni o cattivi.

Una leggenda spiega la coincidenza così:

una sera di un inverno freddissimo, bussarono alla porticina della casa della Befana tre personaggi elegantemente vestiti: erano i Re Magi che, da molto lontano, si erano messi in cammino per rendere omaggio al bambino Gesù.

Le chiesero dov’era la strada per Betlemme e la vecchietta indicò loro il cammino ma, nonostante le loro insistenze lei non si unì a loro perché aveva troppe faccende da sbrigare.

Dopo che i Re Magi se ne furono andati sentì che aveva sbagliato a rifiutare il loro invito e decise di raggiungerli.

Uscì a cercarli ma non riusciva a trovarli.

Così bussò ad ogni porta lasciando un dono ad ogni bambino nella speranza che uno di loro fosse Gesù.

Così, da allora ha continuato per millenni, nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio a cavallo della sua scopa…

http://www.carabefana.it/pages/storia_befana.html